CONVEGNO DEL 22 MARZO 2019 – PISA
DOCUMENTI

Programma:
Ore
9,30: Registrazione dei partecipanti
10,00: Apertura dei lavori, moderatore Jacopo Simonetta, ecologo
10,10 Dopo la crescita e verso il picco di tutto, Luca Pardi, IPCF-CNR, Associazione per lo Studio del Picco del Petrolio – Italia.
10,40: Non linearità, complessità e tracollo dell’economia attuale, Angelo Tartaglia, Politecnico di Torino.
11,10: Sostenibilità sociale della transizione energetica, Simone d’Alessandro, Università di Pisa, Luigi Giorgio, segretario del Movimento per la Decrescita Felice.
11,40: Resilienza nell’Antropocene, SergeLatouche, professore emerito presso l’Università di Paris Sud, Parigi.
12,30 Pausa pranzo
14,00: Sobrietà per i diritti di tutti, Francesco Gesualdi, Centro Nuovo Modello di Sviluppo.
14,30: Il futuro della biodiversità nell’Antropocene, Gianfranco Bologna, direttore scientifico del WWF Italia.
15,00 Importanza delle Aree Protette per la conservazione della Biodiversità, Andrea Bertacchi, Università di Pisa.
15,30 Biodiversità e Paesaggio, Elisabetta Norci, Agronomo paesaggista.
16,00 Il Picco di Seneca, Ugo Bardi, Università di Firenze, Club di Roma.
16,30: Tavola rotonda. Il ruolo delle Aree Protette nella resilienza locale e globale.
18,00:Chiusura dei lavori
Chi sono i relatori.
Andrea Bertacchi, Botanico, specializzato in problemi di conservazione della biodiversità.
Angelo Tartaglia. Fisico, professore presso l’Istituto Politecnico di Torino. Si occupa in particolare di crescita e collasso dei sistemi complessi.
Elisabetta Norci. Agronomo. Lavora nel settore della pianificazione e progettazione del paesaggio ed è docente di Architettura del paesaggio
Francesco Gesualdi. Attivista e Saggista. Ha pubblicato numerosi libri e articoli riguardanti soprattutto gli abusi operati della grandi compagnie ed i modi non violenti per contrastarli, favorendo una rivoluzione degli stili di vita, della produzione e dell’economia.
Gianfranco Bologna. Naturalista, direttore scientifico del WWF Italia, Full Member del Club di Roma. Da oltre 40 anni svolge attività di comunicazione, divulgazione e pianificazione di campagne per la protezione della natura e la sostenibilità. Autore di numerosi articoli e libri su questi argomenti.
Luca Pardi. Chimico, ricercatore del CNR, attuale presidente Associazione per lo Studio del Picco del Petrolio – Italia. Autore di numerosi articoli e libri sulla crisi energetica ed ambientale, le sue cause ed i suoi probabili sviluppi.
Luigi Giorgio. Informatico, ex dirigente in una multinazionale chimica. Dal 2005 si occupa attivamente di decrescita; attualmente fa parte del direttivo nazionale del Movimento per la Decrescita Felice e coordina in MDF il gruppo tematico di economia.
Serge Latouche. Economista e filosofo, professore emerito presso l’università Paris Sud – Parigi. E’ uno dei principali economisti che criticano l’approccio neo-classico e l’ossessione per una crescita economica infinita. E’ autore di decine di libri in cui propone e spiega le modalità per una volontaria e controllata decrescita verso una società molto più parsimoniosa, ma prospera.
Simone d’Alessandro. Economista, professore presso l’Università di Pisa. Si occupa principalmente di modelli per la valutazione di interventi che associno una riduzione delle emissioni clima-alteranti ad una riduzione delle sperequazioni sociali.
Ugo Bardi. Chimico e fisico. Professore presso l’Università di Firenze e membro del Club di Roma. Si occupa da anni dei temi connessi al picco delle materie prime.
DOCUMENTO CONCLUSIVO
TUTELARE LA BIODIVERSITÀ, PRESERVARE ED AMPLIARE LE AREE PROTETTE PER UNA SPERANZA DI RESILIENZA
Premessa
La crisi più grave del nostro mondo deriva dall’impatto dell’umanità contro i limiti bio-fisici del Pianeta. Ogni ulteriore crescita del sistema socio-economico può quindi avvenire solo provocando il collasso della Biosfera, cioè cancellando non solo la nostra civiltà, ma probabilmente anche la nostra specie, insieme alla maggior parte delle altre forme di vita.
Molte cose saranno necessarie per adattarsi e preparare un futuro vivibile, ma tutto sarà inutile se non saremo capaci di salvaguardare la funzionalità della biosfera. Anche la lotta al cambiamento climatico non può prescindere dalla tutela della biosfera: un campo in cui anche azioni di livello locale e nazionale possono dare risultati rapidi e consistenti.
Una civiltà senza petrolio è ipotizzabile, ma senza biodiversità, suoli fertili ed acqua dolce la stessa vita diventa impossibile
L’urgenza della situazione rende vitale cambiare i paradigmi che hanno finora guidato le nostre scelte per gestire la decrescita economica e demografica, invece di contrastarle; un percorso difficile che richiede una strategia complessiva molto articolata.
Le priorità maggiori sono:
– Promuovere la coesione sociale. La questione dell’equità fra classi sociali e classi di età sta diventando critica per la stessa sopravvivenza di un tessuto sociale organizzato. Ripristinare un livello accettabile di equità distributiva è un presupposto indispensabile per qualunque azione coordinata a livello di comunità e stati, dunque per qualunque azione efficace per salvaguardare la vivibilità del Pianeta.
– Controllare la crescita demografica. Una riduzione della popolazione mondiale ed europea è indispensabile, ma comporta necessariamente un fase molto difficile per il gravare di spese sociali e sanitarie su di una popolazione giovane meno numerosa e, complessivamente, più povera di quella degli anziani. D’altronde, un eventuale rilancio della crescita demografica sarebbe controproducente poiché non farebbe che dilazionare ed aggravare le criticità attuali.
– Tutelare la biosfera. Il collasso della biosfera potrebbe essere già iniziato e, se non lo è, certamente è alle porte. Evitarlo/fermarlo è una “conditio sine qua non” non solo per la sopravvivenza della civiltà, ma anche della nostra specie. Anche la lotta al cambiamento climatico, per essere efficace, deve essere inquadrata in quest’ottica.
A livello locale e di stati, l’intervento più immediato, economico ed efficace è il potenziamento delle Aree Protette e la creazione di un’efficace rete di corridoi ecologici.
– Aumentare la fertilità dei suoli. Recuperare fertilità nei suoli è un presupposto indispensabile per un’agricoltura produttiva in un contesto a bassa intensità energetica, oltre che un potente strumento di contrasto del cambiamento climatico. E’ necessario ridurre l’erosione e promuovere l’agroecologia, nel rispetto degli agro-ecosistemi, puntando alla qualità e riducendo l’erosione.
– Preservare la qualità e la quantità dell’ acqua. In tutto il mondo è in atto un sistematico degrado delle riserve di acqua dolce: una risorsa rinnovabile, ma esauribile. Provvedimenti drastici sono urgenti per ridurne l’uso e l’abuso, riequilibrando il ciclo dell’acqua perlomeno a livello locale.
– Ridurre i consumi. Pensare di rilanciare i consumi all’infinito in un pianeta finito è da irresponsabili. E’ necessario ed urgente promuovere attività che non compromettano quello che resta delle risorse rinnovabili, garantite dalla vitalità degli ecosistemi naturali. Occorrono enormi miglioramenti nella gestione e riuso dei rifiuti. Occorre abiurare all’idolatria della crescita.
