Ho un piccolo sistema euristico da cui parto sempre per giudicare la bontà di un progetto politico – intendendo questo termine nel senso più ampio possibile. Mi aiuta a vedere le cose razionalmente, senza cadere preda delle emozioni. Il sistema si basa su tre principi fondamentali.
Principio 1. Il benessere degli individui è il più importante obiettivo di ogni società umana, nonché, per estensione, il metro di giudizio di ciò che è giusto o sbagliato in politica. A parità di condizioni esterne, una politica che accresce il benessere degli individui è migliore di una politica che mantiene il benessere invariato. E una politica che lo mantiene invariato è migliore di una politica che lo riduce.
Principio 2. Poiché il benessere soggettivo è adattivo, è essenziale utilizzare misure oggettive del benessere come metro di giudizio della bontà di un progetto politico. Vale la pena spendere qualche parola in più su questo punto. Esiste una differenza fra il benessere percepito soggettivamente da un individuo (se tale individuo si giudica felice o meno) e il suo reale stato di benessere. Un meccanismo psicosociale ampiamente studiato in sociologia, noto come meccanismo delle ‘preferenze adattive’, fa sì che individui nati e cresciuti in un ambiente caratterizzato da bassi livelli libertà, opportunità e diritti, ma in cui questi sono distribuiti equamente fra la popolazione, tendono a sopravvalutare il proprio livello di benessere. All’opposto, individui nati e cresciuti in un ambiente caratterizzato da alti livelli di libertà, opportunità e diritti, che però non sono uniformi nel proprio ambiente sociale, tendono a giudicare negativamente il proprio livello di benessere. In altre parole, un povero e oppresso che vive fra i poveri e gli oppressi si sentirà di norma più felice rispetto a un individuo moderatamente libero ed economicamente stabile circondato da miliardari privilegiati.[1]
Principio 3. Il benessere delle generazioni future deve essere preso in considerazione quando si giudica il benessere potenziale generato da un un progetto politico.
Per assicurarmi che il progetto politico che sto analizzando soddisfi questi tre principi, prima di esprimere il mio giudizio mi pongo tre domande fondamentali, la formulazione delle quali deve molto all’approccio delle capacità[2] della filosofa Martha Nussbaum. Le tre domade si basano sull’idea che il benessere di un individuo derivi da tre fattori fodamentali: a. la libertà di scegliere come vivere (nei limiti del rispetto della libertà altrui); b. L’opportunità di compiere tale scelta; c. la disponibilità di mezzi (materiali e immateriali[3]) necessari a mettere in atto tale scelta.
Se ad esempio Andrea vive in un paese in cui è libero di realizzare il suo sogno di diventare un professore di matematica all’università, ma nel suo paese non esistono università (opportunità), la sua libertà è solo apparente. Lo stesso accade se nel suo paese ci sono università, ma Andrea è nato in una famiglia senza i mezzi economici per supportare gli studi a lui necessari per diventare un professore di matematica. La libertà senza opportunità è vuota, l’opportunità senza mezzi è vuota, i mezzi senza libertà e opportunità sono vuoti. Per generare benessere, devono esserci libertà, opportunità e mezzi.
Dunque prima di esprimere un giudizio sulla bontà di un progetto politico, mi pongo tre domande:
- Questo progetto politico accresce le libertà e le opportunità concesse ai singoli individui?
- . Questo progetto politico accresce i mezzi a disposizione dei singoli individui per cogliere le opportunità a loro disponibili ed esercitare le libertà a loro concesse?
- Questo progetto politico aumenta il numero di individui che dispongono di tali libertà e opportunità e a cui cui sono forniti i mezzi per esercitare le prime e cogliere le seconde? (Le generazioni future vanno incluse in questo calcolo).
Per illustrare nella pratica l’uso del sistema, proviamo ad applicarlo a una questione spinosa dell’attualità politica: la questione dello status politico di Taiwan. Il governo Cinese non riconosce Taiwan come uno stato indipendente e vorrebbe annetterselo, con la forza se necessario.
