di Jacopo Simonetta
“Le coordinate ideologiche e la logica culturale della nostra epoca si possono riassumere nella seguente constatazione: è più facile immaginare la fine del mondo che la fine del capitalismo” Mark Fisher
Il capitalismo è già stato dato per morto varie volte, eppure oggi più che mai domina l’umanità. Finora ha dimostrato un grado di resilienza e di adattabilità molto elevati, tanto che da ogni situazione che poteva essergli fatale, il capitalismo è uscito trasformato, ma anche più forte che mai, come l’Idra di Lerna. E’ però indubbio che, attualmente, fronteggia una crisi molto profonda su cui fiumi di inchiostro sono stati versati dagli analisti più brillanti, così come dai complottari più fantasiosi.
Qui vorrei proporre un punto di vista un po’ diverso dal solito su alcuni dei punti più discussi. Il dati macroeconomici sono interamente ricavati dalla monumentale opera di Thomas Piketty “Il Capitale nel XXI secolo”, discussi però alla luce della fisica delle strutture dissipative che lo storico francese non prende in considerazione.
Data la complessità dell’argomento, gli dedicherò 10 successivi articoli che spero di poter pubblicare con scadenza quasi regolare. Salvo ripensamenti, gli argomenti saranno questi:
1 – Le tre regole auree del capitalismo.
2 – Quanto capitale c’è nel capitalismo?
3 – Disparità della ricchezza fra realtà e fantasia.
4 – Quanto rende il capitale?
5 – Paesi emergenti e paesi sommergenti.
6 – Distruggere il debito.
7 – Lo studio del capitalismo fra scienza e politica
8 – Capitalismo e cannibalismo.
9 – Capitale e politica.
10 – Che fine farà il capitalismo?
Premessa
Gli unici due paesi per cui esistono statistiche economiche complete dalla nascita del capitalismo fino ad oggi sono il Regno Unito e la Francia che ne furono la culla. Per il XX secolo abbiamo dati consistenti anche per gli Stati Uniti, mentre per il resto del mondo i dati disponibili sono frammentari e/o inaffidabili. Tuttavia, considerando le strette affinità fra i sistemi politici e economici nel “mondo occidentale”, possiamo farci un’idea abbastanza precisa di cosa sia accaduto nel mondo in cui il capitalismo è nato e cresciuto, ma che ora rappresentano una periferia “fané” di un mondo che ha il suo centro propulsore in Cina e, secondariamente, in altri grandi paesi asiatici come India e Malesia. Questo pone dei limiti molto consistenti alla possibilità di estrapolare delle valutazioni generali, ma già conoscere meglio il capitalismo nostrano può essere interessante.
Prima di addentrarci nel discorso, è bene premettere subito una cosa: gli economisti ancora oggi tendono perlopiù a considerare che i fattori di produzione sono due: capitale e lavoro. Ciò aveva senso ai tempi di Ricardo ed ancora a quelli di Marx poiché allora non c’erano limiti alla possibilità di scaricare l’entropia derivante dai processi industriali e l’unico limite all’estrazione di risorse era il capitale disponibile per finanziare l’impresa. Il limite tecnologico era secondario in quanto la disponibilità di risorse di alta qualità, con le tecnologie di allora, era più che sufficiente ad alimentare la crescita.
Oggi, dobbiamo considerare che gli equilibri interni del sistema Terra (biosfera, atmosfera, idrosfera e litosfera) sono più importanti del capitale e del lavoro in quanto è dall’alterazione dei cicli bio-geo-chimici e dalla perdita di biodiversità che provengono i principali fattori limitanti allo sviluppo dell’economia. Subito dopo in scala di importanza, oggi viene la produttività dell’energia in quanto qualunque lavoro viene eseguito usando una notevole “leva energetica”. Anzi, contrariamente a quanto sostenuto da molti economisti, il vertiginoso aumento di produttività che ha accompagnato lo sviluppo del capitalismo dipende in primis dallo sfruttamento dell’energia fossile e solo secondariamente dall’incremento dell’istruzione pubblica (anche se fra questi due fattori vi sono delle retroazioni positive). Negli ultimi post di questa serie ci torneremo.
