“Le tempeste sogliono farsi annunciare da lieve vento” diceva il vescovo di Aguillon, il cattivo di un celebre film fantasy. Ed è esattamente quello che sta accadendo con la guerra in Ucraina: Cominciata in sordina nel 2014 è diventata una bomba destinata, con ogni probabilità, a disintegrare l’ordine geopolitico emerso dalla Guerra Fredda e con esso l’intera economia globale. Non possiamo immaginare le conseguenze, ma abbiamo motivo di temerle, noi come tutti gli 8 miliardi e passa di umani su questo pianeta perché questa volta sarà molto più duro che nel 1990 e ce ne sarà per tutti. Purtroppo tutti i peggiori pronostici si sono rivelati sostanzialmente corretti: Putin si è messo in trappola e questa non è una buona notizia per nessuno, neppure per i suoi nemici. Ma andiamo con ordine, sia pure per molto sommi capi e senza alcuna pretesa di completezza.
Prodromi
Nella storia non esiste un vero punto di partenza perché ogni momento è figlio di tutto ciò che è accaduto fino ad allora, dunque partiremo arbitrariamente dalla rivolta di Maidan.
La revoca dell’annunciato accordo commerciale con l’UE fu la scintilla che la fece deflagrare, ma inizialmente fu soprattutto una rivolta contro il livello parossistico di incapacità e corruzione raggiunto dal governo ucraino. La dura repressione (oltre 100 morti e mille feriti) non soffocò la rivolta, ma dall’amalgama del malcontento fece emergere come protagonisti alcuni gruppi di ultra-nazionalisti che ebbero quindi ampio potere nel governo provvisorio fra il 22 febbraio ed il 25 maggio 2014. Alle successive elezioni questi presero l’1% circa, ma intanto fu proprio quel governo che annunciò pubblicamente lo sfratto della base russa di Sebastopoli (in realtà un’intera costellazione di basi fra le più importanti del mondo intero).
Per tutta risposta, la Russia occupò l’intera Crimea quasi senza colpo ferire, mentre gli altri stati (occidentali e non) si limitarono ad un minimo sindacale di proteste formali. Sul piano giuridico internazionale l’operazione non aveva infatti nessuna neppur parziale giustificazione, ma sul piano della “realpolitik” tutti sapevano benissimo che la Russia non poteva perdere Sebastopoli e che qualunque governo, nella medesima situazione, avrebbe fatto altrettanto. Ma Putin, in calo di consensi, non si accontentò di rieditare il “modello Kossovo” come aveva già fatto in Georgia nel 2008; preferì invece annettere formalmente la Crimea, in aperto dispregio di ogni norma internazionale, tanto che nessun governo del mondo, neppure i più stretti satelliti della Russia, la riconobbe. Ma mentre USA & friends varavano qualche sanzione economica, ben attenti a non danneggiare i buoni affari che Putin assicurava, i nazionalisti russi del Donbass esultarono ed insorsero, proclamando a loro volta l’indipendenza. Nei mesi successivi, Kiev riprese il controllo della maggior parte del territorio senza grossi problemi e senza che Mosca se ne immischiasse gran che, ma quando i combattimenti si fecero cruenti (complessivamente circa 10.000 morti militari e 3.500 civili) e giunsero nelle periferie di Donetsk e Lugansk, la Russia dapprima inviò massicci aiuti militari e poi, visto che non bastava, intervenne direttamente con l’esercito, rovesciando il fronte con due rapide e limitate offensive.
In seguito ci furono 8 anni di sparatorie fra pattuglie e cecchini, intercalate da qualche cannonata; nel frattempo i capi di stato facevano finta di trattare la pace, mentre si preparavano per il secondo atto, anche se in modo molto diverso.
