mitigare i cambiamenti climatici, attraverso la cattura e lo stoccaggio del carbonio”. Che poi non rende che molto parzialmente la portata della posta in gioco, visto che una rete efficace di aree protette è condizione necessaria, ancorché non sufficiente, per il mantenimento di condizioni chimico-fisiche compatibili con la vita sul pianeta, semplicemente perché è la Biosfera che regola quei flussi bio-geo-chimici da cui tutto dipende. Come ebbi a scrivere anni fa, in estrema sintesi le aree protette servono a darci una speranza. Parchi e riserve naturali sono fuori moda in tutto il mondo. Mentre la guerra infuria, il clima impazza, gli equilibri geopolitici vacillano, i fondamenti dell’economia globale vengono meno, la miseria e la fame dilagano chi vuoi che si interessi di “proteggere un uccellino”? Magari penalizzando una qualche attività lucrativa o (anatema!) frenando lo “sviluppo”? Quasi nessuno più; pochi perfino fra gli ambientalisti. Né certo cambierà qualcosa il comunicato congiunto fra IPCC (Intergovernmental Panel on Climate Change) e IPBES (Intergovernmental Science-Policy Platform on Biodiversity and Ecosystem Services) che, fra l’altro, recita: “C’è un’evidenza crescente rispetto al fatto che creare nuove aree protette e gestire adeguatamente quelle esistenti sulla terraferma e in mare aiuti a
I fallimenti oramai ridicoli delle COP sul clima sono noti a tutti; meno celebri anche se non minori sono i fallimenti delle COP sulla biodiversità. L’ultima, la numero 15, si è tenuta nel dicembre 2022 e si è conclusa con la consueta dichiarazione di principi e di obbiettivi che nessuno perseguirà, tanto per cominciare perché nessuno è disposto a pagare, men che meno ad imporre vincoli alle attività commerciali. Comunque, almeno a livello di dichiarazioni, un risultato c’è stato: occorre portare entro il 2030 la superficie effettivamente protetta al 30% della superficie del pianeta, tanto marina che terrestre. Una dichiarazione che non ha mancato di scatenare le ire delle numerose e variopinte lobby (non solo quelle capitaliste) contrarie a qualunque ipotesi di tutela degli ecosistemi naturali, ma che sarebbe invece un buon punto di partenza. Ma non solo non accadrà, semmai sta avvenendo l’esatto contrario. Quasi ovunque nel mondo il poco che già esiste in materia è infatti in corso di smantellamento, anche se le cause e le modalità differiscono completamente a seconda dei paesi e delle regioni.
In Italia come siamo messi?
Ministero dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica. Peccato che sia aggiornato al 2010 e che da allora alcune siano scomparse (perlomeno tutte le Aree Protette di Interesse Locale della Toscana, cioè meno 6.000 ettari circa). Comunque, al netto di queste, le Aree Protette sono terrestri sono ben 482 per un totale di quasi 3 milioni di ettari, pari a circa il 10% del territorio nazionale, cui si aggiungono altrettanti ettari in 30 riserve marine, corrispondenti al 20% circa delle nostre acque territoriali. Sulla carta, ma in realtà? Teoricamente non male. L’elenco completo delle divere tipologie di aree protette è disponibile sul sito del
Ogni area ha la sua situazione, la sua storia e qualcuna funziona, ma l’andazzo generale è perlomeno di disinteresse da parte delle autorità competenti; in non pochi casi di perversione delle finalità o addirittura di attivo smantellamento. Per farsi un’idea di come funziona facciamo un esempio concreto: il Parco Regionale di Migliarino-S.Rossore-Massaciuccoli, uno dei fiori all’occhiello della Regione Toscana che sovente si auto-propone come esempio virtuoso alle altre regioni.
