Afghanistan! Un paese la cui esistenza, quando ci andai nel 1977, era ignota ai più, ma che pochi mesi dopo irruppe sulle prime pagine dei giornali del mondo.  Molte cose sono accadute da allora e, senza alcuna pretesa di completezza, vorrei qui proporne un riassunto utilizzando come linea-guida un aspetto della vicenda quasi del tutto trascurato dai media: la demografia:

Crescita demografica in Afghanistan
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Fig 1 – La crescita della popolazione afghana ha subito una brusca flessione durante l’occupazione sovietica, per poi riprendere a crescere con andamento esponenziale, malgrado alcune fluttuazioni.

Tasso di crescita demografica
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Fig. 2. La variazione del tasso di crescita evidenzia le principali crisi belliche ed umanitarie della storia recente.  Il picco negativo del 2017 è probabilmente dovuto ad una lacuna nella documentazione od un’errore perché non si conosce una crisi di tale gravità limitata a quel solo anno.

 

 

 

 

 

 

 

 

Storia in pillole

Osservando le due figure, possiamo a colpo d’occhio distinguere 5 periodi:

1950-1978.  L’Afghanistan “pacifico e civile” che ci viene narrato, soprattutto mediante fotografie di ragazze vestite all’occidentale (come se il vestirsi come noi fosse sinonimo di civiltà, ma lasciamo perdere).  E’ l’Afghanistan che ho visto in prima persona e posso assicurare che quelle foto erano prodotte dalla propaganda governativa o, al più, venivano scattate nei quartieri alti di Kaboul dove il governo implementava una molto parziale e graduale occidentalizzazione. Il resto del paese era tutta un’altra storia. Il territorio era controllato da capi tribù tradizionali e tradizionalisti, legati al re da una vaga fedeltà feudale e da una concreta minaccia di rappresaglie.  I governatori provinciali avevano il controllo dei capoluoghi e delle strade principali; per il resto lasciavano che la gente facesse come aveva sempre fatto salvo che, se qualcuno creava incidenti, un reparto militare andava a cannoneggiare il villaggio o l’accampamento in cui si presumeva che abitassero i facinorosi.
Quanto al famigerato burka, era appannaggio solo dei Pashtun (una delle etnie principali), ma le donne erano merce di scambio di scarso valore anche presso le altre etnie (cosa che ovviamente non impediva che ci fossero uomini sinceramente innamorati delle proprie mogli).
Il colpo di stato del 1973 non aveva cambiato molto le cose, anche perché il “presidente” era un cugino del deposto re, nonché uno dei due candidati che il re stesso aveva proposto per la propria successione.
Sulla curva demografica, questo periodo è denotato da un incremento sostenuto e progressivamente accelerato, in linea con un lungo periodo percepito come tranquillo dalla maggioranza delle persone.

1978- 1989. Il colpo di stato filo-sovietico ruppe definitivamente questo precario equilibrio, scatenando un poco dappertutto rivolte di ispirazione tradizionalista e localista, assai più che monarchica o nazionalista. Circa un anno dopo, visto sconfitto il governo locale, l’Unione sovietica entrò direttamente in Afghanistan. L’occupazione fu rapidissima e senza grossi problemi, mentre fu impossibile controllare il territorio, malgrado l’uso di tecniche belliche apertamente genocide come minare i campi per impedire il raccolto e far morire di fame le popolazioni ribelli. Una riedizione in chiave imperialista dell’Olomodor, insomma. L’entità di queste perdite risulta evidente dalla vistosa flessione della popolazione durante questo il periodo.
Protagonisti di questa stagione furono gli allora famosi Mujaheddin, un termine assai generico che indicava qualunque opponente armato all’invasore. I gruppi principali erano milizie tribali capitanate da capi tradizionali, o da avventurieri di successo, ma non mancavano bande di semplici briganti.
Alcune di queste fazioni furono finanziate ed armate da potenze straniere, soprattutto americani ed arabi, in chiave anti-sovietica ed è in questo periodo che giunse in Afghanistan Osama Bin Laden, che, forte di appoggi internazionali e di un cospicuo patrimonio personale, organizzò uno dei gruppi più agguerriti, anche se marginali in questa fase.

