Meno male che Prodi c’è. Ci riferiamo a Franco, professore di fisica dell’atmosfera dell’università di Ferrara fratello del ben più famoso Romano, ex presidente del consiglio. In un’intervista al Messaggero del 29 giugno , rassicura sul fatto che l’attuale cambiamento climatico non sia da addebitare all’attività antropica:
Il clima è anomalo per sua natura, deve esserlo. Temperature così elevate le avevamo anche l’anno scorso, basta controllare i dati […] Se analizzassimo con accuratezza la storia climatica del nostro pianeta, scopriremmo che è composta da continui cambiamenti, anche quando non c’era l’industrializzazione.
Forse non è così rassicurante, vista la frase: “Temperature così elevate le avevamo anche l’anno scorso“; lo sarebbe stato di più se avesse fatto riferimento almeno a trenta o quarant’anni fa. Franco, accetta un consiglio: ritorna alle solite ciarle su Annibale e la Groenlandia, se non altro sono degli ever green e quindi a loro modo vere per definizione. Per chi invece non mette la testa sotto la sabbia, qualche piccola dritta anti-bufale sul clima.
(Per la cronaca, a meno di una settimana dalle esternazioni di Prodi è accaduta la tragedia della Marmolada, ma forse anche i crolli catastrofici dei ghiacciai sono ‘fenomeni ciclici’).
Rovelli e il ‘coro’. In un post su Facebook intitolato ‘Ipocrisia’, Carlo Rovelli (un altro fisico, sicuramente più autorevole nel suo campo di Franco Prodi), scrive in riferimento al conflitto in corso tra Russia e Ucraina:
Io sarei felice di unirmi al coro, se ogni volta che condanniamo il fatto —del tutto condannabile— che una potenza militare abbia attaccato con futili pretesti un paese sovrano, mi aggiungerei al coro se ogni volta l’Occidente aggiungesse “E io Occidente quindi mi impegno a non fare mai più nulla di simile in futuro, come ho fatto in Afghanistan, in Irak, in Libia, a Grenada, a Cuba, e in tantissimi altri paesi. Lo abbiamo fatto ma ora che lo fanno i Russi ci rendiamo conto di quanto sia doloroso, non lo faremo più.”
Sarei felice di unirmi al coro, se ogni volta che condanniamo il fatto —del tutto condannabile— che i confini delle nazioni non sono rispettati, e la Russia ha riconosciuto l’indipendenza del Donbas, mi aggiungerei al coro se l’Occidente aggiungesse “E io Occidente quindi mi impegno a non fare mai più nulla di simile in futuro, come ho fatto quando ho subito riconosciuto l’indipendenza della Slovenia e della Croazia, cambiando i confini dell’Europa, innescando una sanguinosissima guerra civile, e strappando terre alla Yugoslavia.
Personalmente, non credo sia un problema di ‘unirsi corso’, ma semplicemente di essere coerenti con se stessi. Al pari di Rovelli, nel 1999 ho condannato l’aggressione USA alla Serbia, l’uso dei cluster bomb e l’attacco deliberato di obiettivi civili. Non stavo a pensare ‘ah ma Milosevic è un crudele dittatore’, ‘ah ma i Serbi sono quelli di Srebrenica e altre atrocità’, ‘ah ma la Serbia utilizza i cetnici ecc’. E francamente non mi stavo a scervellare troppo sulle ragioni statunitensi per un simile comportamento, anche perché non mi bevevo certo la loro propaganda. Per gli stessi motivi oggi condanno il governo russo, non passo il mio tempo a discernere su Zelensky e il battaglione Azov e non credo nella ‘lotta al nazismo’ esattamente come rifuggivo dalla sedicente ‘esportazione della democrazia’.
Ritengo per il resto la visione di Rovelli della politica globale molto edulcorata, al pari di tutti quelli che presentano un quadro ‘Occidente vs resto del mondo’. Il quadro semmai è ‘Occidente vs Cina vs Russia vs Resto del mondo’. Ho la seria impressione, da episodi come questa guerra e la condotta di Cina e Russia in Africa, che il ‘mondo multipolare’ di cui si riempiono in tanti la bocca sia lo stesso prima con la differenza che le porcate prima prerogativa esclusiva degli USA ora sono estese a qualche altro pesce grosso. Non so gli altri, ma io non ho speso la mia vita facendomi una reputazione di ‘antiamericano’ e ‘antioccidentale’ per questo.
Calenda e il Rinascimento nucleare. Carlo Calenda, al pari dell’ex sodale Matteo Renzi, ha la grande virtù di assurgere a gigante della politica nazionale anche quando il partito che rappresenta raggiunge una manciata di punti percentuali alle elezioni. Il 30 giugno il leader di Azione ha presentato in Senato una mozione chiedendo al governo la reintroduzione del nucleare tra le fonti utilizzate dal nostro Paese per produrre energia. A suo giudizio, bisognerebbe costruire in Italia otto centrali nucleari, con tre o quattro reattori ciascuna, per una potenza complessiva di 40 GW.
In Rete si possono trovare disamine più o meno articolate volte a confutare i progetti ambiziosi di Calenda. Noi ci limitiamo a segnalare che, attualmente, tutti i cantieri nucleari attualmente attivi nel mondo prevedono la costruzione di meno di 60 GW (circa una quarantina escludendo la Cina). Non ci sembra di dover aggiungere altro se non che, mentre si delira nel nostro paese di ritorno in pompa magna al nucleare, in Francia Macron ha annunciato la nazionalizzazione al 100% EDF per evitare un disastroso crac dovuto ai debiti accollati dal comparto atomico. Che dire, il caldo spesso fa perdere la lucidità e fa dire sproloqui…
Bardi, Cassandra e Carneade. Dal suo blog Effetto Seneca (già Effetto Cassandra), Ugo Bardi si duole per le bufale diffuse da tale Sabino Paciolla riguardo allo studio epocale I limiti dello sviluppo. Sono stato curioso non tanto di leggere le prevedibili baggianate, quanto piuttosto di scoprire chi fosse questo fantomatico intellettuale/influencer che ha fatto perdere il sonno (o se non altro tempo alla tastiera) al professore.
Dopo una breve ricerca, mi sono convinto che il buon Bardi è stato probabilmente afflitto da un problema tipico dei blogger, ossia intestardirsi nel tenere aggiornato periodicamente il proprio spazio Web con nuovi contenuti rischiando, nel farlo, di concedere visibilità a fenomeni o soggetti che sono invece meritevoli dell’oblio più totale. Insomma, un po’ quello che ho fatto io in gran parte di questo articolo!
Durante l’estate è alquanto probabile che chi scrive su Apocalottimismo si prenda una meritata pausa per riprendere poi con rinnovato vigore in autunno. In ogni caso, la scarsa attività mia e di Jacopo Simonetta negli ultimi tempi non si deve a indolenza e, anzi, tra non molto avremo una sorpresa per i nostri pochi ma fedeli lettori! (e per molti altri, si spera).
“Se analizzassimo con accuratezza la storia climatica del nostro pianeta, scopriremmo che è composta da continui cambiamenti”. Ci sono molte persone che muoiono di morte naturale. Questo non significa che gli assassinii non esistano.
Purtroppo la gente vuole credere a quello che le fa comodo, non a quello che è vero. Davanti a una siccità spaventosa, che sta facendo morire persino l’erba sotto ai piedi, quando mi lamento dello spreco di acqua le risposte che sento sono del tipo: “sì ma il problema sono le perdite della rete / la mancanza di desalinizzatori [a 60 km dalla costa, n.d.A.] / l’acqua va giù lo stesso / sì ma il mio prato / albero / orto ha sete”, eccetera. Forse quest’anno ce la siamo vista così brutta che cambierà qualcosa, ma conoscendo gli italiani ne dubito.
Per quanto riguarda la Russia, direi che il benaltrismo dovrebbe scatenare una chiusura immediata della conversazione, così dal scoraggiare le persone dall’usarlo per argomentare. Tirare fuori crimini passati per giustificare crimini presenti non porta da nessuna parte.
[Riguardo all’intervento NATO in Serbia, sono vent’anni che ci penso, documentandomi molto a fondo, e ancora non ho deciso se fu giusto o no. Sicuramente fu su scala infinitamente minore di quello russo attuale, e con una giustificazione più reale – e sì, avresti dovuto porti il problema dei crimini di Srebrenica, perché c’era ancora la stessa gente al potere, e quindi era probabile che altri crimini simili fossero in corso.
Un paragone migliore potrebbe essere l’aggressione americana all’Iraq]
In teoria questo non dovrebbe essere uno della ‘ggente’ bensì un cattedratico, quindi persona con tutti gli strumenti culturali per non incappare in certi bias, almeno quando si tratta di un argomento affine al suo campo di studi. Io credo molto banalmente che quest’uomo dica quello che dice solo per ottenere visibilità da parte dei soliti noti, altrimenti resterebbe solamente l’oscuro fratello del politico.
Quell’intervento ha sdoganato pretesti di ogni genere… non a caso viene ricordato in continuazione da Putin per giustificare la sua ‘operazione militare speciale’.
Sì ma se io uso il fatto che hai dato uno schiaffo a tuo figlio una volta per creare una rete di traffico di minori, sono un po’ in cattiva fede.
Nei Balcani la situazione era talmente complessa, tremenda e ormai compromessa che forse non agire sarebbe stato peggio che agire (come si è visto in Bosnia). In ogni caso, non è paragonabile all’intervento russo, né per motivazioni (se non che le hanno copiate senza prove), né per l’entità del danno e il numero di morti. Un paragone con l’Iraq sarebbe più adatto, ma, di nuovo, la scusa del “ma anche lui lo ha fatto!!” è una scusa da bambini dell’asilo. Provino a portare Bush e Blair in un tribunale internazionale se ci riescono, farebbero bene. Usare il Kosovo come scusa per radere al suolo l’Ucraina è così assurdo che non dovremmo nemmeno stare qui a parlarne.
A mio giudizio ha ragione Gaia. Che sia in atto un cambiamento climatico, è inconfutabile. E’ però altrettanto inconfutabile che non sia la prima volta e che anche altri drastici cambiamenti climatici siano stati repentini: vedi Dryas Recente. Inoltre pochi riportano che le attuali comparazioni di temperatura e grandezza dei Ghiacciai sono fatte cominciando da circa 200 anni fa e cioè dall’inizio della rilevazione storica di dati e che casualmente coincide con la fine della Piccola Era Glaciale, quando il Garda o la stessa Laguna di Venezia (con acqua salata) ghiacciavano completamente e potevano essere attraversati con dei carri.
A creare confusione (almeno in chi sa ragionare) è il continuo mescolare dati veri ad autentiche “bufale”, come ad esempio che l’agricoltura (ed in particolare la zootecnia) contribuisca per un 30% all’attuale AGW. Fino ad ora quattro professori universitari/assistenti ricercatori, mi hanno dato pubblicamente o personalmente ragione su questo punto. Semplicemente avevano preso per buon questi dati pubblicati su ogni dove senza prima analizzarli con la razionalità.
Mi interessa molto di più l’argomento Guerra, pardon: Operazione Speciale.
Fare delle comparazioni con il passato più o meno recente mi sembra sbagliato: presupposti, motivazioni, contesti geografici e geopolitici/economici, mentalità dei dirigenti e dell’opinione pubblica sono cambiate. Le due guerre del Golfo avevano come presupposti l’invasione di un altro paese da parte di un dittatore (che fu lasciato al suo posto la prima volta) e per la successiva i suoi reiterati massacri degli oppositori interni, sia curdi che della maggioranza sciita. Un’altra motivazione era impedire che la caduta di Saddam Hussein fosse un affare iraniano, creando in tal modo una enorme coalizione sciita estesa fin sulle coste della Siria e del Mediterraneo: presupposto per un conflitto colossale in tutto il Vicino Oriente. Nonostante queste “giustificazioni” l’opinione pubblica occidentale non ha gradito e ha poi mandato a casa sia Bush che Blair. La situazione dei Balcani per fermare i massacri ed in particolare quelli ad opera della Serbia di Milosevic mi sembra ancora più emblematica. Inoltre, in entrambi i casi sono intervenute coalizioni di più paesi, che non mi sembrano ai primi posti della lista dei paesi meno democratici.
Anche stavolta, a fronte di un dittatore che sta massacrando la popolazione di un altro paese che lui stesso definisce “amico”, (a mio giudizio per “rapinare risorse altrui”) c’è un fronte più o meno compatto di più di quaranta paesi.
Qualcuno può obiettare che noi occidentali abbiamo fatto lo stesso per secoli. In gran parte è vero, ma queste risorse “rapinate” sono almeno servite a creare un “progresso” generalizzato. Al netto delle sue innumerevoli “scorie” ed errori.
Il fatto che noi occidentali abbiamo fatto errori colossali (di cui solo l’Occidente però sa fare autocritica) non giustifica certamente che altri li ripetano in forme ancora più gravi.
Per caso questo Francesco con nuova email è il ritorno di una vecchia conoscenza? 🙂
E’ un po’ come dire che, siccome decine di miliardi di homo sapiens erano morti di morte naturale prima del 1982, allora non si capisce perché bisognerebbe presupporre che Carlo Alberto Dalla Chiesa debba essere stato assassinato Se la scienza che studia il clima è giunta alla conclusione che l’attuale riscaldamento globale sia da attribuire ai gas serra, è perché tutte le altre cause naturali (come l’attività solare di cui si riempiono la bocca gli Zichichi e i Prodi) sono state prese in considerazione ed è risultato evidente che non possono essere loro la causa. Per quanto riguarda il Dryas recente, la causa attualmente più accreditata è uno sciame metereotico che ha colpito il nord america, quindi, proprio come l’impiego dei combustibili fossili e il rilascio di altri gas serra, un fatto traumatico e accidentale rispetto ai driver naturali. Tra l’altro durò molto poco e forse non fu neppure un fenomeno globale.
Ecco che questa difesa a oltranza dell’agricoltura industriale e questo parlare di questioni scientifiche per aneddoti-sentito dire-confidenze mi ricorda terribilmente qualcuno… che lei sia o meno Franco Burlini poco importa: ci dica quali studi hanno fatto questi studiosi (o almeno delle dichiarazioni pubbliche in merito) o se non altro faccia i nomi per capire quanto sono autorevoli. Ricordo a tutti che qualcuno davvero capace di smentire le risultante dell’IPCC assurgerebbe immediatamente a fama internazionale, con tutti i benefici per la carriera, e sarebbe lautamente sostenuto da quei settori economici accusati di provocare la crisi climatica. Non si terrebbero certo informazioni di tale importanza come confidenze per pochi.
Qui concordo.
Di fronte alle temperature di qs giorni in Europa, il negazionismo climatico appare ancora più inspiegabile. E (sfortunatamente) posizioni peraltro sicuramente in buona fede come quella qui descritta di F.Prodi gli danno ulteriore linfa vitale…
Se è davvero in buona fede allora è di una incompetenza terrificante. Gli studi sull’andamento ciclico dell’attività solare si trovano facilmente in Rete e smentiscono chiaramente qualsiasi ruolo anomalo del sole.
Claude, i negazionisti di solito non negano che faccia più caldo, ma che questo sia dovuto all’attività umana.
Of course
Sulle cause del Dryas Recente ci sono almeno quattro ipotesi: sciame di comete; attività solare; spostamento improvviso dell’asse magnetico ed improvviso flusso di una enorme massa di acqua fredda proveniente da un enorme lago creatosi nell’America del Nord. Anche definirlo come un evento che è durato poco (solo 1300 anni?!) è opinabile. Come ho già scritto, non ho mai pensato di contestare l’AGW, ma tutta la serie di aggiunte alla vera ed unica causa: l’utilizzo smodato di combustibili fossili negli ultimi 200 anni. Lo confermano tutte le analisi degli isotopi di carbonio. Sulla bufala del metano ruttato dai ruminanti quale una delle cause principali dell’attuale AGW, non servono citazioni scientifiche né di sentito dire, ma basta usare la logica. Se fosse vero che gli attuali ruminanti domestici avessero fatto AUMENTARE CONTINUAMENTE con il loro metano l’effetto serra negli ultimi 150-200 anni, per quale motivo non è successo lo stesso nelle migliaia, milioni di anni precedenti, quando comunque il numero di ruminanti selvatici non era certo di molto inferiore all’attuale numero di ruminanti domestici. Fossero stati anche la metà o un terzo, ed invece del 10-20-30% come si imputa ora, ed avessero fatto aumentare anche solo dell’1% all’anno l’Effetto Serra, moltiplicando per il tempo che hanno avuto a disposizione, avrebbero dovuto rendere la terra inabitabile già da tempo. Ripeto: per capire tale semplice concetto non servono chissà quali studi, competenze o dati, ma solo la logica ed il buon senso.
Tana per Burlini! Se tira fuori i ‘semplici ragionamenti’ e il ‘buon senso ‘ con cui ‘confuta’ anni di studio della scienza dei fenomeni complessi allora è sicuramente lui!
Con questo ‘semplice ragionamento’ lei dimostra di non avere la minima idea dei meccanismi del clima, che non funzionano in modo lineare ma attraverso feedback e retroazioni molto complessi. Se i gas serra aumentano del 30%, il clima non si riscalda altrettanto (altrimenti sì, saremmo già diventati anzitempo la brutta copia di Venere!) Comunque, se vivessimo in una biosfera dove la concentrazione di CO2 fosse 280 ppm invece dei 400 e passa di oggi, il metano non sarebbe problematico perché il suo periodo di permanenza in atmosfera è circa un paio di decenni. In un mondo ampiamente surriscaldato, una molecola che trattiene il calore circa un’ottantina di volte più della CO2 va invece a esacerbare il disastro.
Francesco, non puoi paragonare i ruminanti selvatici che devono esistere in equilibrio con le risorse con i ruminanti alimentati da umani con alimenti coltivati apposta con tecniche industriali e dissetati con acqua sottratta agli ecosistemi – cose che ne aumentano enormemente il numero e ne cambiano anche le emissioni (ho letto che i ruminanti alimentati ad erba emettono meno metano). Inoltre nel conteggio delle emissioni causate dagli allevamenti si considera anche la produzione di mangimi e la deforestazione.
Comunque, suggerisco la lettura di questo: https://www.theguardian.com/environment/2019/jan/31/european-colonization-of-americas-helped-cause-climate-change
Se vero, dimostra che l’impatto umano sul clima fosse significativo ben prima dell’industrializzazione.
Igor, Gaia, è inutile che giriate attorno ad un semplice concetto scrivendo di altro, solo perché la comprensione di questo concetto demolirebbe molte “certezze”. In verità sesquipedali fandonie. Che un ruminante sia selvatico o domestico, il metano che emette ha sempre la stessa formula chimica. Che lo crediate/vogliate o meno! Inoltre vi faccio notare che solo una minima parte dei ruminanti domestici sono alimentati con foraggi coltivati e se foste entrati anche una sola volta in una stalla, vi accorgereste che il 97-98% di quello che mangiano questi ruminanti allevati in maniera intensiva è immangiabile per l’uomo. E’ vero che queste produzioni zootecniche intensive consumano risorse, ma producono anche tanto cibo che altrimenti non potrebbe essere prodotto. E oltre al cibo ed anche quel letame che voi sempre dimenticate di considerare. Ah, dimenticavo: per voi non serve concimare i campi. Che stupidi ed ignoranti quegli agricoltori che hanno adottato questa tecnica per migliaia di anni!
