“Se una canzone mi piace è perché avrei voluto scriverla io”, disse Marylin Manson in un’intervista di svariati anni fa. In questo senso, sarei davvero lieto di potermi attribuire la paternità di Fascismo Mainstream. L’autore Valerio Renzi ha espresso, in maniera secondo me impeccabile, riflessioni che in qualche maniera condivido da tempo, ma che non sarei mai riuscito ad argomentare altrettanto bene.
Un’analisi di cui si sente un grande bisogno, specialmente quando le disamine alla moda sulla cosiddetta ‘nuova destra’ si limitano a pamphlet polemici senza particolare costrutto, dove spesso ‘fascista’ è usato come epiteto verso generiche asserzioni destrorse/conservatrici non di proprio gradimento (penso al fascistometro di Michela Murgia e simili).
L’opera prende le mosse dalla decadenza inesorabile della ‘religione antifascista di stato’, ideologia che ha permeato il primo mezzo secolo della storia repubblicana ben al di là dell’epopea della guerra partigiana. La fine del ventennio mussoliniano, infatti, non aveva comportato soltanto il ritorno del multipartitismo in libere elezioni, bensì l’aspirazione a una società egualitaria dove ‘democrazia’ non consistesse solo nel riporre una scheda in un’urna elettorale ogni tot anni.
Un auspicio ben espresso nella seconda parte dell’articolo 3 della costituzione del 1948, quello relativo all’uguaglianza di tutti i cittadini: “È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese“. Nelle parole di Renzi:
I valori antifascisti si saldavano con una promessa di progresso e futuro che parlava la lingua della giustizia sociale e della crescita industriale… La mediazione della conflittualità tra classe operaia e borghesia nel quadro democratico, viene accettato in nome del progresso e di un riformismo che garantiva maggiore mobilità sociale, benessere materiale e consumi fino a qualche decennio prima inimmaginabili.
Malgrado innegabili limiti e storture, l’Italia del boom economico, governata dal centrosinistra DC-PSI incalzato da PCI e sindacati, ha concretizzato almeno parzialmente tale promessa con il famoso ‘ascensore sociale’. I cui effetti, però, si sono fatti sempre più labili a partire dagli anni Settanta, nel momento in cui la crescita ha cominciato pericolosamente a stentare; fino ad esaurirsi definitivamente con l’avvento della ‘seconda repubblica’, quando le forze politiche di ogni orientamento hanno sposato il credo neoliberista imperante nel più totale disprezzo dei precetti costituzionali. Guarda caso, proprio il periodo in cui è iniziata l’ascesa in Italia e in Europa della Nuova Destra.
Ma in cosa consiste la nuova ideologia? Secondo Renzi, trattasi di un pensiero ricalcato sostanzialmente sui capisaldi del fascismo d’antan, sottoposti però ad un’opera di de-ideologizzazione e decontestualizzazione storica, per darsi una parvenza politicamente e socialmente accettabile (il ‘fascismo del Terzo Millennio’, nelle parole di Casapound). In particolare:
- razzismo e discriminazione sessuale hanno perso la dimensione biologica per assumere quella etnico-culturale, seguendo l’ottica del cosiddetto ‘differenzialismo‘;
- non si evoca più esplicitamente il sovvertimento dell’ordinamento democratico, perseguendo piuttosto la via di una ‘democrazia illiberale‘, dove le elezioni sono intese quale legittimazione plebiscitaria per un leader che, in virtù della consacrazione popolare, crea i presupposti per una ‘dittatura della maggioranza’ in grado di alterare il normale corso della democrazia rappresentativa. Basti pensare ai casi di Putin in Russia o di Orban in Ungheria, oltre che alle reazioni violente dei sostenitori di Trump e Bolsonaro per disconoscere l’esito sfavorevole delle urne;
- si combatte senza quartiere ogni forma di politically correct, nel nome di una libertà di espressione osteggiata dalla sinistra e/o da potentati di varia natura, per sdoganare demonizzazione e incitamento all’odio (oltre a fake news di ogni tipo);
- si rivendica l’attaccamento a una mitica Tradizione (per lo più rielaborata ad arte, in perfetto stile postmoderno), da cui l’Occidente si sarebbe colpevolmente allontanato perdendo identità e virilità, diventando così debole, inetto e facile preda di popoli africani e asiatici che, essendo rimasti ancorati al loro retaggio culturale, avrebbero mantenuto vigore e ambizione di egemonia culturale;
- la politica internazionale è raffigurata come un complotto ordito da poteri forti espressione della finanza internazionale, dove uno degli scopi prioritari consiste nell’impaurire le masse per sfruttarle al meglio.
Il merito principale di Renzi non consiste nell’aver individuato tali aspetti di per sé già sviscerati, bensì nell’opera di decostruzione che smaschera il carattere ‘mainstream’ dell’attuale rigurgito neofascista, malgrado la facciata ‘anti-sistema’ e l’avversione dichiarata al ‘globalismo’:
Il neoliberismo, nella sua edizione emersa con la crisi economica del 2008, con il rafforzarsi lungo le linee del colore e del genere, ma anche con la segregazione, in base alla classe, seppellisce una volta per tutte l’idea delle pari opportunità di partenza, il mito del “farsi da sé”… Per il questo il welfare state è un peso inutile: perché tramite l’erogazione di servizi, assegni, assistenza si vogliono mettere in condizioni persone che naturalmente non lo sono, e nel farlo si utilizzano risorse che legittimamente e naturalmente appartengono a chi le ha accumulate. La naturalizzazione delle disuguaglianze è il dispositivo ideologico che rende utili nel governo neoliberale della crisi le idee a disposizione nel bagaglio del Nuovo Fascismo.
Così, il fascismo previsto a tinte fosche per il nostro futuro è una sorta di piano B per mantenere le diseguaglianze, per permettere a chi già possiede di difendere il proprio… Lungi dal rappresentare un’alternativa, il Nuovo Fascismo si presenta indubbiamente come una possibilità per il neoliberismo. La crisi della globalizzazione è un fatto: eliminati i paletti ai movimenti dei capitali, verticalizzato su scala globale il processo produttivo, ora i nodi vengono al pettine… Invece di mettere in discussione la distribuzione delle ricchezze su scala globale e il modello di sviluppo, molto meglio garantire la crescita delle disuguaglianze scaricandone il costo verso il basso. Non è un caso che il campione del nuovo verbo autoritario è un miliardario come Donald Trump, nessuno dei suoi seguaci gli chiede di essere meno ricco, gli chiedono semplicemente di garantire a loro, e non agli altri, la possibilità di diventare altrettanto ricchi a discapito degli altri come loro… Per farlo è necessario acuire il divario, legittimare la sanzione della legge della morale: l’uomo prima della donna, i bianchi prima dei neri, ma anche dei gialli e dei bianchi di serie B. Ma soprattutto i poveri sono poveri per colpa loro, vanno lasciati indietro perché non sono meritevoli: sono loro stessi la causa della loro disgrazia, conta solo lo spirito e l’indole individuale, o l’appartenenza a una razza o a una identità nazionale in grado di garantire il proprio primato e il proprio privilegio.
A sostegno di questa tesi, viene riportata una dichiarazione emblematica del padre nobile del neoliberismo, Friedrich Von Hayek: “E’ evidente che le dittature pongono gravi pericoli. Ma una dittatura può limitare se stessa, e se autolimitata può essere più liberale nelle sue politiche di un’assemblea democratica che non conosce limiti”. Tale ‘dittatura limita’ era senza dubbio l’auspicio della borghesia italiana e tedesca quando decise disgraziatamente di spianare la strada a Mussolini e Hitler, sperando si trattasse di fenomeni temporanei sfruttabili ad arte per poi ripristinare vantaggiosamente lo status quo.
Una posizione ricollegabile a quella di Karl Polanyi che, ne La grande trasformazione, descrive il fascismo come una mossa del Capitale volta ad accantonare liberalismo politico e laissez-faire economico al fine di preservare i principi fondamentali di una società capitalista, come inviolabilità della proprietà privata, stratificazione sociale ed estrazione di plusvalore dai lavoratori, nel caso questi fossero seriamente minacciati.
Del tutto a ragione, il libro ammonisce contro i tentativi ingenui di combattere il Fascismo Mainstream. In particolare, Renzi diffida non solo del ripristino della religione antifascista di stato (“foglia di fico morale per l’inconsistenza della democrazia liberale”), ma in generale di qualsiasi sforzo che, ammantandosi di velleità neo-illuministe, si traduca in un paternalismo pedante secondo cui le pulsioni fasciste attuali sarebbero solo reazioni antimoderne dovute ad ignoranza e cattivi sentimenti, cioé uno sviamento dalla retta via del Progresso. Il medesimo atteggiamento che anima debunker e fact-checker nel loro sforzo di confutazione delle bufale, per capirci, che proprio per tale motivo risulta tanto rigoroso quanto inconcludente negli effetti persuasivi.
Innanzitutto, il fascismo è di per sé un figlio diretto della modernità, come hanno mirabilmente illustrato le riflessioni di Theodor Adorno e Max Horkheimer sull’Illuminismo, di Hannah Arendt sul totalitarismo e di Zygmunt Bauman sull’Olocausto. Inoltre, la propaganda capace di irretire le masse in Germania, Italia e gran parte dell’Europa tra gli anni Venti e Trenta del secolo scorso si rivelò tanto convincente perché, nel suo turbinio isterico di menzogne, si potevano rintracciare sparuti ma innegabili elementi di verità.
Il complotto demo-pluto-giudaico era una farneticazione delirante, ma c’era molto da condannare nell’ordine mondiale uscito dalla Grande Guerra, così come nella società italiana dove gli ‘squali’ della grande borghesia si erano ingrassati con il conflitto a discapito di tutti i pesci più piccoli. Mutatis mutandis, solo una persona totalmente malinformata o in cattiva fede oggigiorno può negare gli effetti nefasti di quarant’anni di politiche neoliberiste, in particolare per quanto concerne lo strapotere finanziario e la polarizzazione sociale sempre più marcata e indecente.
E tralasciando le folli idiozie della ‘sostituzione etnica’ e della ‘ideologia gender’, che cosa rimane di un pensiero progressista che, messo in soffitta l’armamentario socialdemocratico-keynesiano oramai obsoleto con la fine della crescita, ha rinunciato a ogni funzione critica ripiegando su di un solidarismo peloso e ottuso in stile Boldrini (il famigerato “buonismo”) nonché sulle ipocrisie del pinkwashing, della ‘crescita verde’ e del politicamente corretto spintosi fino ai vaneggiamenti della ‘cancel culture’?
Mi comporterei da ignavo se chiudessi la trattazione senza esprimermi riguardo alle forze politiche della destra radicale attualmente nell’agone politico e alla loro adesione al fascismo mainstream. Anche in questo caso concordo con Renzi, secondo cui le formazioni che fanno riferimento a Trump, Bolsonaro, Le Pen, Salvini e Meloni non sono fasciste, ma stanno strizzando l’occhio ai soggetti del fascismo mainstream (riconducibili per ora all’estrema destra extraparlamentare, sul tipo della già citata Casapound o dei movimenti statunitensi afferenti al suprematismo bianco) cooptandone a loro uso e consumo alcune istanze, con tutti i rischi che ciò può comportare.
Anche le buone intenzioni possono infatti venire corrotte da connubi tanto seducenti quanto pericolosi. Leggendo il programma di San Sepolcro dei Fasci di combattimento (1919), si trovano tantissimi punti condivisibili e all’avanguardia: suffragio universale femminile, giornata lavorativa a otto ore, minimo salariale, partecipazione di rappresentanti dei lavoratori alla gestione delle imprese, tassazione progressiva (quella che le destre radicali attuali vorrebbero rimpiazzare con la flat tax), sequestro dei profitti dell’industria bellica. Allo stesso modo, diversi movimenti oggi qualificati come ‘sovranisti’ o ‘populisti’ avanzano proposte molto sensate per rimediare agli sfaceli prodotti dalla globalizzazione neoliberista.
Tuttavia, nessun pensiero intellettuale e politico, neppure il più sano e costruttivo, può sopportare l’abbraccio mortale con nazionalismo, etnismo e discriminazione sessuale, autentici Re Mida al contrario che pervertono inesorabilmente tutto ciò che toccano. Un’ideologia per nuovi stermini è il titolo inquietante dell’ultimo capitolo del libro: a chi possa sembrare esagerato, ricordo che viviamo in un mondo sovrappopolato dove milioni di persone rappresentano ‘vite di scarto’ (Bauman), inette come consumatori e sovrabbondanti come manodopera a basso costo.
Basti pensare al progressivo deterioramento della questione migranti, a causa di problemi strutturali che tutti le parti in causa hanno preferito ignorare e che potrebbero aver raggiunto un punto di non ritorno. Il passo verso lo sterminio è forse più breve di quanto si potrebbe immaginare: quando si abdica al principio universalista dell’uguaglianza, ricordava Primo Levi, si traccia una via che conduce inesorabilmente alla logica del lager.
E’ uscito ‘La caduta del Leviatano. Collasso del capitalismo e destino dell’umanità‘, libro scritto da Jacopo Simonetta e Igor Giussani.
Secondo me sarebbe ora di consegnare il termine “fascismo” alla storia: ormai fa solo confusione. Non ho letto il libro ma in questo tuo testo vedo tutto e il contrario di tutto, e il tentativo di ricondurre o meno certe tendenze economiche, politiche e sociali al fascismo sembra essere l’unico sforzo mentale che certe persone fanno, a discapito del capire cosa è giusto e cosa no.
L’Italia in cui emerse il fascismo aveva problemi e condizioni per nulla paragonabili a quelle di oggi. Lo stesso “razzismo” fascista era molto diverso da come ce lo immaginiamo (fino alle leggi razziali, era basato sulla cultura e non sul sangue, come si capisce anche dalla famosa canzone “Faccetta nera”: anche l’abissina può diventare italiana, così come gli slavi se smettono di fare gli slavi, e così via). Il razzismo non era un principio fondante del fascismo nel modo in cui lo intendiamo oggi, applicando criteri del presente al passato. E il “razzismo” fascista era di altra natura rispetto a quello nazista, quello sì basato sul sangue.
Il problema dell’immigrazione non si presentava né ai fascisti né agli antifascisti, perché l’Italia era ancora un paese di emigranti, non di immigrati.
Riguardo alla sostituzione etnica, io sono tra i pochi che pensano che non sia un delirio o un complotto ma quello che sta effettivamente succedendo: magari è un bene, non un male, magari è voluto magari no, magari l’etnia non significa nulla, ma guardando i dati è chiaro che sta avvenendo esattamente questo. Non capisco perché tanta gente neghi l’evidenza.
E il continuo dover nominare “razza e genere” a proposito di ogni problema è francamente ridicolo, è una moda arrivata dall’America che non si adatta bene alla nostra realtà. E anche in America questi discorsi hanno stufato. Persino su Le Scienze c’è almeno un articolo a numero che riduce argomenti che dovrebbero essere scientifici a razzismo e sessismo… basta! E lo dico da donna. Il sessismo esiste ma non in ogni singola cosa del mondo.