Immaginiamo tre possibili scenari futuri e giudichiamone la desiderabilità attraverso il nostro sistema.[4]
Si noti che la storia passata dei due paesi è del tutto ininfluente nell’analisi. In altre parole, se anche le pretese della Cina avessero una legittimità storica, ciò non potrebbe essere usato come un argomento sufficiente a favore di un’annessione qualora quest’ultima comportasse una riduzione del benessere aggregato degli individui coinvolti (in questo caso la popolazione presente e futura di Taiwan).
Scenario A: la Cina invade Taiwan e se lo annette con la forza.
E’ chiaro che un tale scenario ridurrebbe le opportunità e le libertà dei cittadini taiwanesi. Infatti, al contrario che a Taiwan, in Cina non c’è libertà di espressione e di stampa, non c’è completa libertà di movimento all’interno del paese (sistema hukou), molti dei diritti civili di base sono negati, la privacy degli individui è sistematicamente violata e i diritti umani sono posti in secondo piano rispetto agli interessi nazionali (ovvero quelli del partito comunista cinese). Le forti limitazioni alle libertà e alle opportunità concesse agli individui si traducono inoltre in un’impossibilità di mettere a frutto molti dei mezzi che pure la crescita economica cinese ha prodotto per la popolazione. Per fare un esempio banale, in Cina i mezzi per sviluppare la capacità di leggere e scrivere sono a portata della vasta maggioranza della popolazione, ma quella capacità è mutilata dalle limitazioni imposte circa quanto è lecito leggere e scrivere. Secondo il nostro sistema, lo scenario ‘A’ sarebbe dunque senza dubbio indesiderabile. E questo senza nemmeno considerare il costo inevitabile in vite umane di un’annessione violenta.
Scenario B: Taiwan indice un referendum legale sulla possibile unificazione con la Cina, e la maggioranza della popolazione vota a favore. Taiwan viene annesso alla Cina pacificamente, convertendosi al sistema cinese (o a un suo surrogato, sul modello di Hong Kong).
Escludendo il costo iniziale in vite umane, assente in questo secondo scenario, il risultato in termini di benessere aggregato è il medesimo che nel primo scenario. Le libertà, le opportunità e i mezzi a disposizione di chi ha votato a favore (incluse le stesse libertà e opportunità di voto e partecipazione politica), come anche quelle di chi ha votato contro, diminuirebbero a seguito dell’annesione. Di più: una volta all’interno del modello cinese, i cittadini taiwanesi non avrebbero più l’opportunità di tornare sui propri passi. Ne consegue che anche lo scenario ‘B’ è indesiderabile. Detto altrimenti, è auspicabile che alla maggioranza dei taiwanesi non sia concesso il potere di decidere a favore di un’annessione. Questo perché: 1. Una tale scelta produrrebbe una riduzione del benessere aggregato e 2. Tale riduzione sarebbe irreversibile. Si tratta di un caso tipico di una scelta democratica profondamente illiberale. Su questo punto torneremo a breve.
Scenario C: Taiwan indice un referendum sulla possibile unificazione con la Cina, tutta la popolazione partecipa al voto e vota all’unanimità per l’annessione.
L’unica differenza rispetto allo scenario ‘B’ è nel numero di persone che hanno votato per l’annessione. L’esito è tuttavia lo stesso: una riduzione delle libertà, delle opportunità e dei mezzi a disposizione dei taiwanesi (e quindi del loro benessere) e la non reversibilità di tale riduzione. Ovviamente, un voto che coinvolga tutte le persone che di quel voto subirebbero le conseguenze non solo è estremamente improbabile (ci sarà sempre almeno una persona che voterebbe contro), ma di fatto impossibile: infatti tanto i figli minorenni di chi ha votato quanto le future generazioni di taiwanesi dovrebbero sottostare alle regole esito di quella decisione, nonostrante la loro incapacità di parteciparvi. Ma il punto è che se anche fosse possibile utilizzare una macchina del tempo per chiedere il loro consenso e ottenerlo, ciò non cambierebbe nulla. L’annessione resterebbe non auspicabile, in quanto provocherebbe una riduzione irreversibile del benessere aggregato (oggettivo, ovvero declinato in termini di libertà, opportunità e mezzi).