Per questo:
Chiediamo che vengano applicati i Trattati a tutela della Biodiversità
La Convenzione sulla Diversità Biologica (CBD, Convention on Biological Diversity) fu aperta alla firma dei paesi durante il Summit mondiale dei capi di Stato di Rio de Janeiro nel giugno 1992, insieme alla Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici.
Tre gli obbiettivi della Convenzione sulla diversità biologica:
1 – la conservazione della diversità biologica,
2 – l’uso sostenibile delle sue componenti,
3 – l’equa condivisione dei benefici dell’utilizzo delle risorse genetiche.
Ad oggi, pur essendo stata ratificata da 196 paesi, la Convenzione sulla Biodiversità non è riuscita ad essere efficace.
Sino ad ora sono stati approvati i seguenti documenti:
Il Protocollo di Cartagena del 2000 sulla sicurezza biologica è entrato in vigore il 29 Dicembre 2003 ed è stato ratificato dall’Italia con la legge 15 gennaio 2004, n. 27. La finalità del Protocollo è assicurare un adeguato livello di protezione nel trasferimento, manipolazione ed uso degli Organismi Viventi Modificati (OVM o OGM) ottenuti con le moderne biotecnologie, tenendo conto anche dei rischi per la salute umana e pone particolare attenzione ai movimenti transfrontalieri.
L’accordo per “ridurre significativamente la perdita di biodiversità entro il 2010, conosciuto come Obiettivo 2010 sulla sostenibilità, redatto durante il World Summit on Sustainable Development di Cape Town del 2002.
Il protocollo di Nagoya del 2010, l’ONU preso atto del fallimento del dell’Obiettivo 2010 sulla Biodiversità, ha stabilito un quadro giuridico condiviso che regolamenta l’accesso alle risorse genetiche e garantisce una equa ripartizione dei benefici derivanti dal loro utilizzo. Il Protocollo di Nagoya è entrato in vigore nel 2014.
Insieme al Protocollo, fu elaborato un nuovo Piano Strategico con nuovi obiettivi per il periodo 2011/2020: i 20 obiettivi di Aichi
Ma l’onda di estinzioni ha continuato a crescere.
Chiediamo perciò agli organi di governo locali, nazionali ed internazionali:
Di ambire molto di più nella formulazione del nuovo piano strategico per la Biodiversità che sarà trattato nella Conferenza delle Parti della Convenzione che si terrà nel 2020 a Beijing in Cina.
Di attuare senza più rinvii i punti di AICHI e cioè:
1 – Fermare l’estinzione di massa aumentando il rilievo della biodiversità all’interno dei programmi di governo e nella società, diffondendo la cultura delle Aree Protette.
- Promuovere il valore della biodiversità e le azioni necessarie per conservarla ed utilizzarla in maniera sostenibile.
- Integrare la biodiversità nelle strategie territoriali, nei processi di pianificazione, nazionali e locali e in quelli per la riduzione della povertà, considerandone il valore nella programmazione economica, nella contabilità e nei sistemi di reporting.
- Eliminare i sussidi per attività dannose per la biodiversità o riformarli per minimizzare e/o evitare gli impatti negativi. Promuovere invece gli incentivi che hanno effetti positivi sulla conservazione e l’uso sostenibile della biodiversità in armonia con la Convenzione e gli altri obblighi internazionali, tenendo in considerazione le condizioni socioeconomiche dei paesi.
- Favorire la realizzazione di piani per la produzione sostenibile di beni e servizi ecologici, garantendo la rinnovabilità delle risorse naturali e i limiti di sicurezza ecologici.
2 – Ridurre le pressioni dirette sulla biodiversità e promuoverne l’uso sostenibile, promuovendo il ripristino delle aree degradate.
- Dimezzare il tasso di perdita di tutti gli habitat naturali, incluse le foreste. Laddove possibile, portarlo ad un valore prossimo allo zero, riducendo il degrado e la frammentazione.
- Usare in modo sostenibile i banchi di pesca, gli invertebrati e le piante acquatiche. Predisporre piani di recupero per tutte le specie con popolazioni ridotte, diminuire drasticamente gli impatti negativi sulle attività di pesca, ponendo particolare attenzione alle specie minacciate ed agli ecosistemi vulnerabili.
- Gestire in modo sostenibile le aree agricole, forestali e di acquacoltura al fine di assicurare la conservazione della biodiversità.
- Ridurre drasticamente l’inquinamento dovuto all’eccesso di nutrienti per salvaguardare la biodiversità e le funzioni ecosistemiche.
- Controllare le specie aliene invasive, prevenire la loro introduzione ed il loro insediamento.
- Minimizzare l’effetto dei cambiamenti climatici e dell’acidificazione degli oceani sulle scogliere coralline e sugli altri ecosistemi vulnerabili per mantenerne l’integrità e la funzionalità.
3 – Migliorare lo stato della biodiversità attraverso la salvaguardia degli ecosistemi, delle specie e della diversità genetica, ampliando le aree protette.
- Tutelare il 17% degli ambienti delle terre emerse e delle acque interne, e il 10% delle aree marine e costiere, in special modo le aree di particolare importanza per la biodiversità e per i servizi ecosistemici, attraverso un sistema gestito in maniera equa, ecologicamente rappresentativo e ben collegato di aree protette e con altre misure efficaci, basate sul territorio e integrate nel più ampio paesaggio terrestre e marino.
- Fermare l’estinzione delle specie minacciate conosciute e favorire la loro conservazione
- Conservare la diversità genetica delle piante coltivate e degli animali allevati e domesticati e dei loro progenitori selvatici, comprese altre specie socio-economicamente e culturalmente importanti, minimizzando l’erosione genetica e tutelando la diversità genetica.
4 – Aumentare i benefici derivanti dalla biodiversità e dai servizi ecosistemici per tutti, evitando la distruzione di habitat
- Restaurare e salvaguardare gli ecosistemi che forniscono servizi essenziali quali: acqua abbondante e di buona qualità, salute e benessere, tenendo in considerazione le necessità delle donne, delle comunità locali ed indigene, dei poveri e delle categorie vulnerabili.
- Aumentare la resilienza degli ecosistemi ed il contributo della biodiversità alla fissazione del carbonio attraverso la conservazione ed il ripristino di almeno il 15% degli ecosistemi degradati, contribuendo alla mitigazione dei cambiamenti climatici e dei processi di desertificazione.
5 – Favorire l’attuazione degli accordi sulla Biodiversità attraverso la pianificazione partecipata, la gestione delle conoscenze e la capacità di costruire insieme.
- Sviluppare ed adottare una strategia per la biodiversità attraverso la stesura partecipata di Piani, Programmi, Progetti.
- Rispettare le identità locali e l’uso sostenibile delle risorse per attuare la Convenzione della Biodiversità con la partecipazione effettiva delle comunità locali ed indigene.
- Applicare, migliorare, condividere le conoscenze, la base scientifica e le tecnologie relative alla biodiversità, al suo valore, al suo funzionamento, al suo status ed ai suoi trend, così come le conseguenze della sua perdita,
- Destinare risorse finanziarie per un’attuazione efficace del Piano strategico per la biodiversità 2011-2020.
Chiediamo che vengano ascoltati gli appelli degli scienziati:
Appello degli scienziati del 1992 firmato da circa 1600 scienziati, fra cui 99 premi nobel, per chiedere di fermare la devastazione della biosfera prima che fosse troppo tardi.