1989-1992. La presenza dei russi era l’unico collante che univa, molto elasticamente, i principali capi locali. Partiti gli invasori, si acuirono le tensioni e i combattimenti tra fazioni finché, nel 1990, fu trovato un accordo e i Mujaheddin occuparono Kaboul. Vi insediarono un governo di coalizione il cui primo ministro fu Hekmatyar: uno dei principali comandanti militari e trafficanti di oppio, nonché il più accanito fra tanti islamisti ed anche il pupillo di Washington. Il neo primo-ministro non mantenne però i patti e mise sotto assedio per oltre 2 anni la capitale dello stato che avrebbe dovuto governare.   Il resto del paese rimase nel caos, ma ciò malgrado le condizioni di vita medie migliorarono nettamente, come dimostrato dalla repentina impennata del tasso di crescita demografica (iniziato già nell’ultima fase dell’occupazione sovietica, man mano che i russi perdevano terreno). Tuttavia si sa che il grande capitale ha bisogno di ordine per gestire i suoi affari e così gli americani organizzarono la prima offensiva dei Talebani.  Il grosso della truppa talebana fu arruolata tra i profughi afghani in Pakistan che, addestrati ed inquadrati da ufficiali pakistani, sovvenzionati con dollari americani e, inizialmente, alleati di alcuni importanti capi mujaheddin, conquistarono il paese. Nemmeno loro riuscirono però a prenderne effettivamente il controllo, se non nelle principali città e nei territori a maggioranza Pashtun, perché tale era la loro base etnica, tanto che imposero a tutti molte usanze tradizionali della loro etnia (come il burka).

1992- 2001. Nei tre anni di “governo” talebano, il controllo della maggior parte delle bande locali fu preso da Osama Bin Laden, quali per denaro e quali per convinzione. Saviamente, il nostro si mantenne però in ombra, ben sapendo che gli arabi non sono amati da nessuno in Afghanistan. Preferì quindi servirsi di una copertura: il leggendario Mullah Omar, che quasi nessuno ha mai visto e che forse non è neppure mai esistito. Comunque sia, in questi tre anni si assistette ad un brusco rallentamento demografico, indizio sicuro di una situazione di fame e violenza nettamente superiori a quelli degli anni precedenti. La propaganda occidentale ha dipinto i Taliban come degli orchi, evidentemente non del tutto a torto.

2001-2021. L’ex pupillo dei servizi segreti USA, Osama Bin Laden, organizzò il più spettacolare attentato terroristico della storia e tentò di lanciare un’offensiva che, nei suoi sogni, avrebbe probabilmente dovuto portare alla caduta della dinastia Saud ed al ripristino del Califfato. Le cose andarono però diversamente ed in pochi mesi gli americani invasero l’Afghanistan. Ancora una volta, la conquista si rivelò facile, ma il controllo del territorio impossibile.
La guerra quindi continuò fra alterne vicende, ma i dati demografici dimostrano che, sebbene durante l’occupazione USA ci siano stati massacri e crimini di guerra (soprattutto da parte dei Talebani, ma anche da parte degli USA e dei loro alleati), i metodi adottati dagli americani furono molto meno sanguinosi di quelli applicati dai russi, ancorché non più efficaci.
Dunque, le condizioni economiche e di sicurezza effettivamente migliorarono rispetto al periodo talebano, come dimostrato in particolare dalla ripresa della crescita demografica per l’ aumento dell’aspettativa di vita. Il calo tendenziale del tasso di crescita è invece da imputarsi al graduale calo della natalità, a sua volta dipendente da un insieme di fattori la cui analisi ci porterebbe troppo lontano.
Tuttavia, questo miglioramento non bastò a dare legittimità al governo di Kaboul che tutti sapevano essere un fantoccio USA, mentre la corruzione, endemica nel paese, esplose proprio grazie al fiume di denaro che gli americani ed i loro alleati riversarono sul paese e che, perlopiù, finì nelle casse di personaggi a dir poco equivoci.  Talvolta doppiogiochisti, tanto che una parte consistente delle armi e dei soldi destinati all’esercito afghano andarono a rinforzare le fila dei nuovi talebani.  Ma, forse, l’errore maggiore fu lo stesso che era costato la sconfitta ai russi: tentare di imporre uno “stato nazione” in un paese del tutto alieno da una simile logica.  Come del tutto superficiali e spesso solo di facciata rimasero buona parte delle riforme, in particolare quelle a favore delle donne di cui tutti sono pronti a farsi paladini in casa d’altri assai più che in casa propria.
Alla fine anche gli USA ne hanno avuto abbastanza ed il presidente Obama avviò delle trattative con i principali capi della guerriglia. Trattative concluse nel febbraio 2020 con la promessa del presidente Trump di ritirare le truppe senza niente in cambio e senza neppure consultare il governo afghano ufficialmente in carica. Uno smacco che in occidente pochi hanno notato, ma che in Afghanistan notarono tutti, tanto che è da allora che cominciò il collasso dell’esercito governativo afghano, conclusosi questo agosto con l’indecorosa fuga degli americani.

