Questo post è uscito già sul blog di ASPO-Italia

di Luca Pardi.

Qualche giorno fa il Wall Street Journal parlava di oro. La domanda del bene rifugio per eccellenza è alta e quindi i prezzi sono cresciuti molto. Di questo le società minerarie hanno approfittato, ma si trovano di fronte ad un aumento dei costi di estrazione nel presente e a progetti più complessi, e costosi in futuro. In poche parole si cammina verso il Picco dell’Oro. L’aumento dei costi monetari di estrazione per le risorse minerarie corrisponde e dipenda da un aumento dell’energia spesa per unità di massa estratta. Per chi studia il fenomeno dell’esaurimento delle risorse non è una sorpresa.

Anni fa un amico, di fronte alla mia insistenza sul picco del petrolio, del gas, dei fosfati e di altri minerali e risorse strategiche, ostentava un certo scetticismo. Il suo ragionamento era il seguente: va bene, può anche convincermi il fatto che si arrivi ad un limite fisico di una risorsa non rinnovabile, ma perché dovrebbero esaurirsi, o raggiungere il picco, proprio tutte in questo momento storico?

Come sempre gli scettici fanno domande più che dare risposte, e spesso sembrano anche intelligenti proprio perché fanno domande. In questo caso però lo scettico è semplicemente superficiale. La risposta alla sua domanda è semplice:

Le risorse non rinnovabili nel loro complesso stanno raggiungendo il loro limite fisico in questo momento storico, diciamo in questo secolo, perché non siamo mai stati 7- 8 miliardi di persone che attingono senza sosta e in quantità crescenti ai giacimenti che madre natura ha creato in milioni, centinaia di milioni, a volte miliardi, di anni. Lo scettico non coglie l’eccezionalità dell’espansione del capitalismo industriale che con il suo sempre crescente appetito ha moltiplicato sia il numero di consumatori che i produttori/estrattori. La questione non è più quanti secoli potrà durare questa dinamica ma quanti lustri o al massimo decenni.

È chiaro che si dovrà prendere atto del fatto che ci sono dei limiti bio-fisici alle attività umane, sia per il consumo di risorse non rinnovabili come i minerali, sia per il consumo di risorse rinnovabili come l’acqua, il legname e il suolo fertile (che consumiamo con i metodi dell’agricoltura industriale). Limiti biofisici che riguardano anche la capacità dell’ambiente di assorbire e depurare i cascami dell’attività umana.

Più si ritarda a prenderne atto e a mettere in campo politiche adeguate, più grave, potenzialmente catastrofica, sarà l’esito della crisi in atto. Qui lo scetticismo tonto e superficiale dei generatori di domande non funziona più.

Anche le zoonosi (malattie che passano dagli animali all’uomo) come la COVID19, dovuta un virus (il SARS-CoV-2) presumibilmente passato da una specie di pipistrelli all’uomo, sono una conseguenza dell’invasione umana in nicche e micronicchie ecologiche poco frequentate prima e dell’attività frenetica del mercato nel mescolare agenti patogeni di ogni tipo insieme alle merci e agli uomini. Se non organizzeremo una ritirata lasciando una parte della Terra (Edward O. Wilson suggeriva metà della Terra) alle altre specie, se non troveremo un modo organizzato di ridurre impatto e consumi, sarà la natura a fare il lavoro.

Va da sé che si possono immaginare modi che sono socialmente perfettamente ingiusti di organizzare la transizione ad una nuova e inedita sostenibilità ambientale di Homo sapiens e modi che lo sono meno o non lo sono affatto. In pratica anche la presa d’atto del problema ambientale lascia spazio ai conflitti sociali e politici. Per il momento siamo ancora al passaggio precedente. Siamo divisi fra chi ha preso atto dell’overshoot ecologico e chi invece no.

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