L’Ucraina, con il sostegno militare USA ed quello economico UE, si preparava a respingere una nuova offensiva nel Donbass. Putin preparava invece un attacco generale che avrebbe dovuto riportare l’Impero Russo nel novero delle grandi potenze, al pari di Cina e USA; ben al di sopra di ogni spocchioso paesetto europeo. Con invidiabile acume legò dunque l’UE con una serie di contratti energetici molto vantaggiosi, specialmente con la Germania, dove aveva l’incondizionato appoggio del cancelliere Merkel, e con l’Italia, dove godeva di una diffusa popolarità. In Russia, rispolverando il mito imperiale, aveva saputo blandire tanto i nostalgici dello zar quanto quelli dell’URSS; in Europa finanziò invece organizzazioni di estrema destra, pur compiacendo sia i pochi nostalgici di “baffone”, quanto la numerosa ed eterogenea congerie di quanti vedono nello “Zio Sam” il peggio del peggio (“a prescindere”, come diceva un mio amico). Riuscì perfino a “conquistare le menti ed il cuore” di una buona percentuale di americani, affascinati dal suo personaggio spregiudicato e cinico, ma contemporaneamente devoto sostenitore di quel guazzabuglio che certuni chiamano “tradizione”.
Per far ciò, ebbe cura non solo di diffondere ampiamente in USA ed UE siti ed organizzazioni di propaganda, ma anche di infiltrarne i media “ufficiali”, primo fra tutti “Fox News”, ma non solo. Nel mentre, in Russia chiudeva ogni organizzazione politica e di volontariato in qualche modo legata all’ Occidente ed eliminava ogni significativo oppositore mandandolo in carcere o direttamente al cimitero.
Nel frattempo, rilanciava il riarmo, proprio mentre gli europei (con la molto parziale eccezione di UK e Francia) continuavano a smantellare sistematicamente le proprie forze armate, utilizzando i pur ingenti fondi destinati alla difesa per finanziare ognuno la propria industria nazionale con una miriade di progetti tanto costosi quanto scarsamente operativi. Gli USA mantenevano invece la più potente forza armata della storia, ma anche loro più in un’ottica di mantenimento di una varietà di guerre e guerrette locali, oltre che di dare la caccia ai “terroristi” con sistemi costosissimi e dimostratamente inefficaci. Prevedevano e prevedono anche l’eventualità di uno scontro con la Cina che, però, si presume sarebbe focalizzato su tecnologie avveniristiche, piuttosto che su fanterie, cannoni e panzer come invece sta accadendo in Ucraina. Infine, per buona misura, Putin si era anche accordato con qualche generale e qualche oligarca ucraino.
Così, quando il contesto generale ed il suo livello di preparazione gli sono parsi idonei, Putin ha lanciato una nuova offensiva in Ucraina, stavolta con lo scopo dichiarato di occuparla integralmente e farne un satellite al pari della Bielorussia con metodi dichiaratamente simili a quelli usati dai nazisti in Polonia nel 1940. Ma aveva sbagliato le sue valutazioni e gli ucraini hanno opposto una fiera resistenza, mentre le sue truppe si sono rivelate assai meno combattive ed efficaci di quanto tutti si aspettassero, per non parlare della logistica che si è dimostrata del tutto inadeguata alla bisogna.
Anche la reazione occidentale ed in particolare europea, per quanto graduale e in certi casi reticente, si è nel complesso dimostrata assai più rapida, compatta e forte di quanto ci si potesse aspettare, visti i precedenti. Forse, proprio le esagerate minacce, profferite nei discorsi ufficiali, hanno spaventato le cancellerie occidentali talmente tanto da indurle ad accantonare temporaneamente la loro tradizionale rissosità per far fronte quasi comune.
Ma anche da parte nostra non mancarono giganteschi errori di valutazione. Inizialmente USA e satelliti si illusero infatti di poter schiacciare la Russia con sanzioni economiche e, soprattutto, finanziarie. La Russia accusò il colpo, ma non collassò. Così come l’esercito ucraino aveva inizialmente perso quasi un terzo del territorio nazionale in pochi giorni, ma senza collassare. Ne seguì una graduale escalation dei combattimenti, sempre più intensi, sanguinosi e costosi, mentre gli occidentali rifornivano l’alleato orientale, ma sempre poco e tardi rispetto al bisogno. In parte ciò è dipeso, penso, dalle condizioni pietose in cui si trovavano e tuttora si trovano i nostri arsenali, ma forse non solo. L’impressione è che gli aiuti siano stati centellinati più nell’ottica di evitare una sconfitta, piuttosto che di ottenere una vittoria. Una posizione ben comprensibile, visto che, da noi, la maggioranza delle persone che contano erano economicamente e spesso anche personalmente legate agli oligarchi russi e quindi speravano (qualcuno ancora spera) di poter congelare un fronte per riprendere a fare affari come prima o quasi. Ma non ha funzionato.