Per ora ci atterremo a valutazioni di tipo più tradizionale, ma chi legge è pregato di tener sempre presente tre cose:
1 – Il denaro non è più un valore in sé (come in parte era ai tempi di Marx), bensì un’informazione sul valore degli “asset” e su chi a diritto a servirsene.
2 – L’estrazione di valore si fa sempre meno dal lavoro umano e sempre di più dalle risorse (in primis dall’energia). La produttività dell’energia è quindi diventato un fattore cruciale, solitamente ignorato dagli economisti.
3 – Qualunque sia il tipo di economia e di organizzazione sociale che adottiamo, un aumento della produzione comporta un aumento di entropia che va a danno di qualcuno o qualcosa (altri popoli e nazioni, altre generazioni, altre classi sociali, eccetera); in ultima istanza a danno della biosfera.
Infine un’annotazione tecnica: quando nei post seguenti si parlerà di capitale si intenderà la somma del valore monetario di tutti gli “asset”, al netto dei debiti, normalizzato all’anno 2010. Ecco perché, di fatto, possiamo considerare il capitale pubblico odierno pari a zero o quasi: gli stati detengono tuttora consistenti patrimoni, il cui valore è però all’incirca pari a quello del debito pubblico. Viceversa, vedremo che il capitale privato è in buona salute, anche al netto del consistente debito di cittadini ed imprese.
Le tre regole auree del capitalismo.
“Capitalismo” è una parola che conta più definizioni che lettere. Praticamente ogni autore la ha usata con un’accezione almeno un poco diversa, spesso senza neppure giovarsi di definirla. A scanso di malintesi, qui il termine indica un sistema economico in cui:
– La maggior parte dei fattori di produzione appartiene a privati cittadini o ad organizzazioni di diritto privato (la più evidente, ma anche la meno importante delle caratteristiche, tanto è vero che il capitalismo cinese è in gran parte di stato);
– il diritto di proprietà concede piena disponibilità del bene (al netto di vincoli particolari, solitamente contestati);
– il sistema è strutturato su di una retroazione positiva fra accumulo del capitale ed aumento della produzione (principale fra le caratteristiche).
Non esiste quindi un solo tipo di capitalismo. Già il capitalismo americano e quello europeo sono diversi; quello russo ne è assai distante; quello cinese ancor di più, mentre il capitalismo europeo “belle époque” era completamente diverso da quello attuale. Tuttavia tutte le forme di capitalismo sono accomunate da una struttura che richiede un tasso di crescita minimo al di sotto del quale in sistema va in crisi. In pratica, il capitalismo è caratterizzato dal fatto che o cresce, o collassa, non si può stabilizzare. O, perlomeno, finora non lo ha mai fatto. Ci sono ragioni fisiche molto profonde per questo, ma non ne parleremo qui.
Le tre leggi fondamentali.
Rimanendo nell’ambito del capitalismo occidentale, che è l’unica variante relativamente ben studiata sotto il profilo scientifico, Piketty ne definisce le tre leggi fondamentali come segue.
Prima legge: a = r x B
Dove “a” rappresenta la parte del reddito nazionale che proviene dall’investimento del capitale; “r” è il rendimento medio del capitale; “B” è il rapporto capitale /reddito.
Significa che l’importanza del capitale in un’economia aumenta con il crescere della quantità di capitale e del suo rendimento, ma diminuisce con il crescere del reddito nazionale. In pratica, in un’economia in cui i redditi da lavoro sono molto elevati l’importanza del capitale è ridotta, mentre quando i redditi da lavoro sono modesti, l’importanza del capitale cresce. Per esempio, se B è uguale 6 (cioè il valore del capitale è pari a 6 volte il reddito nazionale) ed r è pari 0,05 (cioè un rendimento del 5%), la parte dal reddito nazionale derivante dal capitale è il 30%.