E arriviamo così alla seconda parte di questo articolo, che fa riferimento alla prima parte del suo titolo: “liberalismo o barbarie”. Oggi va tanto di moda definire la democrazia come il ‘volere della maggioranza’. Il popolo (italiano, statunitense, australiano ecc.) ha deciso, e questo è tutto ciò che conta. E invece no. Quello che conta è il benessere degli individui, ovvero le loro libertà, le loro opportunità e i mezzi (materiali e immateriali) a loro disposizione. Quando si difende a spada tratta la democrazia, bisognerebbe specificare che si tratta del modello liberal-democratico, in cui le minoranze (e in primis gli individui) sono tutelate dalla tirannia della maggioranza. Dimenticarsi dei valori liberali, o peggio subordinarli al ‘volere del popolo’, significa sacrificare il tesoro per salvare le mura che lo proteggono. Il tesoro sono naturalmente i principi liberali della difesa dei diritti e delle libertà individuali (a cui io aggiungo le capacità degli individui e i mezzi necessari per metterle a frutto), dello stato di diritto e del costituzionalismo. La democrazia sono le mura che proteggono quel tesoro. E’ certamente arduo proteggere il tesoro quando le mura sono crollate — per questo è importante difendere la democrazia. Ma è futile proteggere le mura se il tesoro è già stato trafugato.
Nel dibattito politico contemporaneo in occidente la democrazia è assurta al valore unico da difendere, mentre i principi liberali sono spesso considerati come un suo esito inevitabile e scontato. Si tratta di una semplificazione pericolosa, i cui effetti sono visibili un po’ ovunque. Ed è ancor più pericolosa unita all’attuale mancanza, in occidente, di un frame analitico (ed etico) comune sulla base del quale giudicare la realtà sociale. Ciò si traduce da un lato in una grande confusione politica, dall’altro in una tendenziale disillusione verso le conquiste del modello liberal-democratico e una nuova fascinazione per i modelli autoritari del passato e del presente.
Ma il modello liberal-democratico non è ‘uno fra i tanti’: è l’unico nella storia che ha permesso a chi vi vive al suo interno di attaccarlo apertamente, senza timore di essere punito per questo. E’ l’unico che tutela l’individuo dalle due tirannie più terribili: quella di una minoranza dispotica e quella di una maggioranza volubile e ignorante. Il liberalismo avrebbe vita breve in una monarchia assoluta o in un regime fascista. E non stupisce che nessun regno o regime fascista (come quello attualmente vigente in Cina) è mai coesistito con una società liberale. La democrazia stessa non sarebbe molto migliore di un regime fascista o di una monarchia assoluta in assenza di istituzioni liberali che limitino il potere della maggioranza. Fra i limiti necessari a questo potere vi è l’irrevocabilità delle libertà e delle opportunità a disposizione degli individui. Fra tali libertà e opportunità c’è la stessa democrazia. Ne consegue che una scelta democratica non deve poter revocare la democrazia, a meno che tale revoca non sia essenziale a evitare una riduzione considerevole di altre libertà, opportunità e mezzi fondamentali: è quanto avviene quando si dichiara uno stato di emergenza provvisorio per via di guerre, emergenze ambientali o epidemie, le quali richiedono di prendere decisioni rapide che sarebbe impossibile prendere attraverso un processo democratico. Si tratta di situazioni estremamente pericolose, che nella storia hanno sovente portato, quando non controllate a dovere, a cambi di regime politico.
Naturalmente il sistema euristico proposto in questo articolo è lontano dall’essere perfetto. Per esempio, esistono situazioni in cui è molto difficile identificare in anticipo l’esito probabile di una politica. Cosa succederebbe nel caso in cui — scenario ovviamente impossibile — Taiwan si annettesse la Cina con la violenza e la convertisse in una liberal-democrazia piena (con uno stato di diritto vero e proprio, una costituzione liberale, rispetto dei diritti umani e libere elezioni)? Un’annessione violenta comporta sofferenza e morte per molte persone. Il mio sistema non è in grado di dire chiaramente se questo scenario sarebbe auspicabile o meno. Questo non vuol dire che io non abbia un’opinione in merito, e persino ragioni valide che possano supportare quell’opinione. Significa solo che non saprei rispondere alla domanda: questa decisione aumenta il benessere degli individui?
