Cinghiali: ci sono sempre stati e sempre hanno fatto qualche danno, peraltro compensato dalla gustosa carne che, loro malgrado, hanno sempre portato in tavola. Sterminati nel recente passato, sono tornati prepotentemente alla ribalta, pare che siano diventati un’emergenza nazionale, tanto che lo Stato interviene pesantemente con la legge n. 197 del 2022 che dovrebbe essere la legge di bilancio e che, in realtà, parla di tutto e di più. Un solo articolo con 903 commi: il classico elenco di provvedimenti a pioggia per tappare buchi urgenti ed accontentare lobby importanti, senza nessuna sia pur minima traccia di strategia e coerenza. Insomma un monumento al fallimento della politica. Comunque, qui ci interessano i commi 447-448-449 che modificano la legge 157 del 1992 (Norme per la protezione della fauna selvatica omeoterma e per il prelievo venatorio) stabilendo che regioni e provincie autonome possono decidere di ammazzare “specie di fauna selvatica anche nelle zone vietate alla caccia, comprese le aree protette e le aree urbane, anche nei giorni di silenzio venatorio e nei periodi di divieto.”
Tanto per cominciare, si introduce volutamente una finestra, o perlomeno, uno spiraglio interpretativo, che potrebbe essere sfruttato per uccidere anche lupi, orsi, aquile e quant’altro, visto che il riferimento all’art. 18 della legge 157 (che stabilisce le specie cacciabili) non è ripetuto nei punti seguenti al primo e non è per una svista, perché è stato fatto notare in parlamento. Tanto che a Bruxelles qualcuno ha drizzato le orecchie e chiesto chiarimenti, malgrado di questi tempi da quelle parti siano più preoccupati dai carri armati che dalle doppiette.
Ma facciamo finta di fidarci e che davvero il provvedimento riguardi solo i maiali selvatici, abbiamo comunque un meraviglioso paradosso: i cacciatori che, come categoria, sono sia i responsabili del problema, sia coloro che ne traggono beneficio, ottengono dallo stato ulteriori vantaggi a spese altrui.
I danni dei cinghiali.
Fanno danni i cinghiali? Si, certo, ma quali e quanti? I principali riguardano l’agricoltura, sia per i raccolti perduti che per il grufolamento di prati e pascoli che, se limitato, è anzi giovevole, ma che se esteso e ricorrente rappresenta effettivamente un danno importante. Vi sono poi anche altri costi più indiretti come recinzioni più efficaci, il tempo perso per chiedere i rimborsi, la rabbia di fronte ad un campo grufolato, fino ai calmanti che talvolta è necessario prendere (previa ricetta medica).
A livello nazionale, l’entità di tutto ciò è stata monetarizzata dal Ministero in oltre 100 milioni in 6 anni, dunque una media di circa 17 milioni l’anno, in peggioramento. Per confronto, si consideri che i danni accertati dovuti ai lupi nello stesso periodo, sono stati circa 10 milioni, vale a dire 1/10. Se si considera che nei medesimi anni risulta che siano stati abbattuti circa 300.000 cinghiali l’anno (sempre con tendenza all’aumento) si fa presto il calcolo che ogni cinghiale incarnierato costa al contribuente più di 500 euro, considerando solo i danni rimborsati, che sono una parte di quelli subiti dagli agricoltori. Di contro, ogni cinghiale frutta ai cacciatori perlopiù fra i 500 ed i 200 euro. Anche se le cifre sono molto variabili a seconda della località, della stagione ecc., si capisce bene che sia un grosso business. Ciò che risulta meno chiaro è perché le autorità lo incoraggino, anche con la norma di cui abbiamo appena parlato, anche se non sembra.
Quanti sono i cinghiali?
Storicamente erano diffusi ovunque, ma ai primi del ‘900 erano stati ridotti ad un’area a cavallo fra la Calabria settentrionale e la Basilicata meridionale e zone della Sardegna, oltre che in piccole parti di altre regioni dove erano stati protetti in alcune grandi riserve di caccia sia private che demaniali. I fattori principali di un tale declino erano stati la caccia (anche di frodo), ma soprattutto, il disboscamento e la presenza capillare di una popolazione umana molto inferiore a quella attuale, ma molto più sparpagliata sul territorio.Soprattutto negli anni ’70 e ’80, ma fino ai giorni nostri o quasi, i cacciatori hanno cominciato a reintrodurre questi animali, utilizzando perlopiù cinghiali catturati od allevati in est Europa perché erano più grossi, più prolifici e meno costosi di quelli nostrali. Rapidamente, però, sorsero una miriade di allevamenti che vendettero sia per carne che per ripopolamento animali di origine anche molto stravagante, spesso ibridati con varie razze di maiale domestico sia per renderne più tenera la carne, sia per aumentarne il peso e la prolificità. Dal 2015 l’immissione in natura di cinghiali è vietata, ma non il commercio e, comunque, si potrebbe parafrasare un celebre proverbio in: “E’ inutile chiudere la stalla dopo che i cinghiali sono scappati”. Tanto più che niente è ancora stato fatto per contrastare le altre cause del vertiginoso aumento di questa specie.
Ad oggi, si stima che in Italia ci siano da uno a due milioni di cinghiali a seconda delle fonti, ma comunque in aumento esponenziale. Dunque anche se l’” emergenza cinghiali” è in parte una montatura politica, non lo è del tutto e, soprattutto, potrebbe davvero diventarlo, specie se ci si ostinerà a contrastarla con metodi controproducenti.
Metodi ci caccia.