Un esempio che non è scelto a caso, in quanto questi sono all’incirca i valori medi che si riscontrano oggi nei paesi “avanzati”. In particolare, nel 2010 si stimava che nei principali paesi “ricchi” il reddito nazionale pro-capite medio fosse di circa 30.000 €/anno lordi ed il patrimonio privato fosse di circa 180.000 € a cranio. Valori medi, ovviamente, che non hanno nulla a che fare con le cifre davvero a disposizione della maggioranza delle persone.
Seconda legge: B = s/g
Dove “B” è il rapporto capitale /reddito; “s” il tasso di risparmio; “g” il tasso di crescita del PIL.
Significa che il rapporto fra capitale e reddito aumenta in modo direttamente proporzionale al tasso di risparmio ed inversamente proporzionale alla crescita del PIL. Vale a dire che B cresce quando si risparmia molto in un contesto di debole crescita economica. Viceversa, una vivace crescita economica tende a ridurre l’importanza relativa dell’accumulo di capitale. Attenzione: nulla dimostra che funzioni la ricetta inversa, cioè che si possa far crescere il PIL erodendo il capitale ed il risparmio, anche se qualcuno ci spera.
Terza legge: r > g
Dove “r” è il rendimento medio del capitale; “g” il tasso di crescita del PIL
Significa che il rendimento medio del capitale è almeno di un poco superiore al tasso di crescita del PIL. Vedremo poi (v. post 4) che dietro il valore medio si celano differenze enormi nel rendimento del capitale a seconda della sua natura e della sua consistenza. Tuttavia, l’analisi statistica di praticamente tutti le fonti esistenti su oltre due secoli di storia del capitalismo ha convinto Piketty che questa sia la principale forza che tende a divaricare le distanze fra una minoranza sempre più esigua di persone sempre più ricche ed una maggioranza sempre più vasta di persone sempre più povere.
Conclusioni 1
Attenzione che nessuna di queste è un’ineluttabile legge fisica. Si tratta piuttosto di tendenze di lungo periodo derivanti dalla particolare struttura del sistema capitalistico. Teoricamente almeno, possono quindi essere modificate da eventi storici o da leggi che alterino la struttura del sistema; così come possono essere mitigate od esacerbate con interventi di natura legislativa, fiscale, ecc. Il capitalismo ha radici molto profonde nella fisica dei sistemi, ma rimane una scelta, non un destino ineluttabile, tanto è vero che si sono state migliaia di civiltà strutturate in altro modo.
Seguo con scettico interesse 😉
Mi piace lo “scettico interesse”, di solito è foriero di commenti interessanti. Vedremo.
https://sbilanciamoci.info/europa-e-lora-della-post-crescita/
Si può fare.
Scusa il ritardo nella risposta. Che la UE cominci a parlarne è certametne un fatto molto positivo, ma dal dire al fare c’è di mezzo molto mare. Già a questo livello, direi che si trascurano elementi vitali come la salvaguardia della Biosfera, “conditio sine qua non” per qualunque altra cosa.
Comunque, qualcosa si muove e già questa è una buona notizia. “Se son rose fioriranno”, dicevano le nonne.
“In pratica, il capitalismo è caratterizzato dal fatto che o cresce, o collassa, non si può stabilizzare.”
Un’ipotesi:
Ma siamo sicuri che queste metafore, forse un po’ troppo ingenuamente meccanicistiche, funzionino ancora?
La “crescita” non e’ una caratteristica del capitalismo, lo e’ di qualsiasi societa’ umana, animale e anzi della vita stessa, di cui il capitalismo nelle societa’ umane odierne e’ solo un’espressione fra le tante, e il motivo per cui ha dato all’uomo come specie tanto successo.
Non e’ il capitalismo il problema, e’ la potenza che sprigiona la societa’ umana organizzata: che sia organizzata in economie liberali “trial and error” oppure in economie centralmente e gerarchicamente pianificate, non cambia nulla (se non che le “trial and error” sembrano essere piu’ creative, e quindi subito copiate dalle altre nei risultati se non nei metodi).