Per voi nemici dell’agricoltura intensiva, l’attuale guerra, in cui viene usata anche l’arma potentissima del grano, del mais o del girasole, che mette a rischio la sopravvivenza di centinaia di milioni di persone, (e conseguenti rivolte ed emigrazioni) vi dice niente? Quel grano è forse coltivato con le tecniche di quell’agricoltura di sussistenza che voi tanto auspicate? Tanti piccoli contadini che producono lo stretto necessario e al massimo vendono prodotti a Km0.
A proposito di biodiversità e di invasioni vi siete anche mai chiesti quali e quanti animali e popolazioni abitassero su quelle terre nere
(Cernozem) di cui la Russia si è impadronita un secolo e mezzo fa, l’Unione Sovietica ha continuato a controllare con la violenza (Holomodor) e che ora la Russia vuole riappropriarsi di nuovo. Che differenza ci sarebbe tra le popolazioni (di animali e di umani) che abitavano la pianure steppose che hanno dato origine allo stesso tipo di terre nere nere dell’oriente europeo e quelle delle grandi pianure statunitensi, canadesi o argentine?
Perché puntare il dito solo sugli europei e non anche sui russi?
Comunque vi invito a ritornare sul mio semplice quesito che evitate di considerare . Se il metano dei ruminanti selvatici si è AGGIUNTO/ACCUMULATO (anche solo dell’1%) per milioni di anni all’atmosfera, come voi ingenuamente sostenete, per quale motivo non ha cambiato radicalmente il clima? Ah, dimenticavo: i meccanismi climatici funzionano attraverso feedback e retroazioni molto complesse solo in presenza di umani. In mancanza di questi sia la fisica che la chimica cambiano.
Ok, siamo noi che ‘parliamo d’altro’. Chi legge si informi un pochino sul funzionamento del clima per scoprire chi ha ragione e chi no (la scienza del clima, ossia quelle vituperate ‘certezze’ che Burlini e i suoi amici sono in grado di confutare con ‘semplici ragionamenti’ ma per qualche strana ragione invece di rendere pubbliche al mondo le loro verità in grado di sconvolgere il mondo scientifico preferiscono tenersele per se e/o discutere su piccoli blog).
Comunque, per quanto riguarda il ‘parlare d’altro’, lei non ha ancora fatto i nomi di queste persone capaci di sconvolgere le evidenze dell’IPCC sugli effetti sul clima dell’agroindustria).
https://volerelaluna.it/ambiente/2022/07/19/non-piove-da-mesi-temperature-africane-e-si-taglia-lerba/
vedi per la strada pattuglie di operai che tagliano l’erba. Orbene, si calcola che l’erba non tagliata mantenga il terreno circa a 19,5 gradi. Tagliata a 10 cm mantenga la temperatura del suolo a 24,5 gradi. Mentre un terreno nudo in piena estate arriva tranquillamente a 40 gradi. E anche oltre se vi è una copertura d’asfalto.
Non lo so, mi è capitato di leggere questo articolo…attualmente nel mio prato dove di solito si sfalcia, l’erba è abbastanza secca.
Nell’orto, mancando quasi la pacciamatura, l’erba è cresciuta liberamente e si presenta ancora verde. Tra l’altro , i pomodori la cicoria e le cipolle se pur innaffiati raramente e coltivati nello stesso terreno con le erbe non tagliate, forse proprio per questo motivo, non danno segni di sofferenza.
Piccole cose.
Questa mania di tagliare a raso l’erba appena prova timidamente a crescere di pochi centimetri è una delle fissazioni più esasperanti della nostra società. Sembra che siamo in guerra perenne con l’erba. Povera erba. Il mio vicino, una brava persona, la tagliava così bassa che saltavano i sassi.
L’unico motivo sensato che ho sentito è la possibile presenza di zanzare. Ma in montagna non serve e in pianura, con questa siccità spaventosa in corso, con l’erba che nemmeno cresce più (almeno da me), c’è tutto tranne che umido.
Passando dal problema alle soluzioni, inizio a pensare che bisognerebbe seriamente far pagare di più l’acqua, compresa quella di irrigazione (non a forfait) e di falda (non importa se il pozzo è tuo). Per la benzina dei tagliaerba ci sta già pensando la situazione mondiale attuale, ma l’acqua continuiamo a regalarla a gente che non capisce quanto è preziosa.
Pare che quest’anno il clima sia impazzito soprattutto in Europa, e che sia un fenomeno destinato a restare. Che dire? Qui bisognerà iniziare a coltivare il miglio, il sorgo e non so quali altre piante tropicali.
Oggi leggevo di un agronomo che scriveva che per fortuna ci sono i nuovi ogm, non ricordo come li chiamasse lui. Aiuto. A questo punto avranno il pretesto giusto per farli passare. Non che qualcuno dica che circa il 50 % dei terreni agricoli vengono utilizzati per la produzione di mangimi e di carburanti.
Ma poi c’è anche da mettere in conto il costo dei fertilizzanti raddoppiato e altro.
Insomma, in pochi mesi è cambiato il mondo e non ce ne siamo ancora accorti. Speriamo bene, ma c’è poco da farsi delle illusioni. Già dall’autunno mi sa che inizieremo a vederne di tutti i colori.
Fuzzy, come fai a coltivare piante tropicali se non piove per mesi di fila?
https://it.m.wikipedia.org/wiki/Agricoltura_tropicale
“Tropici secchi”
Infatti non lo so.
Ho scoperto soltanto ieri che il clima italiano sta diventando tropicale.
https://www.open.online/2022/07/19/europa-caldo-temperature-record-incendi/
https://www.ansa.it/sito/notizie/cronaca/2022/07/19/nuovi-record-del-caldo-su-mezza-europa-italia-verso-42-gradi_9625126d-1eb9-4f4f-84f0-f53da3b5c477.html
Comunque per quanto riguarda il sorgo vedo che qui dalle mie parti ha oramai sostituito il mais. Cresce benissimo anche con un clima secco.
I maceri sono ancora pieni. I canali portano ancora acqua.
https://it.m.wikipedia.org/wiki/Clima_tropicale
Qui dice
I climi tropicali con i relativi biomi sono caratterizzati da elevate temperature durante tutto l’anno: neppure nel mese più freddo la temperatura scende al di sotto dei 15 °C.
Eh, no, Ancora non siamo arrivati a quei livelli di caldo.
Francesco, ma che deliri sono mai questi?? Perché metti sempre alla gente in bocca cose che non ha mai detto?
Il metano sarà chimicamente sempre lo stesso ma il numero di ruminanti cambia e anche la produzione di metano e altri gas serra (non solo il metano) e il loro assorbimento cambiano a seconda del tipo di allevamento. Non si tratta solo di digestione ma di tutta la filiera. Non ho “evitato” il quesito, ti ho risposto: i ruminanti selvatici in equilibrio con l’ambiente non sono paragonabili agli ultimi secoli di ruminanti (e non) allevati con tecniche nuove e risorse non rinnovabili e su scala mai vista prima.
Anch’io penso che il ruminare di per sè sia stato troppo demonizzato ma certi tipi di allevamento sono evidentemente dannosi e insostenibili.
Riguardo alle altre accuse, dato che allevo pecore da anni non ti degno neanche di una risposta.
Schopenauer diceva che “o si pensa o si crede”. Io preferisco pensare con la mia testa piuttosto che credere a certe tesi e dati, che provengano o meno da scienziati “laureati”. Igor, tu stesso condanni (giustamente anche per me!) il prof. F. Prodi, nonostante le sue mille pubblicazioni e specializzazioni sull’argomento clima & Co.
A proposito di pubblicazioni e di dati, faccio notare che esistono enormi discrepanze tra i dati forniti da istituzioni di parte (e cioè da quelle che vogliono dimostrare una determinata tesi, e quelle neutre. Per esempio questa recente (https://op.europa.eu/en/publication-detail/-/publication/b10852e8-0c33-11eb-bc07-01aa75ed71a1/language-en) indica in un 10% l’attuale (2017) responsabilità dell’AGW del settore agricolo europeo e non il 30%.
Sarei io quello che non cita mai dati e pubblicazioni?!
Poi, e solo riguardo agli argomenti che conosco meglio, traggo insegnamenti da esperienze dirette. Io a differenza vostra ho passato la vita nelle stalle ed allevamenti, sia estensivi (sia quelli miei, sia quelli che ho seguito per decenni nei PVS di quattro continenti) che intensivi, per cui ne conosco bene pregi e difetti. E proprio perché li conosco da vari punti di vista ( e non per sentito dire), posso accorgermi che su questi argomenti vengono scritte e pubblicate tremende baggianate. E non basta allevare qualche pecora per capire. Ne allevo anche io, ma conoscendo bene entrambe le facce del settore zootecnico so bene che sia l’allevamento estensivo (comunque da incentivare in tutte le aree semiabbandonate dell’Italia e del resto d’Europa) e ancora di più l’ agricoltura estensiva, non riusciranno mai a soddisfare il fabbisogno di cibo di una umanità in continua crescita. Ho fatto l’esempio dell’Ucraina, i cui cereali ed oleaginose sono vitali per centinaia di milioni di persone, ma nemmeno questo avete capito. Constatando che paesi come l’Egitto o tutto il Nordafrica (tutti paesi con un’agricoltura primitiva e che 2000 anni fa erano essenziali per procurare il grano per mezza Europa) dipendono ora per più del 50% dai cereali dell’Ucraina, credevo e speravo che venisse qualche dubbio.
Infatti ci sono troppi esseri umani nel mondo e non esiste un modo sostenibile per sfamarli tutti.
Questa frase a effetto potrebbe benissimo uscire dalla bocca di un no vax incallito o di un terrapiattista… nelle cose scientifiche la cosa che conta è il rigore, non ‘l’essere eretici’. Gente come Galileo o Einstein è stata grande non per l’anticonformismo in sé (a fare i bastian contrari per partito preso per darsi un atteggiamento sono bravi tutti, non solo Prodi) ma per le evidenze che hanno portato a sostegno delle loro tesi.
Infatti sono certo che ora il caldo africano verrà interrotto da improvvise nevicate fuori stagione!
Fuzzy, in teoria ci si può adattare, con investimenti e tempo, a qualsiasi tipo di clima in cui gli umani già abbiano dimostrato di saper vivere (cioè quasi tutti). Il problema è sapere di che clima si tratterà: avremo questa siccità ogni anno? Ogni dieci? Quanto grave? O avremo alluvioni?
Negli ultimi anni le precipitazioni a Udine sono state leggermente superiori alla media. Quest’anno infinitamente inferiori, e gli alberi che avevo piantato, alberi adatti per questo ambiente e clima, stanno morendo. Però se le piogge recuperano tutto d’un colpo, neanche gli alberi adatti al clima caldo e arido ce la faranno. Rischieranno di morire pure quelli. Così è davvero difficile adattarsi.
Igor, una cosa su cui dò (parzialmente) ragione a Francesco è che in agricoltura, come in altri ambiti tipo la medicina o ancor più la nutrizione, le ricerche scientifiche danno un grosso contributo ma non contengono la verità assoluta. C’è ancora troppo che non sappiamo, e soprattutto troppe complessità, troppo contesto, troppa variabilità, troppe questioni culturali e valoriali, troppe conseguenze impreviste… È capitato anche a me di leggere affermazioni “scientifiche” sull’agricoltura e l’allevamento, e capire subito che le persone che le facevano erano partite dai presupposti sbagliati e quindi arrivate a conclusioni sbagliate. Si dà troppa poca importanza alla conoscenza pratica di chi le cose le fa, e troppa alla teoria di chi parla ma non sa bene di cosa parla. Non si può parlare solo di studi, bisogna anche confrontarsi con chi ha esperienza sul campo.
Gaia, constato con piacere che basta un minimo di esperienza pratica a far capire molte più cose, rispetto alla semplice conoscenza teorica. Tornando all’argomento metano (per me dirimente, assieme ad altri come OGM e BIO) per riconoscere un vero ambientalista, ci sono tutta una serie di contraddizioni. Per esempio, una vacca da latte molto produttiva, come una frisona, da 100 e più qli a lattazione, produce molto meno metano rispetto a quello ruttato da 3-4 vacche che producono tutte insieme la stessa quantità di latte. Non ho dati precisi, ma sono più che certo che il miliardo circa di bovini magri e poco produttivi che allevano in India, Africa e parte dell’America Latina, producano il doppio di metano, ma solo un decimo della quantità di carne e latte che producono gli altri 3-400 milioni di bovini più produttivi allevati nei paesi occidentali. Da questo se ne deduce che diminuendo l’intensità produttiva, aumenterebbero le emissioni di metano.
Non capisco poi questo ostinarsi a demonizzare i poveri bovini che alla fine producono solo un quinto della carne consumata nel mondo e la percentuale continua a ridursi. Come veterinario (non buiatra) sono ovviamente dispiaciuto dall’attuale continua rincorsa all’intensivizzazione delle produzioni, ma come ambientalista devo rassegnarmi.
Dei miei amici allevatori hanno tentato di ridurre la “velocità”, abbandonando l’alimentazione con insilati e sostituendola con fieno; ritornando come i nostri nonni ad utilizzare la monticazione estiva e fecondando le vacche con seme di tori a duplice attitudine per non dover ammazzare o svendere i vitelli maschi di razze da latte. Tipo Frisona, che producendo poca carne alla fine nessuno vuole. Dopo un paio di anni, sono stati costretti a tornare indietro. La qualità del latte era sì migliorata notevolmente (soprattutto la conta cellulare), con drastica diminuzione di mastiti e zoppie: dimezzate le spese veterinarie. I pochi centesimi in più ricevuti per litro di latte e/o per kg di carne dai vitelli maschi ibridi, non è però bastato a compensare il drastico calo di produzione. Anche la monticazione si è rivelata un disastro: troppi lupi in Lessinia e conseguenti eccessive spese di guardiania.
Problemi analoghi hanno i miei amici pastori di pecore. Se un tempo i loro padri riuscivano a guadagnare bene dalla vendita della lana, ora questa è un rifiuto speciale e devono pagare per smaltirla. Anche io che allevo pecore di razza Brogna che ha una lana pregiata, la devo regalare.
Lo stesso si verifica con la vendita degli agnelli, il cui consumo viene continuamente boicottato e demonizzato da quelle anime belle ( tutte vispe terese cittadine) che non si rendono conto che un pastore non può tenere in vita troppi montoni e che la pastorizia senza la vendita degli agnelli scomparirebbe del tutto. Per fortuna ci sono rumeni e mussulmani che non si pongono certe fisime. Ma fino a quando? Intanto la qualità dei boschi si degrada sempre più: erbacce e ramaglie si accumulano e quando scoppia un incendio, invece di una breve fiammata che “disinfettava” il sottobosco e lasciava intatti gli alberi d’alto fusto, ora con molto più combustibile, brucia tutto.
Da ragazzino andavo per funghi con mio zio nei boschi di un paese dell’alto mantovano (Cavriana) dove come dice il nome c’erano ancora molti pastori ed i boschi circostanti erano tutti ben puliti. Spesso riempivamo la macchina di funghi. Ora, con uno strato di almeno mezzo metro di materiale che ricopre il suolo, i funghi sono spariti e molte piante, oramai adattatesi ad avere le radici troppo superficiali, cadono ad ogni temporale.
Stessa situazione per le galline. Io ne allevo una trentina, che di giorno possono razzolare tranquillamente su vari ettari, ma questo continuo movimento ne stimola l’appetito e mi mangiano quasi il doppio del mangime rispetto a quelle dei grandi allevamenti. Se tutte le uova prodotte in Italia provenissero da galline allevate come le mie, bisognerebbe aumentare la produzione di mais e soia di parecchi milioni di tonnellate.
Scrivo tutto questo perché molte troppe vispe/i terese/i non si rendono conto che certe soluzioni che sulla carta sembrano logiche e facili, alla prova dei fatti si rivelano impossibili da realizzare. O almeno difficili e superabili solo con una enorme quantità di contributi pubblici.
Una radicale trasformazione da una agricoltura e zootecnia intensiva ad una estensiva, oltre a ridurre alla fame tre-quattro miliardi di persone, comporterebbe anche una drastica riduzione dei boschi e soprattutto un aumento dell’Effetto Serra.
Di tante altre contraddizioni ho già scritto, ma l’ideologia (e cioè l’ostinarsi a credere più alla teoria che alla pratica) ne ha impedito la comprensione.
Francesco, non puoi dire che “secondo te” le vacche indiane emettono più metano in proporzione. Qui sì, servono i dati. Inoltre le emissioni di metano per vacca non possono essere l’unico parametro. Magari lì si può allevare solo in quel modo, oppure passare a vacche più produttive avrebbe tutta una serie di effetti negativi che compenserebbero il minor metano emesso (ammesso e non concesso che tu abbia ragione).
Riguardo all’estensione dei pascoli che emetterebbe più CO2, questo dipende tantissimo da un’infinità di fattori. Ad esempio si sta scoprendo che, con l’inaridirsi della California, le praterie resistono meglio agli incendi e quindi emettono meno CO2 (compresa la combustione) di foreste non più sostenibili. Ho il sospetto che la fissa di ripiantare alberi dopo gli incendi in Sicilia e Sardegna potrebbe essere addirittura controproducente.
Comunque, il discorso su quanta gente puoi sfamare con un determinato sistema affronta il problema dalla direzione sbagliata. Se l’unico modo per sfamare tutta questa gente è fare agricoltura inquinanete, basata su risorse non rinnovabili, non etica e non sostenibile, allora siamo troppi, punto.
P.S. Smetti di regalare la lana delle Brogna! Io ho la stessa razza e o la vendo o ne faccio pacciamatura e concime.
(E non vendo gli agnelli ai musulmani perché sgozzano gli animali senza stordimento, come tu dovresti sapere)
https://www.ilrestodelcarlino.it/ascoli/cronaca/siccita-crisi-climatica-e-guerra-allevatori-e-agricoltori-da-soli-davvero-non-ce-la-faremo-1.7892024
Non credo siano gli scienziati o i vegani il problema che affligge gli allevamenti di bovini. È una questione economica. .I costi superano i ricavi.
E non è una situazione transitoria..
Perché, per aumentare le rese e abbassare i prezzi per i consumatori, si è iniziato ad allevare nel modo sbagliato. I bovini al pascolo non hanno tutti questi problemi; la siccità fa male anche in questo campo, ma l’aumento dell’energia e delle materie prime impatta molto meno.
Però non puoi allevare al pascolo se scienzati e animalisti proteggono senza se e senza ma tutte le popolazioni di predatori.