Appello degli scienziati del 2017 per fermare il disastro , stavolta firmato da oltre 15.000 ricercatori di tutto il mondo.
Chiediamo inoltre:
Che vengano tutelate a livello regionale e nazionale: le Aree Protette, i boschi e le aree naturali resilienti.
Chiediamo infine:
che vengano ascoltati gli appelli di una piccola grande donna: la giovanissima Greta Thunbergh, promotrice del movimento “Global Climate Strike For Future” e di rispondere in modo concreto a tutti i giovani che, come lei, ci chiedono di non negar loro un futuro.
APPELLO DEGLI SCIENZIATI ALL’UMANITA’.

Introduzione
Gli esseri umani ed il mondo naturale sono in rotta di collisione. Le attività umane infliggono duri e spesso irreversibili danni all’ambiente ed alle risorse vitali. Se non saranno poste sotto controllo, molte delle pratiche economiche correnti pongono in serio rischio il futuro che desideriamo per la società umana e per i regni animale e vegetale. Potrebbero perfino alterare il mondo vivente tanto da non essere più in grado di sostenere la vita così come la conosciamo.
Cambiamenti fondamentali sono urgenti se vogliamo evitare la collisione cui ci porta la nostra rotta attuale.
L’ambiente
L’ambiente sta soffrendo una serie critica di stress:
L’atmosfera.
Il depauperamento dell’Ozono stratosferico ci minaccia con un incremento della radiazione ultravioletta sulla superficie terrestre che può essere dannosa o mortale per molte forme di vita. L’inquinamento dell’aria a livello del suolo e le piogge acide stanno già causando danni diffusi agli uomini, alle foreste ed ai raccolti.
Risorse idriche.
Il noncurante sfruttamento di risorse idriche esauribili pone a rischio la produzione di cibo ed altri sistemi umani essenziali. L’elevata domanda mondiale di acqua ha prodotto seri problemi di carenza in circa 80 paesi, contenenti il 40 % della popolazione mondiale.
L’inquinamento di fiumi, laghi e falde acquifere limita ulteriormente la disponibilità.
Oceani.
La pressione distruttiva sugli oceani è forte, particolarmente nelle zone costiere che producono gran parte del pesce per l’alimentazione umana. Il pescato totale ha ormai raggiunto o superato il massimo livello sostenibile. Alcuni banchi di pesca mostrano già segni di collasso.
I fiumi che portano in mare grandi carichi di terra erosa dai suoli a monte, portano anche rifiuti industriali, urbani, agricoli e da allevamento, talvolta tossici.
Suolo
La perdita di fertilità dei suoli, che sta causando un esteso abbandono delle campagne, è un diffuso sottoprodotto delle correnti pratiche in agricoltura ed allevamento. Dal 1945, l’11% della superficie terrestre vegetata è stata degradata. Un’area grande come l’India e la Cina insieme. La produzione pro capite di cibo sta diminuendo in molte parti del mondo.
Foreste.
Le foreste tropicali pluviali, così come le foreste tropicali seccagne, vengono distrutte rapidamente. Al tasso attuale, alcuni tipi di foresta critici saranno scomparsi fra pochi anni e la maggior parte delle foreste tropicali saranno andate prima della fine del prossimo secolo. Con esse, scompariranno un gran numero di specie animali e vegetali.
Specie viventi
L’irreversibile perdita di specie, che entro il 2100 potrebbe raggiungere un terzo di tutte le specie attualmente viventi, è particolarmente preoccupante. Stiamo perdendo il loro potenziale di fornirci medicinali ed altri vantaggi, oltre al contributo che la biodiversità da alla robustezza del mondo biologico ed alla stupefacente bellezza del mondo. Gran parte di questo danno è irreversibile su una scala di secoli, oppure è permanente.
Altri processi pongono ulteriori minacce. L’incremento dei gas rilasciati in atmosfera dalla attività umane, inclusa l’anidride carbonica rilasciata dai combustibili fossili e dalla deforestazione, possono alterare il clima su scala globale. Le previsioni circa il riscaldamento globale sono ancora incerte, con proiezioni che oscillano fra il tollerabile ed il molto grave, ma il rischio potenziale è molto alto.
La nostra massiccia manomissione della interdipendente rete globale della vita, associata al danno ambientale inflitto dalla deforestazione, dalla perdita di specie e dal cambiamento del clima, può scatenare diffusi effetti avversi, incluso l’imprevedibile collasso di sistemi biologici critici le cui interazioni e dinamiche comprendiamo solo parzialmente.
L’incertezza circa l’ampiezza di questi effetti non scusano la compiacenza od il rinvio nel fronteggiare la minaccia.
Popolazione
La Terra non è infinita. La sua capacità di assorbire rifiuti ed effluenti distruttivi è limitata. La sua capacità di provvedere cibo ed energia è limitata. La sua capacità di provvedere ad un numero crescente di persone è limitata. E ci stiamo avvicinando rapidamente a molti dei limiti della Terra. Le pratiche economiche correnti, nocive per l’ambiente, tanto nei paesi sviluppati che in quelli sottosviluppati, non possono continuare senza il rischio di danneggiare irreparabilmente il sistema vitale globale.
Una sfrenata crescita demografica pone il mondo naturale sotto una pressione tale che potrebbe sopraffare qualunque sforzo per raggiungere un futuro sostenibile. Se vogliamo fermare la distruzione del nostro ambiente, dobbiamo accettare dei limiti alla nostra crescita.
Una stima della Banca Mondiale indica che la popolazione mondiale non si stabilizzerà al di sotto dei 12,4 miliardi di persone, mentre le Nazioni Unite concludono che il totale potrebbe raggiungere i 14 miliardi, quasi triplicando gli attuali 5,4 miliardi. Eppure, anche ora, una persona su cinque vive in assoluta povertà senza abbastanza da mangiare ed uno su dieci soffre di seria malnutrizione.
Non rimangono più di uno o due decenni prima che la possibilità di evitare i pericoli che fronteggiamo siano perdute e le prospettive per l’umanità incommensurabilmente peggiori.
Appello
Noi sottoscritti, membri anziani della comunità scientifica mondiale, con la presente avvertiamo l’umanità intera di ciò che l’aspetta. E’ necessario un grande cambiamento nella nostra gestione della Terra e della vita su di essa se vogliamo evitare una vasta miseria umana ed una irreparabile mutilazione del nostro posto su questo pianeta.
Cosa dobbiamo fare.
Cinque temi inestricabilmente connessi devono essere affrontati contemporaneamente.
1 – Dobbiamo riportare sotto controllo le attività dannose per l’ambiente per restaurare e proteggere l’integrità dei sistemi terrestri da cui dipendiamo.
Dobbiamo, per esempio, passare dai combustibili fossili a più benigne ed inesauribili fonti di energia per tagliare le emissioni di gas climalteranti e l’inquinamento di aria ed acqua. La priorità deve essere data allo sviluppo di fonti energetiche per soddisfare le necessità del Terzo Mondo con tecnologie di piccola scala, relativamente semplici da diffondere.
Dobbiamo anche fermare la deforestazione, i danni e la perdita di terreno agricolo e la perdita di specie animali e vegetali marine e terrestri.
2 – Dobbiamo gestire le risorse cruciali per il benessere umano in modo più efficiente.
Dobbiamo dare alta priorità ad un uso efficiente di energia, acqua ed altri materiali, inclusi l’espansione della conservazione e del riciclo.
3 – Dobbiamo stabilizzare la popolazione.
Questo sarà possibile solo se tutte le nazioni riconosceranno che ciò richiede migliori condizioni sociali ed economiche, oltre all’adozione di un’efficace e volontaria pianificazione familiare.