Ci sono molti modi per ammazzare i cinghiali, sia leciti che non. Fra gli illeciti, il più efficace e crudele sono i lacci. Fra i leciti, c’è la caccia individuale, in cui il cacciatore cerca o aspetta un singolo animale, e varie tipologie di caccia collettiva fra cui la più popolare è la battuta, a sua volta articolata in varianti a seconda del numero di persone coinvolte. Comunque, si tratta di circondare un territorio più o meno vasto e batterlo, anche con l’ausilio di mute di cani, per stanare ed inseguire i cinghiali che, fuggendo, finiscono sotto il tiro di cacciatori appostati lungo i passaggio obbligati o, comunque, più probabili. Alla fine della giornata sono spesso decine i capi abbattuti con gran soddisfazione dei cacciatori e dei contadini che, però, sono quelli che ci rimettono. Questo tipo di caccia, infatti, non solo ha impatti devastanti su tutta la fauna, è anche la principale causa sia dell’incremento esponenziale delle popolazioni, sia dell’elevata erraticità degli animali sfuggiti alla trappola. Già, perché mentre i cinghiali in natura si spostano su distanze nell’ordine delle centinaia di metri, gli animali terrorizzati dalle braccate fuggono anche per decine di chilometri e non tronano mai più a casa. Privi di qualunque riferimento, vagano quindi cercando da mangiare che, spesso, finiscono per trovare nei campi di qualcuno e perfino nelle periferie, specie laddove la raccolta dei rifiuti non è quella che dovrebbe essere.D’altro canto, in condizioni normali i cinghiali vivono in famiglie in cui solo la femmina più anziana e grossa si riproduce una volta all’anno. La distruzione della struttura sociale e lo stress conseguenti una battuta, provocno invece l’estro in tutte le femmine sopravvissute, anche se di età molto più giovane del normale, e per due volte all’anno. I meccanismi fisiologici e etologici sono stati studiati in dettaglio e passano attraverso la chimica sofisticata dei feromoni, ma di fatto è così che funziona.
Per soprammercato, in molte zone i cacciatori hanno anche l’abitudine di nutrire i cinghiali nei periodi di silenzio venatorio, così da aumentare il tasso di sopravvivenza dei cuccioli, cioè esattamente il contrario di ciò che sarebbe necessario per stabilizzare la popolazione. Cosa che invece fanno i predatori naturali, specialmente i lupi, che attaccano quasi esclusivamente i giovani ed i porcellini. Solo che non è pensabile che circa 3000 lupi e un centinaio di orsi possano da soli controllare uno o due milioni di cinghiali. E allora?
C’è rimedio?
Si, perlomeno parziale, ma solo se si esce dall’ottica grossolana di “e allora li ammazziamo a più non posso” che è comprensibile da parte degli agricoltori danneggiati, ma non da parte del legislatore che avrebbe il dovere di fare i conti con come funzionano le cose. Ed a questo proposito, tanto per cominciare, non si può pensare di porre rimedio a 50 anni di errori nel giro di pochi anni, men che meno con un articolo di legge buttato a casaccio, tanto per accontentare un manipolo di potenziali elettori.
Per quanto riguarda la stabilizzazione delle popolazioni, le azioni principali dovrebbero comunque essere 4:
– Incrementare la quantità e varietà dei predatori (che però marginalmente attaccano anche il bestiame domestico).
– Vietare le battute, o perlomeno ridurle ad un occasionale fenomeno di folklore.
– Concentrare l’attività venatoria sui giovani dell’anno.
– Vietare di appastare gli animali, se non come trappola per un prelievo mirato di giovani.
Purtroppo, sono tutti provvedimenti impopolari e dunque improbabili. Il primo per i danni al bestiame domestico che per la paura che i grandi predatori suscitano in molte persone (e la speculazione politica conseguente). Gli altri tre soprattutto perché ridurrebbero drasticamente il ritorno economico di questa forma di caccia.
Per quanto riguarda gli incidenti stradali, in certe zone sarebbero utili dei sotto- o sovrapassaggi per gli ungulati, ma più economici e generalizzabili sarebbero dei limiti di velocità , non dimentichiamo che comunque sono le auto ad investire gli animali e non viceversa.
Per le periferie urbane, evidentemente rimane molto da fare per migliorare la raccolta differenziata dei rifiuti, ma comunque, in questi contesti (dove guarda caso si trovano prevalentemente giovani) uccidere tutti i cinghiali ha senso, solo che è un’operazione difficile e rischiosa che richiede personale specializzato, pena un rischio estremo di incidente grave.
In ogni caso, i costi di tutto questo dovrebbero essere addebitati a coloro che tutto questo hanno provocato e qualcuno ha cominciato: ad esempio, in Francia i danni causati dai cinghiali li pagano i cacciatori, non lo stato. Non è sufficiente, ma è già qualcosa.
E’ uscito ‘La caduta del Leviatano. Collasso del capitalismo e destino dell’umanità‘, libro scritto da Jacopo Simonetta e Igor Giussani.
Jacopo, io più leggo cose scritte da “esperti” più sono scettica e mi sembra sia in atto una campagna contro contadini e cacciatori che distorce la realtà.
Esito un po’ a dibattere con te su questi temi, perché ci ho provato con il lupo e non ho cavato un ragno dal buco, ma provo a sottolineare alcune contraddizioni di questo testo:
1. se dal 2015 non si possono più immettere cinghiali in libertà, e se dar da mangiare ai cinghiali è illegale, perché far ancora pagare i cacciatori? (io non ho mai visto né sentito che i cacciatori dessero da mangiare ai cinghiali, anzi la gente in montagna si arrabbia se trova i prati buttati tutti per aria e spesso sono le stesse persone che cacciano e danno il sale ai caprioli, ma evidentemente da altre parti le cose funzionano diversamente; ad ogni modo è vietato per cui non capisco perché i cacciatori onesti dovrebbero pagare per i delinquenti)
2. su questo blog avevo linkato qualche settimana fa un articolo *scientifico* che mostrava che in Italia i cacciatori abbattono molti più cinghiali dei lupi, dati alla mano. L’hai visto? Se no cerco di tirarlo fuori di nuovo. Tra l’altro al cacciatore puoi dire cosa è meglio abbattere (si fa già con altre specie, i cacciatori prendono ordini dalle guardie forestali), mentre il lupo uccide quello che conviene a lui, dato che dispone di armi meno potenti
3. perché le battute con i cani dovrebbero essere proibite perché fanno l’effetto che tu descrivi, ma è bene che i cinghiali vengano cacciati dai lupi? Dal punto di vista del cinghiale è la stessa cosa, un cane è un lupo; un lupo da solo difficilmente affronta i cinghiali, quindi un branco di lupi a rigor di logica dovrebbe fare lo stesso effetto di una muta di cani. Secondo la tua logica, che il cinghiale spaventato si riproduce di più (reazione evidentemente evolutiva e quindi esistente da prima dei cacciatori), la cosa peggiore è farlo cacciare da predatori selvatici, giusto?