Oddio, per predatori intendi i lupi?
https://youtu.be/M6wDp0Quy54
Qui parla dei cinghiali e di conseguenza anche dei lupi.
Comunque a livello di clima, non mi sembra che l’IPCC si accanisca contro l’allevamento al pascolo.
Mi pare dica che bisogna diminuire il consumo di carne (e per forza si farà, per le ragioni economiche di cui sopra) ma poi specifica che molte persone in certe aree del mondo non adatte all’agricoltura, sopravvivono grazie all’allevamento. Su questo aspetto magari potresti trovare dei vegani intransigenti. A me (che comunque sono vegetariano) è capitato di discutere con uno di questi che considerano gli animali come delle persone. Gli antispecisti.
Mi sembra che i più ferrati tra questo genere di vegani, sostengano che dove ci sono i pascoli si possano comunque coltivare alberi per produrre noci, castagne e altro. Ne abbiamo discusso anche qui.
Personalmente non ne so abbastanza. Conosco solo gli ambienti di pianura.
Però, mi sembrerebbe logico che se lo stato vuole reintrodurre i lupi dovrebbe anche dare un forte sostegno agli allevatori.
Fuzzy, sì, i lupi non sono compatibili con l’allevamento al pascolo, non c’è niente da fare. Non parlarmi neanche di reti, cani, eccetera, che causano ulteriori problemi e comunque alla lunga perdono di efficacia perché i lupi si adattano a tutto. Dovrebbero essere protetti nelle aree selvatiche e abbattuti fuori da esse appena iniziano a causare problemi. Brutto ma è così.
Riguardo agli alberi, sì, ne abbiamo parlato. Ne ho anche piantati parecchi nel mio pascolo, purtroppo la siccità sta facendo una strage, alcuni muoiono anche se li bagni (e comunque bagnarli causa consumo di acqua e quindi problemi altrove). I noci sono in difficoltà, le querce ormai bruciate, i noccioli continuano a morire e resuscitare e non producono e i castagni non possono farcela con questo caldo, neanche in un’annata normale (infatti non ne ho neanche messi). Per cui, anche se sono d’accordo con te, devo constatare che l’idea di produrre proteine piantando alberi in certi climi non è fattibile, o per lo meno non nelle quantità che servirebbero. Ci sono alberi che resistono meglio, ma non danno frutti particolarmente proteici. Inoltre spesso gli alberi danno frutto un anno sì e uno no, soprattutto se coltivati in modo naturale.
Opps sparita la risposta .
Riprovo
Hai provato con la Robinia? Si comporta da pianta pioniera e in più produce legname per la potatura a ceduo e in quanto azoto fresatrice, migliora il terreno.
In più fa ombra, cosa che gli animali non disdegnano.
Riproviamo…
Fissatrice
Alcune cose sui dati delle emissioni è forse bene precisarla. L’Eurostat citata da Burlini riporta in effetti che nella UE le emissioni derivanti dal comparto agricolo rappresentano circa il 10% sul totale, un dato superiore a quello dell’industria, che è leggermente inferiore (https://ec.europa.eu/eurostat/statistics-explained/index.php?title=File:Greenhouse_gas_emissions,_analysis_by_source_sector,_EU-27,_1990_and_2018_%28Percentage_of_total%29.png&oldid=486412) Mi sorprende il fatto che le cose fossero così anche nel 1990, cioé quando ancora non era stata delocalizzata in Cina parte della manifattura più impattante. A livello globale, le emissioni del settore agricolo sono il 24% circa (https://www.epa.gov/ghgemissions/global-greenhouse-gas-emissions-data). Restiamo in attesa di conoscere le argomentazioni dei “quattro professori universitari/assistenti ricercatori” capaci di un confutare un dato non solo registrato dall’IPCC ma convalidato dall’EPA e da tutte le principali agenzie per l’ambiente internazionali.
Igor, per l’industria e i trasporti probabilmente no, ma per l’agricoltura i calcoli sulle emissioni più che dati sono stime. Includono (a quanto mi risulta) anche cose come la deforestazione, il cui impatto è molto, molto difficile da quantificare esattamente. Bisogna poi valutare anche le alternative: se tu dici che tot mucche emettono tot metano, dovresti però anche valutare quanto metano emetterebbero gli altri usi dello stesso terreno, dato che o la materia organica si decomporrebbe, o ci sarebbero magari ruminanti selvatici. Per esempio: io davo alle pecore fieno che altrimenti sarebbe stato bruciato o sarebbe marcito. Entrambe queste alternative avrebbero emesso gas serra e non avrebbero prodotto alcun cibo. Adesso le faccio pascolare su terreni che altrimenti verrebbero falciati con mezzi a motore, producendo inquinamento, in alcuni casi in cambio di zero cibo. Queste cose gli esperti non le sanno e quindi non le conteggiano. Calcolano solo il numero di animali e le emissioni stimate procapite. Così si falsano i dati. Probabilmente ci sono innumerevoli esempi così.
Su questo Francesco ha in parte ragione. Io non avrei una fiducia così cieca in questi calcoli.
Ovviamente sono tutte stime, perché i calcoli sono molto complessi. E si deve tenere conto non solo della potenza dei gas serra in COe equivalente ma anche della permanenza in atmosfera, che ad esempio per il protossido di azoto (una delle principali emissioni agricole) è di un secolo e mezzo. Per il resto:
no, perché lui semplicemente ha visto ‘10%’ e gli è piaciuto, mentre ‘24%’ non gli piace perché per i suoi gusti è troppo elevato. Eppure sono valori calcolati in base agli stessi parametri (uno riferito alla UE e uno globale), quindi o li legittimi entrambi o li scarti entrambi, non solo quando ti fa comodo a te.
Ho paura che ti stia pericolosamente burlinizzando… i calcoli sulle emissioni devono cercare il più possibile uno specchio della realtà, non sono un giudizio morale (quel suo discorso idiota per cui se illustro le magagne dell’agroindutria allora odio i contadini, per capirci). Può anche essere che il trattamento del tuo suolo sia il migliore possibile, ma bisogna calcolare quello che c’è, non fare ragionamenti per assurdo. Ti faccio notare quello che ho cercato vanamente per due anni di far capire all”ambientalista eretico’: ammesso e non concesso che tu stia utilizzando le pratiche più efficienti sul piano dell’impatto (e nel caso dei suoi mantra ‘sta cippa che lo sono) tu devi fare sempre i conti con la capacità di carico, se non riesci a rientrarci allora non sono più tanto efficienti (e allora ci penserà lei con le cattive a far rientrare te).
Igor, credo che tu abbia frainteso il mio commento (o mi sono spiegata male io). Non ne stavo facendo una questione morale ma pratica.
È chiaro che ho fatto un esempio estremo, ma non sono l’unica a obiettare che in questi calcoli dovresti tenere conto anche delle alternative, non solo delle emissioni. Per quanto riguarda l’allevamento in particolare, calcolare l’alternativa in termini di inquinamento a un pascolo o alla fienagione è molto difficile. Non sto parlando di allevamenti intensivi di animali alimentati con coltivazioni industriali, ma di terreni in cui probabilmente ci sarebbero o animali selvatici, con impatto simile, anche se minore, a quello degli animali allevati, o se non altro pratiche di sfalcio inutili e dannose. Per dire, una vacca in un prato nell’Amazzonia deforestata e una al pascolo dietro casa di qualcuno hanno un impatto completamente diverso, la seconda potrebbe addirittura averne uno positivo se “pulisce il prato” o riduce il rischio di incendi, ma a quanto ne so nei conteggi vengono calcolate in modo simile.
Inoltre, molti studi creano o portano gli attivisti a creare delle dicotomie che non hanno senso, tipo mucca vs soia, ma nell’alimentazione la pratica che in teoria è più inquinante o meno efficente può avere altri vantaggi, per esempio dare più garanzie, fungere da riserva in caso di eventi inaspettati, resistere meglio agli shock, ecc. Queste cose difficilmente lo sa uno studioso, devi averle sperimentate di persona.
Non sono un esperto del settore nel senso che non ho titoli di studio in merito, ma riguardo alla scienza del clima sono molto ben informato. Ed una delle cose che più stupisce è proprio il tentativo di non generalizzare ma di rendere il più possibile realistico l’impatto. Infatti una cosa che mi fa venire il sangue alla testa quando l’idiota di turno dice ‘sono solo modelli matematici’ è proprio il fatto che non sa nulla degli sforzi per elaborare questi modelli.
Per il resto, è questione di priorità. In un mondo a 280 ppm di CO2 (cioé più o meno quello che sarebbe senza influenza antropica) potresti permetterti tutta una serie di libertà che in quello a 410 ppm non puoi. Perché i fenomeni metereologici estremi causati dal global warming fanno piazza pulita di tutto.
Per il resto, i tentativi strumentali in stile Cowspiracy li ho sempre condannati per la loro parzialità.
Se è vero quello che dici (e non ho motivo di dubitarne), può anche darsi che il problema sia la rappresentazione mediatica di questi studi.
Ad esempio, sento spesso dire che gli studi su clima, biodiversità, eccetera, citano la crescita demografica come fattore fondamentale, eppure questo sparisce sui riassunti mediatici di detti documenti.
Riguardo alle priorità, ovvio che i margini sono estremamente stretti e non possiamo rischiare. Ma se la soluzione indicata peggiora il problema, meglio saperlo.
Gaia: per capire la questione delle vacche indiane occorre considerare che i mammiferi (come tutte le specie omeoterme) consumano l’80-85-90% – le differenze dipendono dalla taglia dell’animale: più è grande e più è efficiente, e dalla temperatura ambientale) dell’energia alimentare per restare in equilibrio con l’ambiente circostante e solo la piccola restante parte serve per crescere e produrre. In pratica un singolo animale di 700 kg che produce molto latte o cresce in molto fretta) risulta essere più efficiente (inclusa la minore emissione di metano) e cioè trasforma molto meglio il cibo rispetto a tre-quattro animali di 250-300 kg l’uno che tutti insieme producono lo stesso nel doppio o triplo di tempo.
Hai mai, non dico pesato, ma almeno visto da vicino le piccolissime vacche o anche pecore indiane o africane?
Così come dal punto di vista dei consumi e dell’efficienza (e dell’inquinamento) è “molto più meglio” avere un singolo motore potente piuttosto che tre o quattro di analoga potenza complessiva. Ovvio poi che il singolo animale più produttivo richieda più attenzioni rispetto ad animali meno produttivi e più rustici, ma “il gioco, vale sicuramente la candela”. Altrimenti perché mai l’umanità avrebbe cercato di migliorare continuamente le razze, i motori e quant’altro.
Ergo: lo so che sembra assurdo, ma per ridurre l’emissione di metano dei ruminanti bisogna ridurne il numero aumentando l’intensità di allevamento.
Se non hai capito, ti faccio un altro esempio: gran parte del miglioramento genetico del frumento è stato rivolto a ridurre la taglia dello stelo. Non solo perché uno stelo troppo lungo è più soggetto all’allettamento, ma semplicemente perché la pianta spenderebbe molta energia in una produzione “inutile” (la paglia) e quindi ne ha meno per la spiga. Ad esempio la varietà Senatore Cappelli, che già era un notevole passo avanti rispetto a varietà precedenti, aveva steli alti anche più di 150 cm, ed è stata poi sostituita da varietà alte al massimo 60-70 cm, molto più erette, sane e produttive. Se compari la quantità di terreno, lavoro, semente, acqua, fertilizzanti, ecc necessaria alle due produzioni (comparando le quantità prodotte) sarà facile capire perché la maggior parte dei contadini abbiano optato per le seconde.
Da circa due anni cerco di far capire ad Igor che se produci un 30-40% in meno (di grano, di soia, ecc) per ettaro coltivato con metodo Bio, non puoi limitarti a considerare gli input (e tutti i costi nascosti) per ettaro, ma devi calcolarli per unità di prodotto finale. E soprattutto va considerato il consumo di gasolio che, piaccia o meno, sarà sempre doppio o triplo per il metodo Bio rispetto al tradizionale. Quest’ultimo oltre a dover arare, irrigare, seminare superfici molto più ristrette, e quindi minori consumi, di suolo, lavoro (guarda caso le ore di lavoro non vengono mai considerate!) e carburante, distrugge le erbacce con due sole passate di glifosato, per le quali usa un trattore piccolo con una piccola pompa. Consumerà quindi molto meno gasolio rispetto a chi per distruggerle deve farlo meccanicamente passando almeno quattro o cinque volte l’anno con macchinari molto più pesanti e assetati di energia. Mi sono trovato spesso a discutere di questo con dei “credenti”, e gli sembrava impossibile questo paradosso. Per convincerli ho allora chiesto che telefonassero seduta stante ad una qualche produttore Bio di loro conoscenza. Ovviamente qualcuno che coltivasse cereali, vite o altre produzioni danneggiate dalle infestanti. E costoro, a denti stretti, hanno sempre confermato la mia osservazione.
Se poi contro il glifosato (che ha tossicità nettamente inferiori al caffè o al bicarbonato) si alzano i soliti alti lai, mi arrendo. Di fronte alla demagogia, non c’è scampo.
Igor sta cercando da due anni di far capire che esistono una cosa chiamata ‘consumi indiretti’ che va considerata nei calcoli. Lei vede il gasolio per il trattore lo vede mentre l’energia per sintetizzare i fertilizzanti no e quindi per lei non esiste. E Igor là data su e non ha voglia di riprendere sempre le stesse discussioni…
Di quello che piace o non piace ai commentatori del sito, che sia lei, Fuzzy, Gaia o Gesù Cristo, francamente non che ci importa più di tanto, ci interessano i feedback con i lettori per scambi costruttivi ed eventualmente integrare le nostre conoscenze o correggerle. Pertanto, se con lei è impossibile dialogare perché tanto a prescindere “penserà con la sua testa” (cioé non accetterà mai qualcosa che va contro il suo senso comune e i suoi ‘semplici ragionamenti ‘ – cioé quello che lei rimprovera sempre agli altri) allora amen.
Comunque, ciclicamente come le pandemie, lei si è ripresentato con il solito copione: commentare l’articolo sparandola grossa su qualcosa, per poi deviare il discorso per poi atteggiarsi a quanto ce la più lungo degli altri. Adesso basta, la voglio richiamare alla responsabilità di quanto scrive.
Nel primo commento ha scritto: “A creare confusione (almeno in chi sa ragionare) è il continuo mescolare dati veri ad autentiche “bufale”, come ad esempio che l’agricoltura (ed in particolare la zootecnia) contribuisca per un 30% all’attuale AGW. Fino ad ora quattro professori universitari/assistenti ricercatori, mi hanno dato pubblicamente o personalmente ragione su questo punto. Semplicemente avevano preso per buon questi dati pubblicati su ogni dove senza prima analizzarli con la razionalità. ”
Se queste persone avessero evidenze reali riguardo a quanto sostengono, sarebbero a conoscenza di informazioni davvero fondamentali per la sorte della civiltà umana. Quindi, a questo punto, lei ci fa i nomi in modo che possiamo conoscere le loro credenziali in campo della climatologia ed eventualmente contattarle e anche dare loro visibilità se necessario. Il clima è un fatto di dominio pubblico non una confidenza privata, anche perché essendo ricercatori evidentemente lavorano in questo settori e avranno sicuramente scritto studi e ricerche su questo ambito, non si terranno ovviamente per sé queste informazioni. Ci giri eventualmente questi.
Anche qui, faccia il nome di questo dirigente. Anzi, sa che faccio? Interpello direttamente l’AIAB di Bologna su questo fatto, se mi gira di farlo.
Igor, a proposito di modelli matematici sono abbastanza vecchio e “navigato” per sapere che se vuoi dimostrare una certa tesi, basta inserire od omettere un dato e cambia tutto. L’esempio l’ho già fatto. Nella comparazione tra produzioni animali e vegetali, si vuole spesso dimostrare che queste ultime siano “più meglio”, dato che questa tesi viene venduta bene sul mercato della propaganda. Il giochetto è facile: alle produzioni animali attribuisco tutta una serie di “costi e pesi” e spesso anche barando. Per esempio, per restare in tema di bovini, calcolo che tutti i bovini allevati nel mondo usino un tipo di alimentazione (foraggi coltivati, con tutti gli annessi e connessi di impatto ambientale) che invece è utilizzata solo da una minoranza. Alle produzioni vegetali invece tolgo certi costi e pesi. Il più diffuso è quello di non considerare l’input energetico dei fertilizzanti, che necessariamente provengono dal settore dell’allevamento. Ovvio che se da una parte aggiungo e dall’altra tolgo un dato importante come questo, il risultato sarà falso. O meglio sarà corrispondente a quello che la maggioranza vuole sentirsi dire.
E’ perché conosco bene questi trucchetti che mi fanno ridere i dati “scientifici” del 10, 18, 24 o 30% di un settore produttivo piuttosto che un altro. Già solo il fatto che siano dati così diversi uno dall’altro dovrebbe far insospettire sulla validità di questi modelli matematici applicati al più complesso dei settori produttivi.
Come ho già scritto più volte, preferisco pensare con la mia testa piuttosto che usare solo quella di altri.
Anche qui cito un esempio che ho già fatto. Basta confrontare il ridotto numero di allevamenti intensivi Bio (gli unici da cui si possono ottenere dei fertilizzanti: sfido chiunque a dimostrarmi che i fertilizzanti vengono raccolti da animali al pascolo o da galline ruspanti) con quello enorme delle aziende Bio specializzate in produzioni vegetali per accorgersi che il 90% dei fertilizzanti usati da queste ultime provengono necessariamente (una delle tante deroghe ammesse) da allevamenti intensivi. Io e il mio vicino (produttore Bio di kiwi), ci serviamo per il letame dallo stesso allevatore, amico di entrambi. Durante il corso per diventare Certificatore Bio, ovviamente nessuno ne aveva accennato (certe contraddizioni meglio nasconderle) ed anche io non ci avevo mai fatto caso. La contraddizione mi fu rivelata una ventina di anni fa da un dirigente dell’AIAB di Bologna, che pensando di avere di fronte un “credente” ne parlava giustamente preoccupato come di un aspetto da risolvere. Ovvio che di tutto questo non si trovi traccia sui media, ma ripeto, è facilissimo rendersene conto. Bisogna però volerlo fare.
Francesco, certo che si possono raccogliere i fertilizzanti dagli animali al pascolo. Bastano una pala e una carriola. Se vuoi vieni a vedere e te lo “dimostro”.
Francesco, il punto è, come ho provato a spiegare anche a Igor (non lo dico per sottintendere che non lo abbia capito, ma per far capire che so che sono ripetitiva), che non si può considerare solo un parametro quando si valutano questioni così complesse. Questo tuo modo di ragionare è tipico dell’agricoltura industriale che ha guidato con i suoi principi i contadini per decenni, e adesso sono in molti che stanno cercando di liberarsene e di provare altri metodi, antichi o nuovi, perché quelli che avete consigliato voi stanno mostrando sempredi più i loro limiti.
