di Angelo Tartaglia
Nel ragionare sulla insostenibilità della crescita, già segnalata in tempi ormai remoti e portata all’attenzione del grande pubblico dal rapporto, appunto, sui “Llimiti della Crescita”, redatto per il Club di Roma nel 1971, ci si concentra per lo più sulla finitezza delle risorse materiali ed energetiche e, ultimamente,sul mutamento climatico globale indotto dalle immissioni di gas climalteranti in atmosfera. Vi sono però degli aspetti impliciti nel modello usato da Meadows e dal suo gruppo e nel software (System Dynamics) che svilupparono e di cui si avvalsero, ma poco presenti all’attenzione del grande pubblico e men che meno dei decisori politico/economici. Questi aspetti sono legati precisamente alla natura di sistema dell’insieme delle relazioni che ci legano fra di noi e con il modo circostante.
Guardando al nostro pianeta noi troviamo in primo luogo un sistema materiale. Sistema vuol dire una pluralità di elementi interconnessi da relazioni di scambio. A questo livello gli elementi sono fisici: atmosfera, oceani, terre emerse, interno del pianeta; solo per citare la scala macroscopica. In realtà tutti i componenti che ho menzionato sono a loro volta dei sistemi materiali comprendenti elementi legati fra loro da flussi di scambio.
Nel suo insieme il sistema fisico “pianeta Terra” è chiuso ma non isolato. Chiuso vuol dire che lo scambio di materia con l’esterno è trascurabile. Il sistema non è isolato in quanto con l’esterno scambia energia: in entrata c’è un flusso di energia elettromagnetica in forma di radiazione ad alta temperatura proveniente dal sole; in uscita c’è di nuovo energia elettromagnetica in forma di radiazione infrarossa emessa dal pianeta verso lo spazio esterno. La dinamica materiale all’interno del sistema è espressa e controllata da questo flusso e dalla conversione da radiazione ad alta temperatura a radiazione a bassa temperatura. In un certo senso la terra funziona come un motore termico.
Le leggi che governano i processi tipici del sistema materiale non sono stabilite da governi e parlamenti, non dipendono dalle scuole di pensiero economiche né dalle opinioni dei commentatori dei giornali; in sostanza non sono negoziabili né aggirabili. In estrema sintesi, si tratta di leggi di conservazione: materia ed energia non si creano e non si distruggono; tutt’al più si trasformano. Per altro, quando avviene una trasformazione basata sull’uso di energia, non è possibile (indipendentemente dalla maggiore o minore bontà delle tecnologie utilizzate) convertire tutta l’energia impiegata in lavoro utile. C’è sempre una quantità dell’energia da cui si parte che viene trasformata in “disordine” (tecnicamente in “entropia”) che può manifestarsi in molti modi: nel caso più semplice, calore disperso; in senso lato, inquinamento. E’ questo il secondo principio della termodinamica a cui nessun processo di trasformazione di materia (e quindi di energia) può sfuggire.
All’interno del sistema materiale e in connessione con esso si colloca la biosfera. Anch’essa è un sistema di relazioni interne ed esterne. I suoi processi non sfuggono ai vincoli posti dal sistema materiale e l’andamento nel tempo è caratterizzato da una evoluzione adattativa. La biosfera si mantiene in equilibrio dinamico con il mondo fisico circostante modificandosi continuamente nelle forme e nelle relazioni fra le sue componenti in modo da garantire una sostanziale circolarità dei flussi di materia. Le quantità coinvolte oscillano variamente, ma la media tende a rimanere costante.
Infine, all’interno della biosfera ci siamo noi. E noi siamo, oggi, parte di un sistema socio-economico che si radica nel mondo materiale circostante, ma la cui dinamica è dominata dai rapporti interni tra i componenti singoli e tra i gruppi sociali. Qui la dinamica è caratterizzata dalla competizione per l’accesso alle risorse materiali, all’energia, ai prodotti che la capacità degli umani è in grado di produrre e ai “titoli di acquisto” (denaro) convenzionalmente adottati dal sistema nel suo insieme. Una peculiarità ben visibile del sistema socio-economico è quella delle disuguaglianze connesse con la competizione e poste in capo a soggetti a prima vista tutti uguali. A differenza di quello che succede al sistema materiale, le regole interne al sistema socio-economico dipendono dagli umani e sono, in linea di principio, modificabili.
Il sistema socio-economico
Passando a un tentativo di descrizione semplificata del sistema socio-economico proverò ad identificare i suoi componenti essenziali.