Adesso
In quasi un anno di guerra la Russia ha perduto oltre metà del territorio che aveva conquistato all’inizio, ma tuttora occupa circa il 20% del territorio ucraino e mantiene una massiccia superiorità numerica, soprattutto per quanto riguarda le artiglierie e l’aviazione, oltre ad essere in grado di attaccare qualunque parte del territorio nemico, anche se in modo di solito scarsamente efficace. Allo stato attuale delle cose, è quindi perlomeno azzardato pronosticare una riconquista integrale dell’Ucraina, tuttavia, una sconfitta irreparabile Putin la ha comunque subita perché l’intero suo piano strategico ha sortito effetti contrari a quelli sperati: la NATO si è estesa e rafforzata, i paesi europei si sono decisi a resuscitare almeno parzialmente le proprie forze armate ed i satelliti della Russia la stanno piantando in asso. Dopo le dure sconfitte autunnali, la strategia russa si è focalizzata su tre linee d’azione. Trincerarsi a nord ed a sud, proseguire l’offensiva al centro e demolire con missili e droni la rete elettrica e telematica ucraina, oltre a qualche quartiere residenziale, ospedali ed altre infrastrutture civili. Ne conseguono combattimenti feroci, ma senza grandi risultati per nessuno dei due contendenti. Anche se alla fine i russi dovessero riuscire a conquistare le rovine di Soledar e di Bakmut, non cambierebbe gran che se non, forse, nei rapporti di forza politica che intercorrono fra gli oligarchi e i generali.
Dal canto suo, l’offensiva strategica, pur avendo fatto danni enormi ad almeno il 50% della rete elettrica, non ha provocato l’auspicato collasso del nemico, come invece era avvenuto con molto meno a Sarajevo nel 1999.
Gli ucraini sparano molto meno, ma molto più preciso, colpendo posti comando, depositi, caserme ed anche qualche base importante ben addentro al territorio nemico, ma anche in questo caso i danni, pur ingenti, non sono sufficienti a provocare il collasso del fronte.
Sul piano economico, sanzioni e controsanzioni stanno creando difficoltà consistenti sia in Russia che in Europa, ma niente che non possa essere tollerato e parzialmente superato, come dimostrano sia la non-carenza di gas in EU, sia la presenza di chip occidentali nei missili russi.
Per ora, chi sta vincendo sono gli USA, che hanno esteso e rafforzato la loro galassia di paesi satelliti e basi militari, ma soprattutto la Cina che sta tranquillamente raccogliendo i cocci di una Russia sempre più debole. A questo proposito, forse vale la pena di ricordare che la mitologia imperiale fa persa anche in Cina e che, come l’Ucraina ha fatto parte dell’Impero Russo, una bella fetta dell’attuale Russia orientale, fino a più di mille chilometri a nord di Vladivostok, faceva parte dell’Impero Qing e fu ceduta agli zar alla metà del XVII secolo, nello stesso periodo in cui Taiwan fu de facto ceduta al Portogallo. I russi forse lo hanno dimenticato, ma i cinesi sicuramente no.
I risultati politici di tutto ciò sono numerosi e tutti negativi per la Russia, specialmente per Putin che, anziché assurgere al rango di “pater patrie”, si trova oggi fra l’incudine ed il martello. Da un lato i contrari alla guerra, che aumentano man mano che le famiglie ricevono lettere ufficiali che annunciano la morte od il ferimento di amici e parenti. La raffazzonata mobilitazione autunnale è stata poi un disastro politico: a fronte della mobilitazione di circa 200.000 uomini (ufficialmente 300.000) tra volontari, riservisti e coscritti, fra gli 800.000 ed un milione di giovanotti di “buona famiglia” sono fuggiti all’estero, mentre i poveracci si sono dovuti arruolare, ridestando tensioni sociali, etniche e nazionali dalle conseguenze imprevedibili.
Dall’altra i nazionalisti, cui Putin si è sempre più appoggiato e che ora sono sempre più delusi ed apertamente ostili ai vertici del governo e delle forze armate.
