ATTENZIONE: LE OPINIONI QUI ESPOSTE VANNO CONSIDERATE COME PERSONALI DI IGOR GIUSSANI E NON POSIZIONI UFFICIALI DI APOCALOTTIMISMO.

Dio piacendo, domenica 26 gennaio finirà quello squallido spettacolo chiamato ‘campagna elettorale per le elezioni regionali dell’Emilia Romagna’ che, abitando a Ravenna, mi sta da tempo mortificando gli zebedei. Come noto, tutto il dibattito si è trasformato in un referendum pro o contro Matteo Salvini, relegando la candidata presidente della Lega Lucia Borgonzoni a semplice comparsa del teatrino: un eventuale trionfo in Emilia Romagna equivarrebbe per il Capitano/Capitone (a seconda delle vostre simpatie politiche) a un biglietto (di sola andata?) per Palazzo Chigi. In ogni caso, comunque vada, Salvini ha già vinto. Vediamo perché.

 

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Tutte le forze sedicenti antifasciste (sì, concordo che Bruno Vespa non sia un testimonial troppo pertinente) hanno discusso sull’opportunità di mandare a processo Salvini, temendo che il tutto si trasformi in uno strumento propagandistico utile per ergersi a eroe nazionale. Purtroppo, però, ragionare in termini di opportunità sulle questioni giudiziarie è un comportamento tipicamente anti-democratico; in uno stato diritto (cioé quanto di più antifascista dovrebbe esistere), la preoccupazione prioritaria dovrebbe essere di assicurare le adeguate garanzie legali all’imputato e impegnarsi affinché le presunte vittime ricevano giustizia per gli eventuali torti subiti. Invece, nel marasma del calcolo politico, della possibile violazione ai danni dei migranti sulla Gregoretti non importa nulla a nessuno, neppure a chi sbandiera sentimenti umanitaristi; possono anche aver subito un sequestro, ma, se punire Salvini si ritorce a suo vantaggio, spiacenti ma devono essere sacrificati per il bene della causa. Cattivismo sincero vs buonismo pragmatico?

 

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Condannare il leader leghista per la boutade squadristico-mediatica della citofonata al fantomatico spacciatore tunisino è cosa buona e giusta. Peccato, però, che lui sia uno dei pochissimi politici che non solo si presenta in un quartiere come il Pilastro di Bologna, ma non rischia il linciaggio e anzi viene acclamato da una grande folla. Condizione necessaria non sufficiente per essere sostenuti dagli abitanti delle periferie in degrado è… trovare almeno il coraggio di presentarsi in quei posti e parlare alla pari con chi ci vive. Vi risparmio la solita, noiosa tiritera sulla sinistra abituata ai salotti buoni, ecc. ma sarebbe d’uopo.

 

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Guccini e tutti gli alfieri della ‘unità contro la destra’ sono molto ingenui se pensano che un esito sfavorevole delle urne possa di per sé bloccare l’ascesa di fenomeni politici sorti in reazione a trasformazioni profonde del sistema. Le affermazioni del Fronte Popolare in Francia nel 1936 o di Hindenburg alle elezioni presidenziali del Reich del 1932, per citare due esempi famosi, non hanno minimamente intaccato l’ascesa del nazifascismo in Europa.

Non voglio fare paragoni impropri, perché non viviamo negli anni Trenta e inoltre il popolo sovranista è per lo più una massa virtuale da social newtork, ben diversa dalle folle invasate acclamanti Hitler e Mussolini, composte da persone che per fedeltà al loro leader non si sono limitate a crocettare una scheda elettorale o a mettere like a dei post (o alle delazioni di infimo livello). Tuttavia, il sovranismo di destra è la risposta (secondo me profondamente sbagliata, ma non è questo il punto) a una presa di coscienza reale, riguardante la putrescenza della globalizzazione e il fallimento dell’ideologismo liberal-liberista che si era accreditato quale ‘pensiero unico’. In un contesto del genere, l’unico vero slancio potrebbe provenire da formazioni che condividessero le stesse premesse proponendo rimedi differenti, ma quali sono le alternative per chi, come gli abitanti del Pilastro, vive sulla propria pelle in maniera più acuta il fallimento della distopia neoliberista? Il PD cultore del globalismo-europeismo dal volto umano? Il M5S nato con i vaffanculo, le rivoluzioni digitali e la sacralizzazione del ‘programma’ sprofondato nella real politik all’italiana (che per giunta non avrebbe voluto neanche competere alle elezioni emiliane ma è stato obbligato dal primo e finora unico sgarbo dell’asettica piattaforma Rousseau?)? I Verdi che ostentano la faccia di Greta Thunberg (e chi potrebbero mettere dei loro?) ma rimangono ancorati allo sviluppo sostenibile e concetti simili? Le Sardine che, con tutto il bene che si può volere loro, sbandierano la vaga etichetta ‘antifascismo’ in quanto capaci solo di connotare la loro differenza etico-culturale  ma non di articolare un concreto progetto politico?

 

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Ne La grande trasformazione, Karl Polanyi definisce il fascismo una ‘mossa’ del capitalismo per salvaguardare la sua struttura profonda sacrificando il laissez-faire e il mito del mercato autoregolato. Il New Deal rooseveltiano rappresentò un’altra ancora di salvezza del Capitale, basata però sulla preservazione e il consolidamento della democrazia. I paladini del neoliberismo hanno sempre evidenziato le analogie tra fascismo e keynesismo al fine di denigrare l’immagine di quest’ultimo, additandolo ad anticamera dell’autoritarismo; in realtà, entrambi avevano recepito gli stessi problemi reagendo con provvedimenti simili nella forma (intervento dello stato in economia, ricerca della piena occupazione, ecc) ma estremamente diversi nei contenuti. In Germania e Italia, dove non maturarono forze capaci di progettare e concretizzare un New Deal, il nazifascismo è apparso ai più come la risorsa migliore per uscire dal pantano post-Grande Guerra e Crisi del 29. Al resto ci ha pensato poi la seconda guerra mondiale.

Oggigiorno, il destino che deve affrontare la società umana è quella tratteggiata dallo scenario base de I limiti della crescita (se preferite qualcosa di più discorsivo, vi rimando a un articolo dell’apocalottimista Luca Pardi sul blog di ASPO Italia).

 

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Il popolino che inneggia a Salvini non ha certo dimestichezza con la dinamica dei sistemi, può negare il cambiamento climatico, credere nei complotti  massonici, ecc. sicuramente, però, ha capito che il giocattolo progressista/sviluppista si è rotto forse per sempre, che la torta è destinata a farsi più piccola e che riabbracciare con ancora più entusiasmo il vecchio vangelo neoliberista è il modo migliore per finire dalla padella alla brace. Al di là dell’esito delle urne, finché le proposte del leader leghista e la ‘mossa sovranista’ in genere verranno percepite come le più consone tra quelle a disposizione nel panorama politico per affrontare la sfida dell’avvenire che si profila all’orizzonte, allora Salvini ha già ampiamente trionfato.

 

 

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