Un altro componente essenziale sono, per così dire, delle “aree” in cui i beni e servizi prodotti nei nodi vengono distribuiti agli utenti finali. Queste “aree”, logicamente ben definite, materialmente molto meno, potremo chiamarle “mercati”.
Infine, a costituire la rete, vi sono le connessioni tra nodi produttivi e mercati. Connessioni sia tra entità omologhe che di diversa categoria. Le connessioni sono i canali lungo i quali i prodotti comunque intesi viaggiano. Possiamo immaginarli come strade, reali o ideali, ferrovie, linee aeree o marittime, fibre ottiche, ponti radio e così via.
Il sistema è sostanzialmente una rete che comprende tutti gli elementi descritti. Definirò “complessità della rete” il numero di interconnessioni presenti.
Gli elementi fondamentali della nostra rete sono caratterizzati, nella loro interazione coi vincoli fisici, da peculiari dinamiche. Cominciando dalle unità produttive, il loro far affidamento su risorse materiali primarie finite, implica un andamento temporale della loro capacità produttiva rappresentato da una curva di Hubbert. In formule, la produzione W seguirebbe un andamento:
in cui sono presenti tre parametri da cui dipendono il valore della massima produzione, la collocazione temporale e la larghezza della curva.
Questa naturalmente è una idealizzazione che isola la logica dell’evoluzione piuttosto che mostrare il suo andamento reale, che invariabilmente risentirà delle continue interazioni col resto del sistema. Ciò non toglie che, pur con tutti i possibili disturbi, l’andamento di riferimento non può che essere del tipo descritto. Per la verità un’eccezione c’è riguardo alle risorse energetiche: l’andamento è quello della curva di Hubbert se si tratta di fonti energetiche fossili, le cui riserve sono limitate. Se parliamo di fonti rinnovabili ed in particolare del sole la “riserva” è, alla scala umana, infinita; in questo caso però esiste un massimale per il flusso in arrivo e allora l’andamento è di tipo logistico, come quello che descriverò tra poco riguardo alle connessioni tra i nodi.
Come appena anticipato, quando passiamo a considerare le connessioni tra i nodi dobbiamo considerare che queste hanno delle limitazioni fisiche, quanto ai flussi che possono reggere, legate alle loro dimensioni. La portata massima di un condotto dipende dalla sua sezione. La crescita del flusso F attraverso un dato canale fisico può tutt’al più essere descritta da una curva logistica. Matematicamente la formula è la seguente:
Anche qui ci sono tre parametri da cui dipendono il valore massimo verso cui la curva tende asintoticamente, la collocazione temporale e la ripidità della salita iniziale. La sostanza è che la crescita del flusso ha un limite superiore non valicabile e che la velocità di crescita diminuisce progressivamente avvicinandosi all’asintoto: in altre parole, il canale si satura.
Se, per ragioni umane, tutto il sistema è forzato a crescere, il sistema produttivo risponde diversificandosi, cioè moltiplicando i nodi che tendono a specializzarsi in vario modo: difficilmente una produzione viene chiusa, ma tutt’al più si ridimensiona, mentre altre vengono attivate. Il crescere del numero dei nodi della rete comporta un aumento nel numero delle possibili connessioni fra di essi e ciò che è possibile progressivamente diviene reale. In una rete è facile vedere che le possibili interconnessioni L crescono col quadrato del numero dei nodi: Questa legge quadratica da un lato si riferisce al possibile numero di legami tra i nodi, dall’altro non considera che la stessa coppia di nodi possa essere connessa da più di un canale in parallelo con gli altri.
La dinamica della progressiva saturazione in un contesto di crescita continua spinge però proprio ad aprire anche connessioni multiple: se una strada ordinaria tende a saturarsi le si aggiunge un’autostrada; entrambe sono accompagnate da una ferrovia; se del caso si aggiunge anche una via aerea… Insomma, se il presupposto è che il sistema produttivo (il numero dei nodi) cresce, la previsione di una crescita quadratica del numero delle connessioni rischia di essere prudenziale.
Una prima constatazione è dunque che la complessità di un sistema cresce più in fretta del sistema.
