Nell’ultimo post pubblicato sul suo blog, Art Berman non si limita a esprimere le proprie considerazioni sulla rielezione di Donald Trump, delineando invece un quadro ben preciso della situazione precaria in cui si trovano non solo gli USA, ma la società umana tutta. Lo proponiamo tradotto in italiano, qui il post originale in inglese. 

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Energia, economia e limiti della crescita: cosa rivela la vittoria di Trump sulle sfide dell’America (Art Berman)

Peter Thiel sostiene che la vittoria elettorale di Trump segni il crollo del liberalismo , un rifiuto pubblico dell’accademia progressista e la fine del Deep State tecnocratico. Pippa Malmgren la chiama ” il momento della glasnost americana “, inquadrandola come “i techno bros prendono d’assalto i bastioni” e “l’ultimo audit”.

Che assurdità. La disillusione di Thiel nei confronti del sistema non è una novità, e la fantasia di Malmgren di gestire il governo come una startup è, nella migliore delle ipotesi, ingenua. Se i cosiddetti techno bros (espressione riferita a Elon Musk, Vivek Ramaswamy e agli imprenditori della Silicon Valley che hanno lautamente sovvenzionato la campagna elettorale di Trump, n.d.r) trasformano il governo in un altro esperimento in stile Facebook o Twitter, allora non ci stiamo dirigendo verso la rinascita, bensì verso il disastro.

L’entusiasmo per queste elezioni è esagerato. È la terza volta consecutiva che gli americani cacciano il partito in carica, tutto qui. Trump ha vinto perché gli elettori erano arrabbiati per l’inflazione. I prezzi elevati hanno unito 9 elettori su 10 nella frustrazione.

Ciò che sta accadendo in America non è un fatto unico. Inflazione, immigrazione e populismo stanno rimodellando Europa, Pakistan, Sri Lanka, Zimbabwe, Argentina e Venezuela. Gli americani vedono questi problemi come crisi interne, invece riflettono una tendenza globale. L’inflazione è sintomo di profondi problemi strutturali legati ai sistemi energetici ed economici, in particolare la diminuzione della convenienza del petrolio e il crescente peso del debito.

La guerra in Ucraina ha sconvolto i mercati petroliferi globali, aumentando significativamente i prezzi dell’energia. Ciò, a sua volta, ha aumentato i costi in quasi tutti i settori, poiché il petrolio influisce su trasporti, manifattura e agricoltura. Prezzi del petrolio più elevati mettono a dura prova consumatori e aziende, riducendo il reddito disponibile e la redditività. Ciò provoca un’inflazione da costi, e costi di produzione crescenti fanno aumentare i prezzi di beni e servizi.

Il peso fiscale della guerra, l’enorme aumento del debito durante il COVID e la fine di 30 anni di deflazione guidata dalla globalizzazione hanno creato una tempesta perfetta per l’inflazione. Che si dia la colpa a fattori economici, costi energetici o entrambi, chiaramente si è trattato di un problema strutturale, non del risultato delle politiche di Biden. L’inflazione ha colpito le economie di tutto il mondo, non solo quella statunitense.

Con questo non si intende sminuire la legittimità della vittoria di Trump. È stata netta e direttamente legata alla frustrazione degli elettori per il peggioramento delle condizioni economiche sotto Biden, ed è giusto che abbiano espresso la loro insoddisfazione alle urne. Il punto è che l’inflazione rappresenta un problema strutturale globale che le nuove politiche non risolveranno in modo rapido o semplice.

Tutte le politiche di Trump (o di qualsiasi altro leader) – tagli alle tasse, tariffe, riorganizzazione delle strutture governative e restrizioni all’immigrazione – non possono cambiare la realtà fondamentale: una crescita economica più lenta legata al plateau e all’eventuale declino del consumo di petrolio.

Il peggioramento delle condizioni economiche per gli americani medi è iniziato negli anni ’70, quando si è esaurito il boom del dopoguerra. La produzione petrolifera statunitense ha raggiunto il picco nel 1970 e il paese è diventato molto rapidamente il più grande importatore di petrolio (Figura 1). Le importazioni di petrolio statunitense sono aumentate di 5 volte entro il 1977 e di 7,5 volte entro il 2006. Pagare aziende straniere per il petrolio drena la ricchezza interna, aumenta i deficit commerciali e riduce il capitale disponibile per gli investimenti nelle industrie locali, rallentando la crescita economica.