Per restare sull’esempio delle vacche e animali simili, adesso sulle Alpi tanti stanno prendendo in considerazione di tornare a razze antiche e meno produttive, quindi meno “efficienti”, perché sono più adatte all’ambiente, tendenzialmente più sane, hanno meno problemi che richiedono di chiamare (e quindi pagare un veterinario), partoriscono con più facilità, eccetera. Non importa quanto mangime una vacca traduce in quanto latte se poi non riesce a pascolare bene in malga perché è poco agile o troppo esigente, o vive la metà di una più rustica, o ha sempre mastiti, o ogni parto è un dramma, e così via.
Il problema è a monte: siamo troppi e consumiamo troppo. Se per soddisfare i nostri fabbisogni bisogna usare tecniche rischiose e distruttive, allora non possiamo dire che queste tecniche sono risolutive, perché non lo sono. Dobbiamo ridurci in numero e appetiti.
Igor, se non ha voglia o timore ( capisco che realizzare di aver creduto ad una balla, sia spiacevole) di fare finalmente quel calcolo che le consiglio da tempo, telefoni pure all’AIAB. Si tratta però di una conversazione avvenuta nel 1998 o 1999. Ero all’AIAB per concordare una certificazione Bio da fare in un’azienda zootecnica dell’Uruguay: azienda del sig. Vittorio Levade a La Florida specializzata in carne bovina di qualità: 4800-5000 Angus puri e incroci. Un’aziendina di 2800 ettari. All’AIAB se ne ricorderanno perché quella fu la prima certificazione che fecero all’estero. Mandarono due certificatori (io ero solo il promotore) e il periodo di transizione durò solo un anno perché tutta la filiera era già di fatto corrispondente ai parametri Bio: bovini sempre al pascolo per 32-33-34 mesi ed un breve periodo di finissaggio finale. Qualche mese dopo allo stand dell’Uruguay in fiera di Verona incontrai la ministra dell’agricoltura che era molto interessata alla novità dell'”Organico” e già pensava di istituire laggiù una scuola per certificatori Bio. Il tutto si rivelò una buffonata perché quando dopo quasi un anno il sig. Levade venne in Italia per preparare la vendita e l’accompagnai dalla più grossa azienda italiana nel commercio di carne Bio, che ha la sede qui a Verona a pochi chilometri da casa mia, scoprimmo con sgomento che tale ditta già stava importando carne certificata Bio dall’Uruguay a prezzi stracciati. Ci facemmo dare il nome del macello e degli allevatori ed effettivamente questi avevano firmato delle carte senza nemmeno sapere cosa significasse quel termine ” Organico”. A loro interessava intascare qualche centesimo in più per una semplice firma. In pratica la ditta certificatrice (olandese) si era limitata a produrre carte ed intascare la differenza di prezzo per carne esattamente uguale a quella commercializzata normalmente. Ovviamente questa fu una truffa solo economica perché tutta la carne prodotta in Uruguay di fatto è tutta Bio. Il sig. Levade si incazzò e li mandò a quel paese e io persi i 10 milioni promessi per aver organizzato tutto l’ambaradan.
Telefoni pure. Spero che ci sia ancora qualcuno che si ricordi l’episodio. Ovviamente dopo tanti anni non mi ricordo più i loro nomi.
All’epoca sul Bio avevo già parecchie perplessità (l’anno prima avevo fatto il corso per diventare Certificatore) e questo episodio contribuì ad aumentarle. Sono comunque fermamente contrario a questo metodo proprio perché io a differenza sua so vedere quei “consumi indiretti” del Bio che lei cita continuamente senza capirli.
Le faccio notare che se lei legge bene quello che le ho scritto troverà che ho citato almeno tre o quattro volte che gli unici veri contributi all’AGW dell’agricoltura sono quelli derivanti dalla produzione di concimi chimici (che appunto io sostituirei con i fertilizzanti organici) e dal consumo di combustibili fossili per macchinari vari. Il tutto però non supera il 5-6%. Questo però è valido per tutte le attività umane: anche questo scambio di mail necessita di un consumo di energia, in gran parte proveniente da combustibili fossili.
Comunque speravo che provasse per una volta a ragionare con la sua testa e scoprire la verità confrontando due semplici dati facilmente reperibili.
Guardi Burlini, devo davvero ringraziarla per questo commento perché in relativamente poche righe è riuscito a concentrare tutto il suo personalissimo ‘metodo scientifico’. A me interessa zero convincerla di alcunché o fare a gara a chi ce l’ha più lungo, ma solo dimostrare che il suo ‘ambientalismo eretico’ è basato sul nulla più totale. E qui viene fuori in maniera colossale.
1) A me se si scoprisse anche che un ettaro di biologico impatta come dieci centrale a carbone non mi cambierebbe nulla, nella vita campo di tutt’altro e al massimo ho trattato di agroecologia nei miei blog, fine. Quindi se mi si portassero evidenze che l’agroindustria è superiore sul piano della sostenibilità me ne farei una ragione e basta, come tanto volte mi è capitato nella vita. Questa cosa di trasformare il suo interlocutore in un ‘fedele invasato’ è solo una delle sue tattiche dialettiche per screditarlo.
2) Quando lei mi dice di ‘fare quel calcolo’ dimostra palesemente di non avere la minima idea delle variabili in gioco. Ci vogliono conoscenze specialistiche in vari settori, ad esempio la chimica industriale: lei riesce a calcolare ‘dandoci a spanella’, come si dice qua in Romagna, i complessi processu chimici alla base della sintesi di fertilizzanti e pesticidi? O il consumo delle macchine movimento terra e delle trivelle impiegate nelle miniere di fosfati e potassi o nei giacimenti di gas? Al massimo puoi farti un’idea vaghissima sapendo alcune cose, ad esempio che il processo Haber-Bosch è talmente oneroso che si stimi consumi l’1% dell’energia primaria globale. Per fare veri ‘calcoli’, come dice lei, ci vuole un equipe di scienziati, roba insomma da università e centri di ricerca. Nel nostro paese se ne occupa da anni l’Università di Pisa, giungendo alla conclusione che 1 joule coltivato a biologico produce circa 1 kg di prodotto contro lo 0,3 del convenzionale. (https://www.intoscana.it/it/articolo/se-coltivi-bio-risparmi-energia/)
Aggiungo che, mentre il gasolio di trattori e macchine agricole puoi pensare di sostituirlo ad esempio elettrificando questi mezzi, senza metano, cioé una risorsa non rinnovabile e che sta diventando sempre più strategica per ragioni geopolitiche, non si innesca l’Haber Bosch e addio fertilizzanti azotati.
3) Il senso del mio discorso sull’interpellare AIAB era che, siccome tira in ballo altra gente attribuendole oltretutto comportamenti che probabilmente rientrano nel falso ideologico, questa avrebbe diritto di replicare alle sue ricostrizioni storiche. Ma si figuri se adesso telefono all’AIAB di Bologna e dico alla segretaria: “Buongiorno, c’è Burlini che sostiene che un dirigente AIAB di Bologna sconosciuto gli ha confidato che il 90% del letame usato in agricoltura bio deriva da allevamento intensivo, adesso le do alcuni indizi e me lo rintracci”. In ogni caso, siccome questa presunta confidenza ricevuta sarebbe la pietra miliare per svelare lo scandalo del biologico, dovrebbe quantomeno avere una conoscenza ferrea di tutti gli eventi correlati a essa, a partire da chi gliela avrebbe detta a tutto il resto. Ad esempio, lei sostiene di aver parlato con una ministra dell’agricoltura dell’Uruguay, peccato che non ci sia mai stato un ministro donna dell’agricoltura in Uruguay non solo nel 1998 o nel 1999, ma dal 1943 a oggi (https://es.wikipedia.org/wiki/Ministerio_de_Ganader%C3%ADa,_Agricultura_y_Pesca_de_Uruguay). Per carità, si sarà trattato di una sottosegretaria o magari di una presidentessa di commissione parlamentare, non è questo il punto della questione. Il problema è che lei vorrebbe creare un fatto scientifico non solo intorno a una confidenza alla quale bisogna crederle sulla parola (e parlando di ‘fonti di parte’, penso che lei ne sia uno dei massimi esponenti), ma di cui addirittura non sa attribuire il nome della presunta fonte e per di più dimostra di avere ricordi molto confusi riguardo all’intero evento. Il metodo scientifico sperimentale me lo ricordavo un tantino diverso…
Persino un mio studente di prima ITIS che studia scienze della terra sa che il principale impatto sul clima dell’agricoltura è il rilascio di protossido da azoto (gas molto più potente della CO2 e dalla lunga permanenza in atmosfera, a differenza del metano) dai campi in seguito ai processi di nitrificazione derivanti dall’uso di fertilizzanti azotati (impatto maggiore più di dieci volte della loro produzione). Trascurare questo fatto significa negare la peggior problematica agricola legata al global warming (qui il sito dell’EPA per chi abbia bisogno di comprendere la cosa https://www.epa.gov/ghgemissions/overview-greenhouse-gases#nitrous-oxide). Com’è che ha detto, “basta inserire od omettere un dato e cambia tutto”? E lei lo sa bene!
Non si tratta di un fatto ‘controverso’, bensì di un’evidenza riconosciuta dalla stessa agroindustria. Lei questa sua ignoranza l’aveva già palesata tempo fa commentando un altro mio pezzo, e glielo avevo fatto notare (http://www.decrescita.com/news/oltre-il-nimby/). Ma lei procede spedito nelle sue convinzioni.
Quello che lei chiama ‘ragionare con la propria testa’, come viene ben fuori dal suo commento, è un Dunning Kruger elevato alla nona potenza ostile a qualsiasi a parvenza di rigore scientifico. Non mi permetto assolutamente di mettere in dubbio le sue capacità come agricoltore, allevatore o veterinaria, invece come esperto di questioni di sostenibilità legate a questi ambiti lei fa acqua da tutte le parti, mi sono bastati ‘piccoli semplici ragionamenti’ per far emergere che ne sa molto meno di una persona mediamente informata su queste tematiche. Non ci sarebbe nulla di male di per sé, se non si atteggiase a ‘eretico’ portatore di vere verità in campo dell’ecologia.
Con questo ho concluso, non mi voglio intossicare l’estate con lei. Le replicherò solamente se mi farà finalmente i nomi di questi quattro ricercatori che riescono a dimostrare impatti dell’agricoltura diversi da quelli riconosciuti in maniera unanime dalla scienza del clima, cioé l’unica cosa utile che avrebbe dovuto dirci e dalla quale continua a sconigliare (probabilmente perché, ipotizzo io, se anche queste persone esistono hanno credibilità zero nel campo della climatologia).
Mi era sfuggiata quest’altra chicca… guardi che si tratta di percentuali, non di valori assoluti e meno che mai di valori assoluti per unità di prodotto, quindi si tratta di un paragone completamente senza senso. Un cittadino europeo consuma tantissima energia in più uno BRICS o di un paese in via di sviluppo (anche quattro o cinque volte di più) percentualmente si gonfia la quota dedicata alla produzione e consumo di energia e si abbassa quella relativa all’agricoltura.
Gaia: abbiamo due diverse visioni non tanto perché la pensiamo diversamente, ma per la differenza di prospettiva. Io vedo il mondo da una parte diversa dalla tua. Purtroppo o per fortuna, avendo lavorato a lungo nei PVS, ho sempre davanti agli occhi le necessità di miliardi di persone affamate. Ed ho potuto constatare de visu che le loro tecniche di produzione, invece di migliorare stanno peggiorando la situazione. Ne ho già spiegato più volte i motivi.
Le “alternative” (mia moglie le definisce ” fisime”) come il “bio”, più o meno dinamico, il vegetarianesimo & Co, sono un lusso di una minoranza che può permetterselo solo perché la maggioranza lo consente. Se non ci fossimo noi onnivori che “ricicliamo” quegli animali che producono uova, latte o lana, col cavolo che i vegetariani possono permettersi questa loro “fisima”. E se la loro percentuale superasse il 10% della popolazione (parlo di vegetariani veri e non di quelli che lo sono a settimane o mesi alterni) comincerebbero i problemi. Lo stesso si sta verificando con le automobili elettriche. Senza il ricorso a nuove centrali elettriche, il loro numero non può superare una certa percentuale.
Sempre perché posso confrontare (più che un merito è un caso) vari modi di produzione, inevitabilmente (almeno per me) tendo a preferire il metodo intensivo europeo, che con tutti i suoi difetti ha saputo aumentare le produzioni, diminuire l’inquinamento ed emissioni, migliorare la qualità dei prodotti e aumentare notevolmente le aree boschive e la biodiversità. Spero che almeno tu abbia notato che il contributo all’AGW sia del 10% in Europa e del 24% nel resto del mondo. Considerando questo dato “scientifico” quale dei due metodi preferisci?
aumentare notevolmente le aree boschive e la biodiversità
Eh? Ma dove, in Amazzonia?
Comunque
https://resoilfoundation.org/filiera-agricola/erosione-usa-peggiore-del-previsto/
Erosione.
L’allevamento intensivo è stato possibile soltanto grazie all’agricoltura industriale, che ha potuto vantare in passato una maggiore resa produttiva rispetto a quella tradizionale.
E questo perché ha sfruttaro le calorie rese disponibili dal petrolio.
Ora il petrolio non è infinito.
I terreni sono stati erosi.
L’atmosfera è alterata
E questi continuano a cantar vittoria.
Adesso, io non ho la sfera di cristallo, ma credo che in futuro bisognerà trovare nuovi modi per fare allevamento e agricoltura.
Qualcosa si intravvede.
Ad esempio , come si diceva tempo fa, l’agroforestazione e l’agroecologia.
Magari avranno rese minori, ma se si considera che attualmente metà delle terre arabili del mondo viene utilizzata per la produzione di mangimi e biocarburanti, quindi non per l’alimentazione umana diretta, beh, il margine per la riconversione non dovrebbe mancare.
Infine, è inutile girarci intorno, gli allevatori economicamente non riescono a far quadrare i bilanci. Fisime o non fisime, queste sono attività che sopravvivono soltanto perché ricevono dei sussidi. Ma per quanto tempo ancora?
In tutto questo i vegani e i vegetariani non c’entrano assolutamente niente.
Sono scelte personali che rispondono ai motivi più vari. Credo che la maggior parte dei vegani trovi che il trattamento inflitto agli animali durante la loro vita, e non soltanto per la morte precoce, sia inaccettabile.
La categoria dei vegetariani di cui io faccio parte è più composita e forse incoerente. Si sa che la produzione di latte e uova per gli animali comporta più sofferenze rispetto a quella per la carne.
Tutto sta nella modalità di allevamento e nella moderazione nei consumi.
Basta.
Fuzzy, hai ragione, ma sul quadrare i bilanci il problema non è tanto la sostenibilità o meno del tipo di produzione utilizzata, ma i prezzi. I prezzi sono un artificio, non una realtà fisica, e sono tenuti forzatamente bassi per motivi sostanzialmente politici (sarebbe troppo lungo spiegare qui esattamente come, ci ho scritto un intero libro). Per cui anche se è vero come tu dici che gli attuali metodi di produzione alla lunga non sono sostenibili, questo non è dimostrato dai prezzi, che sono manipolati. Infatti fanno fatica anche i produttori più virtuosi a far quadrare i conti, persino più degli altri.
Mah, guarda, tempo fa ho letto questo interessante libro
https://www.mondadoristore.it/valore-cose-illusioni-Raj-Patel/eai978880789154/
sul valore delle cose.
Bisognerebbe mettere in conto le esternalità ambientali e invece la natura non viene valutata economicamente. Ragione per cui il piccolo allevatore rispettoso della natura, dovrebbe essere favorito dal meccanismo dei prezzi e invece si verifica il contrario.
Certi prodotti dell’agricoltura devono essere considerati pregiati ed essere venduti a un prezzo molto alto.
Mio bisnonno che faceva l’agricoltore, quando macellava il maiale teneva da parte il prosciutto come se fosse oro, perché lo doveva vendere. A mia madre non era assolutamente concesso di mangiarne, e quasi non sapeva che sapore avesse.
Eppure mio bisnonno con relativamente poco terreno riusciva a mantenere tutta la famiglia.
Quello che diceva anche Gaia, i danni che l’agroindustria infligge alla biosfera vengono pagati dalla fiscalita generale. Ma c’è di più, bisognerebbe anche calcolare le risorse alimentari che vengono sottratte dall’agroindustria, tipo le risorse ittiche perdite a cause delle dead zone marine create in gran parte dai nutrienti portati dai fiumi che creano un surlus di moltiplicazione di alghe con conseguente ipossia.
Aggiungo
D’altra parte, concentrare tutta la questione sulla quantità di letame disponibile francamente mi sembra un poco anacronistico.
L’agricoltura biologica nelle sue versioni più avanzate ha imparato a fare a meno del letame e delle varie lavorazioni invasive del terreno, e sa come prevenire le varie malattie delle piante. Tutto questo con un notevole risparmio economico.
Quando si sente parlare di non aratura, di pacciamatura per il controllo delle erbe spontanee, di micorrize che agiscono come bio fertilizzanti ecc, si deve avere presente che tali pratiche nell’orticoltura sono già ben consolidate e studiate. In un simile contesto addirittura il letame viene considerato nocivo per la vita microbiologica del suolo.
Certo, questi metodi di coltivazione si prestano particolarmente per l’attività agricola a conduzione familiare.
Io sono convinto che man mano che nel settore cresceranno i fattori di stress, si inizierà a guardarsi intorno e magari ci si accorgerà di quello che già esiste di innovativo.
Francesco, per un po’ è divertente, ma pur di avere ragione (su cosa poi?) ti riduci sempre a cambiare argomento o mettere assieme cose diverse per creare confusione (biologico e vegetariano sono due cose diverse), per cui uno si stufa di questo circo e non ti risponde più.
Igor, per l’ennesima volta constato che lei, affannato nel tentativo di darmi torto, non legge bene ( o non lo capisce) quanto scrivo. Il calcolo a cui mi sono sempre riferito non riguarda tutto lo scibile umano come lei (furbamente?) allude, ma il semplice confronto tra il numero di aziende Bio che praticano l’allevamento intensivo ( e cioè le uniche in grado di raccogliere e vendere del fertilizzante) e le aziende Bio puramente agricole che ne hanno bisogno per soddisfare almeno il primo requisito di questo metodo: mantenere la fertilità dei suoli. E’ una ricerca ed un calcolo semplicissimo, ma lei non l’ha mai voluto fare perché la smentirebbe completamente e finalmente capirebbe perché quel dirigente dell’AIAB ne parlava con rammarico. Almeno lui era onesto e si vergognava della situazione. A quanto ne so, invece di migliorare è peggiorata. O in parte è bypassata utilizzando il compost derivante dai rifiuti organici dei depuratori. Quello che molti agricoltori, io compreso, rifiutano nonostante te lo diano ” a gratis”. Altro punto che non ha mai capito è che senza fertilizzanti e concimi l’agricoltura (non importa quale metodo usi) non può esistere. O almeno continuare per più di due-tre anni e poi, a forza di sottrarre macro e microelementi, si esaurisce la fertilità. E’ per questo che da anni insisto soprattutto sull’importanza dei fertilizzanti/concimi. Se n’è accorto perfino Fuzzy!
