L’articolo di Foreign Affairs The Talks That Could Have Ended the War in Ukrained, di cui ho trattato nel mio ultimo post, ha ricevuto un’accoglienza completamente diversa a seconda del tipo di tifoseria sulla guerra in Ucraina. Il giornalismo mainstream, interessato a dipingere Vladimir Putin come folle dittatore intenzionato a conquistare l’intera Europa, lo ha pressoché ignorato o marginalizzato il più possibile. Evidentemente, la sola idea che il Cremlino avesse accettato di tenere dei negoziati era incompatibile con la raffigurazione del presidente russo quale Hitler del XXI secolo.

L’altra frangia, quella secondo cui invece il nazista sarebbe Zelensky e l’Ucraina nulla più di un’appendice politica degli USA e della NATO, ha invece esaltato il contributo della rivista di geopolitica come prova che assolverebbe la Russia da ogni responsabilità sulla guerra, scaricandola su USA e Occidente. Sui social network ha spopolato un post di Andrea Zhok, professore di filosofia morale dell’UNIMI noto per le sue idee sovraniste (è stato candidato per la lista Italia Sovrana e Popolare alle ultime elezioni politiche), a cui se ne sono aggiunti molti altri di tenore simile. Lo riporto qui sotto con i miei commenti in corsivo tra parentesi quadre.

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Tre giorni fa, il 16 aprile, l’autorevolissima rivista di provata fede atlantista “Foreign Affairs” ha pubblicato un articolo che mette la parola fine a tutte le chiacchiere intorno alle intenzioni di Putin di invadere l’Europa, di arrivare a Lisbona, di abbeverare i cavalli nelle acquasantiere di San Pietro, e con ciò anche alla relativa reazione bellicista da parte europea.
L’articolo è a firma di un docente dell’Henry A. Kissinger Center for Global Affairs della Johns Hopkins School of Advanced International Studies, e di un associato del think tank RAND, ex Senior Fellow per la Russia e l’Eurasia all’International Institute for Strategic Studies. Praticamente la crema dei falchi atlantisti.

[Evidentemente, i ‘falchi atlantisti’ sapevano che, se lette correttamente, le loro parole non portavano più di tanto acqua al mulino delle ‘colombe filorusse’]

Nell’articolo si ricostruisce, con documentazione, lo sviluppo di una trattativa tra Putin e Zelensky (tra le rispettive delegazioni) dal 28 febbraio 2022 (neanche una settimana dopo l’invasione russa!) fino alla fine di aprile. La trattativa ha avuto luogo in parte in Bielorussia e in parte in Turchia. Di questa trattativa era già stata fatta menzione più volte, tra l’altro anche dallo stesso Putin che ne aveva mostrata una bozza ai leader delle nazioni africane e dall’ex primo ministro israeliano Bennett.

[Ma se tale bozza comprovava irrimediabilmente la responsabilità occidentale nell’escalation della guerra, perché Putin non l’ha mostrata urbi et orbi invece di riservarla a pochi eletti?]

Ovviamente le prodi difese antidisinformazione del giornalismo nostrano non avevano mancato, con la loro aria saputella da mantenuti, di ridicolizzare queste notizie come “fake news”. Tra il 29 marzo e il 15 aprile si era pervenuti ad un accordo di massima, che prevedeva per l’Ucraina di rimanere uno Stato permanentemente neutrale e non nucleare, di rinunciare all’adesione alla Nato e in generale ad alleanze militari, di non consentire l’insediamento di basi militari o truppe straniere sul proprio territorio.

[Zhok omette le discussioni sulle clausole per il contenimento delle forze armate ucraine. Per inciso, lascia abbastanza perplessi che a subire una demilitarizzazione debba essere la parte che ha subito l’invasione e non quella che l’ha provocata]

La questione della Crimea era menzionata proponendo una risoluzione pacifica del contenzioso nei successivi 15 anni. La Russia accettava l’adesione dell’Ucraina all’UE.

[Verosimilmente rendere pubblica la proposta sulla Crimea poteva risultare abbastanza imbarazzante per Putin, perché riconosce di fatto qualche diritto di Kiev sulla penisola, mentre la posizione ufficiale del Cremlino è sempre stata ‘Crimea Russia per sempre’ e basta]

Per il Donbass si ristabiliva la validità degli accordi di Minsk (II), con il riconoscimento di un’ampia autonomia alle regioni russofone, all’interno dello stato ucraino.

[Non si capisce dove Zhok abbia reperito questa informazione: non certo da Foreign Affairs, la quale al contrario sottolinea la volontà di evitare ogni riferimento all’assetto territoriale dell’Ucraina post invasione. Inoltre, anche avvalorando l’immagine di Zelensky quale pavido burattino in mano a perfidi occidentali intenzionati a usarlo per logorare militarmente la Russia, per quale ragione avrebbe dovuto rifiutare un accordo dove all’Ucraina venivano restituiti tutti i territori occupati, repubbliche secessioniste di Luhansk e Donetsk comprese, e addirittura si tornava a discutere sulla Crimea? A quel punto, quale motivo sarebbe rimasto per combattere? Senza contare il successo personale che avrebbe potuto ostentare il presidente ucraino dopo aver costretto Putin, a soli due mesi dall’inizio della ‘operazione militare sociale’, a tornarsene a casa con la coda tra le gambe concedendo una quasi capitolazione che contraddiceva i proclami solenni di inizio invasione]

Gli accordi naufragano bruscamente nella seconda metà di aprile, quando la firma della bozza sembrava dietro l’angolo.