Questo Parco fu istituito nel 1979 sulla base di un compromesso fra le istanze degli ambientalisti e quelle dei cacciatori: Nei 23.115 ettari di Parco, la caccia fu dunque vietata solo su 14.245 ha, mentre i restanti rimasero cacciabili, sia pure a determinate condizioni. C’erano anche altre eredità scomode, fra cui un’importante base militare, urbanizzazioni vecchie e nuove, zone ad agricoltura industriale, discariche, impianti industriali, ecc., ma il punto fondamentale fu che, su tutti i ventitremila e passa ettari, il potere di decidere in materia edilizia ed urbanistica passò in testa all’Ente Parco in modo da sottrarli, si sperava definitivamente, alla speculazione che fra Livorno e Viareggio era e rimane particolarmente agguerrita.
Ad oggi, dopo 44 anni, il Parco si può dire che sia sopravvissuto ad una lenta, ma costante erosione di potere e di naturalità: le spiagge delle riserve sono usate come spiagge libere, visto che nel frattempo i comuni hanno privatizzato quelle che erano le spiagge libere nel 1979. Boschi e pinete sono state mandate in taglio senza alcun riguardo per il loro valore ambientale e storico. Nulla di serio è stato fatto per fermare l’erosione della costa che ha oramai inghiottito interi cordoni dunali, molte spiagge e paludi costiere. Niente è stato fatto neppure per fermare l’intrusione salina nel sottosuolo ed i boschi di Frassino e querce hanno cominciato a morire. Poco è stato fatto anche per limitare il pullulamento degli ungulati che, in spazi ridotti ed in assenza di predatori, hanno gravemente danneggiato la vegetazione. L’inquinamento del Lago di Massaciuccoli ha continuato ad aumentare, ristoranti e locali notturni sono sorti (e falliti) laddove c’erano baracche abusive, eccetera, eccetera. Ma, perlomeno, le più sfacciate speculazioni edilizie e le strade di attraversamento delle riserve sono state fermate. Fino ad oggi.
L’attuale amministrazione del Parco, d’intesa con la Regione che la ha nominata, sta infatti elaborando un nuovo Piano Integrato che prevede, fra l’altro, la riduzione della superficie del parco, trasformando buona parte delle attuali aree definite “esterne” nella legge istitutiva; in quanto vi è ammessa la caccia, in aree contigue. Vale a dire aree in cui le decisioni in materia edilizia e urbanistica non le prende più il Parco, bensì il comune. Guarda caso, quasi tutte sono zone da sempre appetite dai palazzinari. Ma non basta: con i finanziamenti europei destinati alle piste ciclabili (che dovrebbero servire a permettere ai ciclisti di andare da un centro abitato all’altro senza farsi ammazzare), si pianifica di stendere un nastro di asfalto di quasi 4 metri di larghezza, almeno in alcuni tratti illuminato, attraverso o in margine a tutte le zone di “riserva integrale”; cioè quelle zone talmente delicate e zeppe di rarità che non dovrebbero essere neppure visitabili se non in numero chiuso e con accompagnatori autorizzati. Un’altra strada industriale dovrà invece portare ancora più gente nella parte più settentrionale del Parco, come se l’attualmente già ingestibile calca estiva non fosse sufficiente. Poi abbiamo anche case galleggianti sul lago, caserme dei carabinieri, alberghetti al posto di ristoranti e molto altro ancora, ma limitiamoci all’essenziale.
Opporsi, ma come?
Ci fu un tempo (anni ’80 e ’90) in cui le istanze ambientaliste erano in parte accolte. Non che il potere, e neanche una buona parte dei verdi (sensu lato) avessero chiara la posta in gioco, ma comunque ci sentivamo abbastanza ricchi e sicuri di noi stessi da poter lasciare da parte un po’ di aree (perlopiù marginali, ma non solo). Era politicamente corretto e stimolava un tipo di turismo che si sperava si potesse sviluppare. Fu un errore irreparabile. Aver impostato le politiche ambientali (tutte, non solo quelle relative alle aree protette) come un lusso e non come una necessità vitale ha avuto due conseguenze devastanti. La prima è che i paesi poveri hanno cominciato a batter cassa e sempre di più lo stanno facendo, come se salvare il salvabile di clima, suoli, fauna, foreste, acque, ecc. sia un interesse solo nostro e non anche loro. La seconda è che non appena l’economia ha cominciato a declinare, il vento è girato e si è cominciato a dire che i parchi dovevano essere dei “laboratori di sviluppo sostenibile”. Ossimoro maledetto che si è tradotto in una generale sagra del greenwashing. E man mano che l’economia si avvia giù per la ripida scala del rientro nei limiti globali e locali, si è cominciato a dire “basta coi parchi dei vincoli, si ai parchi delle opportunità”. Etichettatura sotto la quale si stanno gradualmente, ma sempre più in fretta, smantellando i servizi di vigilanza e nominando amministratori degli enti il cui mandato non è più quello di difendere il territorio dalla speculazione, bensì di favorirla. Sempre, naturalmente, in nome e per conto dello sviluppo sostenibile, del turismo eco-compatibile, ecc.
