I miei rapporti con i militanti pentastellati, nell’ultimo anno, sono drasticamente peggiorati. Eppure non molto tempo prima, nel periodo in cui (tra le altre cose) contestavo l’operato delle varie compagini governative a guida PD da questo blog o da Decrescita Felice Social Network, riscuotevo da loro numerosi attestati di stima, ad esempio su Facebook sotto forma di un’ingente mole di richieste di amicizia, like e condivisioni; in tanti, però, non mi hanno perdonato di aver adottato anche con l’esecutivo giallo-verde i consueti metri di giudizio, per cui mi sono giunte pesanti accuse di strumentalizzazione, partigianeria filo-sinistrorsa e simili.
Da parte mia, non posso negare la nausea dovuta allo spettacolo quotidiano delle moltitudini con elmetto e lancia in resta ergersi ‘senza se e senza ma’ in difesa dell’attuale maggioranza; in particolare, mi hanno stufato le apologie accorate di qualsivoglia trovata di Matteo Salvini – anche la più idiota – con foga e passione mai ostentate nemmeno dai leghisti. Intendiamoci, trovo altrettanto se non più patetici i contestatori aprioristici, incoerenti e pretestuosi, ma con l’opposizione (ovvero con i perdenti) è giusto mostrarsi più indulgenti; comunque sia, con i paladini di entrambe la fazioni ho abusato spesso e volentieri dell’opzione di Facebook “sospendi Tizio per 30 giorni” (rammaricandomi di non disporre di qualcosa del genere anche nella vita reale).
Questa premessa per spiegare che chi scrive non è certo un fanatico grillino, bensì un elettore che occasionalmente ha crocettato il simbolo a cinque stelle (vedi le ultime Politiche), mai del tutto convinto e costantemente critico, atteggiamento che del resto mi ha contraddistinto anche quando la matita ha marcato altri loghi della scheda elettorale. Alle recenti Amministrative, confesso di aver salutato con favore la prima batosta elettorale abruzzese, sperando che potesse rappresentare la classica mazzata nei denti in grado di far rinsavire, smaltendo la vertigine da successo del 2018; tuttavia, constatando il secondo crollo sardo, non ho provato il benché minimo compiacimento.
E’ vero che, nella cosiddetta era post-ideologica, exploit e tonfi alle urne si succedono freneticamente: solo cinque anni fa, Matteo Renzi, forte del 40% riscosso dal PD alle Europee, era incensato quale novello Giulio Andreotti destinato a contrassegnare il futuro della politica italiana, lasciando un’impronta duratura tramite la profonda modifica della carta costituzionale; oggi, bocciata miseramente la sua proposta di riforma e dopo essere riuscito a far sprofondare il partito sotto il 20%, fa notizia solo per i problemi dei familiari con la magistratura e per le continue rassicurazioni di non voler boicottare il gruppo dirigente che lo ha avvicendato (il Matteo travestito da poliziotto, attuale mattatore in TV e sui social network, consapevole della sventura del suo omonimo fiorentino farebbe bene a gongolare meno, tenendo un profilo più basso). Avendo ancora vividi nella memoria gli sfottò piddini di cinque anni fa (#vincetepoi e simili), che oggi suonano come le ultime parole famose, non mi permetto quindi di recitare alcun de profundis, esterno solamente la mia preoccupazione.
Infatti, conoscendo un pochino la storia ed essendo alieno da qualsiasi fanboysmo, sono abbastanza lucido per cogliere i rischi causati da improvvisi vuoti politici, qualora non subentrino rimpiazzi efficaci e tempestivi. Ad esempio, c’era molto da rimproverare al Partito Comunista Italiano e ancora di più al socialismo reale, tuttavia sono innegabili le conseguenze che la loro repentina scomparsa ha prodotto rispettivamente sul diritto del lavoro nel nostro paese e nel mitigare gli effetti sociali più deleteri del capitalismo in tutto il mondo; si può legittimamente (forse meglio dire opportunamente) non rimpiangerli, ma solo chi è imbevuto di ideologismo può davvero pensare che i sostituti abbiano superato virtuosamente i loro precedessori. Di sicuro, occorre un discreto pelo sullo stomaco per ritenere che le varie metamorfosi politiche del PCI (dal PDS fino al PD) e i semi-autoritari regimi turbocapitalistici dell’Europa Orientale abbiano rappresentato i migliori sviluppi possibili.