Flussi e leggi quadratiche
La legge di crescita indicata per la complessità presenta un’immediata assonanza con altre leggi quadratiche relative ai flussi. In molte situazioni fisiche in cui qualcosa scorre dentro un condotto (in senso lato) la potenza richiesta (o globalmente l’energia necessaria) per mantenere il flusso dipende quadraticamente dall’entità del medesimo. Un esempio meccanico immediato è quello del movimento di un mezzo su di una strada (che può anche essere liquida o aerea). Il vantaggio che si intende conseguire generalmente è legato alla velocità del movimento: più alta è questa, minore il tempo di viaggio. Però l’energia cinetica necessaria cresce col quadrato della velocità v:
Qui m rappresenta la massa del veicolo da muovere e mantenere in movimento. La domanda di energia per produrre l’effetto cresce più in fretta dell’effetto.
Un altro semplice esempio è quello della corrente elettrica I in un conduttore. L’energia dissipata (sotto forma di calore) per unità di tempo per mantenere in moto la corrente è proporzionale al quadrato della stessa:
Qui R è la resistenza del conduttore e la formula esprime la legge di Joule.
In definitiva pare che la legge del quadrato sia pervasiva e valida per ogni genere di flusso (inclusi quelli di informazioni) che circoli nelle connessioni del sistema socio-economico umano. Combinando insieme i diversi fattori di crescita globale dei flussi, connessa con la crescita della produzione, troviamo che la domanda di risorse per alimentare il trasferimento di beni a base materiale cresce più in fretta della quantità di beni (e servizi) prodotta, cioè più in fretta della “ricchezza” lorda.
Il problema del controllo
In una rete ogni nodo ha il problema di mantenere sotto controllo e governare i flussi che lo coinvolgono. Quanto maggiore è il numero di collegamenti che fanno capo ad un singolo nodo tanto maggiore è il tempo che il nodo stesso deve destinare al governo dei flussi. Da un lato il tempo destinato alla gestione dei flussi viene necessariamente sottratto ad altre funzioni, dall’altro, essendo la capacità di un nodo fisicamente limitata, anche la capacità di controllo tende a saturarsi man mano che la complessità della rete cresce. Se questo fenomeno spinge a moltiplicare i nodi, dobbiamo però ricordare che, come abbiamo visto, la complessità della rete cresce più in fretta del numero dei nodi. Questa rincorsa tra moltiplicazione dei nodi (degli hub) e loro specializzazione, e volume dei flussi da gestire, legato al numero delle connessioni, è ben visibile in internet, nelle reti di posta elettronica e nei social networks.
Man mano che il tempo passa, in un contesto di crescita, il controllo della rete tende a gerarchizzarsi specializzandosi. Si creano isole di governo parziale e locale dei flussi i cui nodi sono sottoposti al controllo di livello superiore cui competono i flussi più rilevanti. Alla fine però il controllo finisce per non tenere il passo con lo sviluppo della rete. Anche qui internet e social networks insegnano. Detto con un linguaggio più consono all’analisi dei dati, vediamo che la capacità di reperire e accumulare dati cresce più in fretta di quella di servirsene. Detto con il gergo dei sistemi di informazione: il rumore cresce più in fretta del segnale e lo annega.
Quando in un sistema complesso viene meno la capacità di controllo complessivo il sistema comincia a decomporsi, più o meno come avviene con la necrosi degli organismi viventi.
La sicurezza
Il problema appena accennato del controllo può essere declinato anche da un altro punto di vista: quello della “sicurezza”.
Parlando di sicurezza mi riferisco al fatto che in qualsiasi processo materiale qualcosa può sempre andare storto. Ogni malfunzionamento possibile in un dato contesto ha una certa probabilità di verificarsi all’interno di un intervallo di tempo predefinito. Al di là dei nostri desideri, poi, nel mondo reale la probabilità di “inc-dente” non può mai essere zero; non solo, ma con una pluralità di processi materiali in atto il numero complessivo di “incidenti” risulta proporzionale al numero di processi: il numero di incidenti d’auto, a parità di altre condizioni, è proporzionale alla densità di traffico.
Malfunzionamenti e incidenti di ogni sorta sono naturalmente sgraditi e creano un danno. In un sistema complesso in cui i flussi aumentano anche gli incidenti e relativi danni tendono ad aumentare. Se si vuole mantenere il danno al di sotto di una soglia convenzionale di accettabilità occorre cercare di compensare l’aumento dei flussi con una corrispondente riduzione della probabilità di un singolo inconveniente e il danno patito quando il guaio comunque si verifica. In concreto questo vuol dire cercare di migliorare continuamente tecnologie, salvaguardie, procedure di controllo e quant’altro.
In pratica, se il sistema complessivo continua a crescere, da un certo punto in poi non può far altro che diventare sempre più insicuro.
