“Se una canzone mi piace è perché avrei voluto scriverla io”, disse Marylin Manson in un’intervista di svariati anni fa. In questo senso, sarei davvero lieto di potermi attribuire la paternità di Fascismo Mainstream. L’autore Valerio Renzi ha espresso, in maniera secondo me impeccabile, riflessioni che in qualche maniera condivido da tempo, ma che non sarei mai riuscito ad argomentare altrettanto bene.

Un’analisi di cui si sente un grande bisogno, specialmente quando le disamine alla moda sulla cosiddetta ‘nuova destra’ si limitano a pamphlet polemici senza particolare costrutto, dove spesso ‘fascista’ è usato come epiteto verso generiche asserzioni destrorse/conservatrici non di proprio gradimento (penso al fascistometro di Michela Murgia e simili).

L’opera prende le mosse dalla decadenza inesorabile della ‘religione antifascista di stato’, ideologia che ha permeato il primo mezzo secolo della storia repubblicana ben al di là dell’epopea della guerra partigiana. La fine del ventennio mussoliniano, infatti, non aveva comportato soltanto il ritorno del multipartitismo in libere elezioni, bensì l’aspirazione a una società egualitaria dove ‘democrazia’ non consistesse solo nel riporre una scheda in un’urna elettorale ogni tot anni.

Un auspicio ben espresso nella seconda parte dell’articolo 3 della costituzione del 1948, quello relativo all’uguaglianza di tutti i cittadini: “È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese“. Nelle parole di Renzi:

I valori antifascisti si saldavano con una promessa di progresso e futuro che parlava la lingua della giustizia sociale e della crescita industriale… La mediazione della conflittualità tra classe operaia e borghesia nel quadro democratico, viene accettato in nome del progresso e di un riformismo che garantiva maggiore mobilità sociale, benessere materiale e consumi fino a qualche decennio prima inimmaginabili.

Malgrado innegabili limiti e storture, l’Italia del boom economico, governata dal centrosinistra DC-PSI incalzato da PCI e sindacati, ha concretizzato almeno parzialmente tale promessa con il famoso ‘ascensore sociale’. I cui effetti, però, si sono fatti sempre più labili a partire dagli anni Settanta, nel momento in cui la crescita ha cominciato pericolosamente a stentare; fino ad esaurirsi definitivamente con l’avvento della ‘seconda repubblica’, quando le forze politiche di ogni orientamento hanno sposato il credo neoliberista imperante nel più totale disprezzo dei precetti costituzionali. Guarda caso, proprio il periodo in cui è iniziata l’ascesa in Italia e in Europa della Nuova Destra.

Ma in cosa consiste la nuova ideologia? Secondo Renzi, trattasi di un pensiero ricalcato sostanzialmente sui capisaldi del fascismo d’antan, sottoposti però ad un’opera di de-ideologizzazione e decontestualizzazione storica, per darsi una parvenza politicamente e socialmente accettabile (il ‘fascismo del Terzo Millennio’, nelle parole di Casapound). In particolare:

  • razzismo e discriminazione sessuale hanno perso la dimensione biologica per assumere quella etnico-culturale, seguendo l’ottica del cosiddetto ‘differenzialismo‘;
  • non si evoca più esplicitamente il sovvertimento dell’ordinamento democratico, perseguendo piuttosto la via di una ‘democrazia illiberale‘, dove le elezioni sono intese quale legittimazione plebiscitaria per un leader che, in virtù della consacrazione popolare, crea i presupposti per una ‘dittatura della maggioranza’ in grado di alterare il normale corso della democrazia rappresentativa. Basti pensare ai casi di Putin in Russia o di Orban in Ungheria, oltre che alle reazioni violente dei sostenitori di Trump e Bolsonaro per disconoscere l’esito sfavorevole delle urne;
  • si combatte senza quartiere ogni forma di politically correct, nel nome di una libertà di espressione osteggiata dalla sinistra e/o da potentati di varia natura, per sdoganare demonizzazione e incitamento all’odio (oltre a fake news di ogni tipo);
  •  si rivendica l’attaccamento a una mitica Tradizione (per lo più rielaborata ad arte, in perfetto stile postmoderno), da cui l’Occidente si sarebbe colpevolmente allontanato perdendo identità e virilità, diventando così debole, inetto e facile preda di popoli africani e asiatici che, essendo rimasti ancorati al loro retaggio culturale, avrebbero mantenuto vigore e ambizione di egemonia culturale;
  • la politica internazionale è raffigurata come un complotto ordito da poteri forti espressione della finanza internazionale, dove uno degli scopi prioritari consiste nell’impaurire le masse per sfruttarle al meglio. 