Tanti storceranno il naso perché sto paragonando fenomeni di lungo periodo, che hanno profondamente inciso sulla società italiana e mondiale, con quella che fondamentalmente è ancora una meteora, poiché il movimento grillino il prossimo 4 ottobre raggiungerà appena il primo decennio di vita. Ciò nonostante, è giusto ascrivere al M5S istanze che, in caso di una sua rapida implosione, andrebbero forse irrimediabilmente perdute, non essendoci ancora alcun soggetto pronto al passaggio di testimone (o anche solo desideroso di riceverlo). Ne cito alcune.
Pecunia olet. Dopo anni di sterili polemiche sui privilegi della casta approdate a nulla, nell’epoca in cui Daniela Santanché non si fa problemi ad affermare in TV, di fronte a una platea di bambini, che “i soldi sono l’unico strumento di libertà” e dove molti sedicenti moderati giustificano retribuzioni senza equivalenti nel mondo occidentale, restituire una parte delle indennità è un atto sicuramente rivoluzionario, sul piano etico-morale. Parzialmente abrogato il limite dei due mandati, questo argomento costituisce ancora una palese dimostrazione di diversità, ben diversa dal tradizionale versamento di una quota dei compensi al partito.
Democrazia diretta. Non ho mai nascosto la mia personale idiosincrasia per la distopia di Casaleggio della democrazia elettronica, per la piattaforma Rousseau e in generale per l’idea delle monadi isolate comodamente a casa, spaparanzate sul divano o sedute sul water che decidono delle sorti del paese cliccando sullo smartphone, tra una partita e l’altra a Candy Crush. I pentastellati, però, si sono anche battuti concretamente per rinnovare la prassi della sovranità popolare, con proposte volte a introdurre il referendum propositivo e a dare reale dignità alle leggi di iniziativa popolare: che fine rischiano tali proponimenti, sostanzialmente indifferenti alle altre forze politiche?
Uno spiraglio oltre il business as usual. La figura di Maurizio Pallante è legata alle origini del M5S (al momento della fondazione curò la parte programmatica relativa all’energia), anche se poi prese le distanze abbastanza presto da Grillo, Casaleggio e soci (aveva avuto occhio lungo su tante cose). Di fatto, il M5S ha coltivato sempre un interesse equivoco verso la decrescita, evitando di ostentarla per la lampante incompatibilità con l’agenda politica imperante, all’insegna del mantra della crescita economica; quando l’espressione ‘decrescita felice’ fa capolino su giornali e TV è sempre per opera dei loro rivali politici, a mo’ di insulto. I comitati cittadini contrari a TAP, ILVA e MUOS (a breve temo anche quelli contro la TAV) hanno molti motivi per sentirsi traditi, così come è stato evidente il sacrificio di svariate istanze ambientali sull’altare del reddito di cittadinanza. Tuttavia, alla luce di fenomeni come la santa alleanza imprenditori-sindacati in favore delle trivellazioni e il fronte compatto pro-grandi opere di tutto l’arco parlamentare (tranne rare e infime eccezioni), di fronte all’ipocrisia del neo-segretario del PD Zingaretti, capace di celebrare Greta Thunberg e allo stesso tempo di annunciare che il suo primo atto politico sarà la visita pro-TAV al cantiere di Chiomonte (“fermare i bandi? E’ criminale!”)… si può davvero liquidare con sufficienza il tentativo grillino di arginare almeno minimamente le incontrastate logiche da business as usual? Si possono negare, ad esempio, la risolutezza del ministro Costa sulla questione estrazioni, l’impegno per esporre una visione sulla Torino-Lione diversa dai soliti sloganismi o gli sforzi senza precedenti profusi dall’europarlamentare Dario Tamburrano in favore delle energie rinnovabili?
E’ fuori di dubbio che tale condotta abbia urtato pesanti interessi lobbystici e conseguentemente causato l’ostracismo dei grandi organi d’informazione, denunciato a più riprese dai grillini (che poi loro non passano campare in eterno facendosene una perpetua patente di credibilità e un alibi permanente per i fallimenti, è un’altra questione).