I limiti del sistema non riducono però i suoi meriti. Avere un frame analitico comune di partenza — per quanto imperfetto — su cui basare un dibattito circa la bontà di un progetto politico è molto meglio che affidarlo a frame emozionali come il nazionalismo, i torti del passato o una credenza cieca e acritica nella sacralità della democrazia.
Oggi sono purtroppo le emozioni a dominare la politica. Quelle volubili degli elettori, quelle sovente pianificate a tavolino dei politici. E mentre i leader populisti delle due sponde dell’Atlantico si appellano al volere del ‘popolo’ per ridurre i diritti delle persone, chi gli si oppone tesse le lodi dell’intelligenza degli elettori, che a loro dire mai lo permetterebbero. Ma la maggioranza quasi mai è intelligente, quasi mai è razionale, quasi mai, soprattutto, è liberale. La maggioranza può eleggere un dittatore, e lo ha fatto in passato, e lo farà in futuro, in assenza di solide istituzioni liberali che glielo impediscano, agendo a tutela della minoranza per eccellenza: l’individuo. E allora smettiamo di concentrarci unicamente sulla democrazia come se fosse la panacea di tutti i mali, come se la maggioranza avesse sempre ragione. Trattiamola come un mezzo migliore di altri – ma non perfetto – anziché come un fine. Pensare ai principi liberali non come a un’ideologia fra le altre ma come al tipo di organizzazione della vita sociale più efficace nel garantire il benessere delle persone è un altro punto di partenza essenziale.
Vorrei che almeno un leader politico lo dicesse chiaramente: la maggioranza ha torto, la maggioranza è stupida. E invece devono dire che la maggioranza è stata ingannata dai leader populisti che ha votato, oppure che è stata colpa loro, dei partiti all’opposizione, per non essere stati in grado di “dare risposta alle necessità della gente”. Devono dirlo, naturalmente, per ottenere i voti di quella stessa maggioranza volubile, confusa e ignorante. Non è forse vero che la maggioranza non sa nulla dei problemi di un paese, non sa nulla di come funziona un’economia, o dello stato pietoso in cui versano molti ecosistemi terrestri, o di politica monetaria, o di principi costituzionali, o della storia del pensiero politico? Se è vero, come è possibile pensare che la maggioranza abbia sempre ragione? Probabilmente non è possibile, ma quel che è certo è che lo si ripete incessantemente, e qualcuno poi finisce anche per crederci.
[1] Si veda ad esempio Graham C. (2010), Happiness Around the World: The Paradox of Happy Peasants and Miserable Millionaires (Oxford University Press, New York).
[2] Sintetizzando e semplificando al massimo, l’approccio delle capacità coniuga principi di equità (sotto una certa soglia individuale di capacità/diritti) con principi meritocratico-liberali, prefigurando lo sviluppo di politiche pubbliche atte a realizzare il bene comune attraverso l’auto-realizzazione dei singoli individui. Per evitare di confondere inutilmente il lettore, in questo articolo non parleremo tuttavia di capacità, bensì di mezzi, opportunità e libertà.
[3] I mezzi immateriali includono le capacità degli individui: la capacità di un individuo di leggere e scrivere è ad esempio un mezzo per esercitare la libertà di informarsi ed esprimere la propria opinione.
Soprattutto alla fine, il post offre suggestioni interessanti. Tuttavia, al netto di pregiudizi politici più o meno palesi, offre anche uno schematismo che è ancora più pericolosamente semplificatorio, rispetto all’andazzo che vorrebbe avversare. Pericoloso, perché ancora più di un populista o di un politicante da quattro soldi… introducendo pochissime variabili “indipendenti” (?) in più, vorrebbe lasciare fuori dalla porta milioni di possibili opzioni. Non dicendolo apertamente, o almeno credendo di non farlo.
Che si parli di cose più concrete, please. Su quelle valutiamo. Oppure, se ci va di riflettere su cose più alte, allora è meglio farlo PRIMA di interrogarci sul nostro modo di preferire un’opzione rispetto ad un’altra. Interrogarci su tale modo non è “alto”, perché il più delle volte non ci moltiplica le opzioni, anzi! E ce ne sarebbe la necessità, di trovare vie nuove!