4 – Dobbiamo ridurre e possibilmente eliminare la povertà.
5 – Dobbiamo assicurare la parità dei sessi e garantire il controllo delle donne sulle proprie decisioni riproduttive.
Le nazioni sviluppate devono agire ora.
Le nazioni sviluppate sono i maggiori inquinatori nel mondo odierno. Devono gradualmente ridurre il loro eccessivo consumo, se vogliamo ridurre la pressione sulle risorse e l’ambiente globale.
Le nazioni sviluppate hanno l’obbligo di provvedere aiuto e supporto alle nazioni in via di sviluppo perché solo le nazioni sviluppate dispongono delle risorse finanziarie e delle conoscenze tecniche per questi impegni.
Agire riconoscendo questo non è altruismo, ma illuminato interesse proprio: industrializzati o meno che siamo, siamo tutti sulla stessa scialuppa. Nessuna nazione può evitare danni se il sistema biologico globale viene danneggiato. Nessuna nazione può evitare conflitti per risorse sempre più rare.
Per di più, l’instabilità economica ed ambientale causeranno migrazioni di massa con conseguenze incalcolabili tanto per la nazioni sviluppate che per quelle non sviluppate.
Le nazioni in via di sviluppo devono rendersi conto che il danneggiamento dell’ambiente è una delle più gravi minacce che fronteggiano e che ogni tentativo di smussarla sarà inutile se la loro popolazione continuerà a crescere fuori controllo. Il pericolo maggiore è quello di restare imprigionati in una spirale di declino ambientale, povertà e disordini che condurrebbe ad un collasso sociale, economico ed ambientale.
Il successo in questo sforzo globale richiederà una forte riduzione di violenza e guerra. Risorse ora devolute alla preparazione di conflitti e guerre (complessivamente un trilione di dollari l’anno) saranno assolutamente necessarie per nuovi compiti e dovranno essere dedicate alle nuove sfide.
E’ necessaria una nuova etica, un nuovo atteggiamento verso la nostre responsabilità di prendersi cura di noi stessi e della Terra. Dobbiamo riconoscere che la Terra ha una capacità limitata di provvedere a noi. Dobbiamo riconoscere la sua fragilità. Non dobbiamo più permettere che sia devastata. Questa etica deve motivare un grande movimento, convincere leader , governi e persone riluttanti ad effettuare i cambiamenti necessari.
Gli scienziati firmatari di questo appello sperano che il messaggio raggiunge e coinvolga persone ovunque. Abbiamo bisogno dell’aiuto di molti:
Abbiamo bisogno dell’aiuto della comunità dei ricercatori di scienze naturali, sociali, economiche e politiche.
Abbiamo bisogno dell’aiuto dei leader del modo industriale e finanziario.
Abbiamo bisogno dell’aiuto dei leader religiosi del mondo.
Abbiamo bisogno dell’aiuto di tutte le persone del mondo.
CHIEDIAMO A TUTTI DI UNIRSI A NOI IN QUEST’IMPRESA.
Appello degli scienziati all’umanità –
secondo avviso (2017)
(Testo originale)

Figura 1. Tendenze rilevate per i fattori ambientali identificati dall’appello degli scienziati del 1992. Le linee grigie mostrano l’evoluzione prima della pubblicazione dell’appello, quelle nere l’evoluzione seguente.
- – 69,1% di emissioni di gas alogeni, che impoveriscono l’ozono stratosferico, considerando un’emissione naturale di 0,11 Mt CFC-11-equivalenti per anno.
- – 26,1% di disponibilità pro-capite di acqua dolce, in migliaia di mc.
- – 6,4% di pescato mondiale (migliaia di tonnellate) è andato diminuendo dalla metà degli anni ’90, malgrado lo sforzo crescente.
- + 75,3 % il numero delle zone morte marine.
- – 2,8% la superficie forestale mondiale (miliardi di ettari)
- – 28,9% i vertebrati selvatici (rispetto al 1970). Il grafico è stato elaborato tenendo conto delle lacune tassonomiche e geografiche e contiene relativamente pochi dati dai paesi in via di sviluppo, per i quali ci sono pochi studi. Fra il 1970 ed il 2012, i vertebrati sono declinati del 58%, con le popolazioni di acqua dolce, marine e terrestri declinate dell’81, 36 e 35 percento rispettivamente.
- + 62,1% le emissioni di anidride carbonica (miliardi di tonnellate/anno).
- + 167,6% l’incremento della temperatura (medie quinquennali).
- + 35,5% l’incremento della popolazione umana e + 20,5% quella di ruminanti domestici (vacche, pecore, capre e bufali).
Notare che l’asse y non parte da zero. Nell’interpretazione di ogni grafico, è importante anche tener conto dell’intervallo fra i dati.
Venticinque anni fa, l’Unione degli Scienziati Preoccupati e più di 1700 ricercatori indipendenti, compresa la maggioranza dei premi nobel per le scienze allora viventi, sottoscrissero il “Appello degli scienziati del mondo all’umanità” del 1992 (link).
Questi professionisti, seriamente preoccupati, si appellarono all’umanità per fermare la distruzione dell’ambiente ed avvertirono che “è necessario un grande cambiamento nella nostra gestione della Terra per evitare una vasta miseria umana”.
In quel manifesto, mostrarono che gli umani erano in rotta di collisione con il mondo naturale. Espressero preoccupazione per il corrente, imminente o potenziale danno al pianeta Terra che riguardava il depauperamento dell’Ozono stratosferico, la disponibilità di acqua dolce, la riduzione della vita marina, le zone morte oceaniche, la deforestazione, la distruzione della biodiversità, il cambiamento del clima e la continua crescita della popolazione umana.
Proclamarono che erano urgenti cambiamenti fondamentali per evitare le conseguenze che la nostra attuale rotta ci avrebbe portato.
Gli autori della dichiarazione del 1992 temevano che l’umanità stesse spingendo gli ecosistemi terrestri oltre la loro capacità di supportare la rete della vita. Descrissero come ci stiamo rapidamente avvicinando a molti dei limiti che la Biosfera può sopportare senza danni sostanziali ed irreversibili.
Gli scienziati supplicarono di stabilizzare la popolazione umana, spiegando come il nostro grande numero (dal 1992cresciuto di altri 2 miliardi, un incremento del 35%) eserciti una pressione sulla Terra tale da travolgere altri sforzi per realizzare un futuro sostenibile (Crist e al. 2017). Ci implorarono di tagliare le emissioni di gas-serra (GHG) e di abbandonare i combustibili fossili, ridurre la deforestazione ed invertire la tendenza verso il collasso della biodiversità.
Oggi, al venticinquesimo anniversario di quell’appello, guardiamo nuovamente ai loro avvertimenti e valutiamo le risposte umane, esplorando le serie temporali disponibili.
Dal 1992, con l’unica eccezione della stabilizzazione dell’ozono stratosferico, l’umanità non ha fatto sufficienti progressi per risolvere le sfide ambientali previste, molte delle quali sono anzi di peggiorate in modo allarmante.
Preoccupa specialmente il cambiamento climatico, potenzialmente catastrofico, causato dall’incremento dei gas-serra dovuto all’uso dei combustibili fossili (Hansen e al. 2013), alla deforestazione (keenan e al. 2015 ed alla produzione agricola (in particolare all’allevamento intensivo di ruminanti per il consumo di carne (Rippli e al. 2014). Abbiamo inoltre scatenato un’estinzione di massa, la sesta in circa 540 milioni di anni, nel corso della quale molte delle attuali forme di vita potrebbero essere annientate o poste a rischio di estinzione per la fine di questo secolo.