4. te lo dico anche se non serve a niente: i lupi non predano “marginalmente” gli animali domestici, ma lo fanno in enormi quantità, tanto da aver fatto sparire la pastorizia da intere valli, anche perché non sono stupidi e capiscono benissimo che una pecora o capra o persino un cagnolino o gattino sono indifesi e spesso recintati, mentre un cinghiale è in libertà e soprattutto se i lupi minacciano i suoi cuccioli quello li sventra senza problemi e i lupi lo sanno. Ci sono video in rete di lupi che si avvicinano a un cinghiale e appena ne arrivano altri o questo lo minaccia se la svignano subito
A me non interessa prendere parte in questo dibattito per una particolare strategia di contenimento rispetto a un’altra, e so che io e te su questo non ci intendiamo, però sono stufa della demonizzazione di mestieri e stili di vita tradizionali e della minimizzazione degli enormi costi imposti a comunità marginali di scelte sbagliate imposte da esperti che sanno come funzionano le cose in teoria, ma non in pratica.
Le società di cacciatori e raccoglitori sono attualmente tra le più sostenibili, e anche la pastorizia nomade, se non eccessiva, lo è. Pensate a demonizzare l’agricoltura e l’allevamento industriali, non l’abbattimento dei cinghiali, che, con tutto il rispetto per l’animale, possono fornire anche buona carne sana
Ciao Gaia, per punti:
1 – Dal 2015 i ripopolamenti sono vietati e credo che di abusivi se ne facciano pochi o punti. Ma oramai il danno è fatto e lo hanno fatto i cacciatori (come categoria, non ogni singola persona).
2 – Ovvio che i cacciatori ammazzino molto più cinghiali dei lupi. I lupi sono circa 3000 ed i cacciatori 500.000, assai meglio armati. Il punto contro intuitivo è proprio questo: ne ammazzano troppi di quelli sbagliati e questo fa crescere esponenzialmente la popolazione. Sia per motivi di piacere che per motivi economici, i cacciatori ammazzano prevalentemente adulti, secondariamente giovani. Bisognerebbe ammazzare soprattutto porcellini e secondariamente giovani, senza spaventare troppo gli adulti. Capisco bene che non faccia piacere sparare sui porcellini (manco io lo farei), ma allora non raccontare che gestisci la popolazione.
3 – l lupi non organizzano battute, non abbaiano, sono molto pochi, inseguono le possibili prede per poco ecc. Insomma spaventano molto meno dei cani e degli umani annessi. E i lupi mangiano quasi esclusivamente giovani e giovanissimi. Comunque, non è pensabile che i lupi da soli possano controllare uno o due milioni di cinghiali, a meno di non avere decine di migliaia di lupi, cosa da evitare perché allora davvero avremmo un problema di troppi lupi; mi pare di essere stato esplicito su questo. Semplicemente, occorre far capire o imporre ai cacciatori di cacciare con delle modalità che stabilizzino la popolazione di cinghiali anziché farla crescere. Sarebbe, meno divertente e remunerativo, ovvio, ma di necessità virtù, dicevano le nonne.
4 – Se dire che qualcuno fa una cosa sbagliata e che il governo lo incoraggia significa demonizzare qualcuno, allora rimane poco da dire, mi pare. Per inciso, io non sono contrario alla caccia per principio e da giovane ci andavo anche io. Capisco bene gli animalisti, ma in un paese come l’Italia non si potrebbe vietare la caccia come alcuni vorrebbero. Tuttavia, sarebbe gran tempo che i governi smettessero di inseguire le piccole lobby per imporre dei modi e dei tempi ragionevoli di andare a caccia. Ma non succederà, non ho dubbi su questo.
Jacopo, ok, ma mi sembra che nel testo dici una cosa e nei commenti un’altra. Se il danno è stato fatto in passato, perché punire i cacciatori di oggi facendogli pagare i danni dei cinghiali, che non hanno causato loro? Se i cacciatori uccidono più cinghiali dei lupi, perché dici che il problema lo risolveranno i lupi? Basta dire ai cacciatori di ammazzare i piccoli anziché gli adulti (non piace neache a me, per niente, ma se è necessario si dovrà fare).
Mi sembra che la soluzione che proponi in questo commento, cioè dire ai cacciatori di fare la caccia come serve e non come la fanno adesso, sia il contrario di quello che dici nel testo, cioè di tassare i cacciatori e lasciar fare solo ai lupi (non sto negando che anche i lupi e gli orsi abbiano un ruolo).
Semmai a me scandalizzava che fino a poco tempo fa i cinghiali uccisi fossero inceneriti anziché mangiati, per motivi burocratici. Quella sì è una cosa che grida vendetta.
Per il resto, a me fanno pena i cinghiali che non hanno la colpa di esistere, ma vanno abbattuti in grosso numero per tornare a un equilibrio, sono una fonte di carne buona (se controllata), dovremmo approfittarne, mangiarceli e smetterla di bisticciare tanto, non mi sembra questo il problema. Semmai il problema è la mancanza di sufficienti habitat selvatici e fonti di acqua per la fauna.