Può arrabbiarsi e denigrarmi quanto vuole, ma resta il fatto ( evidente a tutti gli altri lettori) che lei continua a leggere solo le ricerche di altri e le basta l’imprimatur/nomea di una qualche istituzione per crederci ciecamente, ma non sa (per assoluta mancanza di specifiche conoscenze tecniche) se quanto affermano è vero. Ripeto: anche lei ha messo in dubbio (giustamente) quanto dichiara Prodi, che sul clima ha le massime credenziali.
Si figuri poi se le do i nomi dei quattro professori/ricercatori. Tra l’altro conosco i nomi solo di due. Uno, incontrato ad una conferenza sul clima (a Mantova) di almeno sei-sette anni fa, era rimasto subito perplesso di fronte alla mia obiezione che il metano dei ruminanti fa parte di un ciclo, mi ha poi raggiunto ha fine conferenza e dopo almeno un’ora di spiegazioni al bar, ha ammesso che avevo ragione. Non ricordo il nome. Un secondo ed un terzo erano due giovani ricercatori ( se ricordo bene dell’Università di Bologna) incontrati sempre durante una serie di conferenze che organizzano nei paesi dell’Alto Mantovano. Ora non ricordo il paese (Solferino, Volta, Cavriana?) ad una conferenza sempre sull’AGW ed in cui avevo smentito la stessa cosa. Ci scambiammo i biglietti da visita. I due ne avevano discusso e dopo anni, uno dei due (l’unico di cui ho il nome) ha avuto il coraggio di scrivermi che avevo ragione. Il quarto è un professore (Università di Piacenza) più giovane di me di tre o quattro anni e con cui ho condiviso l’appartamento ai tempi dell’Università di Bologna. Anche lui, reincontrato ad una cena/rimpatriata, dopo alcune perplessità, mi ha dato ragione. Con il pervasivo Pensiero Unico che ostracizza senza pietà chi osa discostarsi dal pensiero mainstream (quello che appunto lei divulga con tanta convinzione), si rischia la carriera.
Gaia: ho visto anche io in molti PVS, donne e ragazzini (mai un uomo!)che seguivano le vacche al pascolo per raccoglierne il letame. Che poi seccavano ed utilizzavano per cucinare. E anche io raccolgo un po’ di letame durante l’inverno (per l’orto), sotto la tettoia dove le pecore vanno a dormire. Ma non mi sognerei mai di proporre questa soluzione come “alternativa”. Nemmeno per l’agricoltura Bio.
Ecco, bravo, hai capito tutto.
No infatti, non so leggere la frase “Da circa due anni cerco di far capire ad Igor che se produci un 30-40% in meno (di grano, di soia, ecc) per ettaro coltivato con metodo Bio, non puoi limitarti a considerare gli input (e tutti i costi nascosti) per ettaro, ma devi calcolarli per unità di prodotto finale.”. Dopo che le riferisco degli studi sul campo dell’Università di Pisa dei consumi per unità di prodotto finale non so più leggere!
“A quanto ne so” il problema è sempre come sa le cose! Gli unici fanghi ammessi nel biologico sono quelli provenienti da zuccherifici (un sottoprodotto della produzione di zucchero di barbabietola) o che derivano dalla produzione di sale mediante estrazione per dissoluzione (da salamoie naturali presenti in zone montane). Se lei ha veramente le prove di queste cose (immagino come al solito che sarà la misteriosa ‘gola profonda’ senza nome a rivelarle le cose) faccia una denuncia ai NAS invece di perdere tempo con me.
Ma quale rabbia, mi sto diverntendo alla grande a sbugiardarla come esperto di sostenibilità! 🙂 Se veramente la denigro, mi risponda nel merito.
Perché lei invece ha il naso bionico e/o ha fatto studi applicando sensori appositi alle sue coltivazioni per registrare il rilascio di protossido di azoto forse? Perché solo così potrebbe confutare gli esperti. Oppure anche aver lavorato per anni in laboratorio sui processi di nitrificazione, ma ci vorrebbero competenze avanzate in fatto di chimica che lei non ha minimamente
Sulle ‘massime credenziali’ si può discutere, nel senso che è un fisico dell’atmosfera che si è interessato alla formazione di nubi e al comportamento degli aerosol, non mi pare abbia mai studiato il funzionamento complessivo dei meccanismi del clima; comunque sì, si tratta di qualcuno che avrebbe tutti gli strumenti culturali per comprendere la climatologia, non ci piove. In ogni caso, il suo parallelismo con la mia condotta è del tutto insensata perché Prodi non va contro le idee di Igor Giussani, bensì contro quelle che sono le risultanze più avanzate della scienza del clima senza portare evidenze e Igor Giussani si limita a farlo osservare. A questo link https://www.wcrp-climate.org/images/modelling/WGCM/WGCM19/documents/3e_CMIP6_solar_forcing_Dubrovnik102015_final.pdf può trovare tutti le principali modellizzazioni dell’attività solare (pag 9 del pdf) e tutte concordano sul fatto che, se fosse il sole il fattore determinante, allora il global warminga avrebbe dovuto essere più intenso tra gli anni 50 e 800, mentre le temperature medie record sono state ottenute dopo il 2000 cioé in fase di minimo solare.
E c’è una cosa che accomuna lei e Prodi: quando fanno notare al fratello dell’ex premier che tutti gli studi sull’attività solare concordano sul fatto che non può essere lei il driver principale dell’AGW, lui non ha argomenti da opporre, non ha rilevazioni o altre evidenze da presentare, solo il suo curriculum. Si erge ad auctoritas in stile aristotelico né più né meno di lei, che quando gli si fa notare che gli studiosi del campo divergono dalle sue conclusioni replica che lei sa le cose meglio perché le conosce personalmente ma non è capace di replicare nel merito, se non con ‘semplici ragionamenti’ costruiti ad hoc. Anzi, mette addirittura in dubbio la correttezza professionale altrui insinuando che giochino con i numeri per far venire fuori i valori da loro desiderati.
Ma che cosa sono, collaboratori di giustizia?! Mi scusi, ma di fronte a questa risposta posso replicare solo così https://www.youtube.com/watch?v=BwSts2s4ba4
Comunque può darmi i nomi almeno dei due che conosce, le assicuro che non mando dei sicari a casa loro per eliminarli! Voglio solo conoscere le motivazioni alla base dei loro giudizi.
Guardi Burlini, rintracci almeno i due ricercatori di cui sa il nome, e riferisca loro questo: tutti i maggiori soggetti mondiali del settore dell’energia fossile e dell’agroindustria sono alla disperata ricerca da anni di qualcuno che confuti le risultanze della climatologia. Storicamente hanno fatto ponti d’oro per gente che se ne è uscita con solenni cretinate, ha fatto un po’ di capolino sui media e poi è giustamente finita nella pattumiera della storia. Se davvero hanno qualcosa di concreto in mano, si rivolgano a queste entità e sono a posto per la vita anche se la loro carriera accademica andasse definitivamente a puttane per aver osato sfidare il terribile ‘pensiero unico’ della decrescita e della scienza che studia la sostenibilità.
Fuzzy, il letame non può essere nocivo (altrimenti dovrebbe danneggiare anche le praterie e i boschi dove gli erbivori selvatici pascolano naturalmente), ma è vero che esistono vari modi di concimare e il letame è solo uno dei tanti.
L’interramento di sostanza organica provoca putrefazionei con conseguenti
formazioni di composti, anche gassosi, molto tossici per le radici delle piante e per i microrganismi aerobi.
Questo nel caso si intenda favorire la presenza di microrganismi, che rappresentano la base della fertilità naturale del suolo.
Insomma, sintetizzando parecchio, nel suolo sono presenti dai 20 ai 200 kg di protozoi per ha, dai 1000 ai 15000 kg di funghi per ha, dai 1000 ai 15000kg per ha di batteri. Più una massa enorme di decompositori primari. Tutti hanno bisogno di aria. Se interri del letame li disturbi. Se nel tuo terreno ne favorisci al massimo la presenza, una volta terminato il proprio breve ciclo di vita, questi organismi lasciano nel terreno i propri resti e quello sarà il materiale organico.
In più aggiungi la capacità dei funghi simbionti di assimilare i nutrienti del suolo attraverso la rete fungina che si estende ben oltre l’orizzonte delle semplici radici delle piante e di cederli alle piante con cui hanno instaurato il rapporto di simbiosi e il gioco è fatto.
Io, ho messo in pratica e ti posso confermare che non sono fantasie.
Tutto ha avuto inizio con Fukuoka, In Italia abbiamo Manenti e Cappello.
I loro terreni sono stati oggetto di studio. Manenti ha pubblicato gli studi fatti dall’Università di Torino e dal CNR nel suo libro. Cappello lo trovi su you tube con un milione di visualizzazioni.
Non rileggo perché sto uscendo.
Batteri 400-5000kg/ha
Ma infatti non si interra letame fresco. Lo si può lasciare maturare o depositare sul suolo lasciano che si decomponga in superficie.
https://logicobio.net/2021/06/27/il-metodo-manenti/
Si, ma credo proprio che Manenti si riferisse al letame maturo.
Altrimenti la fertilizzazione dell’orto biologico può essere fatta in vari modi, ma c’è da diventar matti.
Letame, compost, stallatico, erbaio da sovescio, paglia e stocchi di mais…. sopra, sotto…
Il metodo di Manenti è molto più semplice e comporta pochissimo lavoro.
Arieggi il terreno nel momento dei trapianti e contemporaneamente togli l’erba. Poi lasci stare tutto e quando lerba sarà ricresciuta, la pianta avrà già preso un vantaggio, dopodiché solo nel caso che l’erba tolga luce alla pianta, la tagli e la lasci sul terreno a mo’ di pacciamatura.
È importante non compattare mai il terreno, perché appunto deve essere “arieggiato” se interri qualsiasi sostanza organica, non solo letame, ma anche piante da sovescio ecc, interrompi tutto il processo.
Una cosa di cui mi sono reso conto solo fi recente è che in questi metodi naturali l’erba è presente praticamente sempre.
E l’erba è uno degli strumenti che la Natura usa per rigenerare la fertilità del terreno.
Igor, ancora una volta travisa quanto ho scritto. Le faccio notare che le due conferenze a cui ho partecipato erano sul clima. In entrambe dati ed argomentazioni sono state del tutto “ortodosse” e tra le varie cause dell’AGW è stata tirata in ballo la solita colpa dei peti dei ruminanti. Già il fatto che tutti e tre credessero che i ruminanti emettano il metano dal di dietro invece che dal davanti la dice lunga della loro competenza. Lo stesso errore lo fece Pallante ad un’altra conferenza. Alla fine, giunti al momento delle domande, per ultimo commentai che ero d’accordo su tutto quello che avevano detto, eccetto questo singola colpa: la responsabilità dei ruminanti. In entrambe le occasioni sono stato l’unico ad eccepire qualche cosa. Tutti gli altri discenti erano d’accordo su tutto. Essendo persone intelligenti, invece di liquidare la questione come un fastidio, mi hanno chiesto di sviluppare meglio la mia idea. L’ho fatto, ma solo in separata sede, visto che gli altri erano stanchi e l’ora tarda. Uno l’ho convinto già durante la stessa serata. Ricordo anche di aver usato l’esempio della pioggia che cade su un lago e non ne alza il livello perché evapora.
Gli altri due sono rimasti invece scettici fino all’ultimo. Evidentemente gli sembrava impossibile che si fossero sbagliati fino a quel momento. Mesi dopo ho ricevuto la mail in cui mi davano ragione. Ripeto: solo su quell’argomento, dato che non avevo mai messo in discussione tutto il resto. Come lei invece mi accusa continuamente di fare. Il quarto invece insegna in una università di Agraria e si occupa di tutt’altro che del clima, ma anche lui, come vuole la vulgata ufficiale, durante una serata conviviale ha accennato al metano dei bovini, citando a memoria tutta una serie di dati. Con lui ho invece usato l’esempio dei ruminanti (selvatici o domestici) che avessero aggiunto ogni anno un po’ di metano in atmosfera avrebbero dovuto aver già cambiato il clima già migliaia di anni fa.
Tutti hanno accettato la mia argomentazione perché da persone intelligenti hanno capito che non cambia praticamente nulla sulle vere cause dell’AGW. Cambiano semmai le azioni per mitigarne in fretta gli effetti ed è qui che vengono fuori gli interessi di parte.
Non mi costerebbe nulla darle i loro nomi (magari avrebbero anche modi ed argomentazioni migliori delle mie per convincerla), ma non mi fido, perché li esporrebbe la pubblico ludibrio come sta facendo con me, pubblicando continuamente il mio cognome. E non li invito nemmeno a rivolgersi a quelle istituzioni a cui lei accenna allo scopo di diventare famosi. Non credo, anzi sono sicuro che siano così meschini.
Continuo invece a constatare che anche stavolta si è rifiutato di fare quel semplice calcolo. E dire che non le porterebbe via più di 15-20 minuti. Se è così sicuro che abbia torto perché non ne approfitta?
Per favore, non mi attribuisca colpe per le sue strategie dialettiche. Già il suo argomentare per aneddoti personali (e quindi inconfutabili per principio) aveva raggiunto da tempo il parossismo, ma con ‘ho ragione io perché ho convinto quattro sconosciuti’ abbiamo definitivamente raggiunto l’apice. Capita spesso di confrontarsi con persone che la pensano anche molto diversamente e i toni possono diventare accessi, ma ci si confronta su dati e fonti. Proprio perché se non altro queste persone un confronto lo cercano e quindi cercano un punto di contatto con qualcosa di condivisibile con il proprio interlocutore, cosa che non può essere ovviamente una conversazione con sconosciuti.
Lei invece non cerca un confronto, cerca solo lo scontro personale per dire ‘io penso con la mia testa e non seguo la roba di altri’, ‘io conosco direttamente le cose’, ecc. Questo è un tipico comportamento da hater del Web.
Io rispetto le persone se dimostrano a loro volta rispetto verso di me.
Sulla questione del nominarla per cognome, è stato lei a palesarsi, non ho fatto indagini al riguardo quindi non ho violato nessun obbligo derivante dal rispetto della GDPR. Non avrei problemi a rispettare lo scrupolo dell’anonimato (per quanto rivelato) se a mia volta venissi rispettato: ma lei è dall’inizio che mi dipinge come un saccente fanatico di non si sa che cosa. In qualsiasi altro blog sarebbe già stato bannato da tempo, lei non ha mai apprezzato il fatto di aver sempre pubblicato qualsivoglia sua uscita denigratoria verso di me. Anzi, una volta mi ha parlato di un inesistente ‘diritto di partecipare al blog’, quando il blog è casa mia e i commentatori sono ospiti, e così come lei a casa sua decide chi far venire a cena io posso scegliere in modo del tutto arbitrario chi far commentare. Si è sempre approfittato di questa mia liberalità.
Quindi sì, io faccio il suo cognome e lei si assume la responsabilità dei suoi comportamenti.
Volessi esporla davvero al pubblico ludibrio, girerei il dito sulla piaga su cose come come avermi detto di aver parlato con un inesistente ministro uruguayano donna della dell’agricoltura, mentre concedo che possa aver fatto confusione con qualche altro tipo di figura (sottosegretario, presidente commissione parlamentare, ecc.)
Un climatologo che deve studiare l’effetto del metano in atmosfera deve sapere come questo si comporta e le quantità emesse dai ruminanti, poi potrebbe anche pensare che esce dagli occhi e non cambierebbero molto le cose.
Direi che si può facilmente evincere il livello di competenza in climatologia di chi si fa convincere da esempi simili. Tra l’altro, se il ciclo di sequestro del metano e degli altri gas serra fosse simile all’evaporazione dell’acqua, di fatto non ci sarebbe alcun problema di concentrazione eccessiva.
Non so dove e come avrebbe capito che io la accuserei di mettere in discussione ‘tutto il resto’. Mi trovi dove l’avrei definita un negazionista climatico.
Quindi la sua opinione vale come il due di picche a briscola. Di sicuro il fatto che si sia ‘convinto’ di per sé non può confutare quella che lei chiama in modo dispregiativo ‘vulgata’ (cioé il corpus degli specialisti del settore).
Se lei pensa che io sia una persona moralmente così abietta se ne stia ben lontano dai miei spazi Web. Finché gli epiteti erano ‘vispa Teresa’, ‘credente’ o cazzate varie ci passo anche sopra, ma raffigurarmi come un tale mascalzone proprio no.
Ecco la tattica che faceva notare Gaia, quando è stroncato su tutta la linea si mette a parlar d’altro… io non faccio calcoli che non so fare e, sui quali, francamente, ho seri dubbi anche sulle sue capacità, ho la netta impressione che esageri l’apporto del letame necessario. Tra l’altro, anche le fonti antibiologico (tra cui un contenuto di Guidorzi che mi linkò mesi fa), pur ripetendo spesso alcune sue argomentazioni, non muovono mai questo sospetto. Anche loro non lo fanno perché hanno paura delle ritorsioni dei paladini del ‘pensiero unico’?
Le propongo questo: faccia lei il famoso ‘calcolo’, lo pubblichi qui spiegandolo passo per passo. Poi magari cerco un agronomo competente in materia e glielo sottopongo. Se come dice lei non potra via più di 15-20 minuti non mi pare di chiederle chissà quale sforzo.
Comunque tutto questo è significativo del suo modo di fare: nell’articolo si parlava del global warming e si sarebbe dovuto commentare al riguardo. Ovviamente, se il ‘trust di cervelli’ che le darebbe ragione lo mette al programma di protezione testimoni per proteggerli da mie presunte ritorsioni non si può discutere di alcunché. Quindi tira fuori questa cosa del letame 90% in deroga nel biologico, che non c’entrava nulla. Questo perché per lei non si tratta di un confronto ma di una guerra per sputtanare il presunto nemico (che, per la cronaca, finisse il biologico domani proseguirebbe la sua vita industurbato, abitudini alimentari). Una roba folle.
Comunque, ribadisco: mi faccia il piacere di prendersi i 10-15 minuti per pubblicare il famoso ‘calcolo’ con le dovute spiegazioni, grazie.
Gaia: lo so benissimo che Bio e vegetarianesimo sono cose diverse. Se hai letto bene le accomunavo solo per il fatto che per fortuna sono scelte di una minoranza privilegiata. Libere scelte ovviamente, ma al pari delle auto elettriche o dei No-Vax, hanno dei limiti, oltre i quali cominciano a condizionare gli altri.
https://en.wikipedia.org/wiki/Vegetarianism_by_country
La più alta percentuale di vegetariani si troverebbe in India, uno dei paesi con più poveri al mondo. Siccome, soprattutto in un clima caldo, essere vegetariani costa meno che mangiare carne e pesce, non direi che si tratta di una scelta da ricchi. Chiaro, in climi freddi è un lusso avere frutta e verdura fresca in pieno inverno, ma proprio per questo la questione non si può semplificare dicendo che i vegetariani sono tutti dei privilegiati. Dipende dove vivono e cosa mangiano. Credo che ovunque comunque i legumi siano mediamente più economici della carne.