Secondo me anziché insulti, richiami al passato e accuse di delirare a questo o a quello, potremmo anche sederci tutti assieme attorno a un tavolo, dire onestamente cosa pensiamo e come vorremmo andare avanti. Sarebbe costruttivo e utile; questo continuo puntarci addosso il dito a vicenda non ci porta da nessuna parte.
Questo libro non fa nulla di quello che dici, che è effettivamente una pratica alla moda: l’autore è quanto mai critico contro la ‘religione antifascista di stato’. Per il resto, penso che a consegnare il fascismo alla storia dovrebbe essere innanzitutto chi si definisce ancora fascista o parla di ‘riconciliazioni’ (evidentemente ci si riconcilia con chi è al mondo a professare certe idee, non i morti).
Nel ‘fascismo mainstream’, che è una rivisitazione in salsa postmoderna di quello storico, invece lo è eccome.
Se fosse in corso una sostituzione davvero etnica starebbe sparendo la lingua italiana in favore di altre, mentre le seconde generazioni di migranti diventano perfetti parlanti italofoni. Gli italiani stanno diventando semmai più scuri o con gli occhi a mandorla, che è un’altra cosa. E comunque non è qualcosa di progettato a tavolino (pensare questo, secondo me, è delirio).
Valerio Renzi nel suo libro non ha insultato nessuno, e neppure io. Semplicemente, siamo entrambi preoccupati che le attuali tendenze neofasciste, a cui ammiccano anche forze politiche dell’arco costituzionale, possono diventare pericolosamente ‘mainstream’ visti i tempi particolari che ci apprestiamo a vivere. Rispetto all’autore, mi preoccupano le tante persone assolutamente in buona fede e ben intenzionate (e anche con buone idee) che vedo sempre più affascinate da certa roba.
Igor, cosa intendi per “certa roba”?
Riguardo al razzismo, intanto secondo me essere contrari all’immigrazione illegale o di massa di per sè non è razzismo, ma comunque se il razzismo attuale è così diverso da quello fascista, così come sono diverse tante cose rispetto al fascismo di allora, perché continuare a usare questo termine? Non c’è un vero parallelismo storico E nessuno a parte le frange estreme si dichiara apertamente fascista, anche perché non si può, per cui magari cerchiamo etichette che ci aiutino a capire il presente anziché confondere il passato e creare ulteriori divisioni?
Riguardo alla sostituzione etnica, quello di “etnia” è un concerto in buona parte artificioso, per cui puoi dire che la storia collettiva e familiare, la religione e i tratti somatici NON sono caratteristiche etniche, mentre la lingua sì, ma mi pare un’affermazione riduttiva volta solo a preferire una certa interpretazione. Tanto più che “etnia” originariamente significa “gruppo di persone che hanno un’origine comune”, non stato nazione o gruppo linguistico. Gli italiani vengono via via rimpiazzati da stranieri, questo è un fatto: quello che ci resta da capire è cosa significa questa tendenza, se ci piace, se no, se possiamo veramente fermarla…
Riguardo all’essere un progetto creato a tavolino, non penso lo sia nel senso che qualcuno si è seduto e ha detto: lasciamo che gli europei si estinguano e al loro posto mettiamo qualcun altro. Questo no. Penso che l’idea che sia un piano a tavolino venga da qui: https://it.wikipedia.org/wiki/Teoria_del_complotto_del_piano_Kalergi
Non è una cosa di cui mi pare valga la pena stare tanto a parlare.
Una cosa su cui non ho dubbi, invece, è che ci sia una chiara e dichiarata intenzione da parte di entrambi gli schieramenti politici, fino ai loro estremi, di far arrivare qui come in altri paesi ricchi persone di qualsiasi provenienza e a qualsiasi costo pur di non dover convincere gli autoctoni a fare certi lavori – perchè questa seconda opzione significherebbe fare tutta una serie di cose estremamente impopolari quali alzare l’età pensionabile, alzare il salario minimo e quindi, in molti casi, anche i prezzi al consumo (altrimenti non puoi pagare la gente di più in molti settori), redistribuire le ricchezze, togliere o ridurre non solo il reddito di cittadinanza ma anche la cassa integrazione, le pensioni alte o di reversibilità, e così via.
Per cui la “sostituzione etnica” non è un progetto, ma la conseguenza del desiderio di mantenere la situazione attuale e il tentativo di crescere economicamente a tutti i costi. Siccome le persone non riescono a fare questo collegamento, qualcuno pensa che sia in atto un piano. E questo vale per tante altre “teorie del complotto.”
Ma per me chi accetta questa realtà di cose è tanto colpevole come chi la demonizza. Abbiamo un problema di fronte, perché si tratta di un altro “schema Ponzi” o catena di Sant’Antonio con cui fare i conti prima o poi.
Penso ad esempio a non poche persone capaci di fare discorsi anche molto ragionevoli su determinati argomenti che non solo hanno fatta propria la posizione russa sulla guerra in Ucraina, ma si sono fatte irrettire dalla propaganda di contorno, incentrata sulla Quarta Teoria di Dugin e simili.
Il libro si concentra proprio sulle frange che si dichiarano apertamente fasciste (che ci sono, vedi Casapound) o fautori del suprematismo bianco, non si mette a chiamare ‘fascista’ chiunque non gli aggrada, a partire dalle destre radicali di governo che pure strizzano l’occhio a un certo tipo di elettorato. Il grande merito dell’autore è aver compreso che, nell’epoca in cui oramai ‘l’ascensore sociale’ è andato perduto per sempre e una uguaglianza sostanziale è possibile solo redistribuendo la ricchezza dai piani alti, il neofascismo attuale possiede soluzioni perfette per legittimare la disuguaglianza.
Nessuno demonizza alcunché, né si vuole essere ‘divisi’ (che poi non vuol dire nulla), semplicemente si muovono preoccupazioni basati su fatti che si possono ritenere minoritari ma concreti. L’assalto al Campidoglio del 2021, ad esempio, sarebbe stato qualcosa di impensabile fino a poco tempo fa. La democrazia liberale è in crisi profonda, il mondo globalizzato si sta disfacendo con le ideologie che si propongono ‘alternative’ al neoliberismo per lo più tutte incentrate su caratteri nazionalisti se non proprio fascistoidi. In questo quadro, l’idea alla Polanyi che il capitalismo ricorra al fascismo posmoderno come ‘mossa’ per stabilizzarsi mi pare per nulla peregrina.
Igor, non lo so se è proprio così. La Meloni in campagna elettorale aveva detto che la manodopera a basso costo conviene ai padroni, che è vero, e poi al governo fa i decreti flussi come tutti gli altri, perché li vogliono gli imprenditori, mentre distrae la gente con la storia dei barconi (che per quanto mi riguarda È un problema reale da molti punti di vista, ma è anche il momento in cui ha meno senso ed è più rischioso agire, rispetto al prima e al dopo).
Per cui la mia lettura non è tanto che l’estrema destra legittima le diseguaglianze, quanto che come tutti promette una cosa e poi ne fa un’altra. Questo a me sembra il vero problema.
Riguardo al fascismo, per l’appunto il fatto che tanti sedicenti “antifascisti” difendano le posizioni della Russia, forse lo stato più veramente Fascista del mondo al momento sia in politica interna che estera (sostiene l’espansione dell’Impero e manda aiuti ai Francisco Franco di oggigiorno), con l’aggravante di una corruzione forse più sfacciata e di una minore preoccupazione per il bene delle masse, è uno dei deprimenti paradossi del nostro tempo. O forse no.
In fondo avrai notato anche tu che a sinistra, e nella mia esperienza ancor più che a destra, l’intolleranza verso chi non la pensa nel modo “giusto” sfocia quasi immediatamente nel desiderio di mandarli tutti in un gulag.
P.S. Per quanto mi riguarda, il nazionalismo è, assieme a cristianesimo e comunismo, il classico esempio dell’ideologia rivoluzionaria di liberazione che dopo un po’ diventa reazionaria e oppressiva. Infatti nei paesi in cui non è ancora stato fatto questo passaggio, il nazionalismo è o è stato fino a poco fa qualcosa di simile a quello che era in Europa nell’Ottocento.
Gaia:
“P.S. Per quanto mi riguarda, il nazionalismo è, assieme a cristianesimo e comunismo, il classico esempio dell’ideologia rivoluzionaria di liberazione che dopo un po’ diventa reazionaria e oppressiva.”
A leggere il commento medio del blog medio ambientalista, l’ambientalismo ha preso la stessa piega, da un bel pezzo, usando sempre lo stesso schema: “se non fate quello che diciamo noi, crollera’ tutto”, ecco qua i grafici e i numeri che lo dimostrano! i grafici! i numeri! 🙂
Forse il problema e’ nell’essere ideologie e, in quanto tali, pretendere di costringere il mondo e il suo futuro nel loro angusto spazio interpretativo.
Opprimente.
In realta’, ognuna a suo modo, le cose della vita cambiano, vanno, tutto si adatta, nasce e muore.
“Ma cosi’ stai dalla parte dei cattivi!”, direte.
Puo’ darsi, non lo so, ma se ci fate caso i cattivi, a volte con la violenza e il raggiro, molto piu’ spesso con le piu’ buone intenzioni e la persuasione, sono giudicati come tali dal senno del poi proprio quando credono di sapere come deve funzionare tutto. Anzi, credono di sapere l’unico modo in cui puo’ funzionare il tutto. Beati loro! Esistenzialmente parlando, vivono senz’altro meglio, hanno una fede.
Personalmente apprezzo l’aver messo nero su bianco l'”anything goes” da parte del filosofo scettico-anarco-libertario Feyerabend. Dico “l’aver messo nero su bianco” perche’ non e’ che ci volesse chissa’ che filosofo per arrivarci, e’ quello che faremmo spontaneamente un po’ tutti prima appunto di essere intossicati dalle ideologie, e dai loro interessati profeti.
Tentativo ed errore, Trial and error, come a quanto pare la natura stessa fa, senza le tante pretese di infallibilita’ che alcuni di noi le attribuiscono.
Un po’ piu’ di ironia, in mezzo a tutti questi seriosi sacerdoti della verita’, non guasterebbe. Specialmente nelle scuole, dove bisognerebbe insegnare il pensiero critico e a scansare gli indottrinamenti, che per questi ultimi non occorre scuola, si trovano dappertutto.
Ma no dai, sei solo uno dei miliardi provocatori del Web che si rifugiano dietro l’anonimato, ci vuole qualcosa di più sostanzioso per meritarsi di essere un villain, non scherziamo.
Ma guarda che sbagli nel giudicarci, mica siamo questi seriosi noi facciamo delle grande ironia e ci facciamo beffe di tutto, specialmente di te.
Beh, una cosa su cui sono assolutamente coerenti riguarda attaccare ripetutamente chi percepisce il redditto di cittadinanza come gente che perde tempo sul divano e contemporaneamente fare tante concessioni agli evasori fiscali. Assolutamente legittimo criticare il reddito di cittadinanza e volerlo abolire, ma trova emblematico demonizzare (qui direi parola giusta) chi usufruisce di un diritto di legge ed essere invece molto ‘buonisti’ contro chi frega l’erario nazionale.
Faccio un attimo l’avvocato del diavolo.
Premetto che io non evado le tasse e quando qualcuno che so che potrebbe pagarle non lo fa mi arrabbio. Detto questo, purtroppo per esperienza ho visto che in Italia, così come in molti altri settori, le leggi sono troppo severe e al tempo stesso troppo poco fatte rispettare. La tassazione è obiettivamente altissima nel suo complesso, il costo del lavoro spaventoso (e non solo per le tasse, magari fosse solo quello) e in certi casi la legge stabilisce che certe professioni non possono chiedere meno di un tot per certi prodotti o prestazioni, il che o tiene troppo alti i prezzi o incoraggia il nero.
Senza contare che in alcuni settori (dall’agricoltura alle ripetizioni) è talmente laborioso, quando non addirittura proibito, vendere una certa cosa o elargire una certa prestazione, legalmente, che fai “a nero” perché non hai alternative. Anche questo detto per esperienza di persone che conosco o vedendo io come vanno le cose.
A me più che l’evasione fiscale diffusa, che non va bene ma è anche un prodotto di questi meccanismi, danno fastidio due altre cose:
1. tutti i soldi che tutti i governi riversano continuamente nelle tasche degli imprenditori e dei grossi consumatori (vedi vari bonus per auto, consumi di ogni sorta ed edilizia), mentre poi protestano sul reddito di cittadinanza, come dici tu
2. l’elusione dei grandi ricchi e soprattutto delle grandi aziende e delle multinazionali, spesso perfettamente legale ma di entità molto maggiore e peggiore per la nostra economia dell’evasione “diffusa”
Quindi io sono favorevolissima, ci mancherebbe, a una lotta all’evasione, ma solo tenendo conto delle cose sopra, altrimenti fai solo peggio.
“Quindi io sono favorevolissima, ci mancherebbe, a una lotta all’evasione, ma solo tenendo conto delle cose sopra, altrimenti fai solo peggio.”
Gaia, facendo due piu’ due da quanto hai scritto sopra, io ne dedurrei che la lotta all’evasione e’ limitata a qualche sfigato a cui capita il controllo e che paga per tutti con sanzioni a dir poco rabelaisiane (peraltro anche quando e’ superonesto, che i controlli non se ne vanno finche’ non trovano qualche errore formale e portano a casa qualcosa – vedi i pochi negletti video sul tubo del povero dirigente pentito dell’AdE, Luciano Dissegna), perche’ altrimenti il paese chiuderebbe bottega in poco tempo, e resterebbero senza pane anche coloro i quali adesso vivono delle tasse pagate dagli altri, i quali sono tutt’altro che stupidi.
Visto che ti interessi di contributi all’agricoltura, ti ricorderai che quando vennero instaurate le quote latte (che e’ una forma di contributo all’agricoltura, in quanto limita l’offerta artificialmente allo scopo di innalzare i prezzi per gli “insider”, per quelli gia’ presenti sul mercato, come tutto il sistema delle quote, tagliando fuori gli altri), il ministro mi pare democristiano dell’epoca dopo averle firmate torno’ in italia e fece sapere che gli era toccato firmarle, ma avrebbe fatto finta di nulla, e si sarebbe continuato come prima. Qualcuno lo chiamerebbe doppiopesismo, ma io col tempo sono arrivato a considerarla saggezza democristiana, del “si fa qual che si puo’ in questo contesto di contrapposizione ideologica”. Peccato che dopo qualche anno, dopo “manipulite”, ando’ al governo l’opposizione che, avendo capito poco o nulla di com’erano andate le cose, ne fece una questione di contrapposizione ideologica partitica, e partirono cartelle esattoriali a raffica da sterminio fiscale. Fu una delle ottusita’ giustizialiste della sinistra che fece la fortuna del fenomeno leghista.