P.S. Gli “animalisti” sono purtroppo uno dei sintomi della follia della nostra epoca. Alcune delle loro battaglie sono sacrosante (soprattutto quando parlano di esperimenti scientifici molto discutibili e crudeli o di sussidi agli allevamenti intensivi), ma dopo aver avuto a che fare di persona con alcuni di loro come allevatrice, e aver sentito anche le storie di persone dell’ambiente, sono una vera peste. La maggior parte non capisce niente di ecologia e trattano gli animali come se fossero persone (e le persone alle volte come animali).
Essere ecocentrici non dovrebbe voler dire non capire il ruolo di ogni elemento in un sistema, o pensare che la vita di un umano possa valere – per un umano! – come quella di un altro animale, perché così è impossibile stare al mondo.
E la battaglia contro la caccia tout court dimostra quanto sono ignoranti di ecologia e fanatici.
Dopo 40 anni di professione nel campo e numerose collaborazioni con organizzazioni ambientaliste, venatorie e agricole, ti posso assicurare che la probabilità di una discussione utile è molto scarsa. Un aneddoto per tutti. Giorno X in un paesello appenninico, riunione con gli agricoltori: tutti incazzatissimi contro i cacciatori che liberano e appastano i cinghiali, che sparano negli alberi, che pesticciano nel seminato e chi più ne ha più ne metta. Giorno X+ 7, stesso luogo stessa ora, riunione con i cacciatori: tutti inferociti contro i contadini che spargono veleni, che chiudono tutto, che sbarbano le siepi, ecc. ecc. Il dettaglio interessante è che almeno la metà delle facce erano le stesse della settimana precedente. Amen.
Jacopo, la mia esperienza è stata diversa. Forse cambia da nord a sud, non so, ma dov’ero io si faceva anche la caccia di selezione, seguendo le istruzioni della Forestale, e non c’era tutto questo disaccordo delle persone contro se stesse. Cinghiali rari e difficilissimi da prendere.
Di solito le comunità si autoregolano, pur con molte imperfezioni, e sono insofferenti alle direttive che arrivano da fuori, che siano sensate o (spesso) no.
Per quanto mi riguarda il problema della caccia non è tanto in montagna o in zone rinaturalizzate, ma in pianura dove non c’è niente e si liberano quei poveri fagiani per farli impallinare tra i campi da pensionati col cane. La pesca ha preso una simile assurda piega. Caccia e pesca dovrebbero essere consentite solo dove c’è un habitat sufficientemente sano da mantenerle NATURALMENTE (o dove una specie si è espansa in modo insostenibile, tipo i cinghiali). E solo gente del luogo, non persone di fuori. Idem con funghi e tutto il resto. Vuoi cacciare e raccogliere? Vai dal tuo comune e fatti aprire un parco se ci riesci, non venire a rubare la roba agli altri.
La caccia non si può eliminare e sarebbe pericoloso e stupido farlo. Se le energie ambientaliste si spostassero dal cercare di eliminare la caccia al regolamentarla e al cercare di parlare e ragionare con i cacciatori, penso che ci guadagneremmo tutti.
E comunque se il cibo non costasse così poco nessuno lo sprecherebbe dandolo ai cinghiali. Il basso costo del cibo è una delle storture da raddrizzare del nostro tempo.
“Il basso costo del cibo è una delle storture da raddrizzare del nostro tempo”
Buona questa, da premio Darwin.
E come dovremmo raddrizzarla, questa stortura?
Leggi il mio libro sui contributi all’agricoltura se vuoi una spiegazione dettagliata.
Considera che si possano avere altre priorita’ che leggere libri di una che scrive che bisogna “raddrizzare la stortura del cibo che costa poco”.
Il problema è che il cibo costa troppo poco per i contadini e gli allevatori, mentre costa relativamente caro per i consumatori. La maggior parte del prezzo lievita lungo la filiera intermedia.
Ci sono poi anche altri fattori ancora più strutturali come il costo dell’energia, il dissesto ambientale e climatico, l’indebitamento ed i costi obbligatori ecc. che in modi diversi stanno strangolando sia i produttori che i consumatori cosicché il prezzo risulta troppo basso per chi vende e, contemporaneamente, troppo alto per chi compra. Così, alla fine ci rimettono entrambi. Il mercato funziona solo in determinati contesti e nel contesto in cui siamo entrati funziona sempre meno. Se ti interessa sapere perché, secondo Igor e me, leggi “La caduta del leviatano”.
Teoricamente, cacciatori ed ambientalisti dovrebbero essere dalla stessa parte visto che entrambi vogliono il più animali possibile. E invece sono nemici giurati, con non poche ragioni per esserlo. Io ho fatto parte di tutte la associazioni ambientaliste nazionali, anche con ruoli nazionali, e sono riuscito a collaborare con la federcaccia durante una breve ed interessante stagione in cui avevano una dirigenza toscana ragionevole, almeno su alcuni punti (non tutti). Ma si è trattato di una meteora.
Sui cacciatori non commento perché non so esattamente a cosa ti riferisci (ma posso immaginarlo).
Per quanto riguarda gli ambientalisti, temo che c’entri la deriva animalista dell’ambientalismo, che sta facendo casini da tutte le parti (come se non ne avessimo già abbastanza).
Mi sto occupando della questione ‘selvatici’ da qualche tempo, anche perchè sono una contadina e quindi appartengo, mio malgrado, a quella categoria che ha fatto sì che dal 1970 il peso collettivo dei mammiferi selvatici sia diminuito dell’82% e solo il 4% dei mammiferi oggi vive in ambienti selvatici.
Non esiste un problema cinghiali, esiste un obiettivo in funzione del quale si crea mediaticamente la percezione di un problema.
1. da qualche anno Coldiretti sforna una numerosità della popolazione di questi ungulati senza alcuna base scientifica. Questi dati vengono ripresi dalle testate dei giornali, senza che nessun* giornalista ne verifichi la veridicità.
