Sacro” è un concetto che viene raramente chiamato in causa quando si parla di economia, ambiente, sostenibilità, transizione, eccetera, eppure è uno degli elementi principali in gioco ed ignorarlo è probabilmente uno dei numerosi fattori che hanno portato al fallimento di qualunque tentativo di deviare almeno una parte dell’umanità dal binario morto su cui sta rapidamente procedendo.

Il sacro è strutturale al pensiero.

George Dumézil, ha chiarito che, anche se la maggior parte delle fedi fanno riferimento ad una o più divinità, queste non sono essenziali giacché esistono numerose religioni che non ne hanno.  Per lui la religione è

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dunque “una spiegazione generale e coerente dell’universo, che sostiene ed anima la vita delle società e degli individui.”  Dunque altro non è che il modello mentale che usiamo per leggere e capire il mondo, decidere cosa sia bene e cosa male, cosa si debba fare in ogni evenienza della vita, anche se siamo totalmente atei.
Un punto di vista che apre molte finestre nella mente, ma cui manca un tassello: su quale fondamento e con quali materiali viene edificato tale modello?  La risposta ce la dette Mircea Eliade, un altro importante studioso di mitologia e religioni.  Eliade mise infatti in evidenza il ruolo fondante del “Sacro” che, prima ancora di essere un concetto, è un sentimento, anzi una sensazione: quel misto di rispetto, sgomento e reverenziale ammirazione, talvolta di timore e finanche di pura, talaltra di incondizionata gioia che ci pervade quando ci troviamo al cospetto di qualcosa che sentiamo ci trascende.  Qualcosa di fronte a cui avvertiamo con estrema chiarezza la nostra pochezza.
“Sacri” sono quindi oggetti o avvenimenti che, per qualunque ragione, anche del tutto immaginaria, avvertiamo come correlati a qualcosa di incommensurabilmente superiore alle nostre forze ed al nostro comprendonio.  Per estensione, Sacro è ciò che abbiamo di più caro o che ci è più indispensabile, anche se non sempre questa identificazione è esplicita o finanche cosciente.
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Per esempio, sacro può essere un luogo od un oggetto di culto, ma può essere considerato tale anche qualcosa di assolutamente laico come, ad esempio, il confine politico del proprio paese, una promessa solenne o qualunque altra cosa dia senso alla nostra esistenza.  Anzi, direi che proprio il fatto il dare senso all’esistenza di individui e società è la migliore definizione disponibile di “Sacro”.

In ultima analisi, su questa base si edificano infatti non solo i rituali, sia religiosi che laici, destinati a favorirci, ma anche le scale di valore e di priorità che danno struttura ai modelli mentali da cui derivano le organizzazioni sociali ed economiche, così come le decisioni individuali e collettive.  Il Sacro è dunque un prodotto dell’animo e della mente umana, ma non è per questo meno reale dal momento che non solo esiste, ma ha anche un ruolo fondamentale nel determinare le nostre scelte e la nostra condotta, di conseguenza il destino del mondo.
Certo è che, specialmente nelle società fondamentalmente atee come la nostra e molte altre, il passaggio dal sentimento del Sacro alle strutture sociali ed ai modelli politico-economici è particolarmente lungo e contorto, quasi sempre subcosciente, ma la chioma è sempre in rapporto con una radice, in una relazione reciproca in quanto non solo ciò che facciamo è influenzato dal sentimento del sacro, ma anche ciò che facciamo modifica tale sentimento e dunque il significato del corrispondente concetto.
Come fu già messo bene in luce da Feuerbach alla metà del XIX secolo, mentre la prima ondata di rivoluzione industriale sconvolgeva l’Europa e gli europei, già l’evoluzione del Cristianesimo aveva gradualmente
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modificato la concezione di Dio fino a farne, in ultima analisi, un’astrazione di ciò che avremmo voluto essere. «La personalità di Dio è la personalità dell’uomo liberata da tutte le determinazioni e limitazioni della natura», per dirla con le parole del filosofo tedesco.  Con l’esplodere di un progresso tecnologico senza precedenti per velocità e potenza, gli uomini hanno sentito che quelle “determinazioni e limitazioni” andavano perdendo potere e poteva quindi essere immaginato un tempo lontano nel futuro, ma possibile, anzi garantito, in cui sarebbero scomparse, facendo dei noi stessi degli dei.  Quando tutto ciò che più ci affascina, che più amiamo o temiamo, quando tutto ciò che riteniamo identitario ed irrinunciabile è opera nostra, è ovvio che il Sacro diviene qualcosa che si riferisce a noi stessi, non singolarmente come individui, ma collettivamente come “umanità”. Insomma, non è più Dio a creare l’uomo a propria immagine e somiglianza, bensì l’uomo ad immaginare Dio come una sublimazione di sé stesso. “Homo homini Deus est: ecco il principio pratico supremo; ecco la svolta decisiva nella storia del mondo.” Concludeva Feuerbach, poco meno di due secoli or sono.  Il che non significa che Dio, o gli Dei, non esistano; significa che, anche chi pensa di venerare una divinità, quasi sempre sta invece venerando la sua stessa stirpe. Oramai restano solo le grandi catastrofi naturali, come uragani e terremoti, per farci avvertire quel senso di vulnerabilità ed impotenza che i nostri avi chiamavano “Timor di Dio”.