Forze armate che, nel frattempo, si stanno disarticolando in una serie di milizie più o meno indipendenti ed in competizione fra loro, facenti ognuna capo ad un diverso personaggio. Alcune fra queste milizie private o semi-private sono anche assai meglio pagate ed armate dell’esercito regolare russo, mentre quelli messi peggio sono i reparti arruolati in Donbass con la coscrizione obbligatoria ed armati con i ferri vecchi recuperati dagli sterminati arsenali sovietici.
Infine, vale la pena di ricordare che tutti i satelliti ex-sovietici, tanto gli “stan” quanto l’Armenia, stanno piantando in asso il Cremlino in maniera sempre più decisa e palese. Gli rimane la Bielorussia, al cui interno però l’opposizione cresce ed è diventata anch’essa decisamente anti- russa (cosa che fino all’anno scorso non era affatto), tanto che i partigiani bielorussi hanno avuto un ruolo importante nel fallimento dell’offensiva russa nel febbraio 2022.
Finché era vincente, Putin ha rifiutato ogni occasione per fermare l’attacco e trattare da posizioni vantaggiose, ma il colmo dell’idiozia lo ha raggiunto proclamando l’annessione di altre regioni ucraine, così da impedirsi ogni possibile trattativa. Oramai, cedere territorio, od anche rinunciare a conquistare qualcos’altro nel Donetsk, sarebbe infatti ammettere di aver preso in giro i russi, oppure ammettere la sconfitta; entrambe opzioni che gli costerebbero la poltrona e forse la vita. Del resto, il moltiplicarsi delle milizie private o semi-private, la strana “epidemia” di morti improbabili fra gli oligarchi (compreso un ministro che era anche un generale), le dichiarazioni contrastanti fra esercito e Gruppo Wagner, il rapido ricambio dei comandanti e lo stesso accanimento nel conquistare qualcosa purché sia ed a qualunque costo, sono tutti indizi che potrebbero far pensare che a Mosca si stia già manovrando per un possibile “dopo Putin”.
Insomma, ad oggi sembra che l’unica opzione possibile per il Cremlino sia quella di cronicizzare la guerra, sperando che, prima o poi, europei ed americani si stanchino e costringano gli ucraini ad accettare la cessione di parte del loro territorio, magari in cambio di un ingresso accelerato nella NATO ed in UE. Una scommessa perché, se non dovesse accadere, la Russia avrebbe ben poche speranza di uscirne intera, visto che il potenziale industriale occidentale, sia pure ridimensionato dal “picco di tutto”, è enormemente superiore a quello russo.
Comunque, a riprova della totale mancanza di prospettive di pace, entrambi i contendenti si sono detti disponibili a trattare, ma gli ucraini solo a condizione che i russi si ritirino da tutti i territori occupati dal 2014, paghino i danni e consegnino i criminali di guerra. I russi a condizione che gli ucraini ed i loro alleati riconoscano l’annessione di 6 regioni ucraine alla Russia. Cioè nessuno dei due per il momento è disposto a trattare e questo pone un cerino storico in mano agli americani e satelliti.
Sostanzialmente, mi pare che le opzioni possibili siano 3:
- Continuare ad armare gli ucraini nella misura necessaria a resistere ed anche a riconquistare qualcosa, ma non tanto da trionfare. E’ stata finora la nostra strategia, ma ha il difetto di mandare le cose per le lunghe e questo potrebbe provocare crisi politiche anche estremamente gravi all’interno dei diversi paesi o fra alleati. Cosa che avrebbe conseguenze disastrose da questa parte della nuova Cortina di Ferro in corso d’opera. Inoltre, una conclusione “alla coreana” lascerebbe entrambi i contendenti pronti a ricominciare alla prima occasione. Non sarebbe quindi una pace, ma al massimo una tregua.
- Imporre agli ucraini un accordo svantaggioso per recuperare gli spazi di mercato perduti e lenire la crisi energetica (che peraltro ha ben poco a che fare con la guerra). Giustamente, caldeggiano questa scelta coloro che per una qualunque ragione anelano alla disintegrazione almeno parziale della UE e della NATO, se non anche degli Stati Uniti che hanno anche loro non pochi problemi. Il tutto a fronte di vantaggi economici trascurabili perché molti dei cambiamenti nel frattempo avvenuti nei flussi di merci sono comunque irreversibili, sia per noi che per i russi.