Oggi diamo un secondo avviso all’umanità, illustrato da questi allarmati sviluppi (v. figura). Stiamo compromettendo il nostro futuro perché non controlliamo il nostro intenso, ma geograficamente e demograficamente irregolare, consumo materiale. E non ci rendiamo conto che la continua, rapida crescita della popolazione è la forzante principale dietro molte minacce ecologiche ed anche sociali (Crist e al. 2017).
Fallendo nel limitare adeguatamente la crescita della popolazione, ristrutturare un’economia radicata nella crescita, ridurre i gas-serra, incentivare l’energia rinnovabile, proteggere l’habitat, restaurare gli ecosistemi, ridurre l’inquinamento, fermare la deforestazione e contenere le specie invasive aliene, l’umanità non sta intraprendendo i necessari ed urgenti passi per salvaguardare la nostro biosfera in pericolo.
Poiché molti leader politici rispondono alle pressioni, scienziati, giornalisti e cittadini devono insistere affinché i loro governi considerino come un imperativo morale l’intraprendere azioni immediate verso le attuali e future generazioni, oltre che verso le altre forme di vita.
Con un’ondata di ben organizzati sforzi dalla base, un’ostinata opposizione può trionfare e costringere i governi a fare le cose giuste. E’ tempo anche di riesaminare e cambiare il nostro comportamento individuale, compreso limitare la nostra riproduzione (idealmente a livello di ricambio, al massimo) e drasticamente ridurre i nostri consumi pro-capite di combustibili fossili, carne ed altre risorse.
Il rapido declino delle sostanze che distruggono l’Ozono stratosferico dimostra che possiamo apportare dei cambiamenti positivi quando si agisce con decisione.
Abbiamo anche fatto progressi nel ridurre la povertà estrema e la fame. Altri progressi importanti (ancora non visibili nei dati globali mostrati nella figura) includono il rapido declino della fertilità umana in molte regioni (attribuibile ad investimenti nella scolarizzazione di donne e ragazze), il promettente declino del tasso di deforestazione in alcune regioni e la rapida crescita delle energie rinnovabili.
Abbiamo imparato molto dal 1992, ma il procedere degli urgenti cambiamenti nella politica, nel comportamento umano e nelle diseguaglianze globali è molto lontano dall’essere sufficiente.
La transizione alla sostenibilità può avvenire in diversi modi, ma tutti richiedono una pressione della società civile ed un sostegno basato sull’evidenza scientifica nella politica, oltre ad una solida comprensione degli strumenti politici, del mercato e delle altri forzanti. Esempi di differenti ed efficaci passi che l’umanità può fare verso la sostenibilità sono i seguenti (non in ordine di importanza o di urgenza).
- Dare la priorità ad un’interconnessa, ben finanziata e ben gestita rete di Aree Protette che copra una porzione significativa degli habitat, terrestri, marini ed aerei della Terra.
- Mantenere i servizi ecosistemici fermando la conversione di foreste, praterie ed altri habitat naturali.
- Ripristinare comunità vegetali native su larga scala, in particolare le foreste.
- Rinaturalizzare le zone dove si trovano specie rare, in particolare predatori apicali, per ripristinare processi e dinamiche ecologiche.
- Sviluppare e adottare adeguati strumenti politici per fermare la distruzione della fauna, il bracconaggio ed il commercio di specie minacciate.
- Ridurre lo spreco di cibo mediante l’educazione e mligliori infrastrutture.
- Promuovere la diffusione di diete con maggiore quantità di cibi vegetali.
- Ridurre ulteriormente il tasso di fertilità, assicurando a donne e uomini l’accesso all’educazione sessuale ed ai servizi per una pianificazione familiare volontaria, specialmente laddove questi sono attualmente assenti.
- Aumentare l’educazione ambientale dei bambini, così come l’impegno di tutta la società nell’apprezzamento della natura.
- Disinvestire dalla finanza e investire per incoraggiare un positivo cambiamento ambientale.
- Elaborare e promuovere nuove tecnologie verdi e adottare massicciamente fonti di energia rinnovabile , mentre si eliminano i sussidi alla produzione di combustibili fossili.
- Modificare la nostra economia per ridurre la disparità di ricchezza ed assicurare che prezzi, tasse e incentivi tengano conto dei costi reali degli impatti che i consumi hanno sull’ambiente.
- Fare una stima scientificamente difendibile di una popolazione umana sostenibile sul lungo periodo e coinvolgere nazioni e leader nel sostegno di questo obbiettivo vitale.
Per prevenire una generalizzata miseria ed una catastrofica perdita di biodiversità l’umanità deve trovare un’alternativa più ambientalmente sostenibile al “business as usual”. Questa prescrizione era già stata ben articolata dagli scienziati 25 ani fa, ma sotto molti aspetti, non abbiamo ascoltato il loro allarme. Presto sarà troppo tardi per cambiare strada e allontanarci da questa traiettoria. Il tempo sta scadendo.
Dobbiamo riconoscere, nella nostra vita quotidiana e nelle nostre istituzioni governative, che la Terra con tutte le sue forme di vita è la nostra unica casa.
Epilogo
Siamo stati sommersi dal sostegno al nostro articolo e grazie agli oltre 15.000 firmatari da ogni parte della Terra. Per quanto ne sappiamo, questo è il maggior numero di sottoscrizioni e di supporto formale mai ottenuto da un articolo pubblicato su una rivista scientifica.
In queste righe abbiamo riassunto le tendenze ambientali degli ultimi 25 anni, mostrato preoccupazioni concrete e suggerito alcuni esempi di possibili rimedi. Ora, come “Alleanza degli Scienziati del Mondo” e con il pubblico tutto, è importante continuare il lavoro per documentare le sfide, così come le situazioni che migliorano, per sviluppare chiare, tracciabili e pratiche soluzioni, così come per comunicare gli sviluppi e le necessità ai leader mondiali.
Lavorando insieme, rispettando la diversità delle persone e delle opinioni ed il bisogno di giustizia nel mondo, potremo fare grandi progressi nell’interesse dell’umanità e del pianeta da cui dipendiamo.
Non linearità, complessità e tracollo dell’economia attuale
Angelo Tartaglia
Nel ragionare sulla insostenibilità della crescita, già segnalata in tempi ormai remoti e portata all’attenzione del grande pubblico dal rapporto, appunto, sui limiti della crescita, redatto per il Club di Roma nel 1971, ci si concentra per lo più sulla finitezza delle risorse materiali ed energetiche e ultimamente sul mutamento climatico globale indotto dalle immissioni di gas climalteranti in atmosfera. Vi sono però degli aspetti impliciti nel modello usato da Meadows e dal suo gruppo e nel software (System Dynamics) che svilupparono e di cui si avvalsero, ma poco presenti all’attenzione del grande pubblico e men che meno dei decisori politico/economici. Questi aspetti sono legati precisamente alla natura di sistema dell’insieme delle relazioni che ci le-gano fra di noi e con il modo circostante.
Guardando al nostro pianeta noi troviamo in primo luogo un sistema materiale. Sistema vuol dire una pluralità di elementi interconnessi da relazioni di scambio. A questo livello gli elementi sono fisici: atmosfera, oceani, terre emerse, interno del pianeta; solo per citare la scala macroscopica. In realtà ciascuno dei componenti che ho menzionato sono a loro volta dei sistemi materiali comprendenti elementi legati fra loro da flussi di scambio.