Il “Sacro” è dunque qualcosa di totalmente spirituale, ma gravido di conseguenze molto patiche e materiali perché, se si cessa di avere fede in forze a noi superiori e si ripone ogni speranza nelle “illimitate potenzialità della mente umana”, non solo qualunque azione diviene legittima se porta un beneficio che sia, o possa essere spacciato come utile all’Umanità. Si perde altresì la speranza che una divinità benevola possa salvarci, magari anche solo dopo la Morte ed appunto il totale, isterico rifiuto della Morte (la più evidente di quelle “determinazioni e limitazioni“ di cui parlava Feuerbach) è infatti uno dei segni distintivi della civiltà globalizzata attuale.  Beninteso, morire non è mai piaciuto a nessuno ed il mistero dell’Aldilà ha sempre suscitato inquietudine e finanche terrore, ma noi, a differenza di altri, non abbiamo più neppure la consolazione di immaginarlo un Aldilà, bello o brutto che sia.  Alla fine, il nichilismo rimane l’unica consolazione possibile a sé medesimo.

Il Sacro nell’ambientalismo

Persone che hanno intuito  e stigmatizzato le conseguenze dell’attacco sistematico alla “Natura” ce ne sono state in tutte le epoche, ma l’ambientalismo, come movimento politico, nacque solo alla metà del XX secolo, per poi svilupparsi in molti modi, ottenendo importanti risultati di dettaglio, ma fallendo completamente sul piano strategico.  Fallendo, cioè, nel tentativo di cambiare radicalmente l’atteggiamo umano nei confronti del resto della biosfera.  Uno scacco che preclude qualunque possibilità di uscire dal binario morto di cui si è fatto cenno.  La “religione” (sensu Dumézil) dominante continua infatti ad essere quella che venera prima e sopra di tutto l’Umanità stessa (sensu Foerbach) e questo permea profondamente non solo ogni fede strutturata, ogni strato sociale ed ogni tendenza politica, ma perfino la stragrande maggioranza dei movimenti ambientalisti.  Fanno eccezione solo frange afferenti alla cosiddetta “Ecologia profonda“, rimaste però del tutto marginali.
Basti pensare al netto rifiuto di ogni ipotesi di razionamento dell’energia, dell’acqua e di altre risorse essenziali anche da parte di persone sensibili alle questioni ambientali, quando da decenni sappiamo benissimo che ridurre drasticamente i nostri consumi finali è l’unico modo che abbiamo per gradualizzare il collasso della nostra economia e, forse, guadagnare il tempo necessario per costruire qualcosa di alternativo; qualcosa di certamente molto meno confortevole dell’attuale, ma altrettanto certamente migliore di un collasso brusco e duro come in alcuni paesi è già avvenuto ed in altri sta avvenendo proprio adesso. L’isterica reazione all’epidemia di Covid, con l’assurda pretesa di “fermare” un virus di questo tipo, è un altro recente esempio, ma qui vorrei invece citare un altro caso, assai meno drammatico, ma non per questo meno significativo: i “17 obbiettivi dell’Agenda 2030”, pomposamente approvati da 193 stati e dall’ONU in seduta plenaria.
Già che si sia reiterata l’etichetta usata per la fallimentare “agenda ‘21” la dice lunga su quanto si sia capito di ciò che sta accadendo, ma casomai qualcuno potesse avere dei dubbi, sopravviene il sottotitolo: “Programma d’azione per le persone, il pianeta e la prosperità”.