A fare la differenza e’ che siano messi insieme in modo organizzato i mezzi di 10 persone oppure di 100 milioni, con continuo accumulo di capitale-sapere fra le generazioni. I mezzi piu’ potenti, quelli da cui discende tutto il resto, sono quelli culturali, fra i quali l’invenzione del denaro inteso come contratto scritto su un pezzo di carta, che caratterizza la fine del medioevo e l’inizio del capitalismo moderno, che ricordiamo nascere con la messa in comune delle obbligazioni-denaro di piu’ persone per l’inseguimento di un piu’ grande obiettivo comune (che lo chiamiamo profitto o no e’ del tutto secondario). Il denaro-contratto ha reso possibile la collaborazione di milioni o miliardi di individui su una scala mai vista prima (fra cui gli investimenti di Stato cui si agogna tanto, switch al fotovoltaico-elettrico compreso), da cui l’attuale successo (forse anche troppo) della nostra specie, fino all’ossessione tutta attuale e di tutti per l’economia finanziaria (che e’ la stessa che, insisto, ha permesso gli incentivi ecologici).
Nessuna specie e’ “mai contenta”, tutte cercano di “crescere” sempre: l’uomo non mi pare che faccia in alcun modo eccezione. Nel caso degli uomini, la stabilita’ non li rende felici, anzi: cio’ che possiedono gia’ non lo considerano mai ricchezza, lo considerano minimo vitale a loro dovuto, lo considerano noia e tedio.
“La “crescita” non e’ una caratteristica del capitalismo, lo e’ di qualsiasi societa’ umana, animale e anzi della vita stessa, di cui il capitalismo nelle societa’ umane odierne e’ solo un’espressione fra le tante, e il motivo per cui ha dato all’uomo come specie tanto successo.”
Stai commettendo il classico errore di considerare ‘storia umana’ solo gli ultimi 200 anni di storia industriale. Prima dell’industrializzazione non c’erano società il cui scopo era crescere per crescere.
“Prima dell’industrializzazione non c’erano società il cui scopo era crescere per crescere”
Se e’ per questo nemmeno la nostra ha tale unico scopo esplicito, nessuno e’ cosi’ stupido da prima rincorrere e poi ammettere esplicitamente una tale sciocchezza, siamo noi su questi lidi che glielo attribuiamo nella nostra critica.
Ma a dire il vero io oso di piu’: sostengo che, se e’ per questo, ogni forma di vita ha lo scopo di crescere per crescere, che se non lo fa e’ solo quando non ci riesce, ed e’ stupido prendersela col solo capitalismo, come se recitando questa formula magica si allontanasse ogni spirito maligno.
Nel nostro caso, umano, considerato che nella lotta spietata _intraspecifica_ siamo arrivati ad un punto tale da stracciare ogni forma di concorrenza da parte delle altre forme di vita (microrganismi, per ora, in parte esclusi), considerato che siamo il vertice della piramide alimentare, e che pare possediamo una cosa misteriosa, forse immaginaria, che chiamiamo coscienza, possiamo renderci conto che siamo fatti cosi’. La prima fase del darwinismo tradotto in politica sappiamo bene come e’ finita. La seconda, temo che finira’ allo stesso modo, in un loop di recriminazioni reciproche, “tu inquini, ti riproduci oltremodo, io pago, quindi ti punisco disincentivandoti (sic…)”: se non l’avete notato, vorrei attirare l’attenzione, di nuovo, sul fatto che una gran parte dei commenti sui siti ecologisti e’ di un tipo di “sinistra” molto piu’ simile a quella “nazional-fascista” che a quella libertaria. Il problema della sinistra italiana e’ che si e’ costruita un’immagine fantasiosa e di comodo del presunto nemico fascista tale da non poterlo in nessun modo riconoscere quando, _a mo’ di specchio_, gli si para davanti. Poi ognuno ha i suoi gusti. Ma comunque, col procedere degli eventi, qualcuno magari anche se troppo tardi si svegliera’.
“Se e’ per questo nemmeno la nostra ha tale unico scopo esplicito, nessuno e’ cosi’ stupido da prima rincorrere e poi ammettere esplicitamente una tale sciocchezza, siamo noi su questi lidi che glielo attribuiamo nella nostra critica.”