- Fornire agli ucraini i mezzi per vincere relativamente alla svelta. Questo comporterebbe la fine di Putin e del suo gruppo di potere, aprendo un vuoto geopolitico che potrebbe portare alla balcanizzazione della Russia; non dimentichiamo che l’attuale “Federazione Russa” è quanto rimane dell’ultimo impero coloniale ottocentesco ancora esistente e che scricchiola rumorosamente. Oppure potrebbe portare al potere qualcuno di molto più pericoloso di Putin, qualcuno che forse potrebbe davvero ricorrere alle armi nucleari; magari proprio quel Prigozhin che, proprietario del “Gruppo Wagner”, sta rubando la scena politica a tutti gli altri oligarchi ancora vivi.
E poi?
Le conquiste sono sempre reversibili e le sorprese saranno ancora molte, ma comunque vada nei prossimi mesi e magari anni, in tutto questo vi è una certezza: l’accelerazione del processo di de-globalizzazione dell’economia mondiale, già messo in moto dall’irreversibile impatto contro “I limiti della Crescita“. Il punto è che un’economia meno globalizzata ha assai meno capacità di estrarre dalla Terra quel che vi resta di sfruttabile, trasformarlo in beni di consumo e distribuirli ovunque ci sia qualcuno disposto a comprarli. Vale a dire che i mercati si dovranno giocoforza contrarre, accelerando ed aggravando gli effetti dell’ampiamente previsto e totalmente ignorato “picco di tutto” da cui scaturiranno crisi finanziarie, economiche e politiche sempre più gravi ed imprevedibili man mano che l’umanità tenterà di adattarsi ad un contesto di “sempre meno”, anziché “sempre di più” e, non riuscendoci, sarà travolta dal panico.
Come nel vaso di Pandora, in fondo a tanti mali potrebbe rimanere una Speranza: la forzata riduzione dei consumi porterà ad una contrazione delle emissioni, contenendo il disastro climatico e, magari, contribuendo a genere modelli di vita più sostenibili. Potrebbe essere un pensiero consolatorio, ma non è realistico perché la risposta delle popolazioni alla contrazione è il disperato rilancio di forme di sfruttamento che si ritenevano appannaggio del passato, come dimostrano fra l’altro la frenetica ripresa del disboscamento in tutta Europa e la dismissione de facto delle aree protette in quasi tutto il mondo. In sintesi, la deglobalizzazione sta cambiando il tipo di pressione antropica sulla biosfera, ma non la sta riducendo. Peccato, perché solo finché la biosfera sarà vitale, sarà possibile per il pianeta recuperare climi miti, suoli fertili, acque dolci e quant’altro è necessario per erigere nuove civiltà quando quella attuale sarà materia per gli ipotetici archeologi del futuro. Non sembra però che ciò interessi a governi, amministrazioni, imprese e cittadini, quasi tutti ed ognuno a suo modo impegnati a gettare ogni frammento di vita nella fornace del PIL. Insomma, non paghi di aver scoperchiato il vaso di Pandora, stiamo anche alacremente lavorando per uccidere la Speranza che gli Dei vi avevano nascosto in fondo.
“…la forzata riduzione dei consumi porterà ad una contrazione delle emissioni, contenendo il disastro climatico e, magari, contribuendo a genere modelli di vita più sostenibili. ”
A mio parere valutazione errata, con una popolazione in costante crescita e con le economie asiatiche (in particolare Cina e India, in totale quasi 3 miliardi di individui, senza contare altri paesi quali Bangladesh, Pakistan, Egitto, Etiopia e Nigeria tutti in crescita demografica) sempre più assetate di energia, non ci sarà alcun contenimento delle emissioni, quindi bisogna rassegnarsi al peggio.
Quanto all’Europa, ed in particolare all’Italia, prevedo un ritorno graduale ma irreversibile ad un’economia e a stili di vita come erano quelli degli anni ’70, dovuto al crescente impoverimento generalizzato.
Certo che è una valutazione errata perché la pressione antropica cambierà, ma non diminuirà per un pezzo ancora. L emissioni però diminuiranno giocoforza perché diminuirà la quantità di roba disponibile da bruciare.
È di un paio di giorni fa la notizia che la popolazione cinese è diminuita per la prima volta da decenni (supponendo che le statistiche siano corrette; può darsi che il governo abbia nascosto qualcosa e sia diminuita già prima).
Una buona notizia tra tante cattive.