Veramente dopo la fine della ‘prima repubblica’ andò al governo Berlusconi, un paladino di evasione/elusione
“Veramente dopo la fine della ‘prima repubblica’ andò al governo Berlusconi, un paladino di evasione/elusione”
Igor, il governo Berlusconi cui ti riferisci ando’ al governo a seguito e per protesta contro il massacro fiscale Amato-Ciampi che fu messo in atto per tamponare la grave crisi finanziaria del 1992 (baby pensioni, collasso della lira, debito pubblico in esplosione, minimum tax a prescindere dal reddito), ed e’ durato in carica poco piu’ di 6 mesi effettivi, quando infine venne fatto cadere da Bossi sulla riforma delle pensioni cui la lega si oppose (“le pensioni del nord non si toccano!” disse Bossi), per cui D’Alema se ti ricordi defini’ Bossi “una costola della sinistra”… Praticamente quel mitologico governo di destra dell’altrettanto mitologico primo decennio berlusconiano, non ebbe neanche il tempo di diventare operativo che venne mandato a casa, a seguito anche di una mega manifestazione contro la riforma delle pensioni organizzata dai sindacati, riforma che se fosse stata fatta allora ci saremmo risparmiati i disastri successivi compresi quelli attuali, e la legge Fornero. In seguito ando’ al governo Dini che nel 1995 fece una riforma, ma fatta in modo che avrebbe cominciato ad entrare _parzialmente_ in vigore solo minimo 24 anni dopo, nel 2019 (per chi aveva gia’ 18 anni di anzianita’ contributiva, sarebbero rimaste in vigore le vecchie regole – quindi una riforma finta, TUTTA a carico delle future generazioni, e infatti la spesa pensionistica ha sempre continuato a lievitare).
Quando racconti queste cose la gente non ti crede, perche’ pensa che se cosi’ fosse, se fosse cosi’ scandaloso, lo direbbero e lo saprebbero tutti.
Tutti chi? Dei kamikaze politici in vena di autolesionismo? L’italia e’ un paese omertoso a grande maggioranza elettorale di pensionati e pensionandi, per cui chi tocca le pensioni non ha NESSUNA speranza di vincere le elezioni.
Potrei sbaglarmi un po’ nei ricordi, ma non nella sostanza.
Al governo Dini di coalizione a sostanziale dirigenza di sinistra (con presidenti della repubblica che dopo Cossiga sono SEMPRE stati dell’area di centro sinistra), seguono governi di sinistra fino al 2001. Il centro destra torna al governo nel 2001, se non ricordo male, dopo aver capito che per restare al governo non bisogna toccare nulla dell’esistente, e far finta di lottare su temi marginali a forte polarizzazione ideologica (ad esempio sul numero dei feti impiantabili per la fecondazione assistita, e robe del genere). Hanno fatto condoni? Si’, ma ogni volta raddoppiando le gia’ rossiniane sanzioni per chi non si adegua, rendendo l’attuale apparato esattore e sanzionatorio italiano una via di mezzo fra un lager nazista e un gulag sovietico. Altro che pro-evasione: questa e’ una narrativa falsa che e’ stata alimentata da entrambe le parti politiche per polarizzare e turlupinare i propri rispettivi elettorati.
Per quanto riguarda la questione dell’evasione fiscale, un consiglio caldo: lascia perdere, chi non l’ha provato sulla sua pelle, non puo’ avere la minima idea di come funziona l’apparato normativo-fiscale-sanzionatorio italiano.
Quando cerchi di spiegarlo alla gente, semplicemente non ti crede, perche’ non solo e’ assurdo, ma fa il contrario di cio’ che dice di fare, non e’ li’ per aiutare i bisognosi in difficolta’, i piccoli, i deboli, anzi. E’ li’ per distruggerli e renderli perennamente in uno stato di questuante dipendenza sottomessa. Chiedi alla Gaia, che e’ sulla strada per capirne qualcosa. Sulla sua pelle.
Questo tuo comizio non c’entra nulla con la mia osservazione sul doppiopesismo di Meloni e compagni su reddito di cittadinanza e compagni, ma amen.
“comizio”
E’ una piccola lezioncina di storia recente a tuo beneficio, non un comizio. Se hai il coraggio di mettere in discussione i tuoi molti pregiudizi, e ce l’hai senz’altro, puoi trovare i riferimenti piu’ precisi in rete. Poiche’ sono andato a memoria scavando nei ricordi, posso aver sbagliato qualche data e qualche successione temporale, ma la sostanza all’ingrosso dovrebbe essere corretta. Fai qualcosa di utile per te e per gli altri, verifica e poi facci sapere.
Ho appena scritto un libro che, tra le altre cose, parla dell’insostenibilità dei sistemi di welfare. E non sono stato sempre un privilegiato lavoratore dipendente ed ho avuto problemi con il fisco quando ero un giovane e disgraziato COCOCO, quindi conosco un po’ certi comportamenti dell’erario, quindi non lo idealizzo di certo. Però, si stava parlando di propaganda politica (quindi qualcosa di avulso dai problemi concreti), evidenziavo la peculiarità della retorica della destra.
PS: ti assicuro che sto molto attento a non farmi condizionare dai pregiudizi e soprattutto ad argomentare con precisione e rigore, perché se ‘Igor Giussani’ commette leggerezze (specialmente su certi argomenti) si vede piovere vere e proprie shitstorm sulla testa: sui social c’è ancora chi me la mena per cose di 10-15 anni fa. Ugualmente ‘Igor Giussani’ deve stare attento a flammare e più in generale nei comportamenti in Rete, anche perché come professionista nel campo dell’educazione rischia un richiamo per indegnità (ed è giusto che sia così, si intenda, perché la Rete è un posto pubblico) Notoriamente, il Web non perdona, ha una memoria da elefante e se ti esponi devi farlo con cautela. Ovviamente i ‘firmato Winston’ non hanno questo problemi, se sparano qualche cazzata di troppo o lo fanno eccessivamente fuori dal vaso cambiano nickname e sono a posto.
Vedo che i tuoi toni si sono fatti molto più seriosi solo perché ho usato il termine ‘comizio’: chissà se mi fossi rivolto con atteggiamenti di sufficienza del tipo “ma rilassati!” o ti avessi definito ‘profeta di sventura’, “Burocrazia sovietica stalinista” o paragonato ai nazisti! 🙂
Grazie della (ec)citazione
“Luciano Dissegna on 3 May 2023 at 10:33
Grazie della (ec)citazione”
Onorato io della sua attenzione.
Parlavo non molto tempo fa di lei e della sua coraggiosissima battaglia (perche’ e’ difficile essere piu’ controcorrente e invisi alle stesse persone di cui si cerca disperatamente di difendere l’onore e la dignita’) con l’editore Zanetti di Montebelluna.
Non saprei valutare i numeri di chi ancora si riconosce nel vero Fascismo, ma credo che costituiscano una esigua minoranza. Anche qui a Verona dove purtroppo sono molto più numerosi della media. Non so se il libro ne parla, ma più che fascisti vedo crescere di numero una grande quantità di REAZIONARI. Nel senso strettamente etimologico e cioè persone che reagiscono a qualche cosa che ( a ragione o torto) viene percepita come negativa-dannosa, soprattutto per sé. L’insieme di tutte queste diverse “reazioni” si stanno coagulando e costituiscono appunto quel fenomeno che sta portando in auge personaggi come la Meloni (la meno peggio); Salvini, Trump, Bolsonaro, Putin, ecc.
Gli esempi sono innumerevoli e ne cito solo tre, non tanto perché più significativi, ma perché li sento tutti i giorni. Di poche ore fa è la notizia della morte di un ragazzo in Val di Sole probabilmente assalito e sbranato da un orso. Nelle prossime settimane vedremo decine, centinaia di migliaia di persone che “reagiranno” indignate contro quell’animalismo massimalista che difende ad oltranza lupi, cinghiali ed orsi ed è percepito più o meno giustamente con etichetta di “sinistra”. Questi reazionari per una singola motivazione inevitabilmente andranno ad ingrossare le fila della “Destra”.
Sempre recentissima è la decisione del nuovo Ministro dell’Agricoltura di aprire nuovamente a quella ricerca in campo alla biotecnologie di Genetic Editing e Cisgenesi, che era stata colpevolmente interrotta da degli ignoranti ministri di “Sinistra”. Anche qui per reazione, tutti quei ricercatori (la stragrande maggioranza) o agricoltori che hanno visto svanire per un ventennio tutta una serie di possibilità per ridurre l’uso di fitofarmaci e migliorare le produzioni in quantità e qualità, passeranno da “Sinistra” a Destra. Se non l’hanno già fatto da tempo, come tanti miei conoscenti. Sempre per reazione all’arrivo di immigrati disposti a tutto (comprese paghe da fame e condizioni di lavoro da XIX secolo) pur di lavorare, molti operai passeranno, (se non sono già passati da tempo) da Sinistra a Destra. Qui in Veneto, conosco decine di imprenditori che da decenni votano apertamente a Destra ( DC un tempo, Berlusconi poi, Lega per almeno un decennio e ora Meloni) e che altrettanto apertamente chiedono più immigrati perché non trovano più quella manodopera di basso livello che gli permette di essere concorrenziali.
Dai discorsi che sento continuamente, tutti costoro non disquisiscono di “interruzione dell’ascensore sociale” o altre questioni importanti, ma focalizzano tutta la loro rabbia su qualcuno di questi singoli aspetti e, diventano appunto “reazionari”.
Non saprei come fare per sbloccare questa situazione, che diventa sempre più allarmante.
Francesco, “reazionario” significa “che reagisce negativamente al cambiamento”, non “che si arrabbia se gli altri reagiscono negativamente al cambiamento”. Se vuoi esprimere un altro concetto, trova un’altra parola, altrimenti non ci si capisce.
Francesco, reazionario in politica vuol dire questo (definizione della treccani):
reazionàrio agg. e s. m. (f. -a) [der. di reazione, sul modello del fr. réactionnaire, che a sua volta è stato modellato su révolutionnaire]. – Nel linguaggio politico (con senso per lo più polemico), che è incline alla reazione, che appoggia o guida un movimento di reazione politica; termine riferito inizialmente agli oppositori della rivoluzione francese, poi genericamente a chi si oppone a ogni riforma e innovazione, mostrandosi tendenzialmente ostile al progresso
Il reazionario quindi e’ colui che guarda al passato, all’eta’ dell’oro di un tempo felice, mentre il progressista e’ colui che guarda al sole dell’avvenire, che spera nelle mirabilie del futuro.
Tendenzialmente quando si prevede che un cambiamento in atto peggiori la propria situazione esistenziale si preferisce tornare al passato e quindi si e’ reazionari pessimisti, mentre si e’ rivoluzionari ottimisti quando si spera che il cambiamento porti a miglioramenti nel futuro.
Percio’ adesso tendenzialmente si e’ reazionari, a qualunque gruppo politico si appartenga: ed e’ la continua morbosa profezia di catastrofi e apocalissi che rende la gente ansiosa del futuro e reazionaria. E’ quel genere di profezia che si autoavvera.
Dunque molta sinistra attuale e quasi tutto l’ambientalismo sono reazionari, e non e’ che lo si scopre adesso, anche se per molti e’ impossibile ammetterlo, data l’idea perlopiu’ caricaturale che hanno del fascismo storico al quale troverebbero intollerabile essere accomunati. D’altra parte, all’inverso, alcuni aspetti del fascismo storico furono rivoluzionari, col suo mito del progresso e della modernizzazione: in questo fu l’opposto del nazismo, come spiega bene in un ottimo gradevole libretto Mosse intervistato da Ledeen.
Ma poi ognuno usa la narrazione che gli torna comoda, e che si intona coi pregiudizi che gia’ possiede. Tentare di spogliarsene costa molto in termini di benessere mentale, sociale, e di autostima. Non ne vale la pena.
C’era un breve eccezionale audio mp3 di Philippe Daverio sulla lega degli anni ’90 che spiegava bene alcuni di questi concetti, con la chiarezza che gli era tipica, ma non si trova piu’ se non forse sul mulo, da youtube e’ (o era) sparito. Il rumore, la confusione, l’eccesso di informazione cacofonica sovrastano tutto. Avendolo prima ricordato, vedo ora un testo di Feyerabend che recita: “Certo, neppure riusciremmo a vivere se ci lasciassimo incantare dall’abbondanza del reale. E tuttavia la sua conquista si è tramutata in un sistematico saccheggio che ha fatto delle nostre esistenze una Terra Desolata. Mostrare “come gli specialisti e le persone comuni abbiano ridotto l’abbondanza che li confonde” e come noi astraiamo dall’esperienza e riduciamo il mondo a formule che modellano il nostro senso della realtà è l’obiettivo di questo volume.” Inquietante. 🙂
“Lo Stato non può intralciare lo spirito di ricerca. La ricerca deve essere libera. I suoi apporti sono l’espressione della verità, e ciò che è verità non può essere nocivo. Il dovere dello Stato è di sostenere la ricerca scientifica e di incoraggiarla in tutti i modi, anche quando i suoi risultati, agli occhi degli umani, non portano applicazioni pratiche. Soltanto alla generazione successiva tali risultati potrebbero produrre il loro effetto e avere allora delle conseguenze rivoluzionarie. A mio parere, la libertà non dev’essere limitata al solo campo delle scienze naturali. Essa deve estendersi anche al campo del pensiero, anzitutto alla filosofia.”
Bellissima dichiarazione in cui ogni progressista si riconoscerebbe… di chi è, di Bertrand Russell, John Dewey o qualche altro pensatore simile? No, ho citato nientemeno che Adolf Hitler, dal libro ‘Colloqui riservati di Adolf Hitler annotati da Martin Bormann’ (che consiglio vivamente perché esce un’immagine molto più chiara del Fuehrer del nazismo, quoto e condivido al 100% questo giudizio di Giorgio Galli: “E confermano come il fuehrer non fosse né un pazzo né un demone, ma piuttosto un uomo di potere strenuamente impegnato a trasporre in chiave politica idee, teorie e concetti propri della cultura europea, soprattutto ottocentesca e d’inizio novecento. “). Adorno e Horkeimer in ‘Dialettica dell’illuminismo’ hanno evidenziato come l’illuminismo abbia sviluppato una razionalità scientifica in grado di neutralizzare, se non di impedire, la stessa libertà che rivendicava; e Bauman in ‘Modernità e Olocausto’ mostra come ciò che rende diversa la Shoah da qualsiasi altro genocidio sia proprio il suo corattere strettamente ‘moderno’ e burocratico.
Meglio sfogare le proprie frustrazioni facendo i trollini sul Web, sfottendo e pontificando dall’alto in basso, eh? 😀
Guarda che Hitler era un mitomane psicopatico giunto ai vertici di un sistema politico e istituzionale pesantemente gerachizzato: era bravissimo nell’intuire cosa piacesse sentirsi dire alla gente per manipolarne il consenso, che infatti ottenne amplissimo nei primi anni di governo (meno quando comincio’ ad invadere il mondo, ma ormai era troppo tardi).
Grazie per l’apprezzamento:
“Meglio sfogare le proprie frustrazioni facendo i trollini sul Web, sfottendo e pontificando dall’alto in basso, eh? ”
Frustrazioni in effetti non me ne mancano. Mi dispiace pero’ di essere risultato sfottente e pontificante, non era mia intenzione, ma tant’e’.
Infatti quel che rende particolare quel libro rispetto ai discorsi pubblici o al Mein Kampf è che sono dichiarazioni che non dovevano diventare di dominio pubblico.
“quoto e condivido al 100% questo giudizio di Giorgio Galli: “E confermano come il fuehrer non fosse né un pazzo né un demone, ma piuttosto un uomo di potere strenuamente impegnato a trasporre in chiave politica idee, teorie e concetti propri della cultura europea, soprattutto ottocentesca e d’inizio novecento.”