In “Buono da mangiare”, Marvin Harris argomenta addirittura che le vacche sacre in India non c’entrino in realtà nulla con la religione (non sono in grado di fornire prove a memoria, ma lui ne dà), ma siano una risposta alla diminuzione di risorse disponibili dovuta alla crescita demografica, per cui se tutti avessero mangiato tanto manzo come prima non ce ne sarebbe stato a sufficienza.
Un libro estremamente interessante, tra l’altro.
https://energiaoltre.it/il-petrolio-recuperabile-nel-mondo-e-inferiore-del-9-rispetto-allo-scorso-anno-una-minaccia-alla-sicurezza-energetica-globale/
Attualmente si brucia una quantità maggiore di carbone a causa della crisi del gas russo.
Ma senza petrolio pure estrarre e trasportare il carbone diventa arduo.
C’è questa analisi di Rystad Energy secondo me molto interessante che riguarda il calo delle riserve globali di petrolio recuperabili che pare sia in atto da circa tre anni.
A questo punto se ho capito bene, il problema si sposta più sulla sicurezza energetica che sul clima
“Le più ampie implicazioni climatiche del petrolio recuperabile totale sono ampiamente positive. Se tutto il petrolio recuperabile rimanente dovesse essere bruciato immediatamente, l’impatto del riscaldamento globale sarebbe +0,25˚C, basato su 350 kg di CO2 per barile e +0,1˚C di riscaldamento per 220 Gt di CO2 emessa, ha spiegato Rystad Energy. Tuttavia, solo il 35% delle emissioni di carbonio di quell’olio sarebbe ancora nell’atmosfera nel 2100, poiché ci vogliono 80 anni perché la CO2 venga rimossa naturalmente dall’aria. Inoltre, non tutto il petrolio viene bruciato per produrre energia; ad esempio, il carbonio nella plastica viene rilasciato nell’atmosfera solo se incenerito”.
Se così fosse, forse il male peggiore potrebbe essere scampato?
Domando eh! Non vorrei sembrare uno che presume di conoscere questa materia così ostica.
https://youtu.be/ipGA4RYmPek
Apparentemente non c’entra niente.
Sono i miei personali dubbi sulla scienza. Difficile dubitare della scienza.
Difficile non dubitare della scienza.
Gran parte delle riserve di petrolio e altre risorse rimarranno sottoterra perché antieconomiche nonostante l’onda inflattiva. Scommeterei sul fatto che nel 2019 sia stato raggiunto il picco globale di consumo petrolifero.
E l’esplorazione dell’Artico, antieconomico anche lì, una volta sciolti i ghiacci? (Lo spero, ma non ne ho idea)
Credo che con lo scioglimento dei ghiacci diventi ancora più difficile compiere estrazioni
I Sauditi ammettono finalmente che c’è un limite massimo alla loro produzione (ed è comunque una stima molto ottimistica):
https://www.washingtonpost.com/business/energy/saudi-arabia-reveals-oil-output-is-near-its-ceiling/2022/07/20/eff7aff6-081b-11ed-80b6-43f2bfcc6662_story.html
Fuzzy, a me non piacciono gli assolutismi: questo fa sempre male, questo funziona sempre…
Io provo vari sistemi per vedere cosa va meglio secondo i miei personali parametri e obiettivi, cercando di essere onesta con me stessa. Siccome io aspiro a coltivare con meno input esterni possibile, mi sono accorta che due variabili incidono tantissimo: una è la fertilità della terra (ovviamente), e l’altra è il clima. Un metodo che funziona in certi tipi di terreni o climi può essere disastroso in altri.
Negli anni scorsi ho provato a fare più o meno come descrivi, ma così in montagna ti riempi di erbacce in maniera ingestibile e non raccogli niente; alla pianta non ci arrivi nemmeno. Devi continuare a diserbare abbastanza regolarmente.
Quest’anno a Udine è tutto diverso, ma sto coltivando un terreno estremamente povero in un’estate straordiariamente secca, e per di più sto usando una pacciamatura molto abbondante che è capitata qui per caso e in che montagna non avevo (il contadino vicino ha sparpagliato paglia dappertutto).
A me i guru dell’agricoltura con i loro metodi infallibili danno parecchio fastidio; uno faccia ciò che vuole se non fa danni, ma non abbia la presunzione di pensare che tutti gli altri sono stupidi se fanno diversamente.
Beh, assolutismo…io sono partito a far l’orto con il sistema tradizionale. Ho usato persino la pollina. Una fatica da cani per risultati scarsi, perché il mio terreno era il peggiore che si potesse immaginare. Negli anni 50 ci passava una ferrovia. La prima volta che è stato dissodato è venuto un muratore col martello pneumatico. Poi ho iniziato a tempo perso a fare esperimenti compreso questo metodo Manenti e anche il metodo Cappello. Anche in questo caso niente miracoli. Infine ho provato ad incorporare sabbia di fiume.
A dire il vero avrei dovuto farlo molto prima. Subito è cambiato tutto. E così sono arrivato tramite vari adattamenti al mio attuale orticello da cui ottengo una produzione ‘normale’ con poca fatica.
Niente di che.
Guarda che il terreno troppo compatto non sia anche il problema del tuo orto.
La fertilità si viene a creare nel tempo sempre che nel terreno siano presenti microrganismi. Sono dei tipetti che non
amano essere disturbati appunto da interramenti, arature, ristagni e così
via. Così funziona la Natura.
Sì, ma io sono contraria a mettere sabbie, argille, calci, torbe, ecc, perché alla fine si tratta di materiale geologico che ha impiegato milioni di anni a farsi e non mi sembra giusto prenderlo e portarlo via come niente fosse (oltre al grosso impatto ambientale). Per cui preferisco modificare il terreno lentamente.
Comunque la variante clima è fondamentale. Tanti parlano di diserbo come se fosse un capriccio, ma purtroppo è necessario, soprattutto in certi casi.
Segnalo questo nuovo articolo su Nature sui limiti della crescita:
https://www.nature.com/articles/s41567-022-01652-6.epdf?sharing_token=yNwL92oPzcpklZSqVsr-ndRgN0jAjWel9jnR3ZoTv0N0u2htmeT1Hou6SrdtT_vjhsjDi8mPyrY6gILuO1cIPYM5r9vTrCV6dFSGWkHiq63t24rvELuWNN1w82farMIezAYiWj7ialZ8KkzI_SEgHP98WBPRE6PFu8lx9H4EP5A%3D
Interessante, grazie per la segnalazione
Igor: ho deciso di accettare la sfida e di fare io il calcolo, ma per una volta ha perfettamente ragione: è difficilissimo reperire dati attendibili e capirci qualche cosa. Da più di un’ora sto cercando informazioni, ma o sono dati vecchi, oppure non indicano la tipologia di allevamento. Un conto è un allevamento di bovini Bio stabulati ( e cioè l’unico da cui si ricava letame) ed un conto è uno di bovini al pascolo.
Anche un’istituzione come l’ISTAT, dà i numeri. Basta considerare questa.
http://dati-censimentoagricoltura.istat.it/Index.aspx?DataSetCode=DICA_ALLEVAMENTIBIO
Dove il numero totale degli allevamenti indicato è ben diverso dalla somma di questi allevamenti.
Nonostante l’ora tarda, poco fa ho chiesto lumi ad un amico conosciuto al corso per Certificatore Bio che ho fatto alla BIOSS di Marostica. Di solito è uno bene informato. Tra l’altro gli ho chiesto dell’uso del compost, e mi ha confermato che è concesso dal regolamento Bio.
https://www.ccpb.it/blog/2016/05/06/uso-agricoltura-biologica-compost-digestato/
Lo so bene perché il mio vicino produttore di kiwi Bio, ne ha una montagna a pochi metri dai miei campi.
All’amico certificatore ho chiesto quanti bovini e maiali secondo lui sono allevati con metodo Bio intensivo: secondo lui non più del 10% dato che la maggior parte degli allevamenti Bio sono concentrati nelle regioni del Sud ed isole, dove si pratica soprattutto la pastorizia. Personalmente conosce solo 6 allevamenti intensivi di bovini in Veneto. Due di questi li ho visti anche io. A proposito di intensività, il regolamento UE del Bio indica 6mq per ogni vacca come condizione di benessere. Il mio amico allevatore di vacche (non BIO) ne mette a disposizione quasi 9.
Dei 222.000 bovini allevati con metodo Bio (dato ISTAT), solo 22.000 sarebbero quindi in grado di fornire letame alle 69.000 aziende BIO italiane e ai 2 milioni di ettari certificati Bio. Facciamo pure che il mio amico si sbagli e che gli allevamenti intensivi siano il doppio o il triplo, ma certo non bastano.
Situazione analoga per le 3.500.000 galline Bio e cioè la stragrande maggioranza dei 4.800.000 capi di animali Bio. Il mio amico conosce solo 8 allevamenti Bio intensivi (con almeno 3000 galline) e cioè gli unici in grado di fornire pollina. La stragrande maggioranza degli allevamenti Bio di galline ovaiole sono infatti nella fascia di 50-250 galline (per questi non serve l’etichettatura e possono vendere direttamente al pubblico)) e quindi non certo di grado di produrre e commercializzare grosse quantità di pollina. Io ne conoscevo uno (nel mantovano) da 18.000 capi: sei componenti della famiglia, ciascuno titolare di azienda Bio. So che almeno due o tre sono nel frattempo morti, per cui la consistenza è diminuita. Non prendo nemmeno in considerazione cavalli, pecore, capre e maiali, perché tutte specie che pascolano su grandi spazi e quindi niente letame da vendere ad aziende agricole Bio.
A proposito, poco fa mi sono imbattuto in questo articolo di un sito animalista.
https://www.essereanimali.org/2019/07/allevamenti-biologici-non-sono-sostenibili/
L’avessi scritto io, avrei fatto anche meno errori, ma sarei stato coperto di contumelie.
A proposito di allevamenti Bio di galline, racconto un episodio significativo. Per anni sono stato socio Slowfood (Socio Sapiente), ma vedendo le cose dall’interno, non ho rinnovato la tessera. Ho continuato però ad essere iscritto al blog. Il gestore, un giorno ha linkato il video fatto da un gruppo di animalisti emiliani che sono entrati di nascosto in 23 allevamenti di galline. Con sorpresa anche per loro, gli allevamenti peggiori per il benessere delle galline erano quelli Bio: il filmato era agghiacciante. Non per me, perché ne ho visti anche di peggio. Vista l’incredulità del gestore, scrissi le motivazioni scientifiche (etologiche) per cui quelle povere galline erano ridotte così male. Incuriosito volle saperne di più, mi scrisse e mi telefonò e gli spiegai ancora meglio le ragioni, ma gli consigliai di chiedere ulteriori informazioni ad un ricercatore spagnolo che aveva indagato appunto sulle condizioni di benessere di quattro diverse forme di allevamento (intensivo e cioè migliaia di galline chiuse in un capannone) ed aveva riscontrato, analizzando gli ormoni dello stress, che le galline nelle condizioni peggiori erano appunto quelle allevate secondo metodo Bio. Purtroppo per lui lo fece, ne parlò in redazione e fu rimosso dall’incarico. Questo per ribadire il concetto su chi osa discostarsi/mettere in dubbio il Pensiero Unico.
Spero che nessuno si sorprenda sull’esistenza degli allevamenti intensivi Bio di galline: da dove verrebbero i milioni di uova commercializzati con etichettatura Bio? Dai piccoli allevamenti rurali con poche decine di galline che razzolano nei campi?
Mamma mia come possono cambiare radicalmente le cose nel breve giro di una giornata! 🙂 Fino a ieri non si esprimeva così su questo benedetto calcolo, riporto le sue ipsissima verba: “Continuo invece a constatare che anche stavolta si è rifiutato di fare quel semplice calcolo. E dire che non le porterebbe via più di 15-20 minuti”.
Comunque, lo ribadisco per l’ennesima volta, per me non si tratta di alcuna ‘sfida’, semplicemente siccome me la mena da mesi con questa cosa (sempre per sconigliare da questioni in cui non riesce ad argomentare) e ho voluto darle la possibilità di svelarci nel dettaglio questa sua presunta verità. Comunque, anche se scoprissimo che il 100% del letame del biologico italiano proviene da allevamenti intensivi, non è che magicamente l’agroindustria smetta di provocare gravi danni ecologici o di dipendere da materie prime non rinnovabili.
Fino a ferragosto voglio staccare con tutto, blog compresi, poi al ritorno quando mi gira cercherò qualche esperto del settore e gli girerò le sue valutazioni, per trovare qualcuno disponibile mi sa che dovrò aspettare almeno fine agosto-inizio settembre. Intanto magari gente che segue il blog che è più dentro le questioni agricole, come Gaia o Fuzzy, potranno magari già esprimere qualche valutazione.
Io non conosco direttamente la questione, però so che nel Veneto i piccoli allevatori hanno la necessità di smaltire il letame ( quello che si ottiene mettendo la paglia sotto le mucche e poi lasciando maturare il tutto) ma non sempre si tratta di una cosa facile, perché spesso è troppo. Allora capita che i residenti vicino ai campi chiamino i vigili e che questi facciano riferimento a una normativa specifica che è mirata a limitarne l’utilizzo nei campi.
Per quanto riguarda i grossi allevamenti intensivi, questi non dispongono di terra e la quantità elevata di deiezioni prodotte pone problemi di inquinamento e degrado ambientale. Questo ho trovato scritto nel testo “Microbiologia ambientale” di Bruno Biavati e Claudia Sorlini (un testo universitario)
Parte di queste deiezioni vengono compostate.
https://ilfattoalimentare.it/deiezioni-inquinamento.html
Ma insomma, non è un segreto. Mi meraviglio (si fa per dire) che in certi ambiti ci si faccia vanto di ciò che in realtà sarebbe un problema.
La malnutrizione in india
L’India sta seguendo una dieta povera – GNR 2021 ha riportato un confronto tra l’assunzione dietetica di alimenti e nutrienti chiave tra gli adulti di età pari o superiore a 25 anni con gli obiettivi minimi e massimi. I dati hanno rivelato che, fatta eccezione per i cereali integrali, gli indiani adulti non soddisfano l’obiettivo dietetico raccomandato per i gruppi alimentari essenziali, determinato dalla commissione EAT-Lancet sulle diete sane da sistemi alimentari sostenibili. La dieta indiana è significativamente povera di frutta, verdura, noci, pesce e latticini che sono fondamentali per una crescita, uno sviluppo e una prevenzione ottimali delle malattie non trasmissibili.
https://www.orfonline.org/expert-speak/global-nutrition-report-2021/?amp
In genere, mi pare di ricordare, una delle maggiori cause di malnutrizione nel mondo è dovuta alla difficoltà
di mettere insieme le famose 5 porzioni di frutta e verdura giornaliera.
Nei vegetali sono presenti Vitamine (A, C e Acido folico)
Minerali (Ferro e Calcio) Antiossidanti ( contro cardiopatie, cancro e altre malattie) Fibre (salute dell’intestino e riduzione colesterolo).
E comunque direi proprio che in 8India le mucche non mancano. Si utilizzano, credo per il latte.
Mi permetto per ora solo di far notare che i Dati del Censimento agricoltura ISTAT 2010 sulla zootecnia biologica, che mi pare siano stati impiegati da lei per il suo calcolo, riportano numeri nettamente inferiori (40% o giù di lì) rispetto a quelli forniti da SINAB sul contesto attuale (https://sinab.it/sites/default/files/2022-07/Agricoltura_biologica_Overview_2022_040722_DEFINITIVO.pdf). E nel 2010 la SAU biologica italiana era circa 1,2 milioni di ettari. Inoltre, il 30% circa della SAU attuale è formata da prati, pascoli e terreni a riposo, che immagino non necessitino di alcuna concimazione.
Gaia: mi riferivo ovviamente solo al mondo occidentale. Sono stato in India solo una volta per lavoro, per due giorni e quindi non posso dire di conoscerla bene come l’Africa, il Vicino Oriente o l’America Latina. In queste tre aree non ho mai conosciuto un vegetariano per scelta, ma solo per costrizione. Come lo sono la maggior parte degli indù. Che (almeno le caste più elevate) si astengono dal consumo di carni bovine, ma non disdegnano quando possono la carne di pollo, tacchino, pecora o capra. I dalit/paria, così come i 200 milioni di mussulmani indiani ne approfittano e mangiano anche carni bovine. I miei tre amici indiani (conosciuti tutti fuori dell’India) appartengono a famiglie benestanti e ti assicuro che mangiano molta più carne di me. Compresa la carne bovina. A casa loro forse si astengono. Comunque è vero che in India si ha il minore consumo pro-capite di carne per anno (circa 5 kg), ma è altresì vero che hanno anche il maggior numero di persone (250 milioni circa) che soffrono di malnutrizione: più di tutta l’Africa. Un quarto delle persone denutrite nel mondo vive in India. Nove donne incinte su dieci (di età compresa tra i 15 e i 49 anni) soffrono di malnutrizione e anemia. Più della metà dei bambini sotto i cinque anni è malnutrita o soffre di nanismo. Secondo te perché?
Oltre al libro di Harris (anche per me un ottimo libro!) ti consiglio di leggere anche il mio: “Gli animali domestici nella storia” Cierre Edizioni. Dove parlo anche della vera origine dei tre principali tabù alimentari: carne di maiale per ebrei e mussulmani; carne di bovino per indù e carne di cavallo per cristiani soprattutto del mondo anglosassone. Tutte e tre hanno connotazioni religiose, però, soprattutto le prime due hanno una sicura origine da ragioni più prettamente economiche. Colgo l’occasione per vantarmi di essere stato il primo al mondo (la data di pubblicazione -2008- del mio libro lo testimonia. Per dire, N. Russel afferma lo stesso solo nel 2012) ad ipotizzare le ragioni/primum movens della domesticazione degli animali: motivazione sacrale e non pratica come si pensava. Tesi che molti altri (la maggior parte senza citarmi, ma essendo un perfetto sconosciuto nel mondo dell’antropologia/zooarcheologia, non me la prendo) ora sostengono. Anzi è oramai la tesi dominante.
Mi scusi contestarle la primogenitura di questa ipotesi ma prima di lei l’aveva già espressa Lewis Mumford, non ricordo più se in Tecnica e Cultura o Il mito della macchina. Quindi negli anni 60 del 900.
Su questa cosa delle galline traumatizzate dal fatto di vivere in allevamenti biologici ho già risposto in un’altra discussione; continuavi a ripetermi le stesse cose senza rispondere alle mie obiezioni, per cui non ho intenzione di ripetere tutto da capo. Chiunque allevi animali dovrebbe sapere che per stare bene hanno tutti bisogno di spazio per muoversi, di un po’ di libertà, e di potersi pulire e alimentare naturalmente. Queste sono condizioni necessarie, non sufficienti, per avere un buon livello di benessere.