Corea del Sud e Giappone sono già in declino da un po’; lo saremmo anche noi se, come loro, rifiutassimo quasi tutti i migranti.
Si. inizio o perlomeno l’avvicinarsi di una flessione demografica in parecchi paesi è una delle poche buone notizie che arrivano di questi tempi. Ovviamente, come ogni cambiamento, anche questo comporterà problemi e crisi, ma perlomeno saranno nella direzione di darci una speranza.
L’agricoltura ancora oggi è la principale causa di deforestazione, seguita dalla necessità di legna da ardere
Fra questi vi è prima di tutto una agricoltura sostenibile, che attui sistemi di rotazione delle colture e che utilizzi meno territorio.
https://it.m.wikipedia.org/wiki/Diboscamento
Pare che non si tratti principalmente della necessità di prelevare legname dai boschi, ma soprattutto di disboscamenti per far spazio a campi e a pascoli.
https://ourfiniteworld.com/2023/01/09/__trashed/
A quanto pare la guerra in Ucraina segna il passaggio a un mondo bipolare.
Poi si sa che quando una crisi economica inizia, si mette in moto una spirale discendente che può portare a una grave recessione o addirittura a un collasso. L’Europa sembrerebbe molto esposta da questo punto di vista.
Quindi, dato che un sistema ad alta energia non potrà più essere mantenuto, immagino uno scenario diciamo 1 in cui poche persone diciamo i potenti manterranno inalterato lo stesso stile di vita, mentre tutti gli altri si ritroveranno più poveri, con meno servizi garantiti, tipo scuola e sanità e probabilmente dovranno rinunciare a spostarsi in auto, a riscaldarsi ecc. eventualmente escogitando alternative più semplici ed economiche (Salvo il miracolo delle rinnovabili su cui molti sembrano essere scettici).
A questo punto non sarebbe ancora una tragedia, senonché in un ipotetico scenario 2 la situazione politica potrebbe degenerare in violenze e guerre civili. E allora saranno guai seri.
Lo scenario 2 a mio parere è quasi una certezza, vista la capacità di indirizzare, governare e catalizzare l’opinione pubblica e le persone verso nemici reali o immaginari. Proprio ieri ho letto sul Fatto Quotidiano un’intervista a Jacopo Di Miceli (articolo disponibile solo per abbonati, quindi non posso mettere il link), autore del libro “L’ ideologia della paura. Come il complottismo ha conquistato l’America e l’Europa”, che mi fa pensare che violenze e guerre civili potrebbero essere uno scenario non così ipotetico, a maggior ragione in un quadro di contrazione dell’economia e aumento della povertà, se non addirittura con l’avvento di carestie alimentari. Comunque sono tutti scenari già studiati ad alto livello (parlo soprattutto di sfera militare e di polizia) e probabilmente gli stati, almeno quelli più avveduti, si faranno trovare preparati per le contromosse che potranno anche essere brutali, intendo repressione armata e legislativa, per soffocare proteste, violenze e guerre civili.
Quanto al soffocare proteste, in Italia stanno già lavorando da tempo a partire dalla sempre più soffocante e restrittiva normativa sulle regole del diritto di sciopero, ai decreti Salvini che puniscono duramente atti quali picchetti e blocchi stradali, passando per l’identificazione preventiva dei partecipanti alle manifestazioni (qualche anno fa dei pullman di sostenitori dei sindacati di base diretti a Roma per una manifestazione, sono stati fatti entrare in un’area di servizio, e tutte le persone a bordo sono state fotografate dalla Digos con carta d’identità visibile nella foto, trattamento ovviamente mai riservato ai tifosi in trasferta). Ok, scusate la pianto qui che ora sto andando fuori tema, buona giornata a tutti.
“a gettare ogni frammento di vita nella fornace del PIL”. Ben detto Jacopo, purtroppo.
Per quanto mi riguarda la sfida principale che si presenta a chi ci tiene all’ambiente (ma, a questo punto, anche alle persone) è lavorare nella teoria e nella pratica a una visione che metta al centro appunto l’ambiente, e non solo la prosperità materiale e l’uomo. Magari ispirandosi alle visioni del mondo cosiddette indigene, senza idealizzarle e rendendosi conto che non sono tanto distanti da quelle antiche dei nostri “indigeni” (ad esempio delle popolazioni rurali, montane, marine europee…). Non voglio idealizzare il conservatorismo rurale, ma penso che l’imparare a vivere più in equilibrio con l’ambiente derivi non da un’intrinseca saggezza dei non bianchi, ma dall’aver provato a non farlo e sbattuto il naso sulle catastrofiche conseguenze – quello che sta succedendo adesso a livello globale, tra l’altro.
