L’8 maggio scorso, la multinazionale farmaceutica anglo-svedese Astrazeneca ha ritirato dal mercato il vaccino anti-covid Vaxzevria. L’azienda ha motivato la decisione con la scarsa domanda del prodotto associata a una “eccedenza di vaccini aggiornati” (testuali parole), ma tante voci del Web hanno insinuato che la vera ragione sarebbe da ricondurre alla sua pericolosità: già nel marzo del 2021, dopo una segnalazione del Paul Ehrlich Institute sul possibile insorgere di trombosi, era stata sospesa momentaneamente la somministrazione del farmaco.

Come al tempo della pandemia, i soggetti che si impegnano nel  fact-checking e nel debunking si sono messi subito in moto per confutare la versione ‘complottista’ e sostenere la causa dei vaccini. Riusciranno nell’intento? Anche se nella mia attività di blogger mi sono cimentato varie volte nel debunking (benché su tutt’altre tematiche) e pur riconoscendone un’indubbia utilità, sono abbastanza scettico verso l’azione di certi autoproclamati professionisti della verità, per svariate ragioni.

Smentire falsità e demistificare sono per principio azioni lodevoli e meritorie, quindi il debunking, se condotto con serietà e correttezza, può solo fare onore a chi lo pratica, specialmente nell’epoca in cui la bulimia di informazioni da Web rende difficile districarsi tra fonti attendibili e pozzi senza fondo di fake-news. In un certo senso, tutti quanti dovremmo ispirarci almeno idealmente ai fact-checker, il contrario equivarrebbe a comportarsi da creduloni superficiali che si lasciano abbindolare come allocchi dal primo cialtrone di turno.

Premesso ciò, quali risultati concreti sono stati ottenuti da chi ha fatto del debunking addirittura un’attività fine a se stessa, con lo scopo dichiarato di migliorare la qualità dell’informazione in Rete e ridurre drasticamente le falsità dilaganti? In questo caso, il giudizio si fa meno lusinghiero. Del resto, persino alcuni debunker lasciano trasparire un profondo senso di delusione, come se i loro sforzi fossero destinati a rimanere vani.

Secondo alcuni ricercatori, combattere le bufale paradossalmente le rafforza perché, in un’epoca in cui la pubblicità negativa risulta preferibile a nessuna forma di propaganda (basti pensare al caso Vannacci), si favorirebbe la viralità dei contenuti truffaldini. C’è poi chi mette in guardia dal ‘ritorno di fiamma’ sulla mente dei lettori qualora si enfatizzi troppo la notizia falsa invece dei fatti che la smentiscono, rinforzando quindi involontariamente menzogna e mistificazione.

Fonte: Manuale della demistificazione di Skeptical Science

 

Argomentazioni sicuramente fondate, tuttavia sono abbastanza diffidente verso le spiegazioni-alibi che dirottano insuccessi e fallimenti solo su cause esterne al comportamento dei diretti interessati. Vediamo allora di approfondire la questione.

Al pari di tanti altri fenomeni della Rete, il debunking di norma scatena reazioni contraddittorie, consenso fino all’idolatria oppure avversione tendente all’odio viscerale. Ma se i facili entusiasmi sono comprensibili, come si spiega tanto astio verso un’attività che, se ben condotta, dovrebbe tributare solo elogi?

I fan del debunking hanno spesso la risposta pronta: è in corso uno scontro tra sostenitori di verità, cultura e scienza contro quelli di menzogna, ignoranza e oscurantismo; tanti fact-checker hanno cavalcato l’onda del ‘noi vs loro’ (quando non l’hanno fattivamente promossa) anche perché funzionale al contesto dei social network, dove la radicalizzazione è una risorsa eccezionale per conquistare visibilità.

Divulgare deliberatamente notizie false è un atto criminoso che non ha nulla da spartire con la libertà di espressione, quindi è lecito ogni biasimo. Ma che dire del pubblico che fa da cassa di risonanza e che, in teoria, il debunking dovrebbe informare ed educare? Merita altrettanta ignominia?

