In data 13/8/2018 è stato pubblicato un articolo dal titolo “I Parchi Nazionali italiani sono allo sfascio. E così le nostre bellezze naturali non rendono e ci costano care”; ispirato da un rapporto della Corte dei Conti.   Vale la pena commentarlo tenendo conto che considerazioni analoghe valgono anche per i Parchi Regionali e per le Aree Protette in generale.
In buona sostanza, l’articolo sostiene che la grande maggioranza di Parchi Nazionali funzionano poco e male, adducendo a prova di ciò due fatti fondamentali: il primo è che i bilanci sono formati quasi interamente da trasferimenti dallo stato o dalle regioni, relegando la “vendita di beni e servizi” ad un ruolo assolutamente marginale, tranne che in un paio di casi che il giornalista considera delle luminose eccezioni.   Il secondo è un patologico ritardo nell’approvazione di piani e regolamenti per molti di questi enti.

Per quanto riguarda il primo punto, conviene ricordare che i Parchi Nazionali sono istituzioni pubbliche destinate a conservare determinati beni ambientali, in particolare (ma non solo) la biodiversità. Non devono quindi produrre o vendere alcunché.  Non sono imprese.
La loro gestione risulterà buona o cattiva a seconda delle condizioni di conservazione dei beni loro affidati e pretendere che si autofinanziano, anche solo in parte, significa spianare la strada a fenomeni perversi.   Si chiederebbe alla scuola di autofinanziarsi vendendo diplomi, alla Polizia di vendere servizi di protezione od agli Uffizi di vendere quadri?
I Servizi Pubblici non sono aziende e confondere queste due categorie è stato un errore che ha contribuito alle sfascio del Paese.  La aziende hanno infatti il compito di realizzare un profitto su cui pagano delle tasse che servono a far funzionare i servizi pubblici che, a loro volta, devono garantire il mantenimento delle condizioni migliori possibili per la vita dei cittadini: per esempio ordine pubblico, difesa, istruzione e servizi ecosistemici.
Del resto, pretendere che i comuni si autofinanzino, dando loro ampio margine discrezionale sulle scelte urbanistiche, ha accelerato di molto il degrado dei territori che proprio le amministrazioni comunali avrebbero dovuto tutelare.  Se si distrugge terreno agricolo, si devasta il paesaggio, si rendono ingestibili i servizi di rete, si aumentano il rischio idrogeologico e sismico pazienza; la priorità è fare cassa per tappare i buchi più grossi di quest’anno.  Poi si vedrà.   Ma è tutta colpa dei Comuni, o si sono create le condizioni perché ciò accadesse?  Come mi disse un sindaco: “Potete dire quel che volete, ma qui se non si mura si fa bancarotta”.   Vogliamo davvero porre anche le amministrazioni dei Parchi nella medesima posizione?

Per quanto riguarda il secondo punto, invece, l’articolista ha perfettamente ragione: in parecchi casi l’approvazione dei piani e dei regolamenti presenta dei ritardi oramai osceni. Ma perché? Per una ragione molto semplice: perché non è ancora stato trovato un compromesso che soddisfi tutte le lobby economiche e politiche rilevanti in zona.   In altre parole, chi gestisce il potere non ha interesse a che questi piani vengano redatti ed approvati.  Punto.   I motivi per cui non si vuole sono diversi da caso a caso, ma tutti hanno un retroterra comune nel fatto che non vi è accordo fra amministrazioni e fra imprenditori su come sfruttare quel territorio.
Per la stessa ragione, più o meno tutti i parchi si trovano cronicamente a corto di personale (soprattutto di guardie) e quand’anche rilevano illeciti ed abusi, sono spesso tardi ed inefficienti nel reprimerli, specie quando commessi da soggetti localmente influenti.  Si, perché fra il personale dei parchi, come ovunque, si trovano persone eccezionalmente competenti e motivate, ma anche parassiti e soggetti assai più interessati a compiacere il potentati locali che a far funzionare il servizio.  Ma sempre di più vi si trovano anche persone che, in tutta buona fede, pensano che davvero un parco sia qualcosa che si deve autofinanziare vendendo beni e servizi.  O, quantomeno, che un parco naturale sia prima di tutto una specie di agenzia di promozione economica.

In conclusione, è vero che molti parchi funzionano poco e male, ma non perché non fanno cassa, bensì perché i governanti nazionali e regionali da cui dipendono vogliono che sia così.   Un po’ perché sono abituati ad usare gli gli enti che controllano in funzione dei propri calcoli elettorali, ma molto anche perché ai più non è per niente chiaro a cosa davvero servano le Aree Protette, il che ci riporta al punto di partenza.
Non di rado, si sente infatti dire che se i parchi devono costare e basta, perché istituirli e mantenerli?  Se le Aree Protette hanno la funzione principale di imporre e gestire vincoli; perché spendere del danaro pubblico per creare ostacoli, anziché favorire le attività economiche?
Domanda interessante perché se dovessimo mantenere solo ciò che rende moneta sonante dovremo abbandonare tutto ciò che rende la nostra vita degna di essere vissuta.  A cominciare dai rapporti di amicizia e di amore, per arrivare al 99% di ciò che siamo soliti chiamare civiltà.   Ma la questione qui è ancora più profonda perché di civiltà ce ne sono state migliaia in passato ed altrettante potranno essercene in futuro.  Ad una condizione però: che la Biosfera continui a funzionare.
Vale a dire che una serie di equilibri fondamentali per il mantenimento della vita (anche nostra) vengano mantenuti sostanzialmente funzionanti.  Parlo dei quelli che a scuola chiamano cicli bio-geo-chimici e che sono la trama e l’ordito della vita sulla Terra.  Proprio quegli equilibri che stiamo facendo saltare provocando le catastrofi che oramai quotidianamente vediamo sui media.
Possiamo pensare civiltà senza petrolio, ma non senza un clima favorevole, suoli fertili ed acqua abbondante.  Ma soprattutto, non può esistere una civiltà senza biodiversità perché è proprio questa che costituisce il sistema planetario di regolazione dei cicli BIO-geo-chimici.  Si potrebbe parafrasare una vecchia pubblicità con “No biodiversità? No vita, no civiltà, no umanità.”

Ecco, a questo servono, o dovrebbero servire i Parchi Nazionali e le altre Aree Protette: a dare una speranza di vita all’umanità.   Se poi vendono anche qualche cartolina, meglio, ma non me ne preoccuperei più di tanto.

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