Temo che la cultura cui si riferisce Giorgio Galli sia ben diversa da quella illuministica… e’ proprio opposta… basta leggere i titoli, dei suoi libri… ed e’ percio’ che Bertrand Russell, che era gia’ ben adulto e consapevole all’epoca, poi ripete’ fino alla nausea che la destra reazionaria fu irrazionalista.
Martin Bormann fu il cane da guardia di Hitler, disprezzato e temuto per la sua rozzezza intellettuale e arida disumanita’ da tutto il resto dell’entourage. Ch’e’ tutto dire! Ti consiglio piuttosto di leggere, se non l’hai gia’ fatto, le memorie di Speer, un documento storico quello si’ eccezionale, con molti insegnamenti per il presente, di come sia facile scivolare nella banalita’ del male, senza accorgersene. Meglio di Hannah Arendt. Da cui il mio reinvito, per quanto evidentemente ritenuto offensivo, ma questo non e’ un problema mio se permetti, all’ironia socratica. Che e’ anche tutto il contrario della nuova religione (di Gaia?) che a quel che ho capito vorrebbe fondare Simonetta. Fondare religioni sta tornando di moda, se ne sta occupando anche quell’altro truffaldino manipolatore di folle che e’ Grillo.
Invece c’è un chiaro sostrato anche illuminista nell’erudizione (non voglio usare la parola ‘cultura’) di Hitler, vedi l’esempio citato.
I fini erano irrazionali, i mezzi razionalissimi. Ma non si tratta mica solo del nazismo: la maggior parte della scienza economica, se vagliata secondo i principi delle scienze naturali, si può bollare come ‘irrazionalistica’.
Tu agisci come ti pare, io restituisco la moneta che ricevo: se ricevo rispetto porto rispeto, se uno mi sfotte ricambio lo sfottò (o la mia ‘ironia socratica’, se preferisci). Aggiungo anche che l’ironia è una bellissima cosa (adoro gli stronzi gli sarcastici alla Johnny Rotten), ma magari non sul Web dove è fin troppo facile tenere certi atteggiamenti.
Ha parlato di ‘mito’ non di ‘religione’, non sei stato attento. Tutte le società sono fondante su di un mito, quella industriale si è basata sul Progresso.
Gaia, Winston: per la fretta mi sarò spiegato male, ma come reazionari intendo proprio persone che reagiscono più o meno istintivamente ad un qualunque cambiamento del loro piccolo mondo. Non importa se quel cambiamento sia positivo e “progressista”.
A differenza del fascismo storico ( che anche se confusa e variabile aveva una sua ideologia, i suoi miti fondanti ed un suo fine) le varie tipologie di reazionari attuali invece non hanno ideologie e proprio per questo sono anche più pericolosi perché imprevedibili. Se posso fare un paragone zoologico, si comportano come delle capre ( che vanno ognuna per suo conto, anche se alla fine formano un branco) e non come delle pecore che almeno seguono un capo riconosciuto a due o quattro gambe. Magari questo capo le condurrà giù da un burrone, ma puoi sempre contare che convincendo il capo tutto il gregge possa essere fermato o deviato. Per rendersene conto basta osservare quei gruppi che hanno assaltato la sede della CGIL a Roma; il Campidoglio a Washington o la sede del Parlamento a Brasilia. Tutti formati da un’accozzaglia di persone e motivazioni diverse, ma tutte insieme formano una forza pericolosa ed incontrollabile.
A ben vedere anche il Fascismo ed il Nazismo si formarono come “reazione” ad una serie di errori precedenti. Il Fascismo venne a crearsi con il coagulo tra lo scontento dei reduci della Grande Guerra, con la paura dei borghesi e degli imprenditori (industriali ed agrari) conseguente al Biennio Rosso. Il Nazismo con queste stesse due motivazioni sommate alle varie umiliazioni inflitte dalle potenze vincitrici alla Germania. All’epoca almeno le motivazioni di queste “reazioni” erano poche e ben individuabili. Ora sono centinaia e confuse.
A tutto questo si aggiunge che i media ci hanno disabituato al ragionamento e alla discussione dialettica. Per pigrizia o ignoranza la maggioranza vuole risposte (e slogan) brevi e facili. Esattamente quello che sa fare (ed ha sempre saputo fare) bene la Destra. Al contrario il relativismo della Sinistra sembra fatto apposta per confondere e non convincere.
Come afferma Checco Zalone, il difetto della Sinistra è “l’incapibilità”!
Igor, temo che il “comizio” cui ti riferisci c’entri abbastanza, perché reddito di cittadinanza ed evasione non sono tanto paragonabili. La questione non si riduce solo a questo, ma siccome è vero che esiste un’evasione (o un grigio-nero) non tanto “di sopravvivenza”, quanto necessaria come contrappeso a tutte le storture, ingiustizie e irrazionalità del sistema cui accennavamo, volerla seriamente eliminare significherebbe o fare una riforma VERAMENTE radicale del sistema, cambiando tutto da cima a fondo e licenziando anche decine di migliaia di dipendenti pubblici che diventerebbero inutili, oppure distruggere completamente la piccola e media impresa italiana, il che sarebbe impensabile (spero).
Il reddito di cittadinanza invece è una cosa che esiste da poco e che si potrebbe anche abolire domani (non sto dicendo che sarebbe giusto o sbagliato, solo che sarebbe fattibile).
Per cui non è una questione di “doppiopesismo” ma di due cose completamente diverse.
L’equivalene “di destra” del reddito di cittadinanza sono i contributi all’agricoltura e ancor di più all’industria, per non parlare di quelli ai consumi. Quello sì che sarebbe un paragone interessante.
Gaia, il reddito di cittadinanza ( o almeno quello che impropriamente chiamiamo così in Italia) esiste anche in altri paesi del nord Europa, ma con abitudini ed etica completamente diversa da quella nostrana. Là si vergognano a riceverlo e cercano in ogni modo di non averne bisogno. Qui da noi, soprattutto al Sud, chi lo riceve si sente più “furbo”. Solo per sentito dire, anche se da persone che ritengo attendibili, quasi tutti coloro che li ricevono in realtà stanno lavorando in nero. Sia al Nord che al Sud.
In ogni caso, anche prima che venisse erogato su richiesta dei pentastellati, più di un milione di famiglie stavano ricevendo sussidi in una qualche forma. Questo modello di sussidi più mirati e controllati andrebbe rimesso in piedi.
Francesco, io penso il contrario. Io toglierei cassa integrazione, disoccupazione e reddito di cittadinanza e li sostituirei con un sussidio universale e incondizionato, da dare a tutti. I vantaggi sarebbero molta minor burocrazia e il fatto che non disincentiverebbe il lavoro. Andrebbe finanziato dai tagli a cui ho accennato e da una maggiore tassazione di ricchezze e rendita.
Questo è in realtà il vero “reddito di cittadinanza” per come viene proposto e teorizzato (c’è molta documentazione disponibile, in inglese è solitamente chiamato Basic Income); gli altri sono sussidi di disoccupazione e quindi tutta un’altra cosa. I 5 stelle hanno chiamato una cosa con il nome di un’altra.
Francesco, il “reddito di cittadinanza italiano” e’ come la “flat tax” salviniana: e’ tutto il contrario di quel che dice nel nome.
Il reddito di cittadinanza vero sarebbe una cifra uguale erogata incondizionatamente a tutti a prescindere dal reddito: hanno tentato recentemente l’esperimento in un posto in svizzera, non so come sia andato a finire (se cerchi informazioni probailmente le trovi serie e attendibili sul sito swissinfo.ch, cercatele che questo si’ e’ interessante). L’unico requisito per riceverlo e’ appunto la cittadinanza. L’idea di fondo dovrebbe essere che poi la gente lavora piu’ produttivamente volentieri, e non vede piu’ il lavoro come una schiavitu’, perche’ non e’ spinta dall’angoscia del bisogno. In una societa’ normalmente sana potrebbe funzionare, ma non in quel paese ormai guastato fino al midollo dallo Stato Italiano stesso che tratta tutti i suoi cittadini come criminali a prescindere, i quali non covano sotto la cenere altro a loro volta che la vendetta, da consumarsi in ogni occasione utile, ormai anche al nord.
Quello che abbiamo noi adesso si e’ sempre chiamato “sussidio di poverta'”. Dalle nostre parti la gente, anche quella piu’ povera, si e’ ovviamente sempre vergognata di averne bisogno. Dalle altre parti non so. Certo ci sono zone del paese (Roma ad esempio) dove e’ da millenni che si usa la retorica, la narrazione e la polizia per vivere di rapina sul territorio circostante e redistribuzione fra i “clientes”, tanto da ritenerlo un diritto indiscutibile, il diritto di “Roma Capitale”.
La flat tax salviniana non e’ una tassa ad aliquota piatta cioe’ unica, e’ il contrario: e’ una tassa a due aliquote con modalita’ di conteggio estremamente dispari e con uno scalone enorme fra l’una e l’altra, per cui chi dichiara un reddito di un euro maggiore della soglia paga _molte_ piu’ tasse di chi dichiara un euro in meno della soglia, tralasciando tutte le indicibili complicazioni correlate. Un vero e proprio puttanaio fiscale, da deficienti normativi. Esattamente come succede per i regimi fiscali agevolati/semplificati: ma i regimi fiscali dovrebbero essere TUTTI agevolati e semplificati allo stesso modo, se vuoi avere dei veri cittadini cioe’ gente che non aspetta la prima occasione, se e’ sicura di non essere scoperta, per prendere a calci per vendetta qualsiasi dipendente dello stato gli capiti a tiro, che e’ la situazione attuale: l’ordine, precario, e’ ottenuto solo con la paura della sanzione, della multa, del voto negativo, della galera, che i partigiani di questa follia sociale infatti vorrebbero vedere sempre incrementati. Come il covid ha tristemente insegnato.
Comunque, i sussidi per i bisognosi esistono spontanei in qualsiasi societa’, da quella familiare in su: in un modo o nell’altro la rete di solidarieta’ si crea, senno’ che societa’ sarebbe. Al sud le famose pensioni di invalidita’ riuscivano a tamponare il reddito e tenere in piedi in dignitosa ristrettezza una intera famiglia allargata, che per il resto si arrabbattava con lavoretti, in posti dove non arrivando l’esazione si poteva vivere in semplicita’ con pochissimo, come piacerebbe a Gaia: eliminata la generosa elargizione di nuove pensioncine con la crisi dei primi anni ’90 , man mano che i vecchi che l’avevano sono morti, ecco che e’ saltata fuori la necessita’ del “reddito di cittadinanza”, e il clamoroso successo elettorale di chi l’ha promesso e poi concesso. E’ il lascito dell’unita’, dell’aver cercato di trascinare per forza alla modernita’ del calcolo economico a partita doppia e alla moderna corvee’ della pesante tassazione a scopo di pungolo alla produttivita’ e alla crescita (che alcuni chiamano impropriamente “capitalismo”), una societa’ ad esso aliena.
Cosa vuole dire il libro “Fascismo mainstream” si capisce meglio leggendo questa recensione, più accurata e approfondita.
https://www.dinamopress.it/news/il-fascismo-mainstream-e-la-pervasivita-del-ciclo-reazionario/
Ottima, ne consiglio la lettura
Winston: la pensavo già più o meno allo stesso modo, per cui condivido quanto hai scritto.
Gaia: questa è una vecchia idea coltivata soprattutto da certi movimenti di Destra e che nei fatti non è mai stato applicato a lungo da nessun paese ( nemmeno la Svizzera: uno degli stati più ricchi al mondo) eccetto Nauru, a quanto so. Che poi sappiamo come è finito. Ti faccio notare che oltre al primo comma del primo articolo della nostra Costituzione “l’Italia è una Repubblica democratica fondata sul lavoro”, c’è anche l’Articolo 4: “La Repubblica riconosce a tutti i cittadini il diritto al lavoro e promuove le condizioni che rendano effettivo questo diritto. Ogni cittadino ha il dovere di svolgere, secondo le proprie possibilità e la propria scelta, un’attività o una funzione che concorra al progresso materiale o spirituale della società”. Per sostenere il tuo proposito devi prima chiedere l’abolizione di questi due articoli. Personalmente ( con molte perplessità, rimango un convinto sostenitore dei movimenti di Sinistra) mi batterò perché questi articoli redatti da padri costituenti per lo più antifascisti rimangano e perché venga messo in atto quanto possibile per adempierli.
Riguardo alla diversa mentalità tra le diverse parti d’Italia e/o le diverse generazioni, ricordo di aver sentito da ragazzino parecchi anziani (tutti vecchi contadini) lamentarsi di ricevere la pensione. Anche se misera, a loro giudizio era una “carità” di cui si vergognavano. Ricordo ancora le esatte parole del mio vicino: ” mi voi vivar solo del mio” : voglio vivere solo con quello che mi sono guadagnato. Sottinteso: onestamente. Ovviamente ritengo che questa sia un’esagerazione, ma mi vergognerei se i miei figli aspirassero a vivere di sussidi.
Quell’articolo già non è rispettato dato che solo una minoranza di italiani, per vari motivi, lavora.
E dato che esistono già cassa integrazione, pensione, e sussidio di disoccupazione, oltre al reddito di cittadinanza (finto), non vedo in che modo l’articolo 1 potrebbe essere un problema.
Comunque il reddito di cittadinanza dovrebbe essere un minimo garantito, non uno stipendio che basta a vivere per sempre senza lavorare.
Se io dovessi riscrivere il Primo articolo della Costituzione userei la formula: L’Italia è una Repubblica democratica basata sull’uguaglianza dei diritti.”
Non e’ cosi’ semplice: sulla carta si fa presto a trasformare il diritto di uno nel dovere di un altro (che di solito si concretizza sotto forma di corvee/obbligo normativo/tassazione). E siamo in un periodo in cui c’e’ gente che comicia a reclamare il diritto alla figa… Le formule magiche non esistono. Esistono cose (oggetti sociali) che sembrano formule magiche, finche’ non si provano in pratica: li’ cominciano i problemi.
Gaia: insomma, dato che già esiste un problema, tu proporresti di aggravarlo? Come ha già sottolineato anche Winston, bisogna adeguare certe proposte ad un determinato contesto culturale, antropologico, economico e politico. Una proposta come la tua potrebbe (ripeto: potrebbe) andare bene in Norvegia o in Lussemburgo, ma non certo da noi. Davvero credi che in un paese come l’Italia dove una buona parte della popolazione è immersa in quel familismo amorale che ne impedisce il progresso, la tua proposta possa essere fattibile? Per non parlare del debito colossale caricato sulle spalle delle prossime generazioni. Se non ci sono i soldi per pagare un reddito di cittadinanza falso e limitato, immagina se ci saranno abbastanza soldi per pagare quello vero e a tutti. Anche mio figlio una decina di anni fa quando era ancora studente, pensava che questa fosse una soluzione. Ovviamente non per l’Italia. Poi, quando ha cominciato a lavorare e si è messo anche a fare due conti, ha capito che per parecchi anni avvenire resterà solo una utopia. Almeno fino a quando le macchine non ci libereranno da gran parte del lavoro ed avremo anche molta più energia ” a gratis”.