Nel suo insieme il sistema fisico “pianeta Terra” è chiuso ma non isolato. Chiuso vuol dire che lo scambio di materia con l’esterno è trascurabile. Il sistema non è isolato in quanto con l’esterno scambia energia: in entrata c’è un flusso di energia elettromagnetica in forma di radiazione ad alta temperatura proveniente dal sole; in uscita c’è di nuovo energia elettromagnetica in forma di radiazione infrarossa emessa dal pianeta verso lo spazio esterno. La dinamica materiale all’interno del sistema è espressa e controllata da questo flusso e dalla conversione da radiazione ad alta temperatura a radiazione a bassa temperatura. In un certo senso la terra funziona come un motore termico.
Le leggi che governano i processi tipici del sistema materiale non sono stabilite da governi e parlamenti, non dipendono dalle scuole di pensiero economiche né dalle opinioni dei commentatori dei giornali; in sostanza non sono negoziabili né aggirabili. In estrema sintesi si tratta di leggi di conservazione: materia ed energia non si creano e non si distruggono; tutt’al più si trasformano.
Per altro, quando avviene una trasformazione basata sull’uso di energia, non è possibile (indipendentemente dalla maggiore o minore bontà delle tecnologie utilizzate) convertire tutta l’energia impiegata in lavoro utile. C’è sempre una quantità dell’energia da cui si parte che viene trasformata in “disordine” (tecnicamente in “entropia”) che può manifestarsi in molti modi: nel caso più semplice, calore disperso; in senso lato, inquinamento. E’ questo il secondo principio della termodinamica a cui nessun processo di trasformazione di materia (e quindi di energia) può sfuggire.
All’interno del sistema materiale e in connessione con esso si colloca la biosfera. Anch’essa è un sistema di relazioni interne ed esterne. I suoi processi non sfuggono ai vincoli posti dal sistema materiale e l’andamento nel tempo è caratterizzato da una evoluzione adattativa. La biosfera si mantiene in equilibrio dinamico con il mondo fisico circostante modificandosi continuamente nelle forme e nelle relazioni fra le sue componenti in modo da garantire una sostanziale circolarità dei flussi di materia ed energia. Le quantità coinvolte oscillano variamente ma la media tende a rimanere costante.
Infine, all’interno della biosfera ci siamo noi. E noi siamo, oggi, parte di un sistema socio-economico che si radica nel mondo materiale circostante, ma la cui dinamica è dominata dai rapporti interni tra i componenti singoli e tra i gruppi sociali. Qui la dinamica è caratterizzata dalla competizione per l’accesso alle risorse ma-teriali, all’energia, ai prodotti che la capacità degli umani è in grado di produrre e ai “titoli di acquisto” (de-naro) convenzionalmente adottati dal sistema nel suo insieme. Una peculiarità ben visibile del sistema socio-economico è quella delle disuguaglianze connesse con la competizione e poste in capo a soggetti a prima
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vista tutti uguali. A differenza di quello che succede al sistema materiale, le regole interne al sistema socioeconomico
dipendono dagli umani e sono, in linea di principio, modificabili.
Il sistema socio-economico
Passando a un tentativo di descrizione semplificata del sistema socio-economico proverò ad identificare i
suoi componenti essenziali.
In primo luogo troviamo quelle che potremmo chiamare unità produttive e che costituiscono i poli o nodi di
una rete. Un’unità produttiva è una struttura in cui le risorse primarie reperibili nell’ambiente intorno a noi
vengono convertite in “beni” e servizi di interesse dell’umanità.
Un altro componente essenziale sono, per così dire, delle “aree” in cui i beni e servizi prodotti nei nodi vengono
distribuiti agli utenti finali. Queste “aree” logicamente ben definite, materialmente molto meno, potremo
chiamarle “mercati”.
Infine, a costituire la rete, vi sono le connessioni tra nodi produttivi e mercati. Connessioni sia tra entità
omologhe che di diversa categoria. Le connessioni sono i canali lungo i quali i prodotti comunque intesi viaggiano.
Possiamo immaginarli come strade, reali o ideali, ferrovie, linee aeree o marittime, fibre ottiche, ponti
radio e così via.
Il sistema è sostanzialmente una rete che comprende tutti gli elementi descritti. Definirò “complessità della
rete” il numero di interconnessioni presenti.
Gli elementi fondamentali della nostra rete sono caratterizzati, nella loro interazione coi vincoli fisici, da peculiari
dinamiche. Cominciando dalle unità produttive, il loro far affidamento su risorse materiali primarie
finite, implica un andamento temporale della loro capacità produttiva rappresentato da una curva di Hubbert.
In formule la produzione W seguirebbe l’andamento:
In cui sono presenti tre parametri da cui dipendono il valore della massima produzione, la collocazione temporale
e la larghezza della curva. Questa naturalmente è una idealizzazione che isola la logica dell’evoluzione
piuttosto che il suo andamento reale, che invariabilmente risentirà delle continue interazioni col resto del
sistema. Ciò non toglie che, pur con tutti i possibili disturbi, l’andamento di riferimento non può che essere
del tipo descritto. Per la verità un’eccezione c’è riguardo alle risorse energetiche: l’andamento è quello della
curva di Hubbert se si tratta di fonti energetiche fossili, le cui riserve sono limitate. Se parliamo di fonti rinnovabili
ed in particolare del sole la “riserva” è, alla scala umana, infinita; in questo caso però esiste un massimale
per il flusso in arrivo e allora l’andamento è di tipo logistico, come quello che descriverò tra poco
riguardo alle connessioni tra i nodi.
Come appena anticipato, quando passiamo a considerare le connessioni tra i nodi dobbiamo considerare che
queste hanno delle limitazioni fisiche, quanto ai flussi che possono reggere, legate alle loro dimensioni. La
portata massima di un condotto dipende dalla sua sezione. La crescita del flusso F attraverso un dato canale
fisico può tutt’al più essere descritta da una curva logistica. Matematicamente la formula è la seguente:
𝐹 =
𝐹𝑚𝑎𝑥
1 + 𝑞𝑒−𝛽𝑡+𝑏
Anche qui ci sono tre parametri da cui dipendono il valore massimo verso cui la curva tende asintoticamente,
la collocazione temporale e la ripidità della salita iniziale. La sostanza è che la crescita del flusso ha un limite
superiore non valicabile e che la velocità di crescita diminuisce progressivamente avvicinandosi all’asintoto:
in altre parole, il canale si satura.
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Se tutto il sistema è forzato, per ragioni umane, a crescere il sistema produttivo risponde diversificandosi, cioè moltiplicando i nodi che tendono a specializzarsi in vario modo: difficilmente una produzione viene chiusa, ma tutt’al più si ridimensiona, mentre altre vengono attivate. Il crescere del numero dei nodi della rete comporta un aumento nel numero delle possibili connessioni fra di essi e ciò che è possibile progressi-vamente diviene reale. In una rete è facile vedere che le possibili interconnessioni L crescono col quadrato del numero dei nodi N: 𝐿=12𝑁(𝑁−1)
Questa legge quadratica da un lato si riferisce al possibile numero di legami tra i nodi, dall’altro non considera che la stessa coppia di nodi possa essere connessa da più di un canale in parallelo con gli altri. La dinamica della progressiva saturazione in un contesto di crescita continua spinge però proprio ad aprire anche connes-sioni multiple: se una strada ordinaria tende a saturarsi le si aggiunge un’autostrada; entrambe sono accom-pagnate da una ferrovia; se del caso si aggiunge anche una via aerea… Insomma, se il presupposto è che il sistema produttivo (il numero dei nodi) cresce, la previsione di una crescita quadratica del numero delle connessioni rischia di essere prudenziale.
