Come blogger, mi sono espresso molto limitatamente riguardo al conflitto in corso tra Ucraina e Russia. In parte a causa di Jacopo Simonetta che, invece, se n’è occupato a più riprese qui su Apocalottimismo: condivido sostanzialmente la sua posizione, quella secondo cui la Russia con l’invasione del 24 febbraio ha  decisamente trasceso, al di là delle ragioni che poteva accampare riguardo all’espansionismo NATO, alla non osservanza degli accordi di Minsk, ecc.

Al pari di Jacopo, anche io ritengo legittimo un sostegno militare al governo di Kiev, mirato e circoscritto (quindi abbastanza diverso da quello effettivamente in corso) al fine di raggiungere una situazione di stallo per cui, alla fine, convenga a entrambe le parti venire a più miti consigli, senza che emerga un reale vincitore dello scontro capace di destabilizzare a suo vantaggio gli eventi.

Mentirei però se non ammettessi che il mio sostanziale silenzio è dovuto principalmente a un altro problema, molto più personale: come già capitato con la pandemia, la crisi Russia-Ucraina sta pesantemente inficiando i rapporti con persone che mi sono care o che, se non altro, ho sempre stimato per aver condiviso insieme tante battaglie.

Mentre ho sempre rispettato la non-violenza ma non mi sono mai identificato in questa filosofia, a più riprese in passato non ho esitato a definirmi pacifista. Del resto, l’opposizione alle guerre degli USA in Iraq, Afghanistan, Serbia, l’avversione per la NATO e la condanna dell’occupazione israeliana a Gaza e Cisgiordania parlano ampiamente per me.

Da mesi provo a mettere per iscritto le mie perplessità riguardo a certe posizioni di chi si definisce pacifista oggi, in riferimento alla guerra in Ucraina; alla maniera di Penelope con la sua tela, ho fatto e disfatto bozze su bozze senza approdare a nulla. Alla fine, ho voluto aspettare la grande manifestazione del 5 novembre scorso per dire la mia sul Web, in quanto i partecipanti disponevano di una potente cassa di risonanza per smarcarsi ufficialmente e inequivocabilmente da quelle zona d’ombra che mi hanno fatto sorgere non pochi dubbi.

Dubbi non liquidabili a paranoie insensate, pensando ad esempio a quanto dichiarato qualche settimana fa alla TASS dall’ambasciatore russo in Italia  Sergey Razov, secondo cui “Ci sono definitivamente sentimenti pacifisti all’interno della società italiana e, a quanto posso vedere, sono in crescita. La gente è chiaramente stanca della crisi ucraina” e, a suo dire, constata “un segmento significativo della società italiana  che rigetta la propaganda del mainstream e usa con successo fonti di informazioni alternative, comprese quelle russe”.

Evidentemente, per Razov ‘pacifismo’ significa ‘sostegno alla operazione militare speciale’. Ero quindi abbastanza ansioso di vedere come i gruppi pacifisti avrebbero esposto le loro ragioni, anche perché convinto che la stragrande maggioranza dei manifestanti, per quanto sicuramente accecata da pregiudizi e ingenuità, non poteva davvero strizzare l’occhia al regime di Vladimir Putin.

Benché continui a non ritenerli ‘putiniani’, purtroppo le mie aspettative sono rimaste ampiamente deluse. La manifestazione si è concentrata quasi esclusivamente sul rifiuto di inviare armi a Kiev, posizione che non avrei di per sé contestato se inserita all’interno di una cornice argomentativa diversa da quella proposta. Infatti, lasciar intendere che sia solo il sostegno militare all’Ucraina a “gettare benzina sul fuoco della guerra” (Ascanio Celestini su Il Fatto Quotidiano) è una gigantesca menzogna.

L’annessione di tutto il Donbass tramite i referendum farsa, fatto con cui Zelensky ha poi giustificato il decreto che vieta qualsiasi trattativa con Putin (il quale ha definito l’incorporazione dei territori un fatto irreversibile, “Russia per sempre”), mette di fatto la pietra tombale su qualsiasi ipotesi di negoziato e rende inevitabile la prosecuzione del conflitto; eppure, tale diktat è passato completamente sotto silenzio, e il presidente ucraino è stato così additato a principale (o meglio dire unico) nemico di un’ipotesi di armistizio.

Non prendiamoci in giro: ceduti Donbass e Crimea alla Russia, che cosa resta da ‘negoziare’? L’esclusione dalla NATO, la ‘demilitarizzazione’ e altre clausole sfavorevoli a Kiev? Purtroppo, devo constatare che tante persone (vedi chi attualmente diffonde sui social l’aforisma di Erasmo “meglio una pace iniqua di una guerra giusta”) perorano appassionatamente una pacificazione del più forte in stile israeliano, applicata però a un territorio molto più vasto della Palestina. Si tratta della stessa gente che, in altri tempi, preferiva frasi quali “L‘assenza di ostilità non rappresenta alcuna garanzia di pace” (Kant) o “La pace non è soltanto assenza di guerra” (Spinoza).