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Di questi diciassette obbiettivi ben 13, fra cui tutti i primi 12, sono infatti interamente finalizzati ad incrementare il benessere umano e dunque, inevitabilmente, incrementare i consumi e gli impatti antropici, anche se teoricamente tale incremento potrebbe essere limitato in vari modi.  Un altro obbiettivo è dedicato all’ovviamente necessaria collaborazione fra enti, stati ecc., uno alla crisi climatica e solo due espressamente alla tutela della Vita sulla Terra, comunque in un’ottica di sostegno al progresso della popolazione umana.  Ovviamente, non c’è nulla di male, semmai il contrario, nel perseguire migliori condizioni di vita, minori sperequazioni sociali, etniche e sessuali, maggiori libertà individuali, eccetera.  Il punto è che, concedendo sempre e comunque la priorità all’incremento del benessere umano ed ignorando il fatto che fermare la catastrofe climatica, il collasso della biosfera e l’alterazione dei cicli bio-geo-chimici (tutti fenomeni strettamente interdipendenti) costituisce una contitio sine qua non per la sopravvivenza stessa della nostra specie, l’intero documento manca di coerenza interna e perde quindi tanto di cogenza, quanto di credibilità.
Eppure, questo come molti altri documenti simili, vengono presi sul serio anche da persone senza dubbio intelligenti e colte, sinceramente preoccupate per la piega che stanno prendendo gli eventi.
Come è possibile? Una domanda che, a mio avviso, trova facile risposta nell’attuale concezione di “Sacro”.  Se sacra è la vita umana, significa che la sua tutela e protezione fa aggio su qualunque altra cosa e che derogare da questa regola è sacrilego; impensabile, anche a costo di chiudere occhi ed orecchie sui perversi meccanismi che proprio questo approccio ha creato e sta mantenendo, condannando la nostra civiltà e molti di noi con essa.  Anche a costo di affidarsi fideisticamente al ruolo salvifico della tecnologia.   Del resto, non molto diverso è l’atteggiamento di quanti propugnano, anche con la violenza, un “Ritorno ai valori tradizionali” (spesso reinventati ad hoc) perché anche per loro l’Uomo resta sempre e comunque sacro, mentre Dio è solo un paravento ed un pretesto.
D’altronde, proprio la nostra pretesa sacralità, fa sì che un approccio sostanzialmente diverso sarebbe inaccettabile e, dunque, a maggior ragione fallimentare. Non è un caso se, malgrado ormai da quasi cento anni abbiamo tutte le conoscenze scientifiche e le competenze tecniche necessarie per evitare il vicolo cieco, non solo ci siamo entrati ugualmente, ma tuttora rifiutiamo di uscirne.
Certo, questo stallo dipende anche da altri sentimenti, non ultimi la pigrizia, l’avidità e la paura, ma fondamentalmente ogni scappatoia dal Fato che abbiamo maturato ci è preclusa dall’incapacità ad accettare nuovamente quelle “determinazioni e limitazioni” che abbiamo orgogliosamente rifiutato.  Beninteso, è chiaro che dal mio punto di vista la vita mia e degli altri altri umani è, e sempre sarà, più importante di quella di altri organismi, ma si tratta appunto del mio punto di vista di essere umano, non di un’oggettiva superiorità: ammettere che la nostra vita non è né più sacra, né più importante di qualunque altra cosa su questa Terra sarebbe il primo passo per poter intraprendere una strada diversa.  Una strada che non condurrebbe all’ utopico futuro di pace e benessere che ci siamo promessi in infinite varianti, ma che, perlomeno, potrebbe dare un senso alle sofferenze che comunque patiremo. Forse anche permettere ad una maggior percentuale di biosfera di sopravvivere all’attuale “collo di bottiglia”, regalandoci la speranza di lasciare un mondo abitabile ai nostri discendenti.

 

 

 

 

 

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