Un esempio di ipersemplificazione è il concetto di maggioranza, che non solo nei nostri regimi di “grandi coalizioni” lascia il tempo che trova. Sì va alle elezioni (dopo campagne pressoché permanenti) cercando consenso “di parte”, ben sapendo che ogni proposito poi dovrà fare i conti con annacquamenti vari. Tali annacquamenti non sono solo il frutto di fisiologici compromessi. Sono spesso frutto di vincoli che all’elettore non si descrivono nella loro dura realtà. O peggio, non si descrivono appieno neanche nella testolina di aspiranti eletti, che si riservano di scoprirli se e quando capita in qualche stanza dei bottoni (ove poi la responsabilità sperano di annacquarla condividendola, in modo più o meno trasparente).
Ecco. Il mio metro di giudizio sulle opzioni politiche ha infinite dimensioni, ma se devo citarne una estremamente attuale… eccola: prima di chiedermi il voto, mi si dicano i vincoli di ogni opzione, e che si abbandoni ogni responsabilità quando l’opzione debba essere stravolta. Le proposte all’elettorato così diventano vuota retorica? Se sì, basta chiamarla come tale, senza fingere di decidere democraticamente le cose che contano.
Mi limito a rispondere ai punti che mi trovano più in disaccordo.
“Tuttavia, al netto di pregiudizi politici più o meno palesi”
Verso la cina? Semmai si tratta di giudizi costruiti su un’analisi dei fatti. Non mi piacciono le dittature, mea culpa.
“introducendo pochissime variabili “indipendenti” (?) in più, vorrebbe lasciare fuori dalla porta milioni di possibili opzioni. ”
Se quei milioni di possibili opzioni riducono il benessere delle persone sul lungo periodo, ben venga.
“Che si parli di cose più concrete, please. Su quelle valutiamo. ”
E invece no, valutiamo sulla base di un approccio razionale ai problemi. Per costruire ogni cosa servono delle basi. Le basi possono essere attaccate, migliorate, ristrutturate, rimpiazzate. Ma sono essenziali. Occorre comprendere la struttura dell’edificio prima di mettersi a discutere sulla carta da parati più adatta. Solo perché quello che gli occhi vedono è la carta da parati e non il muro che sta dietro, non significa che la carta da parati sia concreta e il muro no.
Quello che chiama concretezza è perdere di vista la foresta perché si ha lo sguardo a un palmo dalla corteccia dell’albero.
Concretamente: se un “politico” mi assicura che i suoi valori sono liberali e democratici nel senso esposto da questo articolo, non lo giudico “prima di tutto” per questo. Semmai (e se questa è la corteccia, proprio non ci capiamo)…..
…..Ebbene, prima che costui cerchi il consenso democratico, dica:
1) cosa vorrebbe fare
2) quali vincoli potrebbero far cambiare i suoi propositi (epurando eventuali balle), come e quanto (se non lo sa, espliciti la sua “elasticità” e la faccia diventare pure nostra se necessario, invece di giocare sulle nostre pulsioni al cambiamento per poi riservarsi calamenti di brache nella cogestione del potere tra eletti e tecnici)
3) si dica pronto a rimettersi in discussione subitissimo e in modalità democratiche, qualora tali vincoli intacchino radicalmente i suoi propositi fondamentali (soddisfatto il punto 2, non ci sarebbero scappatoie)
Quelli che l’articolo ritiene i fondamentali per giudicare una proposta politica, rischiano invece di risultare in un invito a riempire le campagne elettorali di retorica. Non lo sarebbero in un mondo ideale, “libero”, nel quale l’elettore decidesse davvero le strade da seguire, o almeno il loro orientamento. Non è un caso, se “specie nei nostri regimi di grandi coalizioni” l’orientamento stesso diventa sempre più una banderuola che dipende dal vento. Oggi una pandemia, domani una speculazione finanziaria, dopodomani un disastro climatico… si accumulano a ritmi crescenti le forzanti a mutare il vento.
La torre che può reggere l’uragano non è “l’uomo forte”, nè perfino una nazione forte, ma un’umanità forte. Non torniamo alle fortezze medievali. Teniamo invece vivo il sistema circolatorio della democrazia: le ignoranze, le balle e gli intasamenti delle ipocrisie provocano trombi. La retorica dei politici e dei media è peggio di un placebo, specie quando si fa così intricata da costruirsi una torre d’avorio.