Riguardo alla storia del letame, io non capisco il senso di questo famigerato “calcolo”. Presuppone due cose sbagliate: una, che si possa concimare solo con il letame (già solo questa discussione è piena di esempi alternativi); due, che solo il letame di allevamenti intensivi vada bene. A parte il fatto che come ho già detto si può raccogliere il letame dal pascolo, non sono solo gli allevamenti “intensivi” che usano le stalle o concentrano gli animali in un posto almeno ogni tanto. Ci sono le malghe, i piccoli allevamenti familiari, i maneggi, anche gli allevamenti con pascolo in cui gli animali vengono radunati per essere munti, o tenuti al chiuso quando sono giovani, eccetera. Si usa il letame, infatti, da molto prima che si sviluppassero gli allevamenti mostruosi che ci sono adesso. Quindi non capisco perché insisti tanto su questo punto.
Infine, fosse pure vero che le aziende biologiche ritengono di non avere alternativa al prendere quel letame lì perché è il più abbondante tra quelli disponibili, non vedrei chissà che scandalo. A meno che questa simbiosi non sia il fattore principale che mantiene in vita l’allevamento intensivo (e non lo è), una volta che questi allevamenti ci sono comunque e in qualche modo quel letame lo devono smaltire, meglio che lo prenda un’azienda biologica (se autentica) che opera bene, piuttosto che un’altra azienda industriale.
A me sembra un pretesto per criticare una cosa che si potrebbe criticare da altri punti di vista, ma non certo da questo.
Ti ringrazio Gaia per l’intervento. Contrariamente a quanto pensa Francesco, io evito di avventurarmi in cose che conosco poco. Quindi, se non ho problemi a espormi riguardo alla sostenibilità, per questo tipo di ‘calcolo’ procedo con i piedi di piombo. Sto consultando questo articolo di Vita in campagna http://www.ediagroup.it/ita/Riviste/Vitincam/home_consigli/pdf/letame-corretto-impiego.pdf che sembra riportare alcune cose interessanti. Secondo questa fonte, ad esempio:
– si può utilizzare anche il letame di animali a pascolo, proprio perché la notte verranno presumibilmente ricoverati (e non credo che, alla maniera dei cani domestici ammaestrati, aspettino di tornare al pascolo la mattina per fare i bisogni). Quindi anche senza voler raccogliere deiezioni direttamente dal pascolo puoi ottenere letame.
– il letame da equini e ovini si usa eccome.
Anche questa storia del letame da allevamenti intensivi mi suona strana perché sapevo che, per quanto concerne bovini e suini, per le condizioni in cui sono stabulati, si possono ricavare al più liquami. Che hanno anch’essi un potere fertilizzante ma nettamente inferiore al letame, per quanto ne so.
https://www.compost.it/il-compost-e-il-marchio-compost-di-qualita-cic/cose-il-compost/
Sono considerati rifiuti, non letame.
Vengono compostati. Vedi
Ammendante Compostato Misto (ACM).
Se guardiamo a strutture reali, in quella di Sant’Agata Bolognese che l’amministrazione capitolina cita come esempio da imitare, la produzione di «ammendante compostato misto» (Acm) è inferiore al 14% di quanto ricevuto in input, secondo il Rapporto Rifiuti Ispra 2021. E non viene indicato, nel succitato rapporto, il destino del 44% (58.761 t/anno su 132.214 t/anno di rifiuto in entrata) classificato come scarto: probabilmente discarica o inceneritore
https://www.associazioneitalianacompostaggio.it/2022/05/14/compost-la-soluzione-e-naturale/#more-1349
Non ben capito, ma insomma, da una parte viene fuori il compost e dall’altra una parte di scarto che finisce negli inceneritori.
Se poi nel bio si utilizza questo compost è arduo saperlo.
Gaia, a quanto vedo non frequenti molto dei veri allevamenti e cioè quelli che forniscono il 99% del latte (e conseguente materia prima di tutti i prodotti caseari) consumato in Italia. Già ne importiamo quasi la metà. Innanzitutto tengo a precisare che le condizioni di benessere attuali delle vacche sono nettamente migliori delle loro antenate di 40-50 anni fa. Ho fatto ora a vedere anche io le vecchie stalle dove le vacche restavano perennemente incatenate alla mangiatoia. Ora possono vagare su ampi paddock sia all’aperto che al chiuso. Gli allevatori hanno cambiato metodo perché hanno capito che vacche più libere sono più sane e producono più latte e di qualità migliore. E loro lavorano anche meno. Per le lettiere degli spazi chiusi si usa ancora molta paglia e segatura e questo costituisce il vero letame Una parte delle deiezioni (soprattutto negli spazi aperti ) sono liquide (feci mescolate ad urina ed acqua piovana). La maggior parte delle deiezioni liquide (almeno il 90%) provengono da allevamenti di vitelloni (di razze francesi) e suini. Ed è vero che questo genere di fertilizzante organico è pessimo per mille ragioni: le vasche di raccolta emettono quantità industriali di gas serra; puzzano quando vengono sparse (aerosol mefitici) e percolano facilmente nei corsi d’acqua. Personalmente abolirei volentieri questo genere di allevamenti intensivi, (privilegerei l’aumento di quelli di vacche da latte) soprattutto in Pianura Padana che ne ha troppi. Purtroppo uno dei dogmi più diffusi del Pensiero Unico è la maggiore qualità delle produzioni italiane, comprese le materie prime. La maggiore qualità si vede nel prodotto finito, (prosciutto, salame, formaggi, bresaola) che è frutto di una tradizione e knowhow insuperabile. Non importerebbe niente che le cosce del prosciutto provengano dal Brasile o dall’Argentina. Si avrebbe un triplice beneficio: si eviterebbe di asportare continuamente dai terreni di quei paesi macro e microelementi essenziali esportando cereali e soia; si diminuerebbe in questi paesi il consumo di concimi chimici sostituendoli con fertilizzanti organici e si eviterebbe da noi un eccessivo carico di azoto e di altri inquinanti. E’ si questi punti che bisogna battersi per ridurre quei costi nascosti di cui (anche giustamente) insiste Igor. Purtroppo puntando il dito dalla parte sbagliata.
Ho insistito sulla questione fertilizzanti semplicemente per sottolineare una (e solo la prima di una lunga serie) delle contraddizioni del Bio, che nei fatti è una “alternativa” fasulla perché produce soprattutto i cibi più facili da produrre e non sa rispettare nemmeno il primo requisito del suo disciplinare: mantenere autonomamente la fertilità del suolo. E quindi ricorre a tutta una serie di deroghe, come appunto l’uso del compost, che tanto scandalizza Fuzzy.
A proposito, crederò alle sue “alternative” quando finalmente mi (ci) darà l’indirizzo di una azienda agricola che produce (nel senso che mette in vendita quantità considerevoli di prodotto) ottenuto con questi metodi.
Comunque, sono decisamente contrario al Bio, non a causa di queste i sotterfugi, furbizie, truffe, (quelle ci sono in molti altri settori), ma come ambientalista (vero) per quattro ragioni: è stata una delusione (fino a 20-25 anni fa ci credevo anche io): mancanza di sostenibilità e (come veterinario) di crudeltà nei confronti degli animali. La quarta è troppo complessa da spiegare.
Ammetto che la mia è una causa persa. A sostenere/promuovere il Bio c’è la più grande armata di multinazionali del commercio della storia. A partire dall’indiscusso boss del commercio mondiale, quel Jeff Bezos che oltre ad Amazon, possiede le due più grandi aziende al mondo nella produzione e commercio di prodotti Bio. Per non parlare di colossi come Auchan, Carrefour, Ikea, ecc. ecc.
Allora, due cose:
1. chiariamo bene una cosa su questa ‘sfida’ dei miei stivali… esistono tutta una serie di fertilizzazioni alternative al letame previste dal disciplinare biologico, che quindi non sono deroghe. Lei mi ripete da due anni che il 90% del letame usato nel biologico proviene da allevamenti intensivi, che è tutta un’altra cosa ed questa la ‘deroga’ su cui ha sempre insistito. Ad esempio, scrive il 7 luglio 2021 commentando un mio pezzo su DFSN: “Attualmente il 91% del fertilizzante organico usato nel Bio italiano proviene (in deroga) da allevamenti tradizionali” (link al commento http://www.decrescita.com/news/oltre-il-nimby/)
2. Ho l’impressione che lei, riguardo all’odiato biologico, sia rimasto fermo a 25 anni fa e si sia aggiornato poco. Perché mi ha lasciato abbastanza perplesso che lei abbia faticato tanto a trovare i dati sull’agricoltura biologica, dal momento che esiste il SINAB (Sistema d’Informazione Nazionale sull’Agricoltura Biologica) e non da oggi, ma da una ventina d’anni almeno. Per reperire quelli bastano davvero dieci minuti o anche meno.
A proposito dell’ultimo punto. Anche considerando solo bovini e avicoli (ma anche il trend degli altri animali è simile), grazie ai dati SINAB possiamo constatare quanto segue:
SAU bio 2000: 691821 ha SAU bio 2021: 1602789 ha +131%
bovini bio 2000: 118.406 bovini bio 2021: 409.332 +245%
avicoli bio 2000: 550.368 avicoli bio 2021: 5.264.161 +856%
Insomma, l’allevamento biologico è cresciuto decisamente più della SAU e quindi la possibilità di reperire letame utile è aumentata esponenzialmente rispetto all’epoca di cui si ricorda Burlini.
Fonte dati 2001: https://www.sinab.it/sites/default/files/2021-04/Bio%20in%20Cifre%202001.pdf
Fonte dati 2021: https://www.sinab.it/reportannuali/anticipazioni-bio-cifre-2022
L’uso del compost mi scandalizza?
Mah, è tutto il sistema ad essere sballato.
Io sono per l’agricoltura su scala familiare. Le mie alternative sono finalizzate alla vendita diretta o all’autoconsumo. Non ci sarà mai un’azienda agricola di grandi dimensioni di questo tipo, perché non sono proprio adatte alle grandi dimensioni.
Ma nel piccolo dimostrano di avere una marcia in più. E il futuro, secondo me, dovrà per forza essere piccolo e locale.
Purtroppo tutto l’apparato burocratico, normativo, legislativo e fiscale rendono molto difficile restare piccoli. O operi a livello solo familiare per autoconsumo, ma questo taglia un sacco di persone fuori, impedisce a chi non ha una famiglia di entrare in agricoltura, e non genera surplus, oppure è durissima sopravvivere se non sei una grossa azienda.
Certo, ma perché il sistema agricolo si è sviluppato sulla base del diciamo “petrolio” e non solo questo sistema.
È già da un pezzo che si sentono avvertimenti su un possibile “Picco” dei combustibili fossili prima o poi.
Ed ecco che ci si ritrova improvvisamente senza fertilizzanti azotati. I camionisti si lamentano per i costi del gasolio. E chi li trasporta gli alimentari da un posto all’altro? Chiudono i porti, va ben, questo è il Covid. E poi? C’è un certo Chris Smaje agricoltore nonché ricercatore mi pare in sociologia, che ha provato a quantificare le conseguenze rispetto a un’agricoltura improvvisamente a corto di idrocarburi.
È venuta fuori una cifra di un miliardo di morti circa. Se ci vogliamo degnare di prendere in considerazione la faccenda, magari…
La prendono in considerazione, ma dal lato sbagliato. Aiuti agli agricoltori, aiuti alle famiglie… soldi, in pratica. Solo che i soldi puoi crearli dal nulla, le materie prime no.
(Lo Sri Lanka ha fatto un esperimento imponendo all’improvviso un’agricoltura biologica, niente più pesticidi chimici ecc. È stato un disastro. Non so se hai visto come sono messi in Sri Lanka adesso – non per questo, ma ha contribuito. Io sono per cambiare modello agricolo, ovviamente, però bisogna prima ridimensionare parecchie cose e cambiarne molte altre, o rischiamo la fame)
Lo Sri Lanka era già inguaiato da prima della riforma, ma poi è stato fatto tutto alla carlona, perché la classe dirigente del paese non si è spesa più di tanto nell’impresa. C’è un articolo molto dettagliato su Grain.org.
Comunque si, bisogna andare piano e con i piedi di piombo, ma magari muoversi per tempo.
Igor, che sul Bio si “diano i numeri” è una realtà. Per esempio su certe statistiche non è chiaro quanti siano gli ettari effettivamente già “certificati” e quelli in attesa di esserlo (e cioè in fase di conversione, periodo molto molto variabile), ma che già prendono i contributi. Ricordo uno scandalo di almeno una decina di anni fa, quando qualche suo funzionario solerte ed “illuminato” della Regione Sardegna, promosse il metodo Bio tra i pastori. Molti aderirono con decine di migliaia di ettari, allettati dai sostanziosi contributi. Sfido poi chiunque a trovare una qualche differenza tra un’area del Supramonte certificata Bio ed una vicina, tradizionale!!! Se non appunto i contributi! Quando però cominciarono a funzionare le restrizioni soprattutto in ambito sanitario, ( i pastori ci tenevano alle loro pecore e si accorsero di non poterle curare efficacemente) la maggioranza recedette. Nel frattempo avevano però intascato milioni di euro di contributi pubblici. I numeri bisogna saperli “decifrare”. Più che il numero dei capi complessivi, siano galline o bovini, interessa sapere quanto è la consistenza media degli allevamenti o quanti sono quelli intensivi. Gaia insiste che si può raccogliere del letame anche da animali al pascolo. Certo si può, ma lo sforzo viene ripagato economicamente? Anche io raccolgo la pollina che le mie galline lasciano sotto i trespoli dei pollai e che finisce nella compostiera e assieme al poco letame di struzzo e di pecora, finisce tutto nell’orto. Ma non è certo quello il sistema per sfamare nemmeno una piccola parte degli italiani. Le quantità di fertilizzante raccolto deve essere misurato in decine, centinaia, migliaia di tonnellate e cioè quantità sufficienti a mantenere la fertilità dei suoli. Che siano 600.000 o 1.600.000 Ha Bio, il concetto non cambia. Se sono ricorsi ad utilizzare porcherie come il compost, che nonostante venga regalato, pochissimi usano, conferma che quello ” interno” non bastava, non basta ora e non basterà in futuro.
Comunque la vexata questio dei fertilizzanti organici di provenienza esterna al “sistema Bio”, mi sembra chiarita. E che sia il 91% come era un tempo (come confessò il funzionario AIAB), o l’80% (personalmente credo, e il mio amico certificatore conferma, che la situazione sia invece peggiorata) cambia poco.
Concludo con un’altra domanda retorica a chi considera li metodo Bio una alternativa valida. Su tutti gli ettari certificati a Bio in Italia, in Europa o nel mondo, quale è la percentuale di ettari coltivati e
quantità prodotte di staple foods e cioè quei cibi che servono a sfamare la gente (grano, riso, mais, patate, ecc) e non semplici prodotti coloniali o insalate varie?
Invece nel SINAB sono scorporati, nei calcoli della SAU 2001 e degli animali ho tolto quelli in via di certificazione da quelli già riconosciuti.
Se lo dice lei… a me pare che l’unica cosa che si è chiarita da questa ‘sfida’ è che 1) non sapeva dove andare a reperire i dati più aggiornati e affidabili (palesemente non sapeva dell’esistenza del SINAB 2) che ha preso per ancora validi dei dati del 2010 sulla zootecnia bio nettamente sottodimensionati rispetto ai numeri attuali 3) alla fine, più o meno come sempre, lei riesce ad ‘avere ragione’ grazie alle sue conoscenze private e/o alle rivelazioni di amici/gole profonde non meglio identificate. Quindi tutto si riduce sempre alla sua parola e mai alla possibilità di condividere con il suo interlocutore una fonte terza. Vabbeh…
Domanda più che altro inutile che retorica, dal momento che anche quelli sono pubblicamente disponibili sul SINAB.
Da domani fino a ferragosto mi prendo un periodo di disconnessione, per cui anche l’approvazione dei commenti potrebbe risultare più lenta del solito. Non vi preoccupate, non sono gli sgherri del pensiero unico che vi stanno censurando, solo tutto per un paio di settimane procede un po’ più a rilento.
Fuzzy: farei la firma se morisse solo un miliardo di persone. A mio giudizio, molte di più. Soprattutto nei PVS. Paradossalmente noi occidentali ce la caveremmo molto meglio. Innanzitutto perché abbiamo già creato una discreta percentuale e sappiamo produrre le attrezzature per ottenere energia da rinnovabili. Poi perché noi conosciamo tutti gli step tecnologici. In molti PVS, sono invece passati direttamente dalla zappa al trattore. Noi recederemmo di uno o due step per tornare alla trazione animale.
Per l’inverno prossimo sto già facendo scorte di legna e di alimenti conservati.
Igor, conosco il sito SINAB sicuramente da molto prima di lei. Anzi ieri è stato il primo sito che ho visitato. Ho digitato SINAB 2021, ma sulla prima videata è uscito solo quello del 2020 che ho considerato anche meglio perché riporta i dati pre-pandemia e quindi più attendibili.
Come ho già scritto, il dato che più mi interessava più che il numero totale di animali era relativo alla percentuale di allevamenti intensivi rispetto a quelli estensivi e/o poco più che amatoriali.
E’ vero che il numero di animali allevati è proporzionalmente aumentato rispetto all’aumento delle superfici negli ultimi 20 anni, ma io noto che il numero di bovini Bio resta solo il 7% del totale, a confronto del 17,4% degli ettari Bio sul totale della SAU.
Se poi lei è convinto che il letame di 40.000 o anche 80.000 bovini allevati in stalla basti a mantenere la fertilità del suolo di circa 1 milione di ettari (più o meno il totale delle coltivazioni vegetali BIO: foraggere, cereali, orticoltura, viti, olivo e frutta) “buon pro le faccia”. Io da agricoltore sono convinto di no, e non a caso in mancanza di altro hanno deciso di adottare l’utilizzo del compost.
Ho linkato l’altra tabella relativa ai dati ISTAT (non pinco pallino) solo per sottolineare quanti errori e quanta confusione ci sia.
E’ allora perché se ne è uscito con la ‘domanda retorica’ sulla composizione della SAU biologica italiana, se aveva già la risposta sotto al naso? Tra l’altro, la SAU bio non è ancora lo specchio di quella convenzionale ma non si discosta poi troppo radicalmente dalla SAU convenzionale:
SAU convenzionale: seminativi 52,8% – prati e pascoli 28,8% – colture permanenti 18,4% (fonte: https://www.istat.it/it/files//2021/04/Previsioni-coltivazioni-agricole.pdf)
SAU biologica: seminativi 45% – prati e pascoli 26% – colture permanenti 23% (SINAB)
La sua rappresentazione dell’agricoltura biologica come buona solo per piantare insalatine e oraggi (3% SAU bio) è comunque ampiamente confutata.
Dati ISTAT relativi a 12 anni fa e riguardanti un fenomeno che ha vissuto nel frattempo una evidente crescita.