Francesco, la mia proposta però sarebbe sostituitiva di tutte le altre forme di welfare inique già esistenti, come ho spiegato sopra. Compresa la pensione sotto una certa età o sopra una certa soglia. Quindi niente più disoccupazione, cassa integrazione, pensione di reversibilità, sussidi per figli, eccetera.
La mia idea è questa: una persona che non lavora dovrebbe essere trattata come una qualsiasi altra persona che in quel momento non lavora (fatti salvi invalidi gravi o persone molto anziane, cioè chi non PUÒ lavorare).
Quindi il risparmio sarebbe notevole. Risparmio anche in burocrazia (una cosa data a tutti, ma proprio a tutti, richede molte meno carte e controlli), e poi tasse su rendite finanziarie, grandi ricchezze e proprietà.
Inoltre, essendo un sussidio basso e dato a tutti, basterebbe per sopravvivere nei momenti difficili, ma per il resto bisognerebbe lavorare, almeno un po’.
Mi rendo conto che nessun governo farebbe una cosa del genere. Questo non significa che non sarebbe una buona idea.
Gaia: ho capito benissimo cosa intendi. Ne ho letto parecchi anni fa e ne ho discusso a lungo con mio figlio una decina di anni fa. Non è sbagliata di per sé, ma lo sarebbe se realizzata nel contesto italiano. Spero ti sia accorta non solo di quanto siamo diversi da altre popolazioni come ad esempio quelle scandinave, ma anche di quanto sia diverso il costo della vita tra le varie regioni italiane. Un siciliano, che non ha nemmeno bisogno di riscaldamento, con 1000 euro al mese ci campa alla grande. Figuriamoci poi se sono in cinque o sei in famiglia. Ti immagini poi quale voglia di studiare indurrebbe in molti giovani tale soluzione? Per non parlare dell’attrazione sul resto della popolazione mondiale: decine di milioni di persone cercherebbero con ogni mezzo possibile di venire ed ottenere con ogni mezzo la cittadinanza italiana. Dato che con un reddito minimo garantito crollerebbero drasticamente le entrate fiscali, dove troveremmo i fondi per mantenerlo? Dalla Rivoluzione Neolitica in poi, siamo entrati in una spirale perversa da cui è oramai impossibile uscirne. A meno che il progresso tecnologico ci porti a certe condizioni, ma l’ideologia decrescitaria, che vorrebbe ” fermarci” è esattamente contraria a tale evoluzione.
Francesco, no, non hai capito cosa intendo.
Non ho parlato di 1000 euro a persona, sarebbero sicuramente troppi.
Non importa quante persone ci sarebbero in famiglia, perché sarebbe individuale (per i maggiorenni). Si toglierebbero comunque altri sussidi per i figli.
Se lo si desse solo a cittadini ed eventualmente a residenti di lungo corso, non attrarrebbe più migranti perché comunque dovresti trovare il modo di mantenerti in Italia per almeno dieci anni prima. La politica migratoria va rivista a prescindere, arriva già troppa gente così.
Non crollerebbero le entrate, perché come ho spiegato prima di promuovere questa misura bisognerebbe rivedere tutto il welfare e trovare le coperture. Ovviamente si presupporrebbe una grande redistribuzione di redditi e ricchezze.
Riguardo agli italiani, in realtà gli abusi nel sistema ci sono anche in paesi considerati “civili” come la Germania – l’occasione fa l’uomo ladro. È proprio il fatto che la misura sarebbe senza condizioni che dovrebbe incoraggiare a lavorare, e non viceversa. Se dai soldi solo a chi non lavora, come si fa adesso, conviene non lavorare o lavorare in nero. Se dai soldi a tutti, quello che guadagni lavorando è un di più, e quindi lavorare è comunque necessario e conveniente.
Il reddito di cittadinanza universale è una prospettiva da considerare in qualsiasi contesto; penso però che sia quasi doveroso per chi crede nelle meravigliosi sorti progressive dell’automazione totale, perché in quel caso diventa il paradiso della disoccupazione e della miseria.
Tutti danno per scontata l’automazione totale. Io penso che non succederà e che anche se succedesse non sarebbe desiderabile.
Finora è successo che è servita a lavorare di più, non di meno, ed è uno dei tanti motivi per cui non ci credo.
Il problema delle risorse insufficienti impedirà probabilmente l’automazione totale (per fortuna, anche se avremo altro di cui preoccuparci).
Gaia: e invece ho capito benissimo. Sei tu che non hai risposto ai miei dubbi sulla enorme differenza di comportamento, di etica del lavoro e di condizioni ambientali tra nord e sud Italia. I mille euro erano solo un esempio. Se vuoi riduciamo alla metà, ma non cambia niente. L’appiattimento di questo RDC ed il venir meno delle altre sovvenzioni mirate, causerebbe seri problemi. per esempio un handicappato, un ammalato cronico bisognoso di assistenza hanno bisogno di più cure e di più mezzi rispetto ad una persona sana. Senza più personale e senza ulteriori sussidi come si farebbe? La mia perplessità maggiore riguarda però ” l’etica del lavoro”. Già si è visto con l’attuale e fasullo RDC, quanti ne hanno approfittato. Figurati con un provvedimento allargato a tutti.
Considerando la vita di merda che molti stanno facendo (nonostante le nuove tecnologie e l’enorme aumento della produttività, il potere d’acquisto di troppe persone sta scendendo invece che aumentare. E con questo si interrompe anche l’ascensore sociale.) una soluzione alternativa è ridurre il tempo di lavoro a quattro giorni (in futuro anche tre) e aumentare i salari. Contemporaneamente occorre però ridurre anche le rendite finanziarie e speculative delle grandi società. A cosa cavolo serve l’UE, se le grandi società possono spostare legalmente la loro sede fiscale nel paese dove si pagano meno tasse? Proprio ieri mio figlio che lavora come ingegnere informatico in una società finanziaria francese con quasi 200.000 dipendenti mi ha detto che la sua ed altre quattro o cinque società negli ultimi 10 anni (se ben ricordo) hanno evaso il fisco per 104 (cento quattro!)miliardi di euro. Lavorare meno, lavorare tutti, manterrebbe l’etica del lavoro e se uno ha delle velleità artistiche o altro, troverebbe il tempo per realizzarle. Chi invece ha voglia di guadagnare di più, troverebbe il tempo ed il modo per farlo.
Francesco, se tu avessi capito, non scriveresti certe cose.
Ho specificato che anziani (veri, non sessantenni in piena salute) e invalidi gravi (veri) sarebbero esclusi dal taglio dei sussidi, per ovvi motivi.
Riguardo al lavoro, se il sussidio viene dato sia a chi lavora che a chi non lo fa, sarebbe sempre e comunque più conveniente lavorare. Adesso il problema, come abbiamo visto, è che tutti gli attuali sussidi (non solo il Rdc) incentivano a stare a casa o a lavorare a nero.
Riguardo al sud, il problema è molto complesso. Attualmente moltissimi vengono al nord a lavorare (la maggior parte per davvero, alcuni un po’ per finta), per cui magari un sistema che liberasse dal ricatto delle mafie e incoraggiasse a formarsi e a fare impresa al sud sarebbe da prendere in considerazione. Ovviamente ci sarebbero da risolvere un sacco di altre cose, che però sono da risolvere comunque.
Riguardo al lavorare meno per più soldi, allo stato attuale delle cose mi sembra assurdo. Il problema è che tantissimi lavori, che molti italiani non prendono in considerazione nemmeno teorica ma che sono quelli che mandano avanti la società, già sono pagati poco non solo perché le aziende sono avide ed eludono il fisco (succede anche questo) ma perché i margini di guadagno sono ristrettissimi o la spesa pubblica in quei settori fondamentali è troppo bassa. Già adesso chi ha una piccola impresa si auto sfrutta perché non riesce a pagare i dipendenti, già adesso gli ospedali non hanno sufficente personale, figurarsi se si dovesse pagare di più per meno lavoro. Come idea sarebbe buona, ma allora tutta una serie di beni e servizi dovrebbero costare molto di più. E sarebbero da rivedere tutti quei “bullshit jobs” di cui parla David Graeber in cui la “produttività” aumenta sempre perché sostanzialmente non fanno niente di cui non si possa fare a meno.
La lotta all’elusione fiscale ovvio che bisognerebbe farla, ma siamo ancora qui che aspettiamo…
Gaia: come farebbero gli anziani veri e gli invalidi veri ad essere individuati-controllati e sostenuti se il tuo sistema distributivo indifferenziato prevede lo smantellamento della burocrazia di controllo ed erogazione a queste categorie? Come ho già scritto, l’idea del RDC universale potrebbe essere buona in un futuro ed in luoghi che non vedo per ora possibili. A mio modesto avviso invece la riduzione dell’orario di lavoro è più semplice e fattibile. In un primo momento può essere fatto anche a stipendio uguale. La produttività, almeno per certe categorie, non ne risentirebbe. Tieni conto che negli ultimi 30-40 anni a fronte di un livello di produttività raddoppiato o triplicato, il valore dei salari è rimasto pressoché invariato o addirittura diminuito in Italia.
Purtroppo ( o per fortuna) certe realtà lavorative non le conosco personalmente per cui mi devo basare su quanto mi dicono altri. Sempre mio figlio mi dice che in Francia basterebbe tassare per il 2-3% in più i patrimoni del 10% più ricco dei francesi (l’uomo e la donna più ricchi al mondo sono entrambi francesi) per mantenere la pensione a 62 anni e ne avanzerebbe. Questo purtroppo è un programma che la Sinistra (soprattutto quella italiana) ha paura di perseguire.
Francesco, naturalmente è possibile che la mia non sia una buona idea (che poi ovviamente non è una mia idea, ma ci siamo capiti). Sarebbe da provare e vedere, dato che non è ancora stato mai veramente fatto. Un tempo anche il suffragio universale o la sanità pubblica sembravano utopie. Persino abolire la schiavitù in certi stati americani non era “fattibile”…
Riguardo all’identificazione degli invalidi, chiaramente non si smantellerebbe tutta la burocrazia, in uno stato moderno serve, solo quel di più reso necessario dal fatto che le cose sono inutilmente complicate. E con meno regole, puoi concentrarti ad applicare bene quelle che ci sono e servono, e non perderti in mille cavilli.
L’anzianità sarebbe per età.
Il discorso sulla produttività è estremamente interessante e mi piacerebbe che i signori Igor e Jacopo se ne occupassero 🙂 Questa storia dell’aumento della produttività secondo me è dovuta solo in piccola parte al miglioramento dell’organizzazione lavorativa, e in gran parte ad altri due fattori:
1. che un sacco di lavori (davvero, leggiti Bullshit jobs!) sono completamente inutili, e quindi si possono definire “produttivi” o meno in base a criteri quasi del tutto arbitrari.
2. l’energia, che fa sì che con le macchine o la tecnologia fai di più con meno, ma a scapito dell’ambiente, della sicurezza sul lavoro, della competenza, spesso della qualità dei prodotti… ecc. Non si può ritornare a fare tutto completamente a mano, ma anche la direzione che abbiamo preso non è sostenibile. Argomento immenso e importante.
Inoltre, è meglio lavorare poche ore producendo molto, o tante ore ma con calma, come si fa ad esempio spesso in campagna o nei lavori molto creativi, assorbendo i ritmi del lavoro nella vita e viceversa? La visione basata esclusivamente sull’orario di lavoro è limitata, limitante e frutto di una concezione recente di cosa sia “lavorare”.
Tutti questi discorsi sul lavorare meno pagati di più valgono quasi solo per lavori di professionisti, dirigenziali e impiegatizi, che sono una minoranza molto visibile. Chiaro che un operaio che lavora dieci ore al giorno le ultime due probabilmente rende meno, ma è anche vero che se togli un’intera giornata di lavoro in fabbrica, in campagna, in ospedale, a raccogliere rifiuti, all’asilo, eccetera, produttività o no beni e servizi verranno prodotti in quantità minore e quindi si pone un problema.
Per me va benissimo lavorare meno, però allora bisogna mettere più gente a fare questi lavori, che servono e in cui gli aumenti di produttività non bastano a sostituire i lavoratori, e togliere gente da uffici e lavoro da remoto. E… auguri. Se importiamo immigrati in massa per certi lavori un motivo ci sarà.
Riguardo alla tassazione sulle ricchezze (redditi, patrimoni, rendite…), sono d’accordissimissimo e di più ancora, anche se non la farei per tenere bassa l’età pensionabile, secondo me una vera ingiustizia per motivi troppo lunghi da spiegare qui. E ovviamente dovresti anche pensare a come arginare la fuga di ricchezze, visto che ho letto che in Norvegia appena hanno alzato di un pochino la tassa sui grandi ricchi questi maledetti si sono tutti trasferiti in Svizzera.
Gaia: troppi argomenti importanti per rispondere a tutti. Purtroppo, come ho già scritto sono anche argomenti che esulano le mie competenze per cui mi devo affidare a quanto mi dicono amici, parenti, conoscenti o mio figlio. Da quanto ho sentito in questi anni da mio cognato ( un tempo comproprietario di una piccola azienda metalmeccanica all’avanguardia mondiale nel produrre certi macchinari, ma che ha poi ceduto il marchio ad una grande multinazionale. Ora lavora ancora per la stessa ditta a montare-riparare le stesse macchine in giro per il mondo) anche il lavoro degli operai è cambiato molto. Non sono più lavori ripetitivi, ma molto più difficili (l’apparato elettrico ed il computer che comanda queste macchine è centinaia-migliaia di volte più potente del LEM lunare) per cui anche più stressanti. La produttività è aumentata di molto, ma senza beneficio alcuno per gli operai ed anche impiegati. Cose analoghe mi racconta mia moglie, commercialista in un grande studio, dove non si occupa delle denunce dei redditi, ma di fusioni oppure prepara i manuali per tutti i commercialisti italiani. Negli ultimi anni sono aumentate le leggi, le complicazioni ed il consumo di carta. Per niente. Nonostante i computer. Anche in questo caso, più lavoro, più responsabilità e stress a fronte di paghe proporzionalmente più misere rispetto ad un tempo.
Più o meno lo stesso dice un’amica che fa la caposala in un ospedale locale e vuole licenziarsi- andare in pensione anticipata perché non ce la fa più a reggere lo stress. Tutti e tre mi dicono: il lavoro nonostante tutto mi piace e non vorrei lasciarlo se solo avessi più tempo libero.
Altre testimonianze analoghe le sento da quelli che hanno preso in affitto i miei orti e che si lamentano di non avere abbastanza tempo per dedicarsi a questa attività-passione.
Oppure, restando in campagna, vedo troppi trattori che a differenza di un tempo circolano anche a notte fonda per finire dei lavori.
Che fare? Come minimo bisogna battersi per invertire il trend. E per me, la strada più semplice è ridurre le ore di lavoro. Ovvio che ogni cambiamento comporta rischi e difficoltà, ma la strada attuale porta verso il precipizio.
Uno dei problemi infatti è il nostro diffus dedicarci a lavori improduttivi o dannosi (come negli esempi che citi) anziché a lavori utili – come curare le persone, fare i conti per le aziende che ne hanno bisogno, eccetera.
Come ti dicevo sopra, però, questo vale per le persone che stanno svolgendo mansioni sostanzialmente inutili – non perché siano disoneste o incompetenti o perché il loro settore sia inutile, ma perché la nostra società è organizzata male dato un eccesso di abbondanza.