[Foreign Affairs non parla mai di ‘firma dietro l’angolo’, bensì di negoziati che si sono definitivamente arenati per divergenze insanabili sulla clausola di garanzia per l’Ucraina in caso di attacco militare straniero, totalmente ignorata da Zhok nella sua ricostruzione. Anzi, la “autorevolissima rivista” evidenzia maggiori responsabilità russe nel fallimento della trattiva: infatti, nella bozza del 12 aprile agli stati garanti della difesa dell’Ucraina viene assicurata la possibilità di intervenire in maniera autonoma in sua difesa, mentre in quella di tre giorni dopo la delegazione del Cremlino vuole modificare il testo nel senso di un accordo congiunto tra tutte le parti, lasciando aperta la possibilità di diritto di veto di uno dei garanti, quindi anche della stessa Russia.

Foreign Affairs riporta pure un’altra richiesta di revisione rispetto alla bozza del 12 aprile: “…le bozze contengono diversi articoli che sono stati aggiunti al trattato su insistenza della Russia ma che non facevano parte del comunicato e si riferivano a questioni che l’Ucraina si era rifiutata di discutere. Questi impongono all’Ucraina di vietare ‘il fascismo, il nazismo, il neonazismo e il nazionalismo aggressivo’ e, a tal fine, di abrogare sei leggi ucraine (in tutto o in parte) che trattavano, in generale, aspetti controversi della storia dell’era sovietica, in particolare il ruolo dei nazionalisti ucraini durante la seconda guerra mondiale”.

Forse Putin così facendo voleva rivendicare la famosa ‘denazificazione’, ma è lecito sospettare che la pretesa di ricostruire a proprio uso e consumo la storia nazionale ucraina fosse volta a irrigidire Kiev e indurla ad abbandonare la trattativa. Di sicuro tale richiesta e quella sulla clausola di garanzia non denotano l’atteggiamento conciliante di chi desidera ardentemente siglare in tempi brevi un accordo di pace]

L’accoglienza americana ai negoziati era stata scettica dall’inizio, ma la svolta avviene dopo la visita di Boris Johnson, allora premier britannico in carica, che si fa latore del messaggio di “Combattere la Russia fino all’ottenimento della vittoria”. Le trattative si interrompono subito dopo. Che a questa svolta abbiano contribuito il cosiddetto “massacro di Bucha” o il ritiro delle truppe russe dalla direttrice di Kiev, preso come un segno di debolezza, è oggetto di congetture.
E’ a questo punto che in Occidente si preme unilateralmente sull’acceleratore della fornitura di armamenti, respingendo ogni ipotesi di accordo. Ed è evidente a tutti che senza la piena copertura occidentale Zelensky non avrebbe mai rinunciato alle trattative.

[Invece Foreign Affairs rimarca il fatto che, se si è arrivati alla ‘guerra per procura’, è proprio perché l’Ucraina non ha ottenuto la “piena copertura occidentale”, che sarebbe consistita nell’obbligo di difenderla in caso di nuova aggressione militare. Zhok accenna al fatto che l’ex premier israeliano Bennett abbia letto la bozza di pace (si era proposto come mediatore tra le parti), tuttavia non riporta l’opinione che riferì a Zelensky in un colloquio intercorso tra i due. Da un estratto di un’intervista on line a Bennett, citato su Foreign Affairs: “L’America ti darà garanzie? Si impegnerà a far sì che tra qualche anno, se la Russia violerà qualcosa, invierà soldati? Dopo aver lasciato l’Afghanistan e tutto il resto?’ Ho detto: ‘Volodymyr, non succederà’”.

Bennett è stato molto chiaro: a prescindere dalla formulazione della clausola di garanzia, USA e paesi occidentali non avrebbero mai combattuto in prima persona contro i russi, specialmente ora che è iniziato il loro declino sullo scacchiere globale. Si può dargli torto? Fondamentalmente, Zelensky si trovava di fronte a due scelte:

  •  fare leva sulla proposta russa di favorire l’ingresso di Kiev nella UE e rassegnarsi a un processo di pace fortemente guidato dal Cremlino, che avrebbe quasi certamente comportato perdite territoriali consistenti (ad Aprile gran parte dell’Ucraina era occupata dalle forze di Mosca) nonché limiti alle forze armate, nella speranza che la Russia non sfruttasse le clausole sulla ‘denazificazione’ per destabilizzare la politica ucraina e che questa volta, diversamente da quanto accaduto con il Memorandum di Budapest, rinunciasse a ogni ipotesi futura di aggressione. I russi hanno giustificato la violazione del memorandum in quanto non equiparabile ad accordo internazionale vincolante ma semplice intesa tra nazioni, proprio come gli accordi in fieri dell’aprile 2022;
  • accettare il sostegno militare occidentale per ripristinare l’integrità territoriale dell’Ucraina o, quantomeno, arrivare a un accordo di pace da posizione più favorevole.

In tutto questo, bisogna considerare elementi come il diritto di veto della Russia all’ONU, la dipendenza dei paesi europei dal gas russo (il North Stream è stato sabotato due mesi dopo il fallimento dei negoziati), il possibile ritorno nel 2024 alla Casa Bianca del filoputiniano Donald Trump. Ognuno è libero di scegliere quale delle due opzioni sarebbe stata preferibile per il popolo ucraino e la salvaguardia della pace globale: affermare però che Zelensky abbia scelto l’alternativa bellica invece di accettare una proposta di russa molto vantaggiosa è solo bieca propaganda senza alcun riscontro nei documenti che vengono portati come prova a sosteno].

 

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