Certo, chi crede nelle fake-news è probabilmente ‘analfabeta funzionale’ e di sicuro ‘vittima del bias di conferma’, per usare espressioni care ai debunker. Ma è possibile che l’attuale ‘popolo delle bufale’ sia cognitivamente tanto diverso dalle masse che, solo qualche decennio fa, si sottoponevano alle vaccinazioni senza obiettare, esultavano alla costruzione di autostrade e grandi opere (con buona pace di Pasolini, avrebbero fatto estinguere volentieri tutte le lucciole per mille Montedison), non opponevano resistenza alla costruzione di centrali nucleari, riponevano fiducia nella stampa e pendevano sostanzialmente dalle labbra degli esperti?

Non possiamo escluderlo a priori; di sicuro, però, sappiamo che nel frattempo sono intervenuti cambiamenti epocali che hanno causato strascichi enormi, determinati principalmente da quarant’anni di incontrastata egemonia neoliberista. L’elevazione del profitto a criterio-cardine della società ha inevitabilmente corrotto tutti gli ambiti; piccoli e grandi scandali hanno sconvolto politica, economia, giornalismo, mondo accademico; l’influenza lobbystica ha raggiunto livelli esorbitanti; insomma, è saltato il clima di fiducia su cui si deve reggere il patto sociale. Un sondaggio realizzato nel 2018 dall’Università dell’Insubria su di un campione rappresentativo del popolo italiano lo ha evidenziato in modo drammatico:

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                                                                    Fonte: Università degli Studi dell’Insubria

 

Un quadro a tinte eccessivamente fosche? Forse, anche perché la sensazione di fiducia tradita è molto dolorosa e non favorisce l’obiettività. Ma c’è modo e modo per riportare più equilibrio e serenità di giudizio.

Qui arriviamo al secondo problema fondamentale: raramente mi imbatto in debunking scorretti sul piano formale, troppo spesso però vedo all’opera comportamenti palesemente tendenziosi dietro la maschera della constatazione neutrale e oggettiva. Immaginate uno storico della Shoah il cui sforzo documentario consistesse esclusivamente nel ridimensionare il numero delle vittime dei campi di sterminio: sarebbe innegabile l’intento di fondo di sminuire la gravità di questo crimine immane.

Analogamente, se affronto argomenti come emigrazione, energia atomica, 5G, vaccini, manipolazione genetica, sperimentazione animale e molti altri limitandomi a confutare palesi bufale senza rapportarmi con le obiezioni più serie e argomentate – facendo intendere implicitamente che non esistono – sto chiaramente cercando di sdoganare l’idea per cui qualsiasi voce critica riguardante multiculturalismo, sicurezza e fattibilità del nucleare, elettrosmog, lobbysmo di Big Pharma, transgenesi, prassi della ricerca scientifica, ecc. sia da considerarsi frutto di pregiudizio e ignoranza.

Le ‘sbufalate’ hanno quasi sempre la funzione di rassicurare su timori condivisi da ampie fette di popolazione, raramente vengono confutate notizie eccessivamente ottimistiche, a meno che non riguardino pseudo-invenzioni del tipo “il motore ad acqua che l’industria petrolifera sta tentando in tutti i modi di nascondere al mondo” (indirettamente, si fa passare il messaggio che i petrolieri o altri potentati non ostacolerebbero mai l’avvento di una tecnologia che potesse danneggiare i loro interessi!).

I fact-checker, spesso accusati ingiustamente di essere asserviti ai ‘poteri forti’, a me sembrano più che altro assurgere troppo spesso ad avvocati difensori del Business As Usual. Ovviamente, esiste l’onestà intellettuale ma non una visione ‘neutrale’ dei fenomeni (Heisenberg docet), lungi da me chiedere a chicchessia di imbarcarsi in improbabili operazioni di ‘par condicio’ su ogni tematica trattata o peggio ancora di degenerare nel cerchiobottismo.

Se però, come i debunker sostengono ripetutamente, il loro scopo non è difendere ideologie né promuovere sterili muro contro muro, bensì favorire un dibattito più razionale e meno infarcito di sensazionalismo emotivo, allora un consiglio mi sento di darlo: alla pars destruens del fact-checking deve accompagnarsi necessariamente uno sforzo empatico e costruttivo verso il pubblico che si vorrebbe educare, non limitato a un semplice atteggiamento paternalista.