2. nel 2015 è stata fondata un’associazione che ha tra i suoi scopi quello di creare una filiera legale della carne selvatica, che oggi invece circola, ma in nero; quello di affidare al cacciatore l’educazione ambientale nelle scuole per allevare una nuova generazione di cacciatori a cui vendere le armi – che per fortuna la vecchia generazione sta uscendo di scena; quello di svuotare il concetto di biodiversità per sostituirlo con un nuovo brand. Nel comitato scientifico troviamo Federcaccia, Arci Caccia, Slow Food, Federparchi, Università di Urbino, Beretta, CNCN (produttori di armi e munizioni aderenti a Confindustria), Symbola – che è l’assoc. di Ermete Realacci.
3. Nel 2022 l’assoc. di cui sopra stringe il patto finale con l’agricoltura, ovvero con Coldiretti, e nasce Agrivenatoria Biodiversitalia. Obiettivi: filiera e indotto della carne dei selvatici, sottrazione della gestione dei parchi venatori (e in futuro di tutti i parchi) da Ministero Ambiente a Ministero Agricoltura. La promessa è di fare avere la PAC ai parchi venatori, assimilandoli – fiscalmente – alle aziende agricole. Creare il brand biodiversità italiana, attribuendole concetti che fan rizzare i capelli in testa aa chi si occupa seriamente di ambiente.
Tutti i passi che sono stati fatti dal 2015 ad oggi vanno in questo senso. Basta leggere i titoli degli articoli di Coldiretti sui cinghiali per capire come la propaganda ha lavorato in modo sottile per tanto tempo. I cinghiali creano un incidente ogni 48 ore, provocando più di 200 fra morti e feriti sulle strade in un anno, i cinghiali hanno cacciato i contadini dalle loro terre: ben 8.000 km², un’area pari all’intero Friuli Venezia Giulia, sono stati abbandonati perché orde di cinghiali hanno distrutto ‘’suoli fertili, ora esposti a erosione e dissesto idrogeologico’’, ecc ecc. Tutte affermazioni false e risibili se non fosse che i quotidiani le ripetono tipo mantra.
Quindi cerchiamo di avere uno sguardo più ampio e lasciamo in pace il selvatico, in tutte le sue forme.
Ciao, grazie delle informazioni da un punto di osservazione particolarmente interessante. Io ho fatto l’ecologo di campagna dal 1981 ed a mia esperienza di cinghiali ce ne sono effettivamente troppi, anche se non ovunque e non nella misura in cui si racconta sui giornali. E’ una storia analoga, sotto alcuni aspetti, a quella dei lupi. Una migliore gestione sarebbe quindi necessaria, ma non è quello che si profila. Ciò che si profila è infatti l’ennesima perversione di una buona idea su cui, fra gli altri, negli anni passati avevo lavorato anche io. Un assortimento di ungulati selvatici è infatti in grado di produrre più carne di un equivalente biomassa di ungulati domestici, senza tutti i problemi derivanti da predazione, perdita di biodiversità, erosione, ecc. che spesso si verificano con la mandrie domestiche. Per di più, i cacciatori sarebbero disposti a pagare per divertirsi a sparare. Un fatto eticamente discutibile, ma che potrebbe essere utilizzato a beneficio delle popolazioni montane. Questo però presuppone un approccio alla materia che consideri la gestione degli habitat come prioritaria ed il business come sottoprodotto. Cioè esattamente il contrario di quello che si sta organizzando.
La popolazione dei cinghiali varia in base alle risorse alimentari disponibili, ai predatori, ai cacciatori. Non è vero, come scritto sopra, che le popolazioni non vengono integrate e nutrite. Soprattutto in Toscana sono continui i ritrovamenti di allevamenti per il.futuro rilascio, spesso di cinghiali ibridati.
Anche questa cosa di dare lavoro alle comunità montane, al di là dell’aspetto etico (che per me è sostanziale, ma non lo è per tutti), se si parla di stabilimenti di lavorazione, è qualcosa di improponibile se si pensa agli investimenti necessari per lavorare alimenti deperibili.
Chi può sostenere queste spese per qualche cinghiale al mese?
Se invece si parla di far pagare i cacciatori, questo esiste già, sono appunto i parchi venatori.
Non è questo il punto. La gestione di un popolamento di ungulati ai fini di produzione commerciale di carne è una faccenda complicata che non si esaurisce nell’organizzare delle battute. Anzi, le battute sarebbero la prima cosa da evitare. Scusami, ma non posso riassumerti quello che era il corso che tenevo ad Agraria in un commento e neppure in un articolo. Diciamo che attualmente mancano tutti i presupposti legali e culturali per fare una cosa del genere. Poi, devo anche dire che non me ne occupo più da parecchi anni per cui non sono aggiornato.
Jacopo, ho letto solo adesso (sapete che il sito ha problemi, vero?)
Non sono d’accordo sul fatto che il cibo sia troppo caro per chi compra, se non nel senso che chiunque compri una qualsiasi cosa pensa che sia troppo cara. Spendiamo una proporzione del nostro reddito in cibo minore rispetto a praticamente qualsiasi altra era passata (e anche rispetto a molti paesi dove la gente è povera verament). Ne sprechiamo quantità impressionanti. Basterebbe il solo fatto da te sottolineato di alimentare i cinghiali a far capire quanto siamo all’assurdo. O il proliferare di animali domestici e da compagnia, colonie feline, ecc. Questi mangiano la stessa roba che mangiamo noi: chi in passato, se non i faraoni o i nobili inglesi, avrebbe mantenuto cani e gatti che non cacciano topi o hanno altri utilizzi pratici?
Ricevo regolarmente scatoloni di pane altrimenti buttati via, da dare ai miei animali. Ti immagini, centocinquant’anni fa, buttare via scatoloni di pane?
Anche il discorso della filiera è vero fino a un certo punto. Persino i prezzi della vendita diretta sono troppo bassi – molti contadini lavorano in cambio di nulla, o aspettano i contributi. Pochi possono dire di avere un reddito decente sulla base di quello che ricevono per i propri prodotti, anche se fanno vendita diretta.