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Figura 1. Le importazioni di petrolio degli Stati Uniti sono aumentate di 5 volte entro il 1977 e di 7,5 volte entro il 2006, in seguito al picco della produzione nazionale del 1970.
Fonte: EIA & Labyrinth Consulting Services, Inc

 

Gli shock petroliferi degli anni ’70 e dei primi anni ’80 fecero salire i costi alle stelle, innescando una stagnazione con aumento di inflazione e disoccupazione. Le politiche monetarie restrittive soffocarono la crescita, mentre l’intensificarsi della concorrenza da parte di Germania e Giappone non fece che peggiorare le cose.

L’economia statunitense ha dovuto affrontare recessioni consecutive nel 1980 e nel 1981-82, per poi riprendersi nella seconda metà degli anni ’80. Questa ripresa è spesso attribuita alle politiche di Ronald Reagan: tagli alle tasse, innalzamento del debito, aumento della spesa pubblica e deregolamentazione.

La “Reaganomics” è ampiamente celebrata come un’età dell’oro per l’economia americana, ma i numeri raccontano una storia diversa. La crescita del PIL durante la presidenza di Reagan è stata in media solo dell’1,9%, un miglioramento rispetto alle recessioni dei primi anni ’80, ma ben al di sotto della media pre-recessione del 2,6% (Figura 2).

Spesso si dimentica il ruolo del prezzo del petrolio nel dare forma a quell’epoca. Gli shock petroliferi hanno fatto schizzare alle stelle i prezzi del WTI da una media di 50 $ negli anni ’70 a una media di 125 $ dal 1979 al 1982 (dollari del 2024). L’inflazione alimentata da questi prezzi è stata una parte significativa della crisi economica ereditata da Reagan nel 1981. La ripresa ha avuto tanto a che fare con il calo dei prezzi del petrolio quanto con qualsiasi iniziativa politica.

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Figura 2. Il PIL era in media solo dell’1,9% durante la presidenza Reagan,eppure la gente la ricorda come una rinascita economica. Fu sicuramente un miglioramento rispetto alle recessioni del 1980 e del 1981-82.
Fonte: St Louis Fed, EIA, BLS e Labyrinth Consulting Services, Inc

 

Reagan affrontò l’inflazione spingendo i tassi di interesse ai massimi livelli della storia moderna. I rendimenti delle obbligazioni del Tesoro si avvicinarono al 15% (Figura 3), attirando gli investitori verso i titoli di stato USA. Per Reagan si creò così la situazione perfetta per indebitarsi pesantemente a fronte di quelle entrate.

Il risultato? Un aumento del 19% del rapporto debito/PIL degli Stati Uniti. Le politiche di Reagan non hanno risolto i problemi strutturali; hanno solo spostato l’onere sui futuri contribuenti. Ciò che sembrava forza economica è stato finanziato con denaro preso in prestito.

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 Figura 3. L’aumento del debito statunitense rispetto al PIL è iniziato con la Reaganomics negli anni ’80 ed è aumentato vertiginosamente dopo il crollo finanziario del 2008 e la pandemia di Covid. Il calo a lungo termine dei rendimenti dei titoli del Tesoro si è invertito nel 2020.
Fonte: St Louis Fed & Labyrinth Consulting Services, Inc.

 

La spirale del debito non è finita con Reagan, è diventata la norma. Il rapporto debito/PIL è salito del 37% dopo il crollo finanziario del 2008 e di un altro 26% durante la pandemia di Covid. Entro il secondo trimestre del 2024, il debito degli Stati Uniti aveva raggiunto il 120% del PIL, uno dei maggiori freni alla crescita economica odierna.

La vittoria di Trump riflette l’insoddisfazione degli elettori nei confronti di un sistema che sta raggiungendo i limiti della crescita, sintomo di realtà economiche più profonde. Nate Hagens descrive il “carbon pulse” come un breve, straordinario capitolo della storia umana, quando l’estrazione di combustibili fossili, in particolare del petrolio, ha guidato un’espansione economica senza precedenti. Tale impulso ha alimentato l’industrializzazione, le infrastrutture moderne e il progresso tecnologico, elevando gli standard di vita in tutto il mondo.

Quell’era sta finendo. Il futuro economico non riguarda la crescita infinita, ma la gestione del declino. La nuova amministrazione Trump non l’ha capito, e nemmeno il pubblico americano. “Making America Great Again” è una fantasia, un rifiuto di riconoscere la storia degli ultimi 50 anni. Finge che le sfide da affrontare non siano il risultato di limiti strutturali, bensì di cattive politiche e di un governo strabordante. È più facile vendere nostalgia che affrontare dure verità di un mondo in cui la crescita non è più garantita.