E su questo pensiero unico, o forse angoscia unica, si stanno allineando tutti gli enti. Nei decenni scorsi, era ancora possibile arginare le intemperanze di un ente ricorrendo ad un altro. L’italico, cronico guazzabuglio di competenze e la farraginosità delle procedure erano in questo caso di aiuto perché grazie ad esse è stato spesso possibile insabbiare per anni quelle stesse voglie che, adesso, stanno riuscendo ad affermarsi grazie al fatto che alcuni enti (ad es. autorità di bacino, province e sovrintendenze) sono stati del tutto o quasi privati di fondi, personale e potere, mentre quelli che contano (stato, regioni e comuni), sono quasi sempre concordi, anche al di là del colore politico. Di conseguenza, oramai neanche marchiani errori procedurali riescono più a “fermare la ruspe” a lungo. Quanto a tutto il castello di valutazioni e studi imposti dalle leggi, sono diventati dei meri proforma, spesso fatti con dei semplici copia-incolla e servono solo a giustificare e precisare le “veline” decise in sede politica molto prima di affidare gli incarichi. D’altronde, o lavori così o non lavori. Punto.
Perfino l’introduzione dell’obbligo di processi partecipativi a supporto dei processi decisionali è diventato una grottesca farsa in cui chi ha già deciso cosa fare convoca un certo numero di soggetti e cerca di convincerli che vada bene così. Se non ci riesce non è un problema perché nulla lo costringe a tener conto delle obbiezioni, per ben argomentate che siano. Una volta fatti gli incontri prescritti e stesi i verbali basta. Neppure l’istituzione dei garanti (garante della comunicazione e garante della partecipazione) ha cambiato le cose perché costoro, anche quando prendono seriamente il proprio ruolo, non hanno il potere di inficiare gli atti. Rimane quindi l’ultima spiaggia: il ricorso ad una magistratura sempre più ingorgata di cause e sempre meno indipendente dalla politica. Ma ci vogliono soldi, tanti soldi che le associazioni ambientaliste non hanno, mentre li hanno gli enti che spianano la strada alla speculazione.
Qualcuno si consola con le sagge frasi dette da questo o quel sapiente, da questo o quel capo spirituale, sciamano, filosofo o poeta che sia, ma è veramente una magra consolazione. Probabilmente la frustrazione evolverà in ira e l’ira in violenza, ma servirà solo ad incrementare il controllo e la repressione. E poi?
Come diceva la maga di un vecchio fumetto, osservando la sfera di cristallo: “Vedo un futuro di pace e di serenità”. “Ottimo, dice il re, la gente sarà contenta!” La maga scruta meglio la sfera di cristallo ed aggiunge: “Non vedo gente”.
L’estinzione umana non è né per domani, né per il secolo a venire. Ci sarà perché nessuna specie è eterna, ma non presto: siamo troppo eclettici per sparire in fretta. Quello che però è certo è che stiamo facendo più buchi possibile nella barca che ci dovrà traghettare all’epoca post-combustibili fossili, qualunque cosa ciò significhi.