Il merito principale di Renzi non consiste nell’aver individuato tali aspetti di per sé già sviscerati, bensì nell’opera di decostruzione che smaschera il carattere ‘mainstream’ dell’attuale rigurgito neofascista, malgrado la facciata ‘anti-sistema’ e l’avversione dichiarata al ‘globalismo’:

Il neoliberismo, nella sua edizione emersa con la crisi economica del 2008, con il rafforzarsi lungo le linee del colore e del genere, ma anche con la segregazione, in base alla classe, seppellisce una volta per tutte l’idea delle pari opportunità di partenza, il mito del “farsi da sé”… Per il questo il welfare state è un peso inutile: perché tramite l’erogazione di servizi, assegni, assistenza si vogliono mettere in condizioni persone che naturalmente non lo sono, e nel farlo si utilizzano risorse che legittimamente e naturalmente appartengono a chi le ha accumulate. La naturalizzazione delle disuguaglianze è il dispositivo ideologico che rende utili nel governo neoliberale della crisi le idee a disposizione nel bagaglio del Nuovo Fascismo.

Così, il fascismo previsto a tinte fosche per il nostro futuro è una sorta di piano B per mantenere le diseguaglianze, per permettere a chi già possiede di difendere il proprio… Lungi dal rappresentare un’alternativa, il Nuovo Fascismo si presenta indubbiamente come una possibilità per il neoliberismo. La crisi della globalizzazione è un fatto: eliminati i paletti ai movimenti dei capitali, verticalizzato su scala globale il processo produttivo, ora i nodi vengono al pettine… Invece di mettere in discussione la distribuzione delle ricchezze su scala globale e il modello di sviluppo, molto meglio garantire la crescita delle disuguaglianze scaricandone il costo verso il basso. Non è un caso che il campione del nuovo verbo autoritario è un miliardario come Donald Trump, nessuno dei suoi seguaci gli chiede di essere meno ricco, gli chiedono semplicemente di garantire a loro, e non agli altri, la possibilità di diventare altrettanto ricchi a discapito degli altri come loro… Per farlo è necessario acuire il divario, legittimare la sanzione della legge della morale: l’uomo prima della donna, i bianchi prima dei neri, ma anche dei gialli e dei bianchi di serie B. Ma soprattutto i poveri sono poveri per colpa loro, vanno lasciati indietro perché non sono meritevoli: sono loro stessi la causa della loro disgrazia, conta solo lo spirito e l’indole individuale, o l’appartenenza a una razza o a una identità nazionale in grado di garantire il proprio primato e il proprio privilegio.

 

A sostegno di questa tesi, viene riportata una dichiarazione emblematica del padre nobile del neoliberismo, Friedrich Von Hayek: “E’ evidente che le dittature pongono gravi pericoli. Ma una dittatura può limitare se stessa, e se autolimitata può essere più liberale nelle sue politiche di un’assemblea democratica che non conosce limiti”. Tale ‘dittatura limita’ era senza dubbio l’auspicio della borghesia italiana e tedesca quando decise disgraziatamente di spianare la strada a Mussolini e Hitler, sperando si trattasse di fenomeni temporanei sfruttabili ad arte per poi ripristinare vantaggiosamente lo status quo.

Una posizione ricollegabile a quella di Karl Polanyi che, ne La grande trasformazione, descrive il fascismo come una mossa del Capitale volta ad accantonare liberalismo politico e laissez-faire economico al fine di preservare i principi fondamentali di una società capitalista, come inviolabilità della proprietà privata, stratificazione sociale ed estrazione di plusvalore dai lavoratori, nel caso questi fossero seriamente minacciati.

Del tutto a ragione, il libro ammonisce contro i tentativi ingenui di combattere il Fascismo Mainstream. In particolare, Renzi diffida non solo del ripristino della religione antifascista di stato (“foglia di fico morale per l’inconsistenza della democrazia liberale”), ma in generale di qualsiasi sforzo che, ammantandosi di velleità neo-illuministe, si traduca  in un paternalismo pedante secondo cui le pulsioni fasciste attuali sarebbero solo reazioni antimoderne dovute ad ignoranza e cattivi sentimenti, cioé uno sviamento dalla retta via del Progresso. Il medesimo atteggiamento che anima debunker e fact-checker nel loro sforzo di confutazione delle bufale, per capirci, che proprio per tale motivo risulta tanto rigoroso quanto inconcludente negli effetti persuasivi. 