Tutto ciò riporta ai techno bros, Musk e Ramaswamy, e alla loro ridicola fissazione per il cosiddetto ‘Deep State’. La verità è molto meno eccitante. I governi sono gestiti da funzionari pubblici di carriera che mantengono il sistema in funzione nonostante la porta girevole di nominati politici, la maggior parte dei quali sa poco dei propri nuovi ruoli o di come gestire un dipartimento governativo. Il Deep State non è una cabala oscura; è costituito dalle persone che tengono accese le luci mentre i loro capi capiscono dove si trovano i bagni.

Chiunque pensi che la gestione del governo sia come quella di un’azienda, evidentemente non conosce né l’una né l’altra cosa. Le aziende danno priorità al profitto e ai guadagni a breve termine per gli azionisti; i governi, al contrario, esistono per servire il bene pubblico, fornendo servizi essenziali, garantendo equità e affrontando sfide a lungo termine che non hanno nulla a che fare con il profitto o l’efficienza. Cercare di gestire un governo come un’azienda è un gravissimo errore concettuale.

Come spiegato in precedenza in questo post, il problema più grande che il governo deve affrontare non è l’inefficienza che i tech bros mirano a sradicare o il Deep State: è il debito. John Mauldin l’ha detto meglio di chiunque altro: “tagliare il budget, purtroppo, non è solo una questione di grandi teorie“. Il problema è covato da troppo tempo e tutti vogliono mantenere i propri benefit mentre tagliano quelli altrui. Perfino Elon Musk avrà difficoltà in tal senso

Se vogliamo iniziare a ridurre il debito, il primo passo è smettere di grattare il fondo del barile.

“Al momento, il governo ha un deficit annuale di circa 2 trilioni di $. Per pareggiare il bilancio, avremmo bisogno di 2 trilioni di $ in tagli alla spesa e/o aumenti delle entrate, non solo una volta, ma ogni singolo anno”.

John Mauldin

Per chi pensa che il Dipartimento di Giustizia sia “militarizzato” perché ha mosso accuse contro Donald Trump, è bene mettere le cose in chiaro. Le giurie lo hanno dichiarato colpevole di violenza sessuale e frode aziendale in casi intentati da procuratori completamente esterni al dipartimento. Le prove, non la politica, hanno portato a quei verdetti. I fatti contano, anche se sono scomodi.

Non sono un fan di Trump e non per questioni politiche. È disonesto, immorale e psicologicamente instabile, un uomo che con le sue azioni e la sua storia si è guadagnato la mia sfiducia e antipatia. Come se non bastasse, lui e il Partito Repubblicano hanno abbandonato completamente i principi conservatori. Tradizione, stabilità e preservazione delle norme sociali sono state messe da parte in favore del caos e di una politica guidata dal risentimento.

La loro ossessione di dare una scossa ai ministeri di Giustizia e Difesa non riguarda il miglioramento della burocrazia; si tratta di un capriccio. L’idea di smantellare l’FBI e la CIA è così sconsiderata da far sembrare “defund the police” una questione di poco conto. Non è una riforma, è distruzione mascherata da leadership. E questo mi riporta al tema dell’energia, l’unica tematica che dovrebbe essere al centro dell’attenzione di qualsiasi leader che voglia seriamente affrontare le difficoltà economiche patite ogni giorno dagli americani.

Sono incoraggiato dalla nomina di Chris Wright a Segretario dell’Energia da parte di Trump [io no, e proprio per le ragioni addotte da Berman, n.d.r]. Wright porta una rara profondità di consapevolezza energetica al governo, qualcosa che non vedevamo da decenni. Ha ragione a definire la transizione energetica in gran parte come un mito, che non è riuscito a ridurre le emissioni di carbonio nonostante i trilioni spesi nel corso di decenni. Ma non è una ragione per minimizzare i rischi del cambiamento climatico come meno urgenti di altre sfide globali.

I rischi più grandi del prossimo decennio sono il tracollo finanziario, l’instabilità geopolitica, i fallimenti governativi e la dipendenza da catene di fornitura fragili (per non parlare della guerra nucleare). Ciò non diminuisce la gravità dei rischi climatici né dà ai leader un lasciapassare per ignorarli. Affrontare queste sfide interconnesse richiede priorità equilibrate, non negazionismi o snobbamenti.