Oggi, i “migliori” si riducono a ricordarci le parole di Berlinguer nei primi mesi del golpe cileno “non ci basterà il 51%”. Invece non basta più nemmeno averle capite, quelle sagge parole (riferibili ai vincoli dell’anti-democrazia). Bisogna dire quali siano quei vincoli, e con quali vaccini si possano affrontare senza tema di contagio mortale. L’idea di democrazia liberale, in sè, è solo un eccipiente… se non porta davvero a far crescere gli anticorpi.
Antonino, vorrei anche contestare quanto hai detto, ma il fatto è che mi trovi perfettamente d’accordo. Se il tuo commento voleva essere una critica all’articolo, missà che:
1. Hai frainteso l’articolo.
oppure
2. Non mi sono spiegato bene. Il che è perfettamente possibile, anche per via di limiti di spazio (l’articolo è già lungo così com’è).
Caro Enrico
tu dici di cercare un sistema di valutazione “oggettivo”.
Che invece a me sembra assolutamente soggettivo (ovviamente anche i miei criteri sono soggettivi).
La politica deve perseguire il benessere del massimo numero di individui.
E già qui ci sarebbero due domande grosse come una casa.
Uno, stiamo parlando della generazione presente di individui, o di quelle future?
Due, il “benessere” di individui di specie umana, che rapporto ha con il pianeta su cui vivono (anche) individui di specie umana?
Poi vedo che non permetti un giudizio personale su cosa sia il benessere: tutti gli esseri umani devono accettare il tuo criterio, che consiste sostanzialmente nell’avere la massima libertà di realizzare i loro desideri individuali.
Dai l’esempio di quello che vorrebbe fare il professore di matematica, per non dare esempi assai più normali (tipo essere il calciatore meglio pagato della storia, trombarsi più modelle, farsi il tatuaggio più figo del canale Instagram…)…
ma anche se parli di un professore di matematica, tu non stai parlando di individui, ma di relazioni: “più professori di matematica” vuol dire una società che ha bisogno di più professori di matematica (o di calciatori più spettacolari, o di più canali su Instagram).
Quindi stai dicendo che vuoi una società con più matematica (o calcio, o modelle, o tatuaggi).
E che hai deciso che questo costituisce il “benessere”.
Miguel Martinez, avevo risposto esaustivamente al tuo commento ma un errore del server mi ha fatto perdere tutto… Mi limiterò quindi a rispondere ai punti più importanti che tocchi.
“tu dici di cercare un sistema di valutazione “oggettivo”. Che invece a me sembra assolutamente soggettivo (ovviamente anche i miei criteri sono soggettivi).”
E’ oggettivo nel senso che si basa su indicatori non soggettivi del benessere: capacità personali, opportunità, libertà e mezzi materiali. Ovviemente non è oggettivo nel senso che non lascia spazio a interpretazioni. Ma l’interprertazione si basa su fattori in parte misurabili, e non su un’autovalutazione da parte degli individui. Per approfondire cosa intendo esattamente ti rimando alla letteratura sull’approccio delle capacità (capability approach) e in particolare all’opera di Amartya Sen e Martha Nussbaum.
“Uno, stiamo parlando della generazione presente di individui, o di quelle future?”
Stiamo parlando di entrambe, come detto esplicitamente nell’articolo.
“Due, il “benessere” di individui di specie umana, che rapporto ha con il pianeta su cui vivono (anche) individui di specie umana?”
Il benessere degli esseri umani è dipendente dallo stato degli ecosistemi. Tutelarli significa tutelare il benessere umano. Per vedere questa connessione occorre adottare una visione oggettiva del benessere umano, perché il benessere soggettivo è necessariamente limitato alla generazione presente (le future generazioni non possiedono soggettività in quanto non sono ancora qui).
“Poi vedo che non permetti un giudizio personale su cosa sia il benessere: tutti gli esseri umani devono accettare il tuo criterio, che consiste sostanzialmente nell’avere la massima libertà di realizzare i loro desideri individuali.”