Tutto sommato, posso persino credere nella buona fede di chi ritiene una pace a uso e consumo russo preferibile al proseguimento delle ostilità, pensando al livello di atrocità in atto. C’è un altro aspetto, invece, che non riesco proprio a digerire e che, in tutta sincerità, mi fa gridare alla disonestà intellettuale oppure, in caso contrario, a strane metamorfosi di pensiero. Mi spiego meglio.

Storicamente, i movimenti pacifisti non si sono limitati a condannare astrattamente la guerra, ma hanno sempre vigilato sulle modalità con cui veniva condotta: pensiamo alla ferma condanna di crimini come la strage di Mỹ Lai, gli abusi dei carceri di Abu Ghraib, l’uso delle bombe a grappolo, la rappresaglia e la distruzione deliberata di obiettivi non militari, solo per citare pochi esempi tra tanti. Non si transigeva sul fatto che la violenza dei conflitti dovesse comunque rimanere circoscritta all’interno di un perimetro morale da non valicare mai, per alcuna ragione.

Che il mainstream mediatico di casa nostra si sia schierato in maniera univoca e tendenziosa sulla crisi ucraina è fuori discussione, ma ciò non può essere una scusa per ignorare una realtà palese a chiunque abbia voglia di vedere. Dall’inizio dell’invasione, la Russia sta seguendo una condotta militare non troppo dissimile dal famigerato ‘metodo Aleppo’ sperimentato in Siria, ispirata sostanzialmente agli stessi principi di base. Fonti affidabili quali Human Right Watch, nota per aver portato alla luce negli anni molteplici crimini di guerra degli yankee e dei loro sodali, hanno confermato la fondatezza di episodi gravissimi, non ascrivibili alla fantasia della propaganda russofoba.

Tra l’altro, la manifestazione di sabato scorso è capitata proprio nel momento in cui le forze armate russe stanno colpendo le centrali energetiche ucraine al preciso scopo di mortificare la popolazione civile, lasciandola vittima del freddo e del buio. Azioni del genere, in passato, erano stigmatizzate per la loro profonda disumanità, mentre ora vengono per lo più deliberatamente ignorate.

Tanti pacifisti di oggi, alle mie rimostranze riguardo a questo strano cambio di prospettiva, hanno per lo più risposto facendo spallucce e ribattuto con frasi del tipo “la guerra è guerra ovunque”, senza accorgersi di citare Massimo D’Alema presidente del consiglio al tempo della guerra in Kosovo, che così replicava a chi faceva notare la brutalità dei bombardamenti NATO sulla città serbe. 

Trattasi di un degrado morale già riscontrato all’inizio delle ostilità negli auspici per una blietzkrieg russa come via maestra per una rapida pace, nelle lodi sperticate per gli indecenti audio pro-Putin di  Berlusconi e nel tifo per una vittoria dei repubblicani alle elezioni di midterm. Denotano un pacifismo che da idealista si è fatto stranamente pragmatico, o forse sarebbe meglio dire cinico. Un atteggiamento che può solo insozzare i grandi valori morali, non certo rafforzarli.

Tutto ciò mi rattrista profondamente perché ho sempre apprezzato la funzione dei pacifisti nell’era contrassegnata dall’imperialismo statunitense, in particolare nello smascherarne le imposture ideologiche e nel denunciarne e contenerne le prepotenze e gli abusi ammantati dalla retorica della libertà. Sarebbe davvero spiacevole che oggi il pacifismo, quello autentico, potesse servire in qualche modo da alibi per l’ambizione di altri.

Nell’epoca del declino di Washington è molto pericoloso rimanere aggrappati a vecchi schemi stereotipati. Nel tormentato ‘mondo multipolare’, per usare un’espressione tanto cara all’oratoria putiniana, diversi soggetti hanno alzato prepotentemente la testa e, seppur in tono minore (almeno per ora), vogliono riproporre le medesime logiche di dominio dei loro avversari.

Con questo, non intendo certo sostenere che il pacifismo debba coincidere con l’opinione mia, di Jacopo Simonetta o di chicchessia. Anche perché, specialmente nel caso di una tematica così delicata, tutto penso tranne di detenere verità assolute. Sono sicuro, però – nel mio piccolo e con i miei errori – di non essere vittima di quello strabismo intellettuale che vedo imperare tra chi oggi si definisce  pacifista. 

 

 

 

 

Share This