Allora leggiti un qualsiasi manuale di economia neoclassica.
“Allora leggiti un qualsiasi manuale di economia neoclassica”
Veramente il marginalismo* neoclassico e’, al contrario, proprio la teoria economica che ha introdotto il concetto che il valore di un bene non dipende dal lavoro (=energia) che c’e’ dentro, bensi’ dalla desiderabilita’ del bene, che a sua volta dipende da mille fattori umani, quindi anche imprevedibili e “pazzi”. In certi ambienti non se n’e’ accorto quasi nessuno, sebbene sia passato un secolo e mezzo, perche’ tale teoria ha banalmente dimostrato che la teoria classica e marxista del valore e’, dal punto di vista “scientifico”, come essa stessa pretendeva di essere, basata su presupposti arbitrari e percio’ in generale falsa.
Quindi crescita anzi “progresso” si’, e questo abbiamo gia’ detto che e’ inerente a qualsiasi sistema vivente dentro alla sua metafora, ma di cosa? Non necessariamente di materia ed energia, ma della sua organizzazione.
Infatti, noi umani oggi come oggi ci stiamo spostando da una concezione per cui cio’ che vale e’ “quanto ferro c’e’ dentro”, ad un’altra per cui il valore e’ la “proprieta’ intellettuale”, il modo di essere piu’ che la quantita’ materiale del possesso. Non e’ per niente un miglioramento, man mano che il valore traghettera’ su questi nuovi “oggetti sociali”, ne consegue che si andra’ in galera per aver usato una frase di cui detiene la “proprieta’ intellettuale” qualcun altro, e’ gia’ cosi’, fu Veltroni ad esempio ad inasprire il reato penale di copia di software, punibile con 6 anni di galera, come e piu’ dell’omicidio colposo (salvo quello “stradale”, introdotto dopo: di questi tempi va cosi’, c’e’ la rincorsa alla galera…).
Temo che, mentre la percezione del mondo sta cambiando radicalmente a causa del suo nuovissimo “sistema nervoso” che permette la connessione di tutto e di tutti, con relativa comunicazione e controllo totale, stare ancora abbarbicati a concetti di valore moribondi e vetero ottocenteschi sui quali costruire una intera teoria del mondo (essendo anche questo afflato tipicamente ottocentesco) sia quantomeno inattuale.
Mi sembra ad esempio che ai ragazzi di oggi importi zero avere l’automobile o il motorino, che per una o due generazioni fa rappresentava invece un vero e proprio feticcio, preferiscono restare incollati davanti ad una realta’ virtuale, preconfezionata o costruita dalla loro comunita’ (da cui la predilezione per le fake-news, che nel loro ambito sociale sono la vera realta’).
* Marginalismo = il troppo stroppia
Dici il vero: qualunque struttura dissipativa tende a crescere troppo e per questo alla fine muore. Una cosa che intuitivamente molti nostri antenati avevano capito e per questo avevano costruito sistemi sociali, culturtali ed economici tesi a frenare la crescita. Il capitalismo deve il suo straordinario successo proprio al fatto che si è dato regole che esasperano anziché frenare la tendenza innata alla crescita.
Tutte le civiltà del passato sono comunque morte come morirà la nostra, ma rimane questa singolarità ed il problema, per noi, se possiamo e se dobbiamo cercare di rallentare il meccanismo, oppure continuare ad accelerarlo.
winston diaz, ciò di cui parli è la dematerializzazione dell’economia di cui si parla da molto tempo. Negli anni ’90 ci credevo fermamente anche io, ma ho cambiato idea. Di fatto negli smartphone attuali c’è meno ferro, ma molta più energia che nel motorino che sognavo da ragazzo. L’intero circo internet con annessi e connessi si regge sulla più grande e complessa macchina mai esistita, i cui consumi sono oramai non molto diversi da quelli dell’industria mineraria che, in gran parte lavora proprio per estendere a mantenere quella macchina.