Mi piacerebbe anche che si aprisse un dibattito serio sulle diseguaglianze. Uno dei grossi ostacoli all’azione sul clima, e su tutto il resto, è che un sacco di gente delle classi basse e medie si rifiuta di credere a un manipolo di miliardari che svolazza in giro per il mondo a dire agli altri di consumare di meno.
Non seguo molto le vicende dei superpotenti, una cosa però la so, ed è che stanno tutti investendo in terreni. Poi, come saprai, in Brasile ci sono questi enormi latifondi con eserciti privati e tutto intorno contadini “senza terra”.
Purtroppo se questa gente riesce a mantenersi al potere in uno Stato come il Brasile lo può fare anche in qualunque altro Stato.
Per me il vero problema del futuro, ma anche del presente e lo è stato anche nel passato, è la diseguaglianza fondiaria.
http://www.chiudiamolaforbice.it/2021/04/05/le-crescita-delle-disuguaglianze-sulla-terra/
Ultimamente sto cercando di approfondire il discorso del “georgismo”, una dottrina economica che consiglia di tassare solo (o principalmente) la terra e le risorse naturali. Sembra che funzioni.
Purtroppo in Italia la proprietà è poco tassata, e gli agricoltori non pagano l’IMU sui terreni (io lo pago). Una tassazione seria e magari progressiva della terra posseduta risolverebbe molti problemi.
Il divario tra alimenti e mangimi/biocarburanti ha chiare dimensioni e distorsioni geografiche. Come mostra una mappa del National Geographic (sotto), la maggior parte delle colture per l’alimentazione animale e i biocarburanti sono prodotte in aree dove dominano le grandi aziende agricole: Stati Uniti, Europa e alcuni dei grandi paesi esportatori dell’America Latina. La maggior parte delle colture prodotte per il cibo si trova in Africa, India, parti del sud-est asiatico e nei paesi a basso reddito dell’America Latina, tutti dominati da piccole aziende agricole.
La conclusione è chiara: le grandi aziende agricole non nutrono il mondo. Alimentano le tasche degli investitori e dei commercianti di materie prime, alimentano automobili e mucche e alimentano le industrie di alimenti altamente trasformati e spazzatura.
https://grain.org/en/article/6792-big-farms-don-t-feed-the-world
E dunque, ce la si può fare anche senza le grandi aziende agricole.
Questi coltivano mangimi e biocarburanti. Sono queste le colture che verranno date in pasto al PIL distruggendo sistemi naturali come l’Amazzonia essenziali per la sopravvivenza dell’umanità.
Fuzzy, mi piacerebbe che tu avessi ragione, ma non è così semplice.
L’Africa e il Medio Oriente sono completamente dipendenti dalle importazioni alimentari. Guarda il putiferio che si è scatenato quando la Russia e l’Ucraina rischiavano di non poter esportare più cereali.
E tanti di quei “mangimi per animali” prodotti in America vanno a finire in posti in cui non ti aspetteresti mai, come in Arabia Saudita. E se anche in Italia rinunciassimo a importare soia dal Sud America o grano dal Canada, rimarrebbe il problema di come rimpiazzarli con prodotti nostri.
Gran parte del mondo ormai è dipendente dall’agricoltura industriale, e non è solo una questione di biocarburanti e mangimi. Tornare indietro non sarà per niente facile.
https://www.truenumbers.it/ogm-in-usa/
Dunque, distinguiamo i mangimi da ciò che umanamente si mangia (era il mio commento precedente), poi siamo nella solita situazione in cui per produrre poche proteine animali si tiene impergnata una quantità assurda di terreno agricolo andando a disboscare e ad erodere
persino dove ci sono le foreste.
L’Africa è un continente immenso di cui, pur cercando, si fa fatica a trovare informazioni precise e attendibili. Si sa dove ci sono guerre e carestie, e in quel caso hanno sicuramente bisogno di aiuti alimentari.