Un argine al peggio. Ricordo un’intervista di alcuni fa dove Grillo, sollecitato a esprimersi sul notevole consenso ottenuto dagli estremisti neri di Alba Dorata in Grecia, commentava che bisognava ringraziare l’esistenza in Italia del M5S. Senza dubbio una sparata propagandistica, ma non priva di verità. Volenti o nolenti, il movimento ha intercettato malcontento e insofferenza di un elettorato che, altrove, è stato fagocitato dalla peggior destra intollerante e xenofoba. Nonostante alcune evidenti ambiguità (del tipo “né fascisti, né antifascisti”) e svariati puttaneggiamenti (famoso il video dove il comico genovese, conversando amabilmente con un militante di CasaPound, sottolineava le affinità tra il M5S e i “fascisti del terzo millennio”), bisogna riconoscere a Grillo e Casaleggio di essere riusciti con la loro iniziativa a tamponare (almeno per ora) l’ingresso nelle istituzioni di individui ben poco raccomandabili (persino meno di Salvini e compagnia).
Onestà intellettuale, salvaci tu
Se, per quanto concerne valori e principi, mi ritengo una persona abbastanza idealista, parlando di politica elettorale divento invece profondamente pragmatico: per dirla alla Mattei, uso i partiti alla maniera dei tram (ma senza alcun tornaconto personale!). Non sono affettivamente legato al M5S e potrei anzi enumerare tantissimi aspetti che mi lasciano perplesso (l’ho fatto qui e altrove). Tuttavia, il problema pratico è che, abbandonando il tram pentastellato, quali altri sono al momento disponibili? Iniziative interessanti come il soggetto ipotizzato da Pallante si trovano ancora allo stato embrionale. I Verdi italiani sono il pallido riflesso non solo di analoghi movimenti europei, ma pure del loro non troppo lontano (e a tratti non particolarmente prestigioso) passato. All’interno dei gruppi a sinistra del PD militano persone che, senza esagerare, potrebbero rivelarsi perfino dei nuovi Alexander Langer (ne voglio citare uno, l’amico e fondatore di Decrescita Felice Social Network Simone Zuin), ma ricoprono posizioni defilate e sembrano servire più che altro a scopo promozionale, per tentare di attribuirsi serie credenziali ecologiche (un classico della sinistra post-PCI, in tutte le sue frange). I gruppi di cittadinanza attiva rappresentano probabilmente l’avanguardia di un rinnovamento autentico della democrazia, ma nel breve periodo non possono assurgere oltre la dimensione locale. Che fare, allora? Siamo costretti a morire grillini per non vivere da fiancheggiatori del sistema?
Per tentare di rispondere a tali interrogativi, può venire in soccorso l’esperienza passata, quando si sono ripresentati dilemmi etici analoghi. Ad esempio, negli anni Settanta e Ottanta, Noam Chomsky ammoniva i libertari a prestare la massima attenzione affinché le loro legittime condanne dei regimi comunisti non fossero strumentalizzate per sdoganare il peggior capitalismo (come effettivamente è successo). Mutatis mutandis, tutti i fautori dell’ecologismo (e più in generale del cambiamento sociale), nella loro critica serrata ai pentastellati devono badare a non prestare il fianco alla peggiore restaurazione del business as usual (e della vecchia politica). Ciò significa forse non denunciare il tradimento di promesse elettorali e valori per lungo tempo sbandierati, nonché i compromessi al ribasso con la Lega alleata di governo? Oppure non constatare leaderismo e carenza di un vero dibattito interno, avallare analisi faziose, negare l’evidenza condividendo ragionamenti insulsi e sofistici sugli esiti elettorali (vedi il penoso tentativo di spacciare per positiva la debacle alle ultime amministrative) o peggio ancora far passare il messaggio “turatevi il naso e votate M5S perché gli altri sono tutti sporchi e cattivi”? Assolutamente no, anche perché la maggior parte dei militanti pentastellati sembra persistere in un atteggiamento fideistico (quindi inconcludente) verso una leadership che, al momento, non pare troppo consapevole del pericolo, ipotizzando solo vaghi rimaneggiamenti alquanto gattopardeschi.