Se però prendi i lavori utili, che sono quelli spesso meno pagati ma che mandano avanti la baracca, ridurre le ore a loro significa avere meno beni e servizi.
Sarebbe il colmo se aumentassimo la paga e riducessimo le ore a gente che già è pagata bene per fare cose che in realtà nemmeno serve fare, e non lo facessimo a spazzini, infermieri, braccianti o camerieri (che raramente hanno stipendi decenti perché le aziende non vogliono o possono permetterseli).
Certi lavori e compiti bisognerebbe eliminarli e basta, e dividere il lavoro necessario tra tutti gli altri. Allora sì che si potrebbe lavorare meno tutti.
Il problema è che abbiamo cresciuto intere generazioni con l’aspettativa di fare lavori intellettuali o d’ufficio, ed è proprio in questi settori o da questi settori che derivano tutti i problemi di cui sopra.
Gaia. Qui si tratta di definire quale sia il criterio per giudicare un lavoro utile o meno. I due spazzini (pardon: operatori ecologici) che stanotte sono venuti a prendere il sacchetto con pochi etti o grammi di plastiche (almeno una decina di tipologie diverse per cui dal riciclo risulta un prodotto pessimo) percorrendo quasi un km tra andare a venire, fanno un lavoro più utile rispetto a mio cognato che in questo momento è in India a montare una macchina per la lavorazione del marmo? La coppia di figli di papà (hanno ereditato una azienda agricola e l’hanno trasformata in una fattoria didattica ) che oggi sono venuti a prendere una ventina di pulcini per mostrarli a orde di ragazzini che li palpeggeranno senza pietà (come sicuramente faranno con i due agnelli che gli ho venduto un mese fa e di cui mi sono già pentito) e ne faranno morire almeno la metà in pochi giorni, fanno un lavoro più utile del figlio del mio vicino che lavora come contoterzista ( l’azienda agricola di famiglia è stata messa all’asta e venduta per le sanzioni dovute alle Quote Latte) e va ad arare o trasportare balloni di fieno o liquami fino a mezzanotte ed oltre?
Giudicare il valoro degli altri è difficile e non tutti hanno la possibilità di scelta. Lavorando meno si avrebbe almeno il tempo di fare altro di più interessante ed appagante perché scelto. Uno dei motivi per cui molte donne (anche uomini) in Italia non hanno lavori (con la solita formula del 5 giorni per 8 ore) retribuiti è appunto l’impossibilità di farli per vari motivi. E il lavoro part-time è generalmente riservato solo al settore dei servizi.
Francesco, va bene. Come ti ho detto, in linea di principio sono d’accordo con te. Però ora dimmi come si fa a pagare il 20% di più l’operaio agricolo che ptoa i meli (ti va bene come definizione di lavoro utile?) se al contempo dobbiamo pagare il 20% in più anche il capo dello studio di commercialisti di tua moglie, il quale prenderà dieci volte tanto. O il 20% in più l’infermiere se dobbiamo pagare il 20% in più anche il dirgente ospedaliero.
A monte bisogna affrontare il discorso diseguaglianze, come sempre.
P.S. Sulla sceneggiata delle “fattorie didattiche” la penso come te, se non peggio.
E che per vivere di agricoltura l’unico modo, a parte essere un latifondista, sia *fare finta* di vivere di agricoltura, dice molte cose sullo stato della nostra società ed economia.
Gaia. appunto, il problema resta appunto definire e valorizzare quali siano i veri lavori utili. Mia moglie si sente frustrata perché troppo spesso ha a che fare sia con gente il cui unico scopo è evadere le tasse, sia con altri che devono arrabattarsi per tenere in vita un’attività che gli rende pochissimo. E tutte le normative sembrano fatte per far confusione e permettere solo ai primi di cavarsela sempre e comunque. La soluzione della Flat Tax sarebbe addirittura peggiore. Contemporaneamente però vedo che certe categorie di immigrati (come quelle decine-centinaia di rumeni e moldavi che vengono a fare feste nel mio agricamping), almeno quelli che sono venuti in Italia da almeno 15-20 anni, dopo aver lavorato come dipendenti si sono messi quasi tutti in proprio ed hanno creato aziende di costruzioni, servizi vari o trasporti, che rendono bene. Almeno a vedere le auto di lusso che sfoggiano. Quei pochi che lavorano come dipendenti sono quasi tutti caporeparto e quando serve disposti a lavorare di notte o nei giorni festivi. Molti ragazzi italiani non sono più disposti a questi sacrifici e giustamente pretendono più tempo libero ed una vita meno di merda. Spesso non lo ottengono perché i datori di lavoro trovano e preferiscono i primi a questi giovani troppo “choosy”, per dirla alla Fornero.
In agricoltura la situazione è ancora più difficile. Qui entrano in gioco quattro diverse dinamiche: una concorrenza spietata dovuta alla facilità dei trasporti e delle diverse situazioni salariali-normative tra i vari paesi; agricoltori mediamente vecchi (l’età media è superiore ai 55 anni: non esiste nessun altro comparto con questa anzianità); eccessiva frammentazione delle aziende agricole: la superficie media italiana è 4-5-10 volte inferiore a quella di altri paesi comunitari); consumatori schizofrenici: la maggioranza più povera ricerca ( o è costretta) i prodotti discount e la minoranza più ricca i prodotti eco-bio-natural-che faben, che spesso sono solo delle autentiche fregature. Chi vuole produrre bene ed onestamente, difficilmente trova spazio in questo contesto. E’ il mercato che da “rombo” è stato trasformato in “clessidra”. Sperio tu sappia cosa significa. Chi non vuole sottostare a questo andazzo si è rassegnato. Come i fratelli di mia moglie che su 35 ettari di proprietà: tutti irrigui e pianeggianti, oramai ne coltivano solo 9-10 e lasciano gli altri incolti, non solo perché non hanno più voglia di lavorare, ma anche perché non hanno voglia di contributi e controlli da parte di burocrati incompetenti.
Il problema è che si è usata l’immigrazione per peggiorare le condizioni di lavoro in Italia, e la sinistra incredibilmente non se n’è accorta, nonostante questo fosse in bella vista sotto il naso di tutti.
Io sapevo che gli stranieri che venivano qui e si mettevano in proprio avevano addirittura delle agevolazioni che agli italiani non erano concesse. Non so se si tratti di una leggenda metropolitana ma la persona che me l’ha detto è del settore e ne era certo.
“gli stranieri che venivano qui e si mettevano in proprio avevano addirittura delle agevolazioni che agli italiani non erano concesse”
Non occorre pensare a cose strane, ci sono le agevolazioni per le nuove imprese e per i giovani. Tanto chi, italiano, ha gia’ una vecchia impresa, normalmente e’ pieno di debiti da saldare e di “trattamenti di fine rapporto” da pagare per cui e’ incastrato e non puo’ piu’ chiuderla senza fallire (chiudere un’impresa regolarmente, in media, considerato che quasi tutte sono indebitate, costa molto di piu’ che tirarla avanti!)
C’e’ anche da dire che il settore trainante dell’economia italiana e’, come per tutti i paesi in via di sviluppo, l’edilizia (vedi i recenti pretestuosi mega-bonus e PNRR). Poiche’ sono i tecnici del settore che si scrivono da se stessi le leggi per procurarsi lavoro (le regole le impongono gli esperti, i “tecnici”, mentre i politici ormai controfirmano e basta – vedi il caso eclatante del covid, e l’intelligente analisi che ne fa Piero Stanig sul tubo, ma vale un po’ per tutto il mondo complicato e settorializzato di oggigiorno, riscaldamento globale/ambiente compreso, vedi la retorica pseudo-scientifica che ha invaso completamente le sedi del governo europeo): ad intascare i soldi sono principalmente i millemila professionisti e i burocrati del settore che le scuole sfornano a nastro, le aziende che producono i materiali (la produzione del cemento da sola causa il 15 per cento della CO2 emessa), e la pletora degli immigrati che lavorano nelle imprese “fa-e-disfa”: perlomeno dalle nostre parti trovarci un solo italiano e’ ormai raro). Cosi’ va il mondo, mentre noi attendiamo tutto sommato speranzosi l’apocalisse, la rivelazione dei misteri, il giudizio universale, e il “grande reset” ambientalista (e’ proprio cosi’, vi faccio notare che i “complottisti” rimproverano proprio l’ambientalismo come strumento del “grande reset” che priverebbe le persone dei piu’ elementari diritti individuali… una volta ammessa la censura, c’e’ voluto un attimo a passare da censori a censurati).
firmato winston
Non so se stai usando il plurale maiestatis, però tutte quelle cose (apocalisse, grande reset, ecc) forse le aspetti tu. Per la cronaca, sì, lo sappiamo che i complottisti ritengono l’ecologismo una trappola dei potenti (evidentemente schizofrenici, pensando a come si sono sempre comportati) per togliere i diritti al popolo. Del resto quelle super élite sono criminali ma non idiote e si rendono conto a un certo punto della gravità dei problemi (quando i buoi però sono scappati dalla stalla da un pezzo). Comunque, più persiste l’inazione riguardo al problema ambientale più si rischiano conseguenze ecofasciste (di cui dovremo ringraziare coloro che considerano ‘reazionario’ chi denuncia il pericolo e ritengono l’inquinamento un caposaldo della libertà umana).
Detto questo, una riflessione sull’ambientalismo come ‘reazionario’. Se il medico mi avvisa che ubriacandomi tutte le sere di superalcolici sto riducendo il mio fegato in poltiglia con gravi conseguenze per la mia vita, non è ‘reazionario’. Lo diventa se mi costringe con la forza a smettere di bere, perché posso affermare che sono il mio corpo e la mia esistenza in gioco e su quelli decido io. Ma neppure il più grande libertario della storia umana mi riconoscerebbe il diritto di guidare in stato di ebrezza, perché in quel caso metto a repentaglio le vite di altri.
Le conseguenze dell’inquinamento e in particolare del global warming non ricadono direttamente su chi le compie: ho appena letto ad esempio di come il Malawi sia uno dei paesi più colpiti dai cambiamenti climatici. Quanta responsabilità ha il popolo del Malawi sul global warming? Lo 0,0000qualcosapiùdiniente%? Gli ambientalisti pertanto sono ‘reazionari’ né più né meno di chi non vuole ubriachi al volante. Anzi, se uno dei principi cardini del liberalismo è che la mia libertà finisce dove inizia quella degli altri, mi sembra alquanto liberale combattere comportamenti che ledono il diritto altrui a un’esistenza sana e dignitosa.
Winston vede le cose da un verso e Igor dall’altro ed entrambi hanno una parte di ragione ed una parte di torto. E’ innegabile che in molti approfittino delle giustificate paure dell’ AGW ( oramai solo una minoranza ne nega gli effetti) ma è altrettanto sbagliato arroccarsi su questioni di principio come il no al nucleare o ai termovalorizzatori. Hanno sbagliato i finlandesi ad insistere per realizzare il prototipo ( e proprio perché prototipo ci hanno messo una vita per farlo) dell’EPR entrato da poco in funzione e che da solo genera il 18% dell’elettricità (continua e non aleatoria) del paese? Assieme agli altri due reattori, questa sola centrale soddisfa il 30% dei consumi. Possiamo permetterci il lusso di aspettare un’altra decina di anni per decidere di imitarli, con la scusa che i tempi di realizzazione sono troppo lunghi e nel frattempo lamentarci che continuiamo a produrre energia con gas e carbone? Lo stesso per il termovalorizzatori. Possiamo permetterci di immaginare ancora a lungo l’impossibile soluzione del riciclo al 100% e nel frattempo tenere aperte le discariche o raccogliere porta a porta (con costi energetici negativi) tutta una serie di materiali misti, dal cui riciclo si ottiene della porcheria difficilmente riutilizzabile? Come ho già scritto più volte, l’aspetto più negativo di questi errori è che la gente comune ma pensante, finisce con il disinteressarsi del problema.
“Possiamo permetterci il lusso di aspettare un’altra decina di anni”
Francesco, lo sai che qui sei fra piu’ o meno modesti decrescisti nonche’ nel mio caso, benche’ poco felicemente, radicalmente decresciuti (devo avere l’impronta ecologica di san francesco o poco piu’, oggigiorno un vero e proprio paria sociale): il problema qui dibattuto e’ come convincere gli altri 8 miliardi a fare lo stesso, con le buone o con le cattive, che non ci basta vivere come ci pare a noi, dobbiamo costringere anche gli altri! Altri 8 miliardi che hanno nella quasi totalita’ tutt’altre priorita’, idee, sentimenti, valori, con in comune pero’ una cosa: che l’essere umano e’ felice solo quando le cose gli cambiano e gli cambiano in meglio: e’ piu’ felice un poverissimo che vede aumentare di poco la sua ricchezza, che uno straricco che la vede restare stabile, che poi quest’ultima e’ proprio la situazione di noi occidentali daccio’ resi tristi, acri, vendicativi, apocalittici. E’ piu’ felice un malato terminale che e’ ad un passo dalla tomba ma ha dei momenti di recupero, di uno che e’ sanissimo ma gli e’ venuto il mal di denti. Avendo un’eta’ in cui se ne sono gia’ seppelliti molti, l’ho visto. Anzi, il primo e’ felice, il secondo no. Alcuni dicono sia colpa del capitalismo e del neoliberismo, dai quali deriva il mito del progresso. Puo’ darsi, ma io vedo molto piu’ probabile, per quanto detto sopra, che il nesso di causalita’, se c’e’, sia nella direzione opposta. La continua ricerca di una costante felicita’ probabilmente agisce come una droga, costringe ad alzare sempre di piu’ l’asticella, finche’ non ci si spezzano le gambe. Dunque, dovremmo essere piu’ onesti e propagandare la decrescita infelice: cosi’ poi si potra’ tornare a crescere di nuovo ed essere ancora felici 🙂
Nell’aldila’, magari.
L’idea a quanto pare non e’ per niente nuova.
Il buffo e’ che persino questa, per uno strano concorso di circostanze, ha finito per condurre al progresso, e nell’aldiqua’.
Visto che non molto lontano da loro una nazione (Germania) in dieci anni è riuscita a produrre l’equivalente di 10 o più EPR di produzione elettrica carbone free con le rinnovabili, direi che la risposta alla domanda è ovvia e che insistere a difendere un progetto gonfiato dei tempi e nei prezzi è questo sì una ‘questione di principio’ del tutto ideologica e svincolata dalla realtà.
Winston: la penso più o meno lo stesso, con in più le esperienze di più di venti anni di lavoro nei PVS più poveri del mondo, che non vedono l’ora di affrancarsi dalla miseria. Convincerli che devono decrescere per il bene dell’umanità la vedo molto dura.