A me capita di tanto in tanto di trovare notizie tipo questa
https://www.naturalscience.org/it/news/2016/08/africa-discarica-degli-ogm/
E tante grazie, che se li tengano loro, questi aiuti.
Comunque aggiungo dopo essermi un po’ documentato (non ho link, ma i dati provengono dall’ultimo libro di Monbiot “Il futuro è sottoterra “)
Il 77% del riso mondiale viene prodotto da Thailandia, Vietnam, india, Usa, Pakistan
Il 65% del grano da Usa, Francia, Canada, Russia e Australia
76% granoturco Usa, Brasile, Argentina e Francia
86% soia Brasile Usa e Argentina.
Monbiot scrive che alcune nazioni, soprattutto nell’Africa settentrionale, in medio oriente, e nell’America centrale , dipendono dalle importazioni perché non possiedono più terreni fertili o acqua in quantità sufficienti per coltivare ciò di cui necessitano.
Fuzzy, intere zone dell’Africa e del Medio Oriente sono dipendenti dagli aiuti alimentari non solo a causa di conflitti (es. in Libano non ce n’è attualmente) ma perché sono sovrappopolati, ambientalmente devastati, e la loro agricoltura non è particolarmente produttiva per vari motivi.
Asia ed Europa, in media, hanno non solo terreni fertili ma climi più stabili e molta acqua, per cui sono sempre state popolose anche in tempi in cui non potevi importare tanto facilmente il cibo dall’altra parte del mondo (anche se ad esempio l’impero romano importava un sacco di grano, ma l’eccessivo sfruttamento agricolo ha lentamente distrutto Medio Oriente e Nord Africa). L’Asia ha sempre avuto enormi masse umane che riusciva a sostenere grazie al suo ambiente favorevole.
Non è solo una questione di ogm, infatti con la guerra in Ucraina l’Africa è andata nel panico alla prospettiva di non ricevere più aiuti (grano, non bistecche), e si è dovuto muovere l’ONU ai massimi vertici. Piaccia o non piaccia non sono in grado di sfamarsi da soli, e lo sanno (infatti per certi leader africani questa crisi è stata un po’ una sveglia).
Riguardo alla produzione di mangimi, lo dici sempre e lo dicono in tanti ma la questione non è così semplice. Sul mangiare meno carne sono d’accordo anch’io e lo sai, ma resta il fatto che se non mangi pollo e manzo qualcosa devi comunque mangiare, e tra pascolo equilibrato e coltivazione tradizionale nella mia esperienza e conoscenza resta comunque più sostenibile il pascolo. I cereali in particolare richiedono molta acqua e massacrano il terreno (semplificando). Al di là di questo, la produzione animale non serve solo al cibo ma produce anche altre cose, tipo pellami, filati, piume, concimi, che vanno computati nel totale di quello che ottieniamo alimentando gli animali. Quindi i “mangimi per animali” non vanno solo in carne, latte e uova ma anche in scarpe, borse, vestiti, cuscini… tutte cose che adesso stiamo sostituendo con la plastica con conseguenze disastrose.
Quindi la storia del “basta non mangiare carne e ce n’è per tutti” non è così semplice. Il problema ha più risvolti ed è molto complesso.
https://europa.today.it/fake-fact/dove-finisce-grano-ucraino-europa.html
Gli aiuti umanitari in grano (mica mandano il mais o la soia ogm, si spera), dice qui, si auspicava fossero diretti verso Sudan, Yemen, Gibuti o Somalia, che sono paesi con guerre civili in atto, e quindi rientrano in una categoria diversa, rispetto alla capacità normale di un paese di provvedere alle proprie necessità.
Per il resto non sto a ripetermi, aggiungo che oltre ai mangimi c’è anche questa produzione di biocarburanti che si prevede fortemente in crescita per ovviare alle carenze di idrocarburi. Un disastro.
Per come la vedo io, è solo questione di tempo e salterà tutto, ma per ragioni puramente economiche. Poi si vedrà.
“Non è chiaro se e come le forniture in Europa conteggino anche dei carichi che sono poi “girati” ai Paesi poveri, per esempio nell’ambito degli impegni dell’Ue nel quadro del Food world programme. ”
Bè, se non è chiaro questo, come fanno a dire a chi arriva il grano??