Io ho costi di produzione quasi zero: un po’ di granaglie per le galline, sale per gli animali, e cambiare le attrezzature ogni tanto. Ho solo spese burocratiche, e già questo è un problema. Ma anche facendo vendita diretta, non ci sto dentro perché i prezzi che posso chiedere sono troppo bassi.
Il fatto è che il reddito agricolo non è considerato. Se tu calcoli la quantità di ore che ci metti per produrre una certa quantità di cibo, ti accorgerai che gran parte degli agricoltori lavorano praticamente gratis. Oggi ho letto che Coldiretti chiede di ampliare il decreto flussi, già riempito: in agricoltura vengono a lavorare solo schiavi.
Tutto vero quel che dici. Uno dei punti della questione è che l’intero sviluppo economico degli ultimi 100 anni ed in particolare post-bellico si è basato sul ridurre la spesa alimentare così da liberare reddito per l’acquisto di altri beni, così da sviluppare varie filiere industriali. Come al solito, abbiamo esagerato adesso siamo incastrati.
Silvia, magari ogni regione è talmente storia a sè che la realtà cambia completamente, però a quanto ne so la necessità di poter vendere e commerciare carne selvatica, qui almeno, deriva dal fatto che i cinghiali abbattuti venivano inceneriti per motivi sostanzialmente burocratici, e poi importavamo carne di animali selvatici dall’Europa dell’Est. Una delle tante assurdità del nostro tempo. Gli esseri umani hanno sempre mangiato carne di animali cacciati, può essere un modo molto ecologico e persino etico di nutrirsi (in parte, non del tutto, siamo troppi ormai).
Leggendo i commenti tuoi e di Jacopo, mi rattristano per motivi speculari, perché entrambi si basano sulla demonizzazione di qualcosa che non capiscono e quindi vorrebbero eliminare, in barba ai desideri e ai bisogni altrui: tu perché fai parte di coloro che demonizzano la caccia tout court, e Jacopo perché demonizza l’allevamento.
Sulla caccia, ho scritto questo se qualcuno ha voglia di leggerlo: https://gaiabaracetti.wordpress.com/2021/09/21/abolire-la-caccia-invece-e-una-pessima-idea/
Per quanto riguarda l’allevamento, Jacopo: non cadere anche tu nella trappola di chi pensa che le cose siano misurabili solo come quantità, e non come qualità. Il cibo non si produce “a peso”: è parte dell’ecologia, della cultura, ha proprietà nutrizionistiche diverse, crea strutture di classe, economie, territori, ambienti diversi… perché ce l’hai così tanto con la pastorizia? Dovresti sapere che il problema dei predatori troppo numerosi non si risolverebbe eliminando completamente gli animali allevati, dato che i lupi mangiano regolarmente anche cani e gatti e in passato, e in alcune aree del mondo tutt’ora, attaccano e alle volte uccidono anche le persone, che tu ci creda o no: https://en.wikipedia.org/wiki/List_of_wolf_attacks
Gli orsi idem, anche se gli animalisti più estremisti danno sempre colpa all’uomo che avrebbe “provocato”, un po’ come l’Ucraina ha provocato la Russia… la provocazione è a discrezione del “provocato”!
Inoltre eliminando la pastorizia e l’allevamento elimineresti, oltre a un’intera economia e habitat (i selvatici non creano, dalle nostre parti, i prati che crea lo sfalcio o il pascolo), anche latte, formaggio, pellami, uova, e possibilità di vivere in simbiosi con degli animali ma rispettandone la natura. E una cultura millenaria calibrata attentamente su ambienti delicati, che tu arrogantemente cancelleresti con un colpo di spugna. Perché ti accanisci così tanto??
Gaia, guarda che non ci siamo capiti, non ho mai pensato che fosse utile eliminare l’allevamento. A parte il fatto che non avrebbe senso da nessun punto di vista, non sarebbe neppure coerente, visto che sono un robusto consumatore di latte e latticini. Inoltre fai torto alla mia professione dicendo che ignoro che esistono ecosistemi ricchissimi di endemismi e biodiversità che sono stati creati e mantenuti da attività agricole e pastorali, come gran parte degli alpeggi per citare solo uno dei tanti esempi. In gergo tecnico si chiamano “plagioclimax”, ma forse è meglio dire che si chiamavano, visto che l’intero concetto di “climax” è oramai storia. Ma non mancano neppure numerosissimi esempi di biocenosi estremamente interessanti, insediate in territori profondamente degradati dalle attività agro-silvo-pastorali. Per citare un altro esempio solo, la gran parte delle brughiere di Francia, oggi scomparse per la ripresa spontanea e non delle foreste. La proposta di “game farming” su cui avevo lavorato io (30 anni or sono!) era di integrare e sostituire l’allevamento classico solo in parte, certo non del tutto. Trenta anni fa sembrava una buona idea che nessuno volle sperimentare in Italia. Furono fatti invece esperimenti in Africa, alcuni dei quali di grandissimo successo, ma sempre contro il muro compatto dell’opinione pubblica locale. Non so poi se abbiano avuto seguito. Sono appunto 30 anni che mi occupo d’altro.
D’accordo, ma allora mi sembra un po’ reinventare l’acqua calda, dato che in molte zone rurali, soprattutto di montagna, già si fa così: una combinazione di agricoltura, allevamento e caccia.
In altre zone è più difficile: per me l’esempio del pensionato che cammina sui campi della pianura Padana inseguendo un fagiano allevato. con un cane che probabilmente mangia più carne di quanta ne procacci, per me è distopico, non utopico.
Io penso che tutto questo concentrarsi sulle aree cosiddette marginali (non accuso te, parlo in generale) distolga dal vero e ben più grosso problema delle aree urbane espanse a dismisura e in cui è difficile già fare un orto (e chi potrebbe non lo fa), e delle campagne industriali. Nonché della sovrappopolazione.
