Non diversamente dal resto del mondo, l’Italia è stata profondamente scossa dalle crisi globali che hanno caratterizzato i primi decenni del nuovo secolo, dall’effetto domino ingenerato dal crack della banca statunitense Lehman Brothers nel 2008 fino ai rallentamenti dell’economia dovuti ai lockdown e ai tentativi di contenere la pandemia da Covid-19. Dal nostro punto di vista, è interessante una visione d’insieme economica-ecologica, esaminando l’andamento storico di crescita economica, consumo di energia primaria ed emissioni climalteranti.

 

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Osservando i grafici, salta all’occhio come le tre variabili giungano al picco più o meno contemporaneamente: nel 2005 energia ed emissioni e solo due anni più tardi il PIL; una testimonianza di come gli eventi successivi al 2008 abbiano rappresentato uno spartiacque epocale. Emerge però un altro elemento innegabile: relativamente agli ultimi tre lustri, la curva dell’economia flette meno di quell’energia, che sua volta ha un andamento meno declinante delle emissioni, le quali sembrano quasi essersi instradate per il ‘dirupo di Seneca’ tanto caro a Ugo Bardi.

A titolo di confronto, nel 2019 (anno emblematico in quanto non ancora condizionato dalla pandemia) il PIL si è assestato su livelli più o meno identici a quelli del 2005 ma consumando il 17% di energia in meno e riducendo le emissioni climalteranti del 32%. Non è forse qualcosa di cui rallegrarsi? Non siamo di fronte alla dimostrazione concreta dell’agognato ‘disaccoppiamento’ (decoupling) tra crescita economica da una parte e consumi energetici ed inquinamento dall’altra?

Sarebbe tutto (quasi) rose e fiori se, economicamente parlando, l’Italia del 2019 fosse lo specchio di quella del 2005 e, soprattutto, se lo sforzo intrapreso fosse consono con l’obiettivo da realizzare, un punto spesso volutamente ignorato per presentare come salvifico qualsiasi generico ‘miglioramento’. Se una persona di 1,70 metri di altezza pesa intorno al quintale e ha iniziato una dieta che gli ha permesso di perdere una decina di chili in tre mesi, tutto sommato si tratta di un buon risultato; ma se ottenuto da individuo della medesima statura che pesasse 250 kg o più, il ‘miglioramento’ sarebbe praticamente irrilevante per la sua salute.

Procediamo con ordine. Il 2005 e il 2019 sono lo ‘specchio economico’ uno dell’altro? Non esattamente. Innanzitutto, nel 2005 il rapporto debito pubblico/PIL si attestava intorno al 106%, rispetto al 135% di quattordici anni dopo (fonte): sintomo di una crescita ‘drogata’ nel tentativo di arginare la stagnazione. Tuttavia, come ci insegnano keynesiani e affini, non bisogna demonizzare il debito se risulta portatore di sviluppo. Nel contesto che stiamo esaminando, ‘sviluppo’ significa sostanzialmente due cose: energie rinnovabili e risparmio energetico.

I dati della IEA raccontano di un sistema energetico italiano capace di ridurre dal 90% all’80% l’apporto delle fonti fossili (con drastico intervento sul carbone), ma dove l’implementazione delle rinnovabili, dopo un avvio molto promettente in stile Germania tra il 2008 e il 2013, si è poi sostanzialmente plafonato, confermando i timori di chi a suo tempo criticò il decreto ‘spalma incentivi’ e altre misure intraprese nel 2014 dal governo Renzi nei confronti di  eolico e fotovoltaico.

 

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Numeri alla mano, le rinnovabili da sole non spiegano pertanto il ‘disaccoppiamento’ PIL-emissioni. Occorre quindi ascrivere il merito a un consistente efficientamento energetico, oppure a una più banale riduzione dei consumi a causa di un persistente periodo di vacche magre? Per scoprirlo, iniziamo esaminando i dati della IEA riguardo ai consumi per settore economico.

 

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Rispetto all’anno di riferimento scelto (2005), notiamo come il calo sostanziale dei consumi abbia riguardato i trasporti e, soprattutto, il comparto industriale, dove si sono ridotti praticamente di un terzo. Non essendoci stati particolari sviluppi tecnologici negli ultimi vent’anni tali da giusticare un simile decremento (l’auto elettrica rappresenta ancora una piccola nicchia), la causa è sicuramente una minore movimentazione di merci e persone, come evidenziato del resto anche dalla Banca d’Italia.

 

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Fonte: Banca d’Italia

 

Per quanto attiene all’industria, la IEA segnala un calo sostanziale da parte delle attività di trasformazione più impattanti.

 

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Non diversamente dai trasporti, tutto lascia intendere che alla base del fenomeno ci sia una drastica riduzione produttiva. Riguardo alla siderurgia, i dati di Federacciai sono molto eloquenti.

 

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Trattasi di un fenomeno comune a quasi tutti paesi i occidentali, ossia di una parziale deindustrializzazione avviata prima ancora delle crisi, a seguito dell’ascesa economica della Cina: dal 2005 al 2019, le importazioni dal gigante asiatico sono più che raddoppiate e, in gran parte, consistono in manifatture e beni la cui produzione risulta particolarmente energivora e impattante (qui per una panoramica completa); oppure in computer e dispositivi elettronici fondamentali per la ‘terziarizzazione della società’, di cui a casa nostra apprezziamo solamente gli aspetti ‘green’ perché quelli ‘brown’ sono stati accollati ad altri.

 

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In conclusione, possiamo riprendere la metafora della dieta per affermare che l’Italia attuale, sul piano ecologico, ricorda un super-obeso sensibilmente dimagrito non tanto per l’abnegazione personale, quanto per le minori entrate che gli impediscono di riempire il carrello della spesa come ai vecchi tempi. In ogni caso, tutto ciò non è bastato per ottemperare agli obiettivi del Protocollo di Kyoto e, non appena nel 2021 con l’allentamento delle misure anti-pandemia l’economia ha ricominciato un pochino a girare, consumi ed emissioni hanno segnato un immediato rimbalzo, segno che le ‘cattive abitudini’ sono ben lungi dell’essere state abbandonate.

Nulla di cui stupirsi, ovviamente: l’ostinazione a voler mantenere un modello socio-economico improntato alla crescita continua non può sortire esito differente, in particolare per quanto attiene alla dipendenza morbosa dai combustibili fossili. E di sicuro, nel lungo periodo una sostenibilità imposta dagli eventi è destinata a causare molta più sofferenza e infelicità di qualsiasi sacrificio programmato. 

 

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