Igor: certe informazioni-idee-concetti non bisognerebbe accettarli passivamente (in base a certi preconcetti) senza contestualizzarli. Mi sono chiesto spesso anche io il motivo per cui Francia e Germania la pensano in maniera così diversa rispetto al nucleare. La risposta l’ho capita dopo molti e lunghi colloqui con gli ospiti tedeschi (molti dei quali convinti ambientalisti) del mio agricampeggio o con gli amici francesi di mio figlio, anch’essi convinti ambientalisti e che tuttavia la pensano in maniera radicalmente opposta ai tedeschi. Di base c’è come al solito la storia: la Germania è un paese sconfitto in cui la stragrande maggioranza della popolazione ha interiorizzato le atrocità della guerra (compreso l’uso della bomba atomica) per cui associa al nucleare il militarismo. I Grunen (che in molti Land hanno la maggioranza ed anche ora tengono per le palle l’attuale governo (il vice cancelliere è uno di loro: mi sembra si chiami Habek) sono prima di tutto convinti antimilitaristi. In qualche cassetto ho ancora delle spille (con su scritto Nein Danke) che mi regalarono degli amici tedeschi quasi 50 anni fa. Aggiungici 20-30 anni di strette relazioni economiche con la Russia ed i suoi vasti giacimenti di materie prime energetiche pagate pochissimo. Non troppo per poter poi esportarvi anche i prodotti: vai a Mosca e quasi tutte le automobili sono tedesche. E questo spiega in gran parte la politica della Merkel. Al contrario la Francia è una potenza vincitrice con velleità coloniali (tuttora controlla mezza Africa) che ha fatto della Force de Frappe atomica la sua base ideologica: sia di Destra che di Sinistra (vedi Mitterand). Inoltre essendo più distante dalla Russia e antagonista da sempre della Germania sul piano economico, non ha potuto contare sulla vicinanza con i giacimenti russi. Da qui la soluzione del nucleare, attenuata per più di un ventennio dai bassi prezzi dell’energia fossile. Da quanto leggo e sento dire, una delle poche decisioni condivise da quasi tutti i francesi è l’investimento in nuovi 16 reattori nucleari uguali a quello finlandese. Oltre al motivo di evitare la produzione di gas serra, quasi tutti i costi restano in Francia ed anzi sperano di guadagnarci esportando tecnologia. Esattamente il contrario delle rinnovabili, che vanno benissimo, ma oltre ad essere più costose nel lungo periodo, ci fanno dipendere dalla Cina ed in questo momento è da idioti non prendere provvedimenti. A quanto mi hanno riferito personalmente persone bene informate e ho visto anche confermato su articoli di Le Monde, gli USA da qualche anno stanno conducendo una politica repressiva nei confronti della Germania e dei suoi forti legami con la Russia (gran parte dell’attuale guerra derivano da questo) ed hanno visto con favore il ridimensionamento dell’apparato tecnologico-nucleare tedesco. Personalmente ho investito molto nelle energie alternative (tra i vari componenti della famiglia abbiamo fino ad ora installato più di 230 Kw), ma sinceramente l’abbiamo fatto per approfittare dei generosi contributi. Ora che questi contributi stanno calando, nonostante siano calati di molto anche i prezzi, non vedo questa corsa alle energie rinnovabili da parte di privati. Anzi. Ed in ogni caso resta il grande problema della loro produzione intermittente che solo una fonte continua può attenuare. Mi dicono (e purtroppo non ho conoscenze per sapere se è vero) che anche la produzione di idrogeno (probabilmente il vettore energetico del futuro) richiede una continuità energetica.
Francesco, infatti non sono i poveri che devono decrescere, sono i ricchi. Non far finta di non capire questo semplice punto.
Ai poveri si può offrire contraccezione (che spesso richiedono loro stessi) perché non abbiano così tanti figli che non riescono a mantenerli.
Gaia: a me risulta che noi italiani ed anche europei stiamo già decrescendo, sia in termini di popolazione, sia in termini di energia (consumo di combustibili fossili, ecc) non solo per unità di prodotto, ma in valori assoluti. Mentre paesi come Cina, India, Brasile, Sudafrica, ecc, stanno aumentando, e di molto i consumi di tutto. Non prendo in considerazione i paesi dell’area subsahariana perché, per quanto numerosi, il loro apporto all’AGW è tutto sommato trascurabile. Certo potremmo fare molto di più, ma è proprio qui che si vedono le contraddizioni. Spesso (per non dire quasi sempre) per risparmiare energia (ed inquinare meno), dobbiamo cambiare radicalmente certe tecnologie e questo comporta inizialmente ulteriori investimenti e consumi. Ed è proprio quello che i decrescitari boicottano. Vuoi produrre più energia con le rinnovabili: devi costruire un mare di moduli fotovoltaici e decine di migliaia di immensi generatori eolici. Vuoi diminuire il traffico su gomma ed ala? Con relativi consumi di combustibili fossili ed inquinamento. Devi prima costruire nuove gallerie e migliorare il trasporto su rotaia. A meno che tu non voglia veramente tornare indietro. Ma non per scelta o per possibilità individuali, ma per tutti. Ed allora scordati che ci siano ospedali o scuole efficienti.
https://www.isprambiente.gov.it/files2018/area-stampa/comunicati-stampa/Grafici_conferenza_stampa.pdf
Nel mondo globalizzato della delocalizzazione industriale certi ragionamenti riguardo all’Europa e all’Occidente vanno fatti con estrema cautela, molto probabilmente si accollano ad altri consumi ed emissioni della manifattura.
Francesco, il senso della decrescita non è sostituire una tecnologica con un’altra, ma ridurre i consumi complessivi come prima cosa. Quello di cui parli tu è transizione, ma non decrescita. Continui a far finta di non capire.
A dire il vero Gaia, almeno finché non escono fuori tecnologie che permettono VERAMENTE dei disaccoppiamenti ASSOLUTI di energia e materia (quindi non con artifici contabili che non tengano conto della delocalizzazione produttiva o dei consumi indiretti, giusto per capirci) questo è il senso della sostenibilità ambientale in senso lato. Finché non esistono queste mirabolanti tecnologie, mantenendo il vecchio modello socio-economico e cercando di mantenerlo con tecnologie alternative (energie rinnovabili, elettrificazione ecc) fai solo disastri peggiori (infatti non sprecherei neppure l’abusatissima parola ‘transizione’ al riguardo).
Questo per evidenziare Gaia che, a oggi, la decrescita è una opinione per quanto riguarda il COME ma non per quanto concerne la necessità.
Igor, non ho capito cosa intendi. Stai contraddicendo la mia affermazione o la stai confermando?
Confermo e rilancio: a oggi (cioè senza queste tecnologie mirabolanti) qualunque ipotesi che non sia basata su riduzione di consumi e popolazione non ha nulla da spartire con la sostenibilità ambientale
Gaia: evidentemente non hai visto il link che ho allegato. Se i consumi pro-capite di energia continuano a diminuire anno dopo anno, compresi paesi fortemente esportatori come la Germania ed Italia, è difficile tirare in ballo “disaccoppiamenti & co.” per sostenere che non è vero. Basta leggere questo: https://italiaindati.com/import-export-italia/ .
Se leggete i dati relativi all’Italia vedrete che l’export italiano (2,9% dell’export mondiale) è superiore all’import (2,4%). Lo stesso per la Germania, il cui interscambio con la Cina è praticamente alla pari tra import ed export. Più che le definizioni-etichette sul “come”, a me interessano i risultati e cioè che si usi sempre meno energia e materie prime per fare un bicchiere, un quaderno, un chiodo, l’aspirapolvere, un kg di pane o trasportare qualche cosa per 100 km, e a questo ci si è sempre arrivati adottando nuove soluzioni- tecnologie.
Anche sulla questione “necessità” c’è da discutere. Per me, e a quanto vedo, leggo e sento anche a molti altri, è necessario ridurre drasticamente l’utilizzo dei combustibili fossili non solo per contrastare l’AGW, ma anche o soprattutto per non dover dipendere dai condizionamenti-ricatti di altri. E l’attualità dimostra come questi ricatti siano all’origine delle guerre. Quindi non certo perché credo nel presunto esaurimento di certe materie prime. Questo, oltre ad essere un argomento che non fa molta presa sull’opinione pubblica, ha storicamente dimostrato di non essere vero.
Non torno su argomenti già affrontati sui quale le ho risposto e che lei ha sempre bellamente ignorato (le sue teorie sul riciclaggio o ripetere per l’ennesima volta che il problema riguardo alle risorse è legato alla disponibilità di riserve a buon mercato e soprattutto di energia a buon mercato per estrarle).
Il valore commerciale non è mica equivalente a quello delle emissioni: l’estrazione di materie prime e la manifattura impattano molto di più di servizi e prodotti che dall’Europa vanno in Cina. C’è uno studio dell’ENEA che ho citato qui http://www.decrescita.com/news/pillole-decrescenti-1/ che denota come, se accollassimo ai paesi importatori le emissioni dei prodotti importati, perderebbero qualsiasi presunta virtù ecologica. Ripeto: l’economia mondiale è globalizzata e non si può ragionare come fa lei, che tratta gli impatti delle varie nazioni come se si vivesse in un sistema economico autarchico.
I miglioramenti tecnologici riguardo al risparmio di energia e risorse sono stati molto elevati dopo la grande crisi degli anni Settanta, perché i margini di perfezionamento erano molto ampi, dal momento che negli anni del boom non ci si poneva il problema di risparmiare. Ma è dall’inizio del nuovo secolo che i miglioramenti si sono plafonati: c’è un ottimo libro: Decoupling debunked. Il mito della crescita verde che lo dimostra ampiamente, evidenziando come i perfezionamenti in un certo ambito abbiano avuto di solito ricadute negative in un altro (come gli HFC al posto dei CFC: non intaccano la fascia di ozono ma esacerbano il GW).
La verità è che in Occidente i minori impatti e consumi sono ascrivibili a due fattori di base:
– delocalizzazione delle attività più impattanti nei paesi emergenti
– stagnazione demografica ed economica
I miglioramenti tecnologici esistono sicuramente, ma hanno un ruolo marginale.
Francesco, Igor ha risposto come avrei fatto io: non si può confondere il valore monetario con l’impatto ambientale. Se tu fai estrarre le materie prime in un altro paese, fai fare lì il grosso e la parte più “sporca” della lavorazione, poi lo fai venire in Italia o in Germania e l’unica cosa che aggiungi, per dire, è il montaggio o il marketing o la finitura, chiaro che le tue emissioni sono più basse di prima, ma quelle del prodotto no. E quello che conta sono le emissioni complessive, non quelle di cui è responsabile un tedesco o un italiano medio.
Aggiungo che non esiste “un chiodo”, “un chilo di pane”, ecc, come categoria platonica. Molti dei prodotti di largo consumo oggi sono molto più scadenti di quanto lo fossero decenni o anche solo anni fa, per cui magari, per fare un esempio banale, consumi meno risorse per fare un chiodo perché ci metti meno ferro, fare un chiodo consuma meno risorse di prima ma ti servono più chiodi e/o i chiodi che usi durano meno, per cui il “decoupling” anche qui è solo un’illusione.
Non so se l’esempio del chiodo sia calzante (anche se a me sembra di sì, vedendo cosa usavano una volta e cosa compri adesso), comunque è un fenomeno che si osserva in quasi tutto, persino le case. Quasi tutto quello che compri adesso è di qualità scadente e dura poco.
Gaia, Igor: non solo a me, ma anche ad altri https://www.isprambiente.gov.it/files2020/pubblicazioni/rapporti/r320_2020.pdf, risulta il contrario. Comunque non voglio cercare di convincere nessuno. La diatriba sull’uso dei fertilizzanti organici che provenivano e tuttora provengono dal di fuori del mondo Bio, nonostante tutti i tentativi di voler dimostrare il contrario, mi è bastata.
Da convinto ambientalista sono particolarmente dispiaciuto e preoccupato riguardo gli enormi danni causati dal continuo insistere che le cose vanno male, e soprattutto andranno sempre peggio, nonostante tutti gli sforzi che si fanno. Questi danni li ho avvertiti già quando i miei figli erano adolescenti, ma ancora di più li vedo ora tra i miei nipoti alla stessa età. Quando ogni sforzo ed ogni risultato positivo viene percepito (o meglio inculcato ) come vano, è facile e/o logico scoraggiarsi del tutto.
In effetti mi sa che ci troviamo in una situazione simile a quella: leggendo cum grano salis il documento linkato ho impressione che le sue posizioni ne verranno fuori abbastanza . Un po’ come quando ha trovato i regolamenti che dimostravano che le ‘deroghe’ al regolamento sul letame non esistino dal momento che ammettono da sempre l’impiego di fertilizzante anche in certi tipi di allevamento al di fuori del circuito bio.
Comunque ci scriverò probabilmente un pezzo su questa questione, stare a fare calcoli e trovare fonti qui nella piattaforma commenti perché tanto dopo (parole sue) lei se ne frega di quello che scrivo, sarebbe tempo perso
Con la sua forma mentis che evade sistematicamente le questioni che possono porre problemi alla sua dialettica ci credo bene che per lei “va tutto bene madama la marchesa”. Ma anche la sua fiducia nella tecnologia: ad esempio vedo che è stato risolto con successo quel bug di WordPress che impediva (solo a lei!) di inserire il cognome dopo il nome!!!
Igor: tiri nuovamente in ballo la questione dei fertilizzanti organici e vedrà la figuraccia che farà (o meglio che continuerà a fare) nel sostenere l’indimostrabile. Soprattutto nell’attaccarsi come una sanguisuga solo alla forma e cioè al mio banale errore di aver definito una “deroga” quella che invece è una possibilità (altrimenti come potrebbero andare avanti ad ingannare i consumatori) , e fregarsene completamente della sostanza e cioè che i produttori Bio sono in gran parte costretti ad importarli dal di fuori del loro circuito “alternativo” farlocco.
Il mondo si divide in chi capisce le cose da solo; in chi per capire deve farsele spiegare bene e “tagliate fine”; in chi non riesce proprio a capire ed in chi invece non vuol capire. Ed in effetti anche io devo ammettete di capire se si pone fra il terzo o quarto gruppo.
La questione sul cattivo esempio ed i danni che il pseudo-ambientalismo massimalista ed ideologico sta dando ai più giovani è ben più importante. Soprattutto nell’insistere che nonostante tutti gli sforzi ed investimenti in intelligenza e denaro, negli ultimi 10, 50 o 100 anni l’umanità non sia riuscita a diminuire il consumo di energia per produrre un qualunque bene di consumo. Per non parlare poi del futuro. Per forza molti ragazzi stanno diventando (o lo sono già) sempre più apatici e demotivati nel sentirsi costantemente ripetere questa visione-versione del bicchiere inesorabilmente sempre mezzo vuoto. E che deve ulteriormente svuotarsi per salvare il mondo. Ma solo dalla nostra parte. per fortuna non tutti si lasciano convincere. Mio nipote, ora quasi maggiorenne, già a 10-12 anni si dava da fare ad aggiustare le bici dei coetanei del suo paese e dintorni. Poi crescendo ha cominciato ad aggiustare anche i motorini e poi anche moto. Nonché i miei trattori ed attrezzi agricoli. Lo scorso anno con il telaio di una vecchia lambretta l’ha trasformata in moto elettrica (non omologata e targata) che va benissimo. Quando finirà l’ITIS vuole aprire una sua impresa di retrofit elettrico per vecchie moto ed auto. In base alla vostra fede dovrei dunque disilluderlo convincendolo che tutto questo è inutile?