Costi e benefici
Tutto quanto detto fin qui può essere riletto in termini più formalmente economici parlando, anziché di grandezze fisiche, del loro corrispettivo interno al sistema socio-economico umano, ossia in termini di “costi e benefici”. Seguendo la narrazione convenzionale dell’economia diremmo che la crescita e diversificazione delle capacità produttive della produzione genera dei benefici crescenti o meglio un reddito lordo crescente.Una parte di tale reddito verrà però necessariamente destinata al governo del sistema, al suo mantenimento in condizioni di sicurezza, alla compensazione e recupero dei danni e così via.
Mettendo insieme la crescita più che quadratica del sistema complessivo, la crescita quadratica dei costi di funzionamento del sistema degli scambi, la resa decrescente degli investimenti in tecnologia e sicurezza e così via, arriviamo ad osservare che i costi di un sistema complesso in crescita necessariamente crescono più rapidamente del prodotto lordo ottenuto dalla crescita: se all’inizio i costi sono una percentuale modesta del prodotto lordo, col passare del tempo, i costi si impennano fino ad assorbire, in teoria, l’intera capacità produttiva.
Passando ai benefici, intesi come differenza tra prodotto lordo e costi obbligati, ci troviamo di fronte ad un andamento che dapprima e per un certo tempo è crescente, ma che da un certo punto in poi precipita bruscamente verso lo zero.
Come ho già detto questa è una struttura logica dei processi connessi con la crescita materiale. Se guardiamo il mondo reale, troviamo andamenti molto meno regolari e continui di quelli che ho descritto, proprio perché il sistema è complesso, molti processi sono discontinui e molti sviluppi dipendono da scelte episodiche ed occasionali che vengono fatte da singoli paesi o da singoli segmenti sociali. Quel che conta, però, è proprio che la logica sottostante è quella descritta e la tendenza che sottende gli alti e bassi del sistema economico è descritta dalle considerazioni presentate qui.
Le disuguaglianze
Un argomento molto importante e delicato che compare spessissimo nei discorsi relativi all’evoluzione dell’economia mondiale è quello delle disuguaglianze, generalmente espresse in termini di disuguaglianze di reddito. È risaputo che l’80% delle risorse del pianeta è a disposizione del 20% della popolazione mondiale e che un altro 20% dispone soltanto dell’1,4% del reddito globale. Per di più, quando osserviamo la situazione all’interno dei singoli paesi troviamo che, anche nelle nazioni più avanzate, la ricchezza è tutt’altro che uniformemente distribuita. Questo stato di cose, poi, come in modo più o meno allarmato rilevano gli osservatori, continua a peggiorare ovunque fin dagli anni ’70 o primi anni ’80.
In effetti l’economia main stream ormai globalizzata parte da alcuni assiomi fondanti, cioè da presupposti dati apoditticamente per veri senza bisogno di dimostrazione.
Il primo, muovendo dalla constatazione che l’essere umano è egoista, trasforma questa osservazione in una condizione immodificabile da scelte razionali degli stessi umani e in più assume che il miglior risultato per l’intera società lo si ottenga se ciascuno degli attori sulla scena opera cercando di massimizzare il risultato per sé stesso.
Il secondo assioma è che il motore del progresso sia la competizione tra soggetti che operano per ricavare il massimo per sé stessi.
Aggiungiamo l’assunzione, razionalmente oggi poco dichiarata ma ancora ben presente, che il mondo delle risorse sia praticamente infinito.
Isolando la logica conseguente a questi assiomi, possiamo provare a descrivere una situazione idealizzata. Cominciamo da un singolo soggetto, il quale converta risorse materiali recuperate intorno a sé, in qualcosa che ritiene utile e che chiameremo “ricchezza”. Il processo di conversione corrisponde nel tempo ad una continua crescita, se però includiamo il fatto che le risorse convertibili non sono infinite, ma hanno un tetto, vediamo che, in assenza di retroazioni negative di qualsiasi tipo, l’aumento progressivo della “ricchezza” non può essere esponenziale, ma tutt’al più, come nel caso già visto del flusso in un condotto, è di tipo logistico. È questo il meccanismo di crescita tipico degli alberi. Pensiamo ad esempio ad una sequoia gigante vecchia magari di più di 4000 anni: la pianta continua ancora oggi a crescere, ma la velocità di crescita è sempre minore. Il processo si interrompe solo se interviene qualche evento esterno traumatico: un fulmine, un incendio, una valanga, una invasione di parassiti, la mano dell’uomo, etc.
