Il 9 ottobre scorso ci ha lasciato Bruno Latour, filosofo e antropologo francese divenuto celebre per un saggio pubblicato nel 1991 provocatoriamente intitolo Non siamo mai stati moderni, dove denuncia l’inconsistenza non solo della rigida opposizione Uomo vs Natura operata dalla modernità, ma anche della conseguente divisione Scienze naturali vs Scienze sociali, a suo avviso oramai del tutto incapace di render conto di fenomeni ‘ibridi’ quali embrioni congelati, fiumi inquinati, virus dell’AIDS, buco nell’ozono e riscaldamento globale antropocentrico… 

Divenuto un classico del pensiero filosofico ecologista, dello sforzo di Latour ho apprezzato specialmente la parte conclusiva del libro dove, animato dalla volontà di  superare le cosiddette ‘fratture epistemologiche’, l’autore passa al setaccio i principali fondamenti di pensiero premoderno, modernità e postmodernismo, alla ricerca di un sincretismo utile per delineare una ‘costituzione nonmoderna’ idonea per affrontare virtuosamente l’era dell’Antropocene.

Qualcosa di cui si sente estremamente bisogno in un periodo dove, con la crisi oramai conclamata del mito del Progresso e altri capisaldi di Illuminismo e Positivismo, il rischio di buttare via il bambino insieme all’acqua sporca è elevatissimo. Mi riferisco ai pericoli insiti in un antimodernismo bieco e irrazionale, ma anche a quelli di una postmodernità nichilista che rifiuti qualsiasi aspirazione alla ricerca della verità e, conseguentemente, qualsiasi pretesa morale.

“Se le seduzioni della prima modernizzazione hanno in qualche modo perduto le loro attrattive, nulla consente di affermare che la modernizzazione all’europea, una volta liberata dalla sua buona e cattiva coscienza, non possa essere nuovamente seducente” (Bruno Latour)

.

 

 

 

Share This