Occorre invece partire dal presupposto che, dietro al sostegno acritico alle bufale, magari non si celino solo ignoranza, bias e fanatismo, ma anche preoccupazioni serie e fondate, per quanto argomentate nel peggior modo possibile. Ad esempio, chi diffonde leggende metropolitane su Big Pharma difficilmente cambierà idea solo perché gli vengono smentite, per di più se avverte un tono di derisione verso i suoi timori; quasi sicuramente, anzi, si trincererà ancora di più nei suoi convincimenti.

Potrebbe invece smuoversi dai pregiudizi cercando con lui un punto d’incontro per inquadrare nell’ottica corretta l’intera questione del lobbysmo dell’industria farmaceutica, assumendo che si tratta di un di problema reale e non di paranoia nevrotica. Quindi, all’immancabile e puntuale debunking potrebbe accompagnarsi un contributo utile in tal senso, come un articolo de Il Fatto Quotidiano del 2014, di cui riporto uno stralcio significativo:

Big Pharma sta uscendo allo scoperto per quello che è: una lobby planetaria, una casta di intoccabili che fa i miliardi sulla pelle dei cittadini, accumula scandali uno dietro l’altro, inventa le malattie prima di sfornare la pillolina miracolosa e ovviamente è impermeabile alla crisi. Glaxo Smith Kline, gigante britannico dei farmaci, si è comprata i medici di mezzo mondo. Solo ad aprile è stata accusata di corruzione in Libano, Giordania, Iraq e Polonia, dove il manager regionale dell’azienda e 11 dottori sono sotto indagine per un presunto giro di mazzette in cambio della prescrizione del farmaco anti-asmatico Seretide. Nel luglio 2013 è stata incastrata in Cina, dove ha sganciato 320 milioni di sterline per ingraziarsi la classe medica con regali di lusso e prostitute.

Il botto negli Stati Uniti, anno 2012: 3 miliardi di dollari di multe per aver pompato le vendite di antidepressivi per indicazioni non autorizzate. La Roche spaccia il Tamiflu come il farmaco del secolo contro l’aviaria nel 2006 e tre anni dopo l’influenza suina (il virus A/H1N1) ma i ricercatori della Cochraine Collaboration, entrano in possesso dei risultati delle ricerche chiusi negli archivi, dimostrano che è un finto antidoto per una finta pandemia. Poi il cartello con l’altro colosso svizzero, Novartis, per favorire la diffusione del Lucentis, cioè il farmaco più costoso per la cura della maculopatia (1400 euro) contro l’analogo low cost Avastin (15 euro), con maxi-multa dell’Antitrust italiana da 180 milioni di euro. Solo per citare i casi più freschi. La magistratura ha messo la marcia. I media hanno rotto il tabù.

 

Dal testo emerge come alcune delle maggiori corporation del settore non si facciano scrupoli a violare la legge e altri comportamenti riprovevoli. Malgrado la loro smisurata potenza, il famigerato ‘Sistema’ un’azione di vigilanza e contenimento la svolge, per giunta su comportamenti che, pur non essendo quelli paventati dalle teorie del complotto (avvelenare la popolazione mondiale con i vaccini e roba simile), sono comunque gravissimi. Pertanto, Big Pharma gode di ampi margini di manovra e gli organismi di garanzia probabilmente chiudono gli occhi in diverse circostanze, ma non è per forza la burattinaia del mondo che qualcuno ama dipingere.

Quindi, se a blastare il falso si accompagnasse un impegno concreto per capire fin dove le paure sono ragionevoli e dove invece degenerano in isterismi senza senso, il debunking potrebbe aumentare notevolmente la sua capacità di persuasione; uno sforzo che servirebbe anche a tanti fact-checker per imparare qualcosa prima ignorato o ampiamente sottovalutato. Tutto questo, ovviamente, se l’attività di debunking è genuina e non si propone altri scopi.

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