Io comincerei dalla provincia di Treviso, dalla Campania, dalla pianura Padana, dalla riduzione dell’immigrazione…
Silvia, magari ogni regione è talmente storia a sè che la realtà cambia completamente, però a quanto ne so la necessità di poter vendere e commerciare carne selvatica, qui almeno, deriva dal fatto che i cinghiali abbattuti venivano inceneriti per motivi sostanzialmente burocratici, e poi importavamo carne di animali selvatici dall’Europa dell’Est. Una delle tante assurdità del nostro tempo. Gli esseri umani hanno sempre mangiato carne di animali cacciati, può essere un modo molto ecologico e persino etico di nutrirsi (in parte, non del tutto, siamo troppi ormai).
Leggendo i commenti tuoi e di Jacopo, mi rattristano per motivi speculari, perché entrambi si basano sulla demonizzazione di qualcosa che non capiscono e quindi vorrebbero eliminare, in barba ai desideri e ai bisogni altrui: tu perché fai parte di coloro che demonizzano la caccia tout court, e Jacopo perché demonizza l’allevamento.
Sulla caccia, ho scritto questo se qualcuno ha voglia di leggerlo: https://gaiabaracetti.wordpress.com/2021/09/21/abolire-la-caccia-invece-e-una-pessima-idea/
Per quanto riguarda l’allevamento, Jacopo: non cadere anche tu nella trappola di chi pensa che le cose siano misurabili solo come quantità, e non come qualità. Il cibo non si produce “a peso”: è parte dell’ecologia, della cultura, ha proprietà nutrizionistiche diverse, crea strutture di classe, economie, territori, ambienti diversi… perché ce l’hai così tanto con la pastorizia? Dovresti sapere che il problema dei predatori troppo numerosi non si risolverebbe eliminando completamente gli animali allevati, dato che i lupi mangiano regolarmente anche cani e gatti e in passato, e in alcune aree del mondo tutt’ora, attaccano e alle volte uccidono anche le persone, che tu ci creda o no.
Gli orsi idem, anche se gli animalisti più estremisti danno sempre colpa all’uomo che avrebbe “provocato”, un po’ come l’Ucraina ha provocato la Russia… la provocazione è a discrezione del “provocato”!
Inoltre eliminando la pastorizia e l’allevamento elimineresti, oltre a un’intera economia e habitat (i selvatici non creano, dalle nostre parti, i prati che crea lo sfalcio o il pascolo), anche latte, formaggio, pellami, uova, e possibilità di vivere in simbiosi con degli animali ma rispettandone la natura. E una cultura millenaria calibrata attentamente su ambienti delicati, che tu arrogantemente cancelleresti con un colpo di spugna. Perché ti accanisci così tanto??
Gaia, la cultura cambia negli anni, nei secoli, nei millenni, quindi affermare che ‘si è sempre fatto così’ apre la porta a una serie di fallacie logiche.
Ci sono sempre stati gli schiavi, le donne hanno sempre avuto ruoli inferiori a quelli degli uomini, magari esisteva anche l’antropofagia.
Non abbiamo bisogno, in questo ricco occidente, di uccidere esseri senzienti per sopravvivere, se lo si fa è per puro piacere del palato.
Associare l’etica all’uccisione di un essere altro da sè lo trovo piuttosto fuori luogo.
Se ami l’etologia scopri anche che NON esiste il concetto di troppi predatori. La biosfera non è una fotografia museale, ma si regola perfettamente nel tempo se l’essere umano si astiene dal volerla controllare.
Come puoi parlare di simbiosi con gli animali nella pastorizia quando già il concepimento avviene forzatamente (se non con ingravidazione artificiale), il cucciolo viene allontanato dalla madre per sottrarne il latte, se maschio viene macellato, se femmina, la attende la stessa violenza della madre. Sei una donna, come fai a non sentire nelle tue viscere il suo dolore quando le viene strappato il figlio? Tu questo lo definisci rispettarne la natura?
Comunque non voglio metterla su un piano emotivo, per rimanere in ambito pratico, l’economia rurale può trovare alternative.
Io, come contadina, ho lottato per anni fino a trovare la mia soluzione per vivere in modo soddisfacente.
Silvia, tu lasci che i parassiti ti divorino le piante? Lo sai che anche le piante sono “senzienti”? Lo sai che i caprioli divorano le colture in certe zone anche se le recinti, e anche per questo è bene che ci siano i cacciatori? E che differenza c’è tra il lupo che uccide la sua preda e quando lo facciamo noi, che tra l’altro siamo in grado di farlo in modo più rapido e indolore? Se la legge della natura, piaccia o no, è uccidere, io non ho l’arroganza di volermene sottrarre. A meno che tu non voglia eliminare del tutto i predatori dal mondo, il che sarebbe un po’ esagerato, io non ho problemi con il fatto che anche gli umani siano predatori, perché è nella nostra biologia. Se uno non vuole esserlo, liberissimo, ma per me è la cosa naturale e l’equilibrio della natura. Una legge più antica e forte di quella umana e dei suoi filosofeggiamenti.
Io non strappo nessun cucciolo dalla madre perché non piace nemmeno a me. Mi dispiace che lo si faccia per produrre il latte ma non è obbligatorio; ad esempio quando mungevo lo facevo solo dopo un mese di vita e lasciando il resto del tempo l’agnello con la madre. Mi piacerebbe che si facesse così, in alcuni posti si stanno facendo dei tentativi di cambiare.
Non so cosa intendi per concepimento forzato ma è un’idea ridicola, semmai la forzatura è impedirlo dato che gli animali hanno un fortissimo impulso riproduttivo.
E per quanto riguarda i troppi predatori, ovviamente in un ambiente dove non c’è l’uomo la cosa si autoregola, ma dove ci siamo noi dobbiamo svolgere il nostro ruolo, che è quello di predatori, altrimenti il cibo da noi messo a disposizione attraverso l’allevamento e l’agricoltura crea uno squilibrio nell’ecosistema. Non possiamo voler vivere come parte della natura e poi far finta di non esserne parte quando si tratta di regolare gli equilibri. Tutti i predatori sono in competizione con altri e se possono li cacciano dal proprio territorio.