Innanzitutto, il fascismo è di per sé un figlio diretto della modernità, come hanno mirabilmente illustrato le riflessioni di Theodor Adorno e Max Horkheimer sull’Illuminismo, di Hannah Arendt sul totalitarismo e di Zygmunt Bauman sull’Olocausto. Inoltre, la propaganda  capace di irretire le masse in Germania, Italia e gran parte dell’Europa tra gli anni Venti e Trenta del secolo scorso si rivelò tanto convincente perché, nel suo turbinio isterico di menzogne, si potevano rintracciare sparuti ma innegabili elementi di verità.

Il complotto demo-pluto-giudaico era una farneticazione delirante, ma c’era molto da condannare nell’ordine mondiale uscito dalla Grande Guerra, così come nella società italiana dove gli ‘squali’ della grande borghesia si erano ingrassati con il conflitto a discapito di tutti i pesci più piccoli. Mutatis mutandis, solo una persona totalmente malinformata o in cattiva fede oggigiorno può negare gli effetti nefasti di quarant’anni di politiche neoliberiste, in particolare per quanto concerne lo strapotere finanziario e la polarizzazione sociale sempre più marcata e indecente.

E tralasciando le folli idiozie della ‘sostituzione etnica’ e della ‘ideologia gender’, che cosa rimane di un pensiero progressista che, messo in soffitta l’armamentario socialdemocratico-keynesiano oramai obsoleto con la fine della crescita, ha rinunciato a ogni funzione critica ripiegando su di un solidarismo peloso e ottuso in stile Boldrini (il famigerato “buonismo”) nonché sulle ipocrisie del pinkwashing, della ‘crescita verde’ e del politicamente corretto spintosi fino ai vaneggiamenti della ‘cancel culture’?  

Mi comporterei da ignavo se chiudessi la trattazione senza esprimermi riguardo alle forze politiche della destra radicale attualmente nell’agone politico e alla loro adesione al fascismo mainstream. Anche in questo caso concordo con Renzi, secondo cui le formazioni che fanno riferimento a Trump, Bolsonaro, Le Pen, Salvini e Meloni non sono fasciste, ma stanno strizzando l’occhio ai soggetti del fascismo mainstream (riconducibili per ora all’estrema destra extraparlamentare, sul tipo della già citata Casapound o dei movimenti statunitensi afferenti al suprematismo bianco) cooptandone a loro uso e consumo alcune istanze, con tutti i rischi che ciò può comportare.

Anche le buone intenzioni possono infatti venire corrotte da connubi tanto seducenti quanto pericolosi. Leggendo il programma di San Sepolcro dei Fasci di combattimento (1919), si trovano tantissimi punti condivisibili e all’avanguardia: suffragio universale femminile, giornata lavorativa a otto ore, minimo salariale, partecipazione di rappresentanti dei lavoratori alla gestione delle imprese, tassazione progressiva (quella che le destre radicali attuali vorrebbero rimpiazzare con la flat tax), sequestro dei profitti dell’industria bellica. Allo stesso modo, diversi movimenti oggi qualificati come ‘sovranisti’ o ‘populisti’ avanzano proposte molto sensate per rimediare agli sfaceli prodotti dalla globalizzazione neoliberista.

Tuttavia, nessun pensiero intellettuale e politico, neppure il più sano e costruttivo, può sopportare l’abbraccio mortale con  nazionalismo, etnismo e discriminazione sessuale, autentici Re Mida al contrario che pervertono inesorabilmente tutto ciò che toccano. Un’ideologia per nuovi stermini è il titolo inquietante dell’ultimo capitolo del libro: a chi possa sembrare esagerato, ricordo che viviamo in un mondo sovrappopolato dove milioni di persone rappresentano ‘vite di scarto’ (Bauman), inette come consumatori e sovrabbondanti come manodopera a basso costo.  

Basti pensare al progressivo deterioramento della questione migranti, a causa di problemi strutturali che tutti le parti in causa hanno preferito ignorare e che potrebbero aver raggiunto un punto di non ritorno. Il passo verso lo sterminio è forse più breve di quanto si potrebbe immaginare: quando si abdica al principio universalista dell’uguaglianza, ricordava Primo Levi, si traccia una via che conduce inesorabilmente alla logica del lager.

 

 

E’ uscito ‘La caduta del Leviatano. Collasso del capitalismo e destino dell’umanità‘, libro scritto da Jacopo Simonetta e Igor Giussani.

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