Gaia: dato che mio nipote è molto più bravo di me nel riparare qualunque aggeggio (anche vecchio: è bravissimo a saldare qualunque metallo) gli ho chiesto se è vero che gli attrezzi moderni si rompono molto più di un tempo. Mi ha dato la sua versione, ma ha voluto porre la stessa domanda anche ai suoi professori. Risposta unanime: è una balla! L’unica differenza è che gli oggetti moderni sono più complicati e quindi più soggetti a rompersi. Spesso sono anche facilmente riparabili, ma il costo della riparazione e/o pezzi di ricambio può essere superiore al prezzo del nuovo (e più evoluto). Oppure gli oggetti di un tempo erano fatti con una maggiore cura e con materiali durevoli, ma avevano un prezzo talmente alto che solo in pochi potevano permetterseli, per cui non si possono fare paragoni. Questo sì è un tema da divulgare, ma ai decrescitari interessa poco o nulla.
Ma la tirata fuori di nuovo, mica io! E forse farebbe bene a evitare certi ‘banali errori’ quando si esperime in pubblico, specialmente se allude a presunte illegalità e ad ancora più presunte ‘gole profonde’ che gliele avrebbero rivelate. Per il resto, sto facendo così tante figuracce che sono stato costretto a chiederle di esporsi con nome e cognome perché la gente cominciava a pensare che Franco-Francesco era un personaggio inventato da me per sfottare i progressisti-sviluppisti. In ogni caso, ripeto quello che l’ho già detto: se questa qerelle si limita agli scambi sui miei blog, amen, anche per me si esausrisce qui. Se dovessi scoprire che non è così, agirò conseguentemente.
Anche io l’ho inquadrata benissimo, tranquillo.
Tutti i miglioramenti tecnologici li avete vanificati voi ‘crescitari’ causando il paradosso di Jevons. Poi lei vede anche miglioramenti dove non ci sono, ma come dicevo ci sto scrivendo un pezzo.
Veramente suo figlio sta intraprendendo un percorso di recupero dei materiali in perfetto stile decrescita, quindi sta a lei da bravo progressista-sviluppista cazziarlo a dovere perché si sta sviando dalla retta via!
Come ha sottolineato Igor, aggiustare gli oggetti anziché buttarli via è un classico esempio di decrescita, quindi dimostri ancora di non aver capito niente, né “da solo” né quando te lo spieghiamo noi, di cos’è la decrescita. Nonostante questo, la ridicolizzi di continuo.
Questa tua maniera ostentata di farsi dire la verità solo ed esclusivamente dalle persone che conosce è un po’ grottesca: ora vedo che sta crescendo la nuova generazione dei tuoi testimoni personali fidati, per cui puoi continuare a oltranza con le tue certezze assolute e confidenziali su come va il mondo! Ti faccio però notare che quanto hai riportato conferma quanto si diceva, non lo nega:
” L’unica differenza è che gli oggetti moderni sono più complicati e quindi più soggetti a rompersi. Spesso sono anche facilmente riparabili, ma il costo della riparazione e/o pezzi di ricambio può essere superiore al prezzo del nuovo (e più evoluto). Oppure gli oggetti di un tempo erano fatti con una maggiore cura e con materiali durevoli, ma avevano un prezzo talmente alto che solo in pochi potevano permetterseli, per cui non si possono fare paragoni. ”
Esatto: secondo quanto dice il nipote di fiducia, non io, gli oggetti moderni si rompono di più rispetto a una volta, ripararli costa più che comprarli nuovi, oppure gli oggetti di una volta erano semplicemente fatti meglio con materiali migliori (più cari, sì, ma se durano decenni la spesa è uguale rispetto al cambiarli di continuo, se non minore addirittura). Per contraddirmi hai detto esattamente quello che ho detto io! Altro che “risposta unanime: una balla”… Praticamente non ti capisci da solo.
Comunque io personalmente lo vedo in tutti i campi: gli elettrodomestici di mia nonna sono ancora lì, quelli nuovi vanno cambiati di continuo; i vestiti vintage (di questo me ne intendo) sono solitamente fatti meglio sia come stoffe che come dettagli, eccetera. Ci sono anche ricerche fatte su questo, è un fatto dimostrato, ora anche dal nipote e dai suoi professori.
Gaia: almeno leggi bene quando scrivo prima di rispondere e soprattutto cerca di usare la razionalità.
Più o meno un anno fa è venuta fuori la questione “durata” e subito tutti abbiamo pensato a mio nipote e quando gli abbiamo posto la domanda disse che non è corretto paragonare oggetti diversi anche se all’apparenza hanno la stessa funzione. Ricordo che in quella occasione paragonò la sua bici (con doppie sospensioni e freni a disco) spiegando che con quella poteva fare cose che con la sua vecchia bici da corsa degli anni ’50 ( da lui restaurata e con cui vorrebbe partecipare all’Eroica in Toscana) sarebbero impensabili perché quest’ultima si romperebbe subito. Ed in effetti ha dovuto farla saldare in due punti da uno specialista.
Io stesso ricordo come si arrugginivano e quante volte si rompevano le mie prime auto, mentre l’attuale nonostante i quasi 20 anni e i 360.000 km non ha una macchia di ruggine ed è perfettamente funzionante e a parte il motorino d’avviamento e le sospensioni posteriori ( troppo sollecitate da tutto quello che carico) non ho mai cambiato niente. A mio nipote la domanda è piaciuta e l’ha quindi posta anche ai suoi professori che sono stati concordi nell’affermare che a parità di uso le apparecchiature-oggetti attuali sono fatte con materiali migliori e più resistenti. Il diffuso e contrario pregiudizio nasce dal sempre più grande divario tra l’aumento dei costi della manodopera per la riparazione ed il prezzo dell’oggetto. Se una televisione moderna (che ha mille canali e mille funzioni e in proporzione al potere d’acquisto costa (in proporzione al costo d’acquisto) decine di volte meno rispetto ad una vecchia televisione a valvole e tubo catodico) oltre ad avere molti meno problemi, se si rompe (di solito una scheda o un interruttore) sarebbe facilissimo ripararla, ma pochi lo fanno perché costa di meno comperarne una nuova. E’ quindi sbagliato giudicare l’apparecchio in sé, ma i costi e servizi accessori e cioè a fattori del tutto estranei.
Non avendo competenze, per i tessuti e vestiti ho chiesto il parere a mia moglie, mia madre e soprattutto ad una anziana parente che ha fatto la sarta per una vita. Tutte hanno sorriso (commiserandomi per la domanda stupida) e spiegandomi che tutto dipende dal prezzo. Anche oggi fanno dei tessuti e vestiti superlativi e costosi che a detta di questa parente anche migliori rispetto ad un tempo. La differenza è che un tempo non c’era scelta (e si aveva un’attenzione e cura per tutte le cose, e vestiti in particolare, molto maggiore rispetto ad ora) , mentre ora si possono comprare vestiti simili, ma ad un costo basso. E’ quindi ovvio che ci sia delle differenze, ma anche in questo caso è scorretto paragonare mele con pere. La differenza sta tutta e solo nel prezzo. Per l’ennesima volta quindi dimostri-dimostrate di usare dei pregiudizi e non la logica. Altro errore è di attribuire alla vostra fede il riciclo delle cose, che invece si è sempre fatto e si continuerà a fare per ragioni puramente economiche.
Un errore analogo fa Igor che attribuisce alla decrescita il business del retrofit, mentre in realtà è dettato solo da questioni estetiche (un’auto o una moto d’epoca riadattata costa molto di più in energia, materiali, tempo e prezzo rispetto ad auto o moto elettriche nuove) e cioè da quanto di più distante ci sia dalla fede decrescitaria. E poi sarei io a non capire!!!
PS: Se io cito mio nipote, sarebbe solo un testimone personale fidato ( e cioè solo un dato soggettivo e pertanto fasullo), mentre gli elettrodomestici di tua nonna sono dati oggettivi ed inappellabili!
Ora che ci penso, ho un dubbio. A parte i televisori e gli aspirapolvere (tutti rotti solo dalle donne delle pulizie che non controllano mai se la vaschetta-sacco è pieno ed il filtro intasato), tutti gli elettrodomestici che abbiamo in casa risalgono al momento in cui abbiamo fatto trasloco dalla vecchia casa a quella nuova e cioè poco più di 30 anni fa. Secondo te sono da considerare oggetti vecchi e quindi più resistenti, oppure nuovi?
Mi è venuto in mente un altro esempio che conferma il pregiudizio sulla “durata” e “qualità” degli oggetti. Negli anni in cui ho lavorato nei PVS, ho fatto innumerevoli traslochi. Invece di portarmi dietro da un paese all’altro mobili ed elettrodomestici, li vendevo sul posto. Fin dalla prima volta mi sono accorto che potevo chiedere prezzi anche più alti di quanto li avevo pagati da nuovi. Motivo? Le persone del luogo erano convinte che gli oggetti acquistati da un bianco fossero più resistenti e di migliore qualità rispetto a quelli acquistabili in loco. In realtà anche io li avevo acquistati (a parte poche eccezioni) nella capitale di quello stesso paese.
Lo stesso succede per i vestiti usati provenienti dall’Europa o dall’America, che in tutta l’Africa spuntano prezzi più alti rispetto al nuovo. Nonostante entrambi provengano per la maggior parte da fabbriche cinesi.
Francesco, ho letto quello che hai scritto e hai scritto che era “una balla” salvo poi scrivere che è vero che gli oggetti nuovi si rompono di più. Ti sei contraddetto da solo per quanto tu ora provi a rigirarla.
Che gli oggetti nuovi si rompano perché sono più complessi o perché è difficile trovare pezzi di ricambio (strategia spesso deliberatamente attuata dai produttori) è vero, fatto sta che ogni volta che provi a riparare qualcosa ti dicono: ti conviene comprarne di nuovi. E molti dei supposti miglioramenti sono cose di cui molti di noi farebbero volentieri a meno, ma non hai scelta. A me andrebbe benissimo una lavatrice con un bottone anziché digitale, ma non credo di avere quest’opzione.
Qui un esempio molto dettagliato sulle biciclette: https://www.lowtechmagazine.com/2023/02/can-we-make-bicycles-sustainable-again.html
Riguardo ai freni a disco, il problema è che ormai non trovi bici senza, e te ne freghi delle prestazioni superiori se devi solo pedalare in città ma costano un sacco e hanno un sacco di problemi. Io li evito finché è possibile farlo.
Riguardo a tua moglie, sono affari vostri se ti tratta con condiscendenza quando le chiedi le cose, a me invece che tu lo faccia con me dà fastidio, anche perché ho anch’io esperienza di moda di varia gamma e una volta le schifezze che c’erano adesso in vendita non esistevano proprio; riguardo all’alta moda costosa conosco un po’ il settore e anche se ci sono prodotti buoni, in molti casi paghi il marchio e nient’altro e sono fatti nelle stesse fabbriche e con gli stessi materiali sintetici degli stracci che compri al mercato. Magari il taglio è più alla moda, ma basta prendere in mano i vestiti di cinquant’anni fa, per non parlare di quelli vecchi, e vedrai che le stoffe sono più robuste, cuciture e bottoni più duraturi, e così via. Se tua moglie si riferiva all’altissima moda, certo che se paghi per un vestito tanto quanto una casa ci mancherebbe che cadesse a pezzi, ma una volta la gente non spendeva comunque così tanto per vestirsi, e il cotone era robusto e le cuciture ben fatte.
Tra l’altro tu puoi chiedere a tizio o a caio o intortare tutti gli africani che vuoi, ma queste sono tendenze note frutto di politiche da parte delle aziende, e ci sono anche parecchi studi sul perché è così.
Gaia: in fatto di conoscenza del settore vintage probabilmente mia moglie ti darebbe dei punti. Da trenta anni le uniche camicie, maglie e giacche sportive che compro sono quelle americane vintage. Ti lascio immaginare chi mi ha convinto. E non lo faccio certo per motivazioni etiche o per risparmiare, ma solo per ragioni estetiche. Mia madre potrebbe aprire un bazar se si decidesse a svuotare le sue decine di armadi in gran parte pieni di vestiti regalati da parenti ricchi. Anzi, molto ricchi. Alcuni li ho portati anche io quando ero giovane. Purtroppo questi parenti erano tutti piccoli e magri, per cui io ho potuto portarli solo per pochi anni durante l’adolescenza. I miei amici mi hanno preso in giro spesso perché a 18 -20 anni qualche volta sono passato improvvisamente dall’eskimo a lunghi cappotti di cachemire color cammello. Lo stesso mia madre che è, anzi era, molto più alta di loro. La più convinta sostenitrice che non sia affatto vero che le stoffe ed i vestiti di un tempo siano tutti nettamente migliori rispetto a quelli attuali dello stesso livello di prezzo è la cugina di mia madre che faceva la sarta. Anche per lei questo diffuso errore di valutazione sta nel classico bias cognitivo basato sulle diverse percentuali. Come puoi mettere a confronto i vestiti vintage che si e no rappresentano l’1% di quanto è stato prodotto e pertanto hanno subito numerose selezioni di qualità e nella maggior parte dei casi sono stati usati niente o pochissimo, con la media dei vestiti attuali ?
Non sei riuscita a capire nemmeno il mio esempio del bias cognitivo degli africani. Primo: non ne ho mai approfittato, ma ho solo rilevato che se gli avessi chiesto il doppio del prezzo me l’avrebbero dato a causa del loro profondo senso di inferiorità rispetto ai bianchi. Secondo: nella maggior parte dei casi me la sono cavata offrendo tutte le mie cose in blocco ad una qualche missione cattolica (anche se io non lo sono) e meglio se gestita da salesiani oppure, come in Mozambico, ad una istituzione ismailita: gli unici musulmani che rispetto.
Inoltre spiega come farebbero quelle aziende (multinazionali?) che tu citi ad influenzare le scelte delle decine di migliaia di senegalesi che il sabato vanno a fare acquisti nel mercato all’aperto lungo due km e con migliaia di bancarelle che vendono vestiti usati?
Ho citato mio nipote solo perché esperto nel riparare le cose e pertanto con molta conoscenza della qualità dei materiali, e non puoi certo annoverarlo come un adepto della tua ideologia. Mio nipote ha sempre restaurato-aggiustato cose solo per guadagnare soldi con cui comprarsi e mantenere le sue due moto da cross (a due tempi) che consumano più di un grosso SUV e fumano peggio di un aereo a reazione. Da un paio di mesi viene raramente ad aiutarmi e quando ha tempo preferisce andare a lavorare in un maneggio-galoppatoio. Come veterinario ho sperato che si convertisse dai cavalli vapore a quelli veri ed invece ho scoperto che lo fa solo per la paga più alta rispetto alla mia e per la frequentazione delle più belle e ricche ragazzine della zona.
Anche il suo interesse per il retrofit non è certo imputabile ad un afflato ambientalista, ma perché ha capito che è un settore in cui girano molti ingenui pieni di soldi. Insomma lo stesso che pensano quasi tutti i produttori Bio: piatto ricco (soprattutto di contributi pubblici), mi ci ficco!! Se invece di costruirsi o procurarsi da solo i vari componenti per modificare la vecchia lambretta (che può usare solo su strade private) avesse acquistato il kit autorizzato e avesse omologato il mezzo su strada avrebbe speso più di 5-6000 euro. E con un’autonomia massima di 70-80 km.
L’ho messo di là, lo metto anche qui, è molto importante (cose che si sapevano già, naturalmente…)
https://www.truthdig.com/dig/green-tinted-glasses/