Una prima constatazione è dunque che la complessità di un sistema cresce più in fretta del sistema.
Flussi e leggi quadratiche
La legge di crescita indicata per la complessità presenta un’immediata assonanza con altre leggi quadratiche relative ai flussi. In molte situazioni fisiche in cui qualcosa scorre dentro un condotto (in senso lato) la potenza richiesta (o globalmente l’energia necessaria) per mantenere il flusso dipende quadraticamente dall’entità del medesimo. Un esempio meccanico immediato è quello del movimento di un mezzo su di una strada (che può anche essere liquida o aerea). Il vantaggio che si intende conseguire generalmente è legato alla velocità del movimento: più alta è questa, minore il tempo di viaggio. Però l’energia cinetica necessaria cresce col quadrato della velocità v: 𝑊=12𝑚𝑣2
Qui m rappresenta la massa del veicolo da muovere e mantenere in movimento. La domanda di energia per produrre l’effetto cresce più in fretta dell’effetto.
Un altro semplice esempio è quello della corrente elettrica I in un conduttore. L’energia dissipata (sotto forma di calore) per unità di tempo per mantenere in moto la corrente è proporzionale al quadrato della stessa: 𝑊=𝑅𝐼2
Qui R è la resistenza del conduttore e la formula esprime la legge di Joule.
In definitiva pare che la legge del quadrato sia pervasiva e valida per ogni genere di flusso (inclusi quelli di informazioni) che circoli nelle connessioni del sistema socio-economico umano. Combinando insieme i diversi fattori di crescita globale dei flussi, connessa con la crescita della produzione, troviamo che la domanda di risorse per alimentare il trasferimento di beni a base materiale cresce più in fretta della quantità di beni (e servizi) prodotta, cioè più in fretta della “ricchezza” lorda.
Il problema del controllo
In una rete ogni nodo ha il problema di mantenere sotto controllo e governare i flussi che lo coinvolgono. Quanto maggiore è il numero di collegamenti che fanno capo ad un singolo nodo tanto maggiore è il tempo che il nodo stesso deve destinare al governo dei flussi. Da un lato il tempo destinato alla gestione dei flussi viene necessariamente sottratto ad altre funzioni, dall’altro, essendo la capacità di un nodo fisicamente limi-tata, anche la capacità di controllo tende a saturarsi man mano che la complessità della rete cresce. Se questo
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fenomeno spinge a moltiplicare i nodi, dobbiamo però ricordare che, come abbiamo visto, la complessità della rete cresce più in fretta del numero dei nodi. Questa rincorsa tra moltiplicazione dei nodi (degli hub) e loro specializzazione, e volume dei flussi da gestire, legato al numero delle connessioni, è ben visibile in in-ternet, nelle reti di posta elettronica e nei social networks.
Man mano che il tempo passa, in un contesto di crescita, il controllo della rete tende a gerarchizzarsi specia-lizzandosi. Si creano isole di governo parziale e locale dei flussi i cui nodi sono sottoposti al controllo di livello superiore cui competono i flussi più rilevanti. Alla fine però il controllo finisce per non tenere il passo con lo sviluppo della rete. Anche qui internet e social networks insegnano. Detto con un linguaggio più consono all’analisi dati, vediamo che la capacità di reperire e accumulare dati cresce più in fretta di quella di servir-sene. Detto con il gergo dei sistemi di informazione: il rumore cresce più in fretta del segnale e lo annega.
Quando in un sistema complesso viene meno la capacità di controllo complessivo il sistema comincia a de-comporsi, più o meno come avviene con la necrosi degli organismi viventi.
La sicurezza
Il problema appena accennato del controllo può essere declinato anche da un altro punto di vista: quello della “sicurezza”.
Parlando di sicurezza mi riferisco al fatto che in qualsiasi processo materiale qualcosa può sempre andare storto. Ogni malfunzionamento possibile in un dato contesto ha una certa probabilità di verificarsi all’interno di un intervallo di tempo predefinito. Al di là dei nostri desideri, poi, nel mondo reale la probabilità di “inci-dente” non può mai essere zero; non solo, ma con una pluralità di processi materiali in atto il numero com-plessivo di “incidenti” risulta proporzionale al numero di processi: il numero di incidenti d’auto, a parità di altre condizioni, è proporzionale alla densità di traffico.
Malfunzionamenti e incidenti di ogni sorta sono naturalmente sgraditi e creano un danno. In un sistema complesso in cui i flussi aumentano anche gli incidenti e relativi danni tendono ad aumentare. Se si vuole mantenere il danno al di sotto di una soglia convenzionale di accettabilità occorre cercare di compensare l’aumento dei flussi con una corrispondente riduzione della probabilità di un singolo inconveniente e il danno patito quando il guaio comunque si verifica. In concreto questo vuol dire cercare di migliorare continuamente tecnologie, salvaguardie, procedure di controllo e quant’altro. Tutto ciò significa destinare una quota della “ricchezza” (crescente) che si produce alla “sicurezza”. Il problema però è che l’efficacia degli investimenti in “sicurezza” comunque intesa diminuisce man mano che la domanda di “sicurezza” si fa più stringente. In altri termini, data una certa quantità di risorse impegnate, la sua efficacia nel produrre un miglioramento nel singolo processo decresce sempre più. In qualsiasi processo materiale, come ho già detto, la probabilità di guasto o mal funzionamento non può mai essere ridotta a zero: c’è un limite inferiore al rischio di inconve-nienti, che dipende da fattori fisici tipici del processo considerato. In termini molto concreti questo vuol dire che al minimo possibile rischio ci si avvicina asintoticamente e che per conseguire un certo miglioramento percentuale in termini di riduzione del rischio occorre spendere sempre di più e, anzi, il costo unitario diverge nel tendere all’asintoto.
In pratica se il sistema complessivo continua a crescere non può far altro, da un certo punto in poi, che di-ventare sempre più insicuro.
Costi e benefici
Tutto quanto detto fin qui può essere riletto in termini più formalmente economici parlando, anziché di gran-dezze fisiche, del loro corrispettivo interno al sistema socio-economico umano, ossia in termini di “costi e benefici”. Seguendo la narrazione convenzionale dell’economia diremmo che la crescita e diversificazione delle capacità produttive della produzione genera dei benefici crescenti o meglio un reddito lordo crescente.
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Una parte però di tale reddito verrà necessariamente destinata al governo del sistema, al suo mantenimento in condizioni di sicurezza, alla compensazione e recupero dei danni e così via.
Mettendo insieme la crescita più che quadratica del sistema complessivo, la crescita quadratica dei costi di funzionamento del sistema degli scambi, la resa decrescente degli investimenti in tecnologia e sicurezza e così via, arriviamo ad osservare che i costi di un sistema complesso in crescita necessariamente crescono più rapidamente del prodotto lordo ottenuto dalla crescita: se all’inizio i costi sono una percentuale modesta del prodotto lordo, col passare del tempo, i costi si impennano fino ad assorbire, in teoria, l’intera capacità pro-duttiva. Passando ai benefici, intesi come differenza tra prodotto lordo e costi obbligati, ci troviamo di fronte ad un andamento che dapprima e per un certo tempo è crescente, ma che da un certo punto in poi precipita bruscamente verso lo zero.