2021-X?  Cosa accadrà d’ora in poi non si può certo sapere e dunque mi limiterò a enumerare alcuni punti che, ancorché incerti, sono quanto meno molto probabili.
Il primo punto è che molto difficilmente questa sarà la fine della guerra. Le uniche due cose che accomunano l’eterogenea accozzaglia di tribù e bande afghane sono una ferrigna fede islamica e l’odio per gli occupanti stranieri, siano questi russi, americani, pakistani, arabi o chiunque altro.  Una volta rimosso il nemico comune, è quindi molto probabile che le rivalità interne riscoppieranno, come è sempre accaduto finora.  Del resto, una delle dinamiche che animano questa guerra senza fine è la lotta per il predominio fra Pashtun e Tajiki (le due etnie principali, rispettivamente 42 e 27%). Come si strutturerà il nuovo potere, con quali mezzi ed a che prezzo di sangue resta quindi tutto da vedere, così come resta da vedere quanto durerà il volto sorridente ed accomodante dei capi taliban una volta che le telecamere internazionali saranno rivolte verso altri soggetti e l’Afghanistan sarà tornato in quell’oblio da cui solo le fasi più acute di una tragedia senza fine riescono a trarlo.
Secondo punto rilevante è come evolveranno i rapporti fra i principali gruppi afghani ed i governi a vario titolo interessati alla vicenda. Per cominciare, sicuramente, i capi principali godono del sostegno delle petrocrazie arabe e del Pakistan, il che li pone potenzialmente in rotta di collisione con l’Iran che, fra l’altro, ha di che inquietarsi per il destino degli Azara (minoranza shiita in Afghanistan). Ma il comune odio per gli USA, al contrario, li avvicina.
I rapporti con il Pakistan sono però complicati e non è detto che non cambino anche rapidamente. D’acchito, i pakistani ed i loro patroni cinesi cercheranno sicuramente di comprarsi almeno alcuni leader in funzione anti-americana e anti-indiana, ma non dimentichiamoci che le vicende afghane hanno già sottratto al controllo di Islamabad una bella fetta di territorio che, oramai da decenni, si è reso di fatto autonomo proprio grazie alla massiccia immigrazione di profughi afghani. Non è quindi detto che le vicende afghane non contribuiscano ad un’ulteriore disgregazione del vicino, nel qual caso i cinesi non starebbero a guardare. Per non parlare della possibilità che la vittoria talebana possa col tempo innescare una guerriglia Uigura; una possibilità che Pechino di sicuro teme e, se dovesse accadere qualcosa del genere, molto probabilmente sarebbe la volta della Cina di invadere l’Afghanistan.
Tajikistan, Uzbekistan e Turkmenistan per ora hanno chiuso le frontiere e cercano di non essere coinvolti, mentre la Turchia non ha perso l’occasione di proporsi come “patrono” del nuovo governo islamista, pur senza riconoscerlo ufficialmente (almeno finora).

Afghanistan struttura della popolazione
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fig.3 Struttura esplosiva della popolazione, con le due “tacche” dovute all’invasione sovietica (ormai quasi cancellata dalla mortalità) e al governo talebano scorso.

Alcune cose che non si dicono

L’ultima informazione che ci da la demografia afghana è che questa guerra conoscerà forse una pausa, ma non è finita e non finirà presto.
Quaranta anni or sono, nell’Afghanistan che visitai, la stragrande maggioranza della popolazione viveva in estrema povertà, su di un territorio che i loro antenati avevano letteralmente già roso fino al sasso.  Suoli fertili ed acqua erano rari, mentre la diffusione capillare dei fucili aveva cancellato il grosso della fauna selvatica.  Tutto era un’icona della sovrappopolazione nei suoi aspetti più classici, ma perlomeno la maggioranza della popolazione riusciva a vivere di quello che produceva il suo paese.
Da allora, malgrado la guerra, la popolazione è quadruplicata e circa la metà delle persone ha meno di 15 anni (vale a dire che è nato durante l’occupazione americana), mentre tutte le condizioni ambientali sono peggiorate (clima, suoli, foreste, acqua, ecc.). Non è strano perché il paese ha usufruito di un ininterrotto flusso di energia e materia da parte di governi e organizzazioni (comprese quelle apertamente criminali) che avevano interesse a controllarlo. Un flusso che finora ha consentito a così tanta gente di sopravvivere (perlopiù miseramente), ma che dipende da come evolveranno dinamiche economiche e politiche anche molto lontane da loro e, in particolare, da come potenze straniere, organizzazioni commerciali e bande criminali troveranno utile interfacciarsi con i leader locali.  Una situazione di estremo pericolo di cui possiamo solo sperare che i nuovi capi siano ben coscienti.

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