Allora hai frainteso la mia posizione. Parlo di libertà, opportunità e mezzi (materiali e immateriali, includendo le capacità individuali), non di desideri. Se desidero essere uno schiavista o un trafficante di armi, obbiamente il mio desiderio va contro al benessere aggregato.
“Dai l’esempio di quello che vorrebbe fare il professore di matematica, per non dare esempi assai più normali (tipo essere il calciatore meglio pagato della storia, trombarsi più modelle, farsi il tatuaggio più figo del canale Instagram…)…”
Se tali desideri non danneggiano le opportunità, le libertà e i mezzi di altri, sono perfettamente legittimi.
“Quindi stai dicendo che vuoi una società con più matematica (o calcio, o modelle, o tatuaggi).”
No, non è affatto quello che sto dicendo.
“E che hai deciso che questo costituisce il “benessere”.”
No.
Molto carne sul fuoco…
Mi limito quindi a questo.
Tu scrivi:
“Quindi stai dicendo che vuoi una società con più matematica (o calcio, o modelle, o tatuaggi).”
Probabilmente mi sono spiegato male, riprovo.
La “libertà di scelta” non è data, a mio avviso, dal tipo astratto di regime. E’ data dalle circostanze.
Io desidero fare il tatuatore.
Vivo in una società che non desidera tatuaggi, o dove la gente se li fa da soli, posso desiderare di fare il tatuatore quanto voglio, ma rimarrà un sogno nel cassetto: non potrò quindi ottenere quello che tu chiami il mio “benessere”.
Se invece vivo in una società che ha fame di tatuaggi, e dove per cultura o per igiene, la gente non se li fa da soli, potrò realizzare il mio desiderio.
Quindi l’elemento che mi permette di realizzare il mio desiderio non è la teoria politica prevalente, ma l’esistenza di una grande ricchezza e di molti desideri da parte della società.
Che è una condizione che si realizza solo quando c’è un alto consumo di energia.
Più energia si consuma, più “benessere” si può ottenere.
Ma l’energia, non rinnovabile oltre a una certa soglia che abbiamo superato da molto tempo, si paga (vedi Picco per capre 🙂 ).
Quindi il benessere, nella tua definizione, implica costi da scaricare sia sull’ambiente, sia sulle generazioni future.
Questa frase…
“Quindi stai dicendo che vuoi una società con più matematica (o calcio, o modelle, o tatuaggi).”
…in realtà era tua, non capisco perché adesso la attribuisci a me. Nel commento precedente ti avevo semplicemente citato per rendere più chiara la mia risposta.
A parte questo, io sono d’accordo con te per quanto riguarda il consumo di energia, ma mi attribuisci opinioni che non mi appartengono. Tale questione è inclusa nel mio ‘sistema’. Ti cito la parte dell’articolo che credo ti sia sfuggita:
“Questo progetto politico aumenta il numero di individui che dispongono di tali libertà e opportunità e a cui cui sono forniti i mezzi per esercitare le prime e cogliere le seconde? (Le generazioni future vanno incluse in questo calcolo).”
Il testo fra parentesi è essenziale. La libertà di scelta è data dalle circostanze E dal tipo di regime politico. Quello che intendo dire nell’articolo (riguardo al modello cinese), è che a parità di circostanze esterne, una liberal-democrazia offre più libertà alle persone rispetto al modello cinese. Se hai dubbi su questo ti invito a vivere qualche anno in Cina. Fra le altre cose, non potresti avere questa conversazione con me.
Inoltre faccio notare che nell’articolo parlo di mezzi non solo materiali ma anche (e soprattutto) immateriali. Del resto oltre una certa soglia di ricchezza materiale è provato empiricamente che ulteriore ricchezza non apporta maggiore benessere agli individui.
Credo inoltre tu ti stia concentrando troppo sul mio esempio, che voleva essere solo quello: un esempio. Lasciamo perdere le professioni e parliamo di libertà di religione, di movimento, di parola, di stampa, di partecipazione politica, di attivismo ambientale ecc. ecc. ecc.
Il modello liberal-democratico può essere migliorato, lungi da me dire che è perfetto, ma c’è di molto peggio nel mondo, e ignorare questo fatto è estremamente pericoloso per la libertà e il benessere delle generazioni future.