Come ho già detto questa è una struttura logica dei processi connessi con la crescita materiale. Se guardiamo il mondo reale, troviamo andamenti molto meno regolari e continui di quelli che ho descritto, proprio perché il sistema è complesso, molti processi sono discontinui e molti sviluppi dipendono da scelte episodiche ed occasionali che vengono fatte da singoli paesi o da singoli segmenti sociali. Quel che conta, però, è proprio che la logica sottostante è quella descritta e la tendenza che sottende gli alti e bassi del sistema economico è descritta dalle considerazioni presentate qui.
Le disuguaglianze
Un argomento molto importante e delicato che compare spessissimo nei discorsi relativi all’evoluzione dell’economia mondiale è quello delle disuguaglianze, generalmente espresse in termini di disuguaglianze di reddito. È risaputo che l’80% delle risorse del pianeta è a disposizione del 20% della popolazione mondiale e che un altro 20% dispone soltanto dell’1,4% del reddito globale. Per di più, quando osserviamo la situazione all’interno dei singoli paesi troviamo che, anche nelle nazioni più avanzate, la ricchezza è tutt’altro che uni-formemente distribuita. Questo stato di cose, poi, come in modo più o meno allarmato rilevano gli osserva-tori, continua a peggiorare ovunque fin dagli anni ’70 o primi anni ’80.
Al di là di vicende contingenti vorrei provare a capire se anche in questo caso vi sia qualche meccanismo che, date certe premesse, produce ineluttabilmente la disuguaglianza.
In effetti l’economia main stream ormai globalizzata parte da alcuni assiomi fondanti, cioè da presupposti dati apoditticamente per veri senza bisogno di dimostrazione. Il primo, muovendo dalla constatazione che l’essere umano è egoista, trasforma questa osservazione in una condizione immodificabile da scelte razionali degli stessi umani e in più assume che il miglior risultato per l’intera società lo si ottenga se ciascuno degli attori sulla scena opera cercando di massimizzare il risultato per sé stesso. Il secondo assioma è che il motore del progresso sia la competizione tra soggetti che operano per ricavare il massimo per sé stessi. Aggiungiamo l’assunzione, razionalmente oggi poco dichiarata ma ancora ben presente, che il mondo delle risorse sia pra-ticamente infinito.
Isolando la logica conseguente a questi assiomi possiamo provare a descrivere una situazione idealizzata. Cominciamo da un singolo soggetto, il quale converta risorse materiali recuperate intorno a sé, in qualcosa che ritiene utile e che chiameremo “ricchezza”. Il processo di conversione corrisponde nel tempo ad una continua crescita, se però includiamo il fatto che le risorse convertibili non sono infinite, ma hanno un tetto, vediamo che, in assenza di retroazioni negative di qualsiasi tipo, l’aumento progressivo della “ricchezza” non può essere esponenziale, ma tutt’al più, come nel caso già visto del flusso in un condotto, è di tipo logistico. È questo il meccanismo di crescita tipico degli alberi. Pensiamo ad esempio ad una sequoia gigante vecchia magari di più di 4000 anni: la pianta continua ancora oggi a crescere, ma la velocità di crescita è sempre minore. Il processo si interrompe solo se interviene qualche evento esterno traumatico: un fulmine, un in-cendio, una valanga, una invasione di parassiti, la mano dell’uomo, etc.
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Completiamo ora questo esempio introducendo un secondo soggetto, che, in competizione col primo, cerca di fare la stessa cosa che fa il primo partendo da una minore disponibilità iniziale di “ricchezza”. Semplificando all’estremo lo schema, vediamo che il secondo segue anch’esso un andamento logistico, solo che le risorse a disposizione non sono quelle complessivamente presenti nell’ambiente, ma quelle, diminuite da quanto è già stato utilizzato dal primo contendente per generare la propria “ricchezza”; aggiungiamo che il primo con-tendente, nel confrontarsi col secondo, è anche in grado di sottrargli un poco di quanto il secondo va produ-cendo. In formule l’evoluzione può essere presentata come una logistica in cui il “tetto” è quello globale diminuito della logistica seguita dal contendente più forte: 𝑊2=𝑊𝑚𝑎𝑥1−11+𝑞1𝑒−𝛽𝑡+𝑏1+𝑞2𝑒−𝛽𝑡+𝑏
La realtà è sicuramente molto più complicata del giochino che sto presentando qui. I contendenti sono molto più di due e i meccanismi di trasferimento dall’uno all’altro sono vari e complessi. Come però già più volte ho scritto, la logica è essenzialmente quella dell’esempio e se si considera come evolve la ricchezza a disposi-zione del contendente più debole si trova che mentre il più forte procede lungo il suo progressivo avvicina-mento al limite massimo, il più debole per un po’ migliora la sua condizione, pur vedendo crescere la diffe-renza dal più forte, ma, da un certo punto in poi, le risorse a sua disposizione cominciano a ridursi e ovvia-mente la disuguaglianza non può far altro che aumentare.
Formule a parte, questo esito è quello che in modo molto semplice ed efficace mostra il gioco del Monopoli, che fu inventato negli anni ’30 del ‘900 proprio per mettere in evidenza il peculiare modo di funzionare dell’economia di mercato. Nel Monopoli il campo di gioco è delimitato e le risorse sono finite: all’inizio della partita tutti i giocatori hanno più o meno le stesse risorse; alla fine il vincitore ha tutto e gli altri niente.
Conclusione
Quello che ho cercato fin qui di mostrare, se non di dimostrare, è che in un sistema complesso in crescita all’interno di un contesto materialmente finito certe conseguenze, come la progressiva ingovernabilità e il crollo della redditività della crescita oltreché l’esplodere delle disuguaglianze, sono necessari portati dei mec-canismi interni del sistema e delle sue premesse.
Intervenire sui problemi emergenti man mano che si presentano, come continuamente si cerca di fare, è una strategia poco efficace che equivale al tentativo di mitigare i sintomi della malattia piuttosto che tentare di guarirla. D’altra parte per guarire da una malattia bisogna innanzi tutto mettere a punto una diagnosi corretta e poi lavorare per rimuovere le cause.
Nel nostro caso quelli che bisogna cambiare sono i veri e propri presupposti del sistema economico corrente e globalizzato: l’ineludibilità e positività dell’egoismo e la competizione come motore del progresso. È evi-dente che questo tipo di cambiamento non si consegue per via burocratica o tecnologica. Da un lato non ci sono artifici formali efficaci, dall’altro non bisogna confondere la scienza con la magia. Le tecnologie aiutano moltissimo a contenere e mitigare i sintomi del male o a mettere in piedi un sistema di relazioni di produ-zione/scambio materiali in equilibrio coi vincoli fisici del sistema mondo; ma è proprio la scienza che individua in modo chiaro e ineludibile il confine tra ciò che si può e ciò che non si può fare: nessuna retorica può modificare o travalicare quel confine.
In termini materiali, l’unico sistema che risulti sostenibile (cioè in grado di durare a tempo indefinito all’in-terno dell’insieme dei vincoli materiali del nostro pianeta) non può che basarsi su processi circolari analoghi a quelli alla base dell’evoluzione adattativa che ha presieduto per milioni di anni al funzionamento della bio-sfera.
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Dal punto di vista delle relazioni all’interno della specie umana bisogna capire e prendere atto del fatto che l’approccio basato sull’egoismo individuale in continua competizione con gli altri non è sostenibile e passare invece ad un approccio collaborativo in cui si integrino capacità complementari. Questa non è una moralistica petizione di principio, in quanto si può verificare che solidarietà e collaborazione sono razionalmente più convenienti dell’”ognuno per sé e il mercato per tutti”.
È possibile una trasformazione di questo tipo? Se i termini della questione vengono spiegati e discussi con tutti e se l’essere umano è almeno in parte razionale, io credo di sì.