La crescita economica moderna si basa su combustibili fossili economici e abbondanti. La rivoluzione dello shale potrebbe averci fatto guadagnare tempo, ma non ha cambiato la realtà dei costi energetici crescenti. Sebbene la trivellazione orizzontale e la fratturazione idraulica siano imprese tecnologiche ragguardevoli, esse hanno un prezzo.

La tecnologia dello shale ha triplicato i costi di perforazione di petrolio e gas negli ultimi 20 anni (Figura 4). Nello stesso periodo, i prezzi reali del WTI sono raddoppiati, a dimostrazione del fatto che non si trattasse di tecnologia gratuita. Dal 2021, i costi di perforazione sono aumentati di un altro 7%. Le meraviglie dello shale non cambiano la matematica di base: l’energia sta diventando più costosa e non si tratta di una tendenza a cui possiamo ovviare con l’innovazione.

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Figura 4. La tecnologia dello shale ha portato a un aumento di tre volte dei costi di estrazione di petrolio e gas. Il prezzo reale del WTI è raddoppiato nello stesso periodo. I costi di perforazione sono aumentati del 7% dal 2021. Fonte: Fed Reserve Bank e Labyrinth Consulting Services, Inc.

 

I costi energetici più elevati sono un importante fattore alla base di inflazione e difficoltà economiche, e non esiste una soluzione facile. La figura 5 mostra la cruda realtà: dal 2003, i prezzi del petrolio sono stati in media di 99 $ al barile, rispetto ai soli 39 $ del decennio precedente (in dollari del 2024). Non c’è quindi da stupirsi se la crescita economica è rallentata. Il petrolio costoso aumenta i costi di gestione e fa salire i prezzi di beni e servizi, mettendo sotto pressione sia le aziende che i consumatori. Non si tratta solo di un problema energetico, bensì di un freno per l’intera economia.

 

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Figura 5. Dal 2022 la produzione di petrolio greggio e condensato è rimasta invariata. In media è stata di 3 mmb/d in meno rispetto al picco del 2018 di 84 mmb/d. Il prezzo del petrolio negli ultimi 20 anni è stato in media 2,5 volte il livello del decennio precedente al 2003. Fonte: EIA, BLS e Labyrinth Consulting Services, Inc.

 

L’altro problema evidenziato nella Figura 5 è che la produzione di greggio e condensato è in stallo dal 2022. Non si trova più sulla traiettoria costante e ascendente vista nei tre decenni prima del Covid. Negli ultimi anni, la produzione è stata in media di 3 milioni di barili al giorno (mmb/d) al di sotto del picco del 2018 di 84 mmb/d. A parità di condizioni, ciò indica prezzi del petrolio ancora più alti in futuro, salvo cambiamenti che, al momento, nulla suggerisce che accadranno.

La retorica “trivella-baby-trivella” del presidente eletto è lontana dalla realtà. La produzione petrolifera statunitense si trova già al massimo storico e difficilmente aumenterà. Le compagnie petrolifere non dispongono del credito per finanziare un’altra impennata, né sono disposte a rischiare di erodere la fiducia degli investitori, una dura lezione appresa durante la frenesia produttiva pre-2020. Gli Stati Uniti non hanno riserve illimitate e inseguire più offerta non farà altro che ridurre i margini già esigui per i produttori di petrolio e le raffinerie. Non è un problema di produzione, ma di mercato, e maggiori trivellazioni non lo risolveranno.

Trump è stato eletto per sistemare l’economia. Dubito che lui, o chiunque altro, possa riuscirci, soprattutto non si può fare affidamento sui techno bros per innovarci nella crescita economica. Ristrutturare il governo può sembrare allettante, ma ho assistito a grandi riorganizzazioni in aziende Fortune 100. Ogni volta, ciò ha richiesto a mesi o anni, spostando l’attenzione dal fare soldi al riorganizzare le sedie a sdraio.

Trump forse pensa di avere un mandato per sistemare l’economia, ma dubito che la maggior parte degli americani ritenga che ciò includa prendere a martellate i dipartimenti di Giustizia o Difesa per regolare conti personali. Questa non è leadership ma vendetta.

L’energia è l’economia, semplice e chiaro. Se il presidente eletto vuole migliorare la vita degli americani medi, dovrebbe concentrarsi su questo. Ha fatto una scelta solida mettendo Chris Wright al Dipartimento dell’Energia. Il mio consiglio? Chiedetegli come usare l’energia per ricostruire la stabilità economica. È lì che si trovano le vere risposte.

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