Comunque per me il veganesimo è una specie di religione, con cui non si ragiona razionalmente, per cui non credo che questa conversazione tra me e te con i presupposti che vedo possa andare molto lontano.
Gaia, non faccio discorsi religiosi, o spirituali, faccio discorsi basati su dati scientifici.
Secondo me l’alibi del veganismo come religione serve a sottrarsi alle discussioni.
Permetterai comunque che tra un essere che ha coscienza di sé e un parassita ci corre un mondo.
Ugualmente tra un primate ed un albicocco.
Detto questo, se tu ritieni di assomigliare ad un lupo, nello stesso istinto predatorio, mi spieghi perché non mangi il tuo cane o il tuo gatto?
Silvia, io non ho né un cane né un gatto e sono contraria al tenere animali da compagnia; semmai dovrebbero essere quelli che ce l’hanno a spiegarmi perché non è accettabile uccidere altri animali per mangiare carne, ma la carne delle crocchette proveniente da allevamenti intensivi va bene.
Non c’è niente nella scienza che dica che è “sbagliato” uccidere un altro animale, anche perché per l’appunto tutti gli ecosistemi hanno meccanismi di predazione. È una questione morale..
Semmai la “scienza” ci sta dicendo che gli alberi sono più simili a noi di quanto pensassimo, solo che non ce n’eravamo accorti.
A proposito di esseri senzienti e non: https://www.theguardian.com/environment/2023/apr/02/bees-intelligence-minds-pollination
Anni fa è successo che ho dato l’antitarlo a un mobile in casa; per sbaglio un’ape era rimasta intrappolata nella stanza e si è avvelenata. Per due giorni l’ho vista agonizzare, incapace di volare, mentre cercavo di curarla con acqua e zucchero. Alla fine è morta, causandomi enormi sensi di colpa.
Da quella volta non uso praticamente mai l’antitarlo (unica eccezione una finestra che si stava disfacendo e sentivo fare CR-CR mentre ero in cucina).
E ho sempre pensato che i sistemi spesso usati per confondere gli insetti con feromoni perché non si potessero riprodurre fossero anche più crudeli dei pesticidi.
L’apicoltore le cui api ospito sul mio campo ha detto che degli alveari possono morire anche solo per l’inquinamento. Spesso facciamo più male agli animali salendo in macchina (inquinamento, uccisioni piccole e grandi) che non mangiando carne.
Il veganesimo è solo figlio di un equivoco su come si produce realmente il cibo, e di una discriminazione senza basi scientifiche su quali esseri viventi siano meritevoli di rispetto e quali no. Praticamente, più sono simili a noi e più ci sembrano senzienti, ma è questo il vero antropocentrismo, perché la realtà non è così.
La vita animale è tutta senziente e siamo costretti, piaccia o no, a vivere sia in conflitto che in collaborazione con essa. Pensare di eliminare completamente qualsiasi rapporto con gli animali nel produrre cibo è solo un’illusione.
Se ti rivolgi a me, beh, io il cibo lo produco e ospito corsi per produrre anche cibo che va ad agire direttamente sul microbiota.
So quindi come l’agricoltura può essere un’attività specista, patriarcale, specchio di un approccio antropocentrico che non ci abbandona.
Io non sono vegana perchè non mangio animali e derivati, ma perchè mi oppongo all’uso della forza da parte nei confronti di chi è più vulnerabile: non solo gli animali, ma tutti i gruppi marginalizzati che subiscono oppressione.
Fare agricoltura antispecista significa essere dentro all’ambiente in cui si opera senza semplificarlo, senza sfruttarlo, tenendo conto delle interconnessioni costanti che vi sono. Non può esistere una classifica di chi è più sacrificabile e chi meno e la mia azione si muove su un ampio spettro che va da tecniche di agroecologia e tecniche di rigenerazione del suolo. Si possono evitare il letame e la pollina? Si, con sovesci, macerati, fermentati, corretta lavorazione del suolo, ecc
Quindi mi sento di dire che la tua ultima affermazione non è corretta.
Non parlavo solo di letame e pollina (chissà perché nei commenti a questo blog si finisce sempre per parlare del letame!)
Non è solo questione di quello che fai tu ma anche dell’ecosistema in cui vivi che è mantenuto anche da altri, compresi altri produttori, cacciatori, funzionari pubblici, costruttori, veterinari, forestali, apicoltori, eccetera eccetera. Non puoi creare un piccolo mondo in cui tutto questo non esiste né conta più.
Comunque vedendo la sfilza di parole alla moda e moralismi di cui, scusami, è infarcito il tuo commento, capisco che un dialogo tra me e te è quasi impossibile. Io non parlo per slogan. Io considero anche l’aspetto etico in quello che faccio ma l’idea di fare agricoltura “antispecista” mi fa ridere. Il cibo lo produciamo per gli altri esseri umani, per la nostra specie, com’è naturale. Ogni specie in primis pensa a sopravvivere e ai propri simili. L’importante è non esagerare.
Lascio la parola ad autore che senz’altro conosci per la sua autorevolezza, Gerorge Monbiot.
La conoscenza degli ecosistemi in cui viviamo non è statica, ma si evolve costantemente.
Ecco quello che ha scritto il.famoso ambientalista, buona lettura:
https://www.theguardian.com/environment/2022/may/07/secret-world-beneath-our-feet-mind-blowing-key-to-planets-future
Purtroppo George Monbiot quando si parla di questioni alimentari dice un’enormità di stupidaggini (per non usare un termine più volgare). La sua presunta “autorevolezza” fa sì che sia molto difficile farsi pubblicare smentite delle sue affermazioni, per quanto documentate.
E comunque ora si sa che un pascolo ben gestito fa bene al suolo, quindi non ho capito cosa c’entri l’articolo. Nessuno qui sta sostenendo che il suolo non è importante o pieno di vita.