Completiamo ora questo esempio introducendo un secondo soggetto, che, in competizione col primo, cerca di fare la stessa cosa che fa il primo partendo da una minore disponibilità iniziale di “ricchezza”. Semplificando all’estremo lo schema, vediamo che il secondo segue anch’esso un andamento logistico, solo che le risorse a disposizione non sono quelle complessivamente presenti nell’ambiente, ma quelle detratto quanto è già stato utilizzato dal primo contendente per generare la propria “ricchezza”. Aggiungiamo che il primo contendente, nel confrontarsi col secondo, è anche in grado di sottrargli un poco di quanto il secondo va producendo. In formule l’evoluzione può essere presentata come una logistica in cui il “tetto” è quello globale diminuito della logistica seguita dal contendente più forte:
La realtà è sicuramente molto più complicata del giochino che sto presentando qui. I contendenti sono molto più di due e i meccanismi di trasferimento dall’uno all’altro sono vari e complessi. Come però già più volte ho scritto, la logica è essenzialmente quella dell’esempio e se si considera come evolve la ricchezza a disposizione del contendente più debole si trova che mentre il più forte procede lungo il suo progressivo avvicinamento al limite massimo, il più debole per un po’ migliora la sua condizione, pur vedendo crescere la differenza dal più forte, ma, da un certo punto in poi, le risorse a sua disposizione cominciano a ridursi e, ovviamente, la disuguaglianza non può far altro che aumentare.
Formule a parte, questo esito è quello che in modo molto semplice ed efficace mostra il gioco del Monopoli, che fu inventato negli anni ’30 del ‘900 proprio per mettere in evidenza il peculiare modo di funzionare dell’economia di mercato. Nel Monopoli il campo di gioco è delimitato e le risorse sono finite: all’inizio della partita tutti i giocatori hanno più o meno le stesse risorse; alla fine il vincitore ha tutto e gli altri niente.
Conclusione
Quello che ho cercato fin qui di mostrare, se non di dimostrare, è che in un sistema complesso in crescita all’interno di un contesto materialmente finito certe conseguenze, come la progressiva ingovernabilità e il crollo della redditività della crescita, oltreché l’esplodere delle disuguaglianze, sono necessari portati dei meccanismi interni del sistema e delle sue premesse.
Intervenire sui problemi emergenti man mano che si presentano, come continuamente si cerca di fare, è una strategia poco efficace che equivale al tentativo di mitigare i sintomi della malattia piuttosto che tentare di guarirla. D’altra parte per guarire da una malattia bisogna innanzi tutto mettere a punto una diagnosi corretta e poi lavorare per rimuovere le cause.
Nel nostro caso quelli che bisogna cambiare sono i veri e propri presupposti del sistema economico corrente e globalizzato: l’ineludibilità e positività dell’egoismo e la competizione come motore del progresso.
È evidente che questo tipo di cambiamento non si consegue per via burocratica o tecnologica. Da un lato non ci sono artifici formali efficaci, dall’altro non bisogna confondere la scienza con la magia. Le tecnologie aiutano moltissimo a contenere e mitigare i sintomi del male o a mettere in piedi un sistema di relazioni di produzione/scambio materiali in equilibrio coi vincoli fisici del sistema mondo; ma è proprio la scienza che individua in modo chiaro e ineludibile il confine tra ciò che si può e ciò che non si può fare: nessuna retorica può modificare o travalicare quel confine.
In termini materiali, l’unico sistema che risulti sostenibile (cioè in grado di durare a tempo indefinito all’interno dell’insieme dei vincoli materiali del nostro pianeta) non può che basarsi su processi circolari analoghi a quelli alla base dell’evoluzione adattativa che ha presieduto per milioni di anni al funzionamento della biosfera.
Dal punto di vista delle relazioni all’interno della specie umana bisogna capire e prendere atto del fatto che l’approccio basato sull’egoismo individuale in continua competizione con gli altri non è sostenibile e occorre passare invece ad un approccio collaborativo in cui si integrino capacità complementari. Questa non è una moralistica petizione di principio, in quanto si può verificare che solidarietà e collaborazione sono razionalmente più convenienti dell’”ognuno per sé e il mercato per tutti”.
È possibile una trasformazione di questo tipo? Se i termini della questione vengono spiegati e discussi con tutti e se l’essere umano è almeno in parte razionale, io credo di sì.
Recent Comments