Mi pare di capire che nella attuale situazione di perdita di biodiversità, (a quanto pare siamo nel mezzo di una estinzione di massa) i sistemi naturali diventano più vulnerabili a fattori esterni tipo una siccità prolungata e potrebbe innescarsi una catena in cui le estinzioni generano altre estinzioni in una spirale che porta alla desertificazione. Chissà perché questo pericolo viene sottovalutato. Parrebbe una cosa da risolvere con la massima urgenza. Le siccità oramai sono diventate una costante del nostro clima.
A proposito di siccità:
https://www.ansa.it/sito/notizie/topnews/2023/01/27/usa-colorado-in-secca-verso-taglio-forniture-idriche-a-7-stati_2676da08-8c30-4311-a0bd-de2e6a8c9211.html
Se questo è un esempio di come NON riusciremo a gestire risorse decrescenti, siamo a posto.
Qui in Italia il Po ancora non si è ripreso…
E’ così, ma non fa notizia. Non “buca lo schermo” come si suol dire. D’altronde, tutti parlano del clima, ma nessuno prende provvedimenti seri.
Forse questi “tele-spettatori” seguono solo la loro natura di esseri viventi nel mondo: si adattano alle condizioni che cambiano “qui ed ora”, come hanno sempre fatto. Del resto viviamo in un paese, e in un continente, e ormai in un mondo, dove la legislazione, che e’ edittale, non sta ferma un minuto. Se gli uomini non capiscono i lenti cambiamenti cumulativi esponenziali, e’ perche’ non serve a nulla, ogni tanto succede una crisi, imprevedibile, o anche solo un cambio di percezione del mondo, che rimescolano le carte in tavola. La vicissitudine ambientale/ecologica si svolge invece su una scala temporale che e’ di secoli e di millenni*, e spero abbiate anche voi come me la modestia di riconoscere che nessun provvedimento politico/legislativo/culturale/sociale, tanto piu’ se apodittico-edittale, puo’ sperare di durare piu’ di qualche anno o decennio, ch’e’ un’irrilevanza nella scala temporale di cui sopra, per poi rivolgersi nel suo contrario a ogni cambio di generazione. Per non considerare poi il fatto che esistono fenomeni tipo il cosiddetto greenwashing che, comunque, distorcono gia’ da subito le intenzioni, trasformando ad esempio la “decrescita” in ulteriori favolose occasioni di speculazione, rottamazione e iperconsumismo (in politica non mi risulta che chi ha scosso l’albero abbia mai raccolto i frutti – hitler e’ stato la fortuna di stalin, weimar la fortuna di hitler, e.g.). In altre parole state buttando via il vostro tempo come l’ho buttato via io stesso, spero vi divertiate, almeno. Io non mi sono per niente divertito.
I piani definitivi ed escatologici che, come si dice oggi, “salvano il pianeta”, sono delle velleita’, peraltro storicamente ricorrenti per quanto con contenuto diverso, per illusi e/o presuntuosi, che fanno piu’ male che bene, perche’ alla fine e’ l’atteggiamento arrogante e ordinativo dell’essere umano ad essere il problema, al di la’ del suo contenuto, che sia ecologico, razziale, religioso, economico, classista, o tecnico-scientifico. Ovviamente non e’ per te che lo dico che questa percezione in fondo ce l’hai, ma per la gente che vi trascinate dietro: osservandola si ha solo conferma di quanto sopra. Dobbiamo stare attenti, fermarli prima che partano, su qualsiasi cosa, per quanto bene intenzionati, anzi specialmente se “bene” intenzionati, che il “male” ognuno si vergogna da solo di farlo.
https://youtu.be/N04rzIj7zYc
Winston
Togli la pubblicità, aggiungi qualche dubbio e quello che resta è tutto regalato.
Nessun piano. Cose semplici.
(Io poi tra l’altro ho avuto a che fare veramente con una veggente. Purtroppo non l’ho ascoltata, per
stupido razionalismo. Ma questa è un’altra storia).
Non si preoccupi ci divertiamo tantissimo a buttare tempo, semmai quando diventeremo oziosi e frustrati commentatori dei blog altrui avremo capito di essere arrivati alla frutta.