Si è insediato il nuovo governo di centro-destra (o forse sarebbe meglio dire di destra-centro) presieduto da Giorgia Meloni, leader del partito di maggioranza relativa Fratelli d’Italia. Ha destato un certo scalpore il cambio di denominazione di alcuni ministeri, operazione che certamente sottende a una precisa volontà politica.

‘Sviluppo economico’ è divenuto ‘imprese e made in Italy’, enfatizzando il ruolo prioritario del mondo imprenditoriale nello ‘sviluppo’. Alla ‘istruzione’ è stata aggiunto il ‘merito’, chiaro riferimento all’ideologia neoliberale del capitale umano teorizzata negli anni Cinquanta da quella che sarà poi chiamata scuola di Chicago, volta a creare una ‘economia dell’educazione’ allo scopo di ridimensionare ogni funzione sociale dell’istituzione scolastica. La ‘transizione ecologica’ ridiventa ‘ambiente’ ma con l’aggiunta della ‘sicurezza energetica’, che molto probabilmente sarà prioritaria rispetto alla sostenibilità. Soprattutto pensando al ministro che occuperà il dicastero, il forzitaliota Gilberto Pichetto Fratin, noto per posizioni in favore del nucleare nonché contrarie alla plastic tax e ai propositi della UE per impedire l’immatricolazione delle auto a motore endotermico.

In ‘Famiglia, natalità e pari opportunità’ rivedo invece la stessa tattica dialettica impiegata nel discorso di insediamento alla Camera di Lorenzo Fontana, tutto incentrato sulla esaltazione della diversità e il rifiuto della omologazione, ma in una sorta di rovesciamento dei valori dove la cosiddetta famiglia tradizionale e l’eterosessualità rappresenterebbero una minoranza da preservare contro una maggioranza soverchiante portatrice delle istanze LGBT e antitradizionali. In quest’ottica, la donna desiderosa di diventare moglie e madre sarebbe il  soggetto a cui garantire quelle ‘pari opportunità’ che le sarebbero negate da una società ostile al matrimonio e alla procreazione.

Abbiamo poi ‘agricoltura e sovranità alimentare’. Chi, come me, ha vissuto da vicino i movimenti contro la globalizzazione neoliberista, conosce molto bene questa espressione, coniata da Via Campesina e altre organizzazioni di base degli agricoltori del sud del mondo intenzionati a ridiventare protagonisti superando le classiche politiche circoscritte alla ‘sicurezza alimentare’, quasi sempre monopolizzate da enti sovranazionali e  colossi dell’agrobusiness. Recita così la Dichiarazione di Nyéléni, redatta al primo Forum per la sovranità alimentare del 2007 a Sélingué, Mali:

La sovranità alimentare è il diritto dei popoli a un cibo sano e culturalmente appropriato, prodotto con metodi ecologicamente corretti e sostenibili, e il loro diritto a definire i propri sistemi alimentari e agricoli. Mette coloro che producono, distribuiscono e consumano cibo al centro dei sistemi e delle politiche alimentari piuttosto che le richieste dei mercati e delle aziende. Difende gli interessi e l’inclusione della prossima generazione. Offre una strategia per resistere e smantellare l’attuale regime commerciale e alimentare aziendale e dà indicazioni per i sistemi alimentari, agricoli, pastorali e della pesca determinati dai produttori locali. La sovranità alimentare dà priorità alle economie e ai mercati locali e nazionali e potenzia l’agricoltura guidata dai contadini e dalle famiglie, la pesca artigianale, il pascolo guidato dai pastori e la produzione, distribuzione e consumo di cibo basati sulla sostenibilità ambientale, sociale ed economica. 

 

Idee decisamente poco affini a quelle di Meloni, Salvini e Berlusconi. E’ pertanto lecito sospettare che, in realtà, il vero progetto consista in un ‘sovranismo alimentare’ inteso quale protezionismo dell’agroindustria nostrana. Su Domani, Fabio Ciconte si spinge ancora più in là con le speculazioni:

 

Il modello sembra essere quello nel quale il contadino-patriota viene dispensato dai vincoli ambientali per consentirgli di sfamare la nazione. Se questo è l’obiettivo, dobbiamo aspettarci un contrasto alle strategie europee di riduzione dei pesticidi e dei fertilizzanti chimici, l’introduzione dei nuovi OGM senza etichettatura, l’allevamento intensivo di animali in spregio alle emissioni di gas serra. Insomma, sarà una “sovranità alimentare” sempre più insostenibile, che però avrà il marchio tricolore.

 

Pensieri eccessivamente maliziosi? Per dovere di obiettività, consultiamo la sezione del programma elettorale di Fratelli d’Italia riguardante le politiche agricole. Effettivamente, a parte vaghissimi appelli alla sostenibilità (“l’agricoltura è uno dei pilastri della nostra Nazione, occorre proteggerla e svilupparne le potenzialità, nel giusto equilibrio tra uomo e ambiente”) unitamente a dichiarazioni di intenti per proteggere il prodotto italiano dalle imitazioni, contro il caporalato e per profitti più congrui agli agricoltori, non si trova alcunché dei capisaldi della sovranità alimentare: nulla su agroecologia, lotta allo strapotere delle multinazionali del settore, autodeterminazione contadina all’interno della filiera alimentare. Investire in ricerca, dando impulso all’agroindustriale, fondamentale per l’innovazione e per la tutela della biodiversità” sembra piuttosto un assist in favore della transgenesi (sulla quale il programma evita di esprimersi, limitandosi a tuonare “contro i cibi sintetici”).

Diverse voci dell’associazionismo contadino di base hanno tempestivamente denunciato il tentativo delle destre di mettere le mani su di un pensiero a loro estraneo, per evitare quanto già accaduto con la critica alla globalizzazione neoliberista, fatta propria da chi ha sempre denigrato i contestatori della prima ora. Purtroppo la stragrande maggioranza degli oppositori del nuovo governo, invece di fare chiarezza, ha ostentato con orgoglio la propria ignoranza accostando la sovranità alimentare a nostalgie autarchiche (qui per chi volesse gustarsi qualche scempiaggine che ha fatto capolino sui social media). Il punto più basso è stato probabilmente raggiunto da questo indecente tweet di Laura Boldrini:

 

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Le organizzazioni come Navdanya, che sotto il vessillo della sovranità alimentare si impegnano per ridare centralità e dignità alle donne impegnate in agricoltura, si sentiranno sicuramente confortate dalla sparata della deputata “femminista dalla nascita”, come si definisce sul suo profilo Twitter.

Di fronte a un simile vuotame culturale e politico, posso solo condividere parola per parola quanto espresso da mio contatto su Facebook:

I commenti ironici sul ministero della sovranità alimentare dimostrano che a sinistra pochi sanno che cosa sia (magari leggetevi “I padroni del cibo” di Raj Patel, tanto per cominciare e magari date un’occhiata al sito di “Via campesina”). Se la sinistra avesse declinato un po’ di più questo tema (importante per i paesi africani e latinoamericani) ora la destra non ne farebbe una stupida caricatura. Lo stesso dicasi di temi importanti quali la decrescita, il reddito di base universale e l’economia circolare.

 

Immagine in evidenza: Giorgia Meloni a una manifestazione Coldiretti (fonte: Domani)

 

 

 

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