Tuttavia, una critica davvero onesta e costruttiva deve proporsi in primis di abbandonare atteggiamenti da tifosi e di non fungere da cavallo di Troia per nessuno. Sempre che, ovviamente, la sua aspirazione sia davvero una politica migliore di quella attualmente propugnata dal M5S.
Fonte immagine in evidenza: nextquotidiano
Sembra che dal PD stiano cercando di boicottare in tutti i modi il M5S. Non c’è possibilità di accordo se non con Salvini. Questo scenario penalizza il movimento. Ma questi elettori del PD sono andati alle primarie per vedere una sinistra riunita, non subito divisa dalle prime dichiarazioni del loro Leader. Si va’ be’, leader, ma chi è questo personaggio? Ero abituato a spegnere la televisione appena appariva Renzi. Adesso la terrò sempre spenta.
“Sembra che dal PD stiano cercando di boicottare in tutti i modi il M5S”. Il PD, come qualunque altra formazione, è libera di fare quello che vuole. Se non vuole allearsi con il M5S – così come fino a poco tempo fa il M5s non voleva allearsi con nessuno – non c’è alcun boicottaggio.
Se boicottare vuol dire isolare, allora il boicottaggio c’è eccome. E a farne le spese sono gli elettori diciamo vagamente di sinistra che si trovano alla mercé di un governo tenuto in pugno dalla Lega. Se invece vogliamo prendere la questione dal punto di vista dell’auto isolamento dei 5 stelle, ricordo benissimo che Fico nella fase delle consultazioni per formare il governo aveva interpellato il PD ricevendo un netto rifiuto da parte della corrente renziana. Lo slogan allora era “niente intesa o spariremo”. Mi sa che spariranno ugualmente. Ma qui si va nella divinazione.
Boicottare significherebbe allearsi per poi remare contro per far saltare il tavolo dando la colpa agli altri. Tra tanti misfatti almeno il PD non l’ha fatto.
A mio avviso, 5s si è suicidato in due riprese. La prima nel 2014, quando è andato a far gruppo con Farage anziché con in Verdi che gli avrebbero fatto i ponti d’oro. Questo ha completamente isolato il movimento a livello continentale, condannandolo quindi all’inesistenza politica. Tanto più ora che, se davvero gli inglesi usciranno dall’UE, il gruppo di Farage scomparirà.
La seconda è stata la scelta di fare una coalizione con la Lega: partito colluso da decenni con tutto ciò che concerne la gestione del potere e del sottopotere (esattamente come il PD). Non paghi di ciò, per quasi un anno hanno usato tutta la potenza della loro macchina propagandistica per far crescere la popolarità di Salvini. A questo punto, chi dei 5s apprezza Salvini, voterà lui; chi non lo apprezza, perché dovrebbe votare 5s?
Da ora in poi? Vedremo, ma di sicuro, la dirigenza 5s si è cacciata in una posizione da cui può uscire solo molto malconcia. Da questa debacle potrebbe però nascere un partito di opposizione più serio e preparato; fra gli attivisti ci sono anche persone competenti e motivate. Potrebbe… Vedremo.
La mia sensazione…
L’Italia è ormai ingestibile, per motivi fortemente legati alla questione del “Picco”.
Per mezzo secolo, placidi democristiani e affini hanno potuto campare senza problemi (a parte incomprensibili liti interne, per cui i governi duravano sei mesi se andava bene), gestendo la “crescita” apparentemente illimitata (con i comunisti che ricordavano che tutti dovevano essere invitati alla festa).
La crisi che inizia nel 1974 (quindi siamo già al 44esimo anno di declino) mina lentissimamente le fondamenta; che iniziano a vacillare con Tangentopoli.
Poi è un’accelerazione costante – confrontate i tempi lunghissimi di Berlusconi con quelli lunghi di Prodi con quelli medi di Renzi con quelli brevissimi del M5S.
I tempi di Salvini saranno ancora più brevi.
Ma non è colpa di Berlusconi, di Renzi, di Di Maio, di Salvini.