Ho dimeticato di commentare questa frase:
“Quindi il benessere, nella tua definizione, implica costi da scaricare sia sull’ambiente, sia sulle generazioni future.”
Assolutamente no, perché nel calcolo del benessere che propongo le generazioni future sono incluse (come scritto esplicitamente nel mio articolo).
Aggiungo un esempio.
Nel 1910, a Firenze, se eri il quintogenito di un barrocciaio, avevi scelte limitate: ad esempio potevi fare il galardino (quello che raccoglieva le cicche delle sigarette per strada e pazientemente ne estraeva il tabacco, per fare sigarette da vendere alle mogli dei carcerati).
Se eri un Conte Demidoff, potevi costruirti un palazzo bellissimo, potevi riempire un parco di statue, potevi farti ritrarre a cavallo (e il ritratto è ancora a Palazzo Pitti), potevi conoscere artisti straordinari, potevi donare un enorme palazzo ai poveri, e potevi prendere a scudisciate la moglie.
La differenza non sta nel liberalismo, ma nelle risorse a disposizione dell’uno e dell’altro (ideologicamente, il galardino probabilmente era anarchico, il Conte Demidoff era decisamente un liberale).
Proprio per questo non parlo solo di libertà, ma anche di opportunità e mezzi. Naturalmente la distribuzione della ricchezza è un elemento fondamentale relazionato a questo discorso.
E in Cina oggi non importa che tu sia un milionario o un disoccupato nullatenente: non puoi votare, non puoi fare attivismo politico, non puoi professare liberamente la tua religione (a meno che la tua religione non rientri nelle poche riconosciute dal governo cinese), non puoi pubblicare un articolo come quello che trovi in cima a questa pagina. E la lista sarebbe molto, molto più lunga.
Il milionario in cina sta naturalmente molto meglio del disoccupato nullatenente, ma non tanto bene come il milionario in una liberal-democrazia. Stessa cosa per il disoccupato nullatenente.
‘una scelta democratica non deve poter revocare la democrazia’
Questa frase ha dentro se stessa il germe della dittatura. Se ad esempio volessimo inserire in una costituzione democratica un articolo che impedisse di trasformare la democrazia in dittatura saremmo già in una dittatura perché impediremmo a chiunque , anche alle generazioni future, di cambiare la forma dello stato, quindi in pratica avremmo tutte le libertà tranne quella di cambiare il sistema che dobbiamo tenerci fino alla fine dei tempi.
“Democrazia” non è semplicemente una forma di stato, ma un livello evolutivo avanzato di tale forma. Preservarla significa assicurarsi, per quanto possibile, di non vederselo decrescere sotto il proprio naso.
In questo senso condivido l’opzione sinceramente “progressista” di Enrico Fode, al contrario del “loop” cui fa riferimento il commentatore GLuca.
Quando la storia entra in loop, non è più evolutiva ma finisce con l’usare il solo motore della dissipazione delle sue ricchezze (tra cui appunto la democrazia) per via entropica. Magari la dissipazione avverrebbe comunque, ma perchè lasciarglielo fare tagliandoci ogni attributo di speranza di giustizia?
Rispondo con quasi un anno di ritardo a questo commento perché: 1. Purtroppo l’ho visto solo adesso… e 2. Solleva una questione troppo importante, che mi impedisce di ignorarlo.
La frase “una scelta democratica non deve poter revocare la democrazia”, lungi dal contenere il germe della dittatura, rappresenta una difesa irrinunciabile contro il suo instaurarsi.
Ironicamente, lo dici tu stesso:
“…impediremmo a chiunque , anche alle generazioni future, di cambiare la forma dello stato, quindi in pratica avremmo tutte le libertà tranne quella di cambiare il sistema che dobbiamo tenerci fino alla fine dei tempi.”
Non è questo forse meglio che lasciare che la maggioranza voti un cambio di regime che annulli TUTTE le libertà future, INCLUSA quella di cambiare regime? Perché, nel caso tu non lo avessi notato, nei regimi dittatoriali le persone non possono votare per un cambio di regime. In altre parole, tale clausula in constituzione sarebbe più che legittima, e infatti è presente in non poche carte costituzionali.