Ricordo che, se non vale il l’assioma di Burlini per cui il letame si può ricavare solo da allevamenti ‘intensivi’ (assioma di cui non trovo la conferma da nessuna parte), i bovini utili sono più di 400.000. Senza contare il letame equino e ovino che, in base al suo assioma, Burlini omette per principio.
Un’altra cosa da ricordare è che non tutti gli agricoltori che fanno bio sono certificati. Siccome la certificazione è costosa, laboriosa e vincolante, molti fanno di fatto biologico o parabiologico, senza avere la certificazione.
Verissimo. Miriam Corongiu, che scrive per DFSN (l’altro blog a cui collaboro) e che gestisce l’azienda agricola Orto Conviviale, segue pratiche agroecologiche ma credo che non abbia mai chiesto la certificazione per queste ragioni. E come lei molti altri.
Infatti è abbastanza ridicolo che, causa le uscite di Burlini, io all’improvviso mi sia trasformato in una sorta di avvocato difensore del mondo bio ‘ufficiale’, quando ne ho sempre contestato il burocratismo e dato risalto a pratiche sovversive alla burocrazia come la certificazione partecipata.
https://smaltimento-rifiuti.com/smaltimento-letame-bovino-ed-equino/
Qui dice come si può fare per smaltire il letame (inteso come rifiuto, o residui organici, se vogliamo. Ho la sensazione che il termine letame venga spesso usato in modo impreciso.
“Parliamo dei cosiddetti biogas, gas ottenuti in parte dalla fermentazione di residui organici”
Se poi gli allevamenti producessero il proprio mangime dai propri terreni, anziché importarlo da chissà dove, allora ci sarebbero anche meno animali e meno robaccia da smaltire in modo anche problematico.
Per come supplire alla mancanza di apporto di azoto da letame, in parte ho già scritto per quanto riguarda ciò che un poco conosco per mia personale esperienza (agricoltura naturale) e il resto si può trovare qui. (Agricoltura in genere)
https://www.arc2020.eu/nitrogen-just-fix-it-caps-nature-rotation-rules-under-threat/
(Comunque nell’orticoltura biologica diciamo “classica” la fertilizzazione può essere praticata tramite letame o compost o sovescio o paglia e stocchi di mais
Bisogna distinguere tra gli apporti per mantenere le riserve di humus e gli apporti per aumentare le riserve di humus
È troppo complicato per essere riassunto in un commento
Di trova nel libro “Orto biologico” di Luca Conte edizioni “l’informatore agrario”.)
Producessero i propri mangimi ma soprattutto foraggi, direi.
Rimando all’articolo dell’arc. Dove dice
Riduzione dei livelli di bestiame industriale dell’UE per adeguarsi alla capacità di foraggio al pascolo su pascolo aperto, riducendo la dipendenza dai mangimi per riportare il nostro sistema alimentare entro i confini del pianeta.
Risolverebbe un sacco di problemi e darebbe benefici a tutti, animali compresi.
Ma:
1 porterebbe a una minore produzione totale di prodotti animali
2 ci sono infinite questioni con le Asl (alcune non ti lasciano mungere all’aperto, quasi nessuna ti lascia più seppellire le carcasse ma devi fare costosissimi “smaltimenti”, la monta naturale è sempre più complicata, denunce dei vicini se non sei lontano dalle case, ecc)
3 l’iperprotezione dei predatori, lupo in particolare, sta portando moltissimi allevatori ad abbandonare il pascolo, proprio quando ci si rende conto dei suoi benefici
Senza contare la questione della mafia dei pascoli, per cui paradossalmente più contributi si danno al pascolo, meno si riesce a pascolare (complicato da spiegare, leggi Ruralpini o le inchieste sul tema)
Igor, io continuo ad usare la mia testa. Stando ai numeri le produzioni Bio sarebbero quindi pressoché equivalenti all’agricoltura tradizionale? Mi spiega allora perché a fronte ad un 16-17% della Sau le vendite del Bio equivalgono solo a meno del 4% del mercato? Tra l’altro, stando ai dati SINAB, in calo. Anche considerando le esportazioni (sottratte ovviamente le importazioni) si arriva a poco più del 5%.
Ieri avevo fretta e quindi non ho avuto il tempo di controllare, ma i dati del 2001 danno 118 mila bovini Bio, più 212 mila in conversione (in pratica il doppio). Per L’anno successivo stranamente il numero di quelli Bio è praticamente identico (122 mila e quelli in conversione si sono ridotti a 42mila. Dove sono finiti? E dovrei credere a questi numeri?
Ah, dimenticavo: il 3,9% è calcolato sul valore della spesa e non sulle quantità prodotte. Considerando che i prodotti Bio costano molto di più di quelli tradizionali, le percentuali diminuiscono e di molto. In pratica se venisse triplicata la superficie coltivata a Bio (il 50% del totale), saremmo rovinati!
https://www.accademianutrizione.it/blog/allevamenti-biologici-cambiamenti-climatici/
Calcolando le emissioni di gas serra CO2 equivalenti per la produzione di un chilogrammo di carne o di vegetali otteniamo:
carne da allevamento intensivo: 20,76 kg
carne da allevamento bio: 21,83 kg
vegetali da agricoltura convenzionale: 0,2 kg
vegetali biologici: 0,1 kg
https://www.nature.com/articles/s41467-020-19474-6?error=cookies_not_supported&code=a27f0654-29c2-4f7a-a8d6-ecc5aa982a91
I dati vengono da questo studio.
(Confesso che non l’ho letto. Mi fido).
Fuzzy, ci sto dando un’occhiata e ho un po’ di perplessità.
1. Un kg di “vegetali” non ha le stesse proprietà nutritive di un kg di prodotti animali, e comunque tra i “vegetali” hai ortaggi, legumi, cereali… cose diversissime. E poi per kg di vegetali cosa si intende, legumi secchi, legumi freschi, cereali secchi…? mah.
2. “land-use-change-emissions (LUC) are not included in this dataset”. Mi sembra invece un punto importante
3. Mi sembra di capire che per “organic” intendono un tipo di allevamento convenzionale (in stalla, con mangimi) con sì più pascolo del convenzionale, ma non di molto.
4. Non considera la carne un sottoprodotto del formaggio e delle uova, e questo è quasi sempre un errore di calcolo (solo in rari casi gli animali vengono uccisi e buttati via anziché essere usati per la carne)
5. Non l’ho letto tutto neanch’io, ma non mi sembra parli dell’uso di serre necessario se vuoi mangiare verdura tutto l’anno, e delle emissioni di plastica conseguenti a questo
6. Mi sembra di capire che, tornando all’annosa questione di cui sopra, consideri il letame come fonte di inquinamento e non come fertilizzante, almeno nel conteggio delle emissioni della carne
7. Riscaldare le stalle è da pazzi
Riguardo al punto 1, nel sito vegetariano, dove si commenta l’articolo in questione trovo scritto:
Se poi andiamo a esaminare i vegetali più ricchi di proteine, i legumi, la differenza è ancora maggiore. La produzione di un kg di vegetali implica l’emissione di 0,1 kg di CO2, facendo la media tra tutti i vegetali, ma se consideriamo solo i legumi le emissioni sono di 0,03 kg.
Dunque, confrontando carne e legumi, vediamo che l’impatto sul clima della carne è quasi 700 volte maggiore di quello dei legumi
Non saprei rispondere agli altri punti anche perché, sinceramente non ho ancora letto l’articolo.
È uno di quegli studi che si può capire se lo si stampa insieme a tutti gli allegati e non è neanche detto che poi lo si possa capire del tutto.
Mi sono limitato a segnalarlo in quanto focalizzato sulle emissioni.
Mi sembra molto strano. Sicuramente i legumi consumano meno risorse della carne, ma 700 volte?
Faccio un calcolo a spanne veloce. Internet mi dice che di fagioli (seme secco) si producono fino a 40-50 quintali per ettaro (le stime variano un sacco). Sempre a spanne, su un ettaro puoi tirare su, mettiamo, una decina di agnelli – 20 kg di carne l’uno, 200 kg, 2 quintali. Forse anche di più ma teniamo queste stime. Ovviamente ci sono tutta una serie di altre variabili; il lavoro, l’attrezzatura, i sottoprodotti, l’impatto sul suolo, il consumo di acqua, l’aratura o meno… però su quell’ettaro se ci metti i fagioli ci sono solo fagioli e magari qualche “erbaccia”, mentre nel pascolo hai più biodiversità, che però è difficile quantificare in CO2.
Comunque, 700 volte mi sembra davvero esagerato. Probabilmente hanno preso in esame sistemi di allevamento particolarmente dispendiosi.
The Guardian, “Organic meat production just as bad for climate, study finds”, 23-12-2020
Questa è una sintesi dello studio
decisamente migliore, rispetto all prima che ho linkato
Questo 700 non ho neanche provato a capirlo, però se vai allo studio e apri la prima tabella,trovi quei valori per i legumi. Se non ricordo male 0,03, insieme a molti altri valori interessanti.
Si, il 700 viene fuori facendo circa 21 kg emissioni gas serra bovini da allevamento bio, diviso 0,03 emissioni gas serra legumi.
È un risultato un po’ artificioso, in effetti.
Fuzzy, come scrivevo sopra rivolgendomi a Igor, ci sono troppi parametri da considerare quando si valutano queste cose e gli studiosi spesso o trascurano aspetti importanti o generalizzano molto. Tempo fa c’erano studi contro il biologico o il km0 che circolavano con affermazioni assurde (non entro nei dettagli se no non finiamo più).
Alcune perplessità sullo studio da te citato te le ho già segnalate sopra e sono questioni importanti. Se hanno preso a esempio l’agricoltura tedesca, meccanizzata, tecnologica, intensiva, avranno avuto risultati diversi da quelli che avrebbero avuto, per esempio, dalle Alpi o dall’Africa sub-Sahariana. A me che la carne biologica abbia 700 volte l’impatto dei fagioli sembra impossibile sulla base dell’esperienza diretta, non riesco a capire come ci siano arrivati.
Inoltre non c’è solo il clima o la CO2. Magari un’attività che emette più CO2 è migliore da altri punti di vista. Ho visto delle foto dell’Andalusia coperta da serre di plastica per produrre verdura tutto l’anno, e mi sono venuti i brividi. Pensa produrle, pensa smaltirle, pensa l’impatto sulla vita selvatica e il paesaggio…
Gaia, la guerra in Ucraina ha svelato quanto il mondo (compresa l’Italia) sia dipendente da cereali importati. Come per il gas è urgente una riduzione di questa dipendenza di almeno il 20-30%. Quale migliore soluzione quella di produrre ottima carne e latte, utilizzando al posto di questi cereali, soprattutto foraggi spontanei di montagna da parte di vacche, capre e pecore?!
Come ben sai per esperienza diretta, la pastorizia in zone montane e pedemontane è però malvista perché oramai la maggioranza vorrebbe la montagna come un proprio parco giochi (sfogo per sport invernali sempre più invasivi) o come parco naturalistico senza “intrusi” umani. Se l’allevatore di montagna osa sostenere che di lupi oramai ce ne sono fin troppi, finisce sbranato. Ad una conferenza del WWF sui lupi, sono stato insultato pesantemente per aver fatto notare che in un paese civile e con molti meno capi di noi (circa 100 a fronte di 3-4000), come la Norvegia, non si si sono fatti molti scrupoli ad abbattere selettivamente i lupi problematici. Se non ricordo male il 10%,
Pochi giorni dopo hanno organizzato una gita notturna nella foresta più grande della Lessinia per assaporare il brivido di ascoltare gli ululati dei lupi.
Su questo ti dò pienamente ragione. Anche in Svizzera e Norvegia abbattono i lupi di troppo o problematici. Nessun paese al mondo protegge i grandi predatori in modo fanatico e assoluto come l’Italia, sacrificando pastori e produzione sostenibile di cibo. Penso che il vento però stia lentamente cambiando perché la situazione è diventata insostenibile.
https://www.huffingtonpost.it/dossier/terra/2022/07/25/news/squadre_di_carabinieri_zoologi_e_veterinari_per_scoprire_chi_avvelena_i_lupi-9937427/
“In queste zone l’ostilità degli allevatori è in buona parte rientrata perché il problema dei danni creati dai lupi è ridotto al minimo: se le pecore vengono protette dai cani e tenute in recinti, possibilmente elettrificati – e da noi si fa – diventano prede difficili. A quel punto i lupi preferiscono attaccare i cinghiali e i cervi. I danni registrati non superano lo 0,7% delle pecore e capre presenti nell’area protetta”.
Quello del parco della Maiella, e di altri parchi dell’Appennino, è un modello di convivenza che sta funzionando.
Nei boschi attorno a Porretta Terme fino a qualche tempo fa c’era un lupo.
Lo mettevano sulle locandine come attrazione turistica.
Da quel che si legge non sembrerebbe un problema irrisolvibile. Almeno in apparenza.
Fuzzy, non basarti su quello che si legge. Sono tutte cazzate. C’è una propaganda pazzesca pro-lupo (ci sono molti interessi dietro) che non corrisponde alla realtà.
Conosco il tema, conosco il mestiere, conosco allevatori e sono bene informata. La situazione lupi è fuori controllo e sta distruggendo l’unica forma di allevamento sostenibile e rispettosa del benessere animale, cioè la pastorizia.
Se ti interessa ho spiegato in dettaglio sul mio blog perché recinti e cani NON sono la soluzione (per lo meno per tutti) e perché quello che funziona per gli Appennini non necessariamente funziona per le Alpi.
Molto in breve: le reti mobili ai lupi gli fanno un baffo e finiscono per diventare trappole per le pecore (o capre), quelle fisse le aggirano comunque e in più sono deturpanti e dannose per l’ambiente, oltre a costare molto, i cani costano, sono problematici in zone turistiche, non sono adatti per allevamenti piccoli e comunque i lupi oltre un certo numero sbranano pure i cani.
E questa è la versione breve. Non mi dilungo per non prendere troppo spazio.
La convivenza tra pastorizia e lupi semplicemente NON è possibile. Infatti i saami (i “lapponi”) hanno il permesso di ucciderli tutti per mantenere il loro stile di vita tradizionale. Io non dico di abbatterli tutti, ma qualcuno bisogna eliminarlo, sono davvero troppi, migliaia solo in Italia. Solo l’Italia non abbatte nemmeno lupi problematici. Siamo i soliti pazzi.
L’unica soluzione è trovare delle aree designate per i lupi, ma controllare la loro popolazione al di fuori di queste aree.
E comunque, un discorso sono i parchi nazionali, dove gli animali selvatici sono protetti, e un conto è estendere la stessa situazione a zone antropizzate dove la gente vive e lavora, e non la si può cacciare via tutta. L’articolo che tu hai linkato parla di parchi.
https://www.energeticambiente.it/forum/fonti-di-energia-rinnovabile/biomasse/biogas-e-gas-residuati/61561-digestato-liquido-un-problema-od-una-risorsa
Pare che adesso vada di moda il digestato. Ma che roba è?
https://www.terredifrontiera.info/digestato-biogas/
I miracoli del digestato
http://www.ilnuovoagricoltore.it/strip-tiller-e-digestato-su-mais-laccoppiata-vincente-dellanno/
Tra l’altro, non ho ancora ben capito se tutta questa porcheria figuri tra le risorse rinnovabili.
Bah.
Gli agricoltori ricevono sostanziosi contributi pubblici per gli impianti a biogas.
Fuzzy: la tua è la solita tirata qualunquista del cittadino che non conosce niente dell’argomento su cui si permette di intervenire. Con l’aggravante che pensa di sapere solo perché si limita a leggere qualche cosa. I lupi, come tutti gli animali hanno una specifica cultura, frutto dell’interazione con il territorio, compresi i suoi abitanti più significativi: gli umani. Un conto sono i lupi della Maiella e di tutto l’Appennino, abituati da secoli ad aver paura dell’uomo e dei suoi cani: di razze specifiche, addestrate a proteggere le pecore, come l’Abruzzese. Qui i pastori, hanno sempre avuto anche un fucile ed appena ne avevano l’occasione ammazzavano il lupo o almeno lo impallinavano nel didietro. In aree protette o meno. I lupi rimasti sono quelli sopravvissuti a questa continua interazione e hanno trasmessa alle nuove generazioni l’informazione: stai distante il più possibile dagli umani e le loro bestie. I lupi delle Alpi provengono per lo più invece da soggetti immigrati da Est. Come Slavc che ha colonizzato la Lessinia e l’altopiano dei 7 comuni. Nelle Alpi dinariche di pastori ce ne sono pochissimi (e solo di pecore) ed i lupi avevano la cultura di cibarsi solo di selvaggina. Trovandosi in un ambiente molto più antropizzato e con una profusione di animali domestici liberi, si comportano come un ragazzino goloso lasciato indisturbato in una gelateria/pasticceria. Per esempio da noi in Lessinia da secoli ci sono solo vacche libere. I malgari abitano in paese e la mattina in pochi minuti raggiungono le malghe per controllare le vacche o le manze. Che, ripeto, dormono fuori, per essere pronte ad andare al pascolo all’alba. I regolamenti comunali hanno messo regole rigidissime sulla costruzione delle concimaie ed anche questo ha costretto gli allevatori a mantenere le vacche sempre all’aperto. Inoltre non ci sono specifiche razze di cani addestrati a proteggere le vacche, che si comportano in maniera opposta alle pecore: comportamento centrifugo invece di centripeto. Quelli che hanno provato ad avere due o tre cani (costosissimi da acquistare e soprattutto mantenere) hanno avuto subito problemi con le decine di migliaia di persone (ed i loro cani al seguito) che ogni giorno passeggiano sulle innumerevoli stradine della Lessinia. Se entrambe le specie di questi animali cittadini entravano in un pascolo e/o si avvicinavano ad una vacca, venivano subito aggrediti dai cani di guardiania, che giustamente difendevano la mandria dagli estranei. Comunque non sono mai intervenuti contro i lupi, che continuano a fare stragi. Le cifre riportate sono poi molto al di sotto del reale e non tengono conto solo dei morti e non degli di aborti o perdite di latte per traumi vari. Potrei continuare a lungo con questi esempi. Risultato: gli allevatori stanno abbandonando la montagna. I pascoli abbandonati vengono invasi dal bosco e continuamente arati da branchi di cinghiali, con conseguente erosione e smottamenti. Si sta degradando anche quella rete di strade che prima veniva mantenuta in perfetta efficienza dagli allevatori. Risultato: i lupi trovano meno vacche facili da uccidere ( i cinghiali sono molto più difficili) e scendono in pianura ad ammazzare altri animali domestici. Non parliamo poi degli orsi (questi sono stati deliberatamente reintrodotti) e delle linci. Nel veronese abbiamo anche gli sciacalli dorati. Alla faccia di chi continua a blaterare sulla diminuzione della biodiversità (almeno da noi). L’argomento è comunque molto più complesso ed è la cartina al tornasole (ce ne sono altre) per valutare l’abisso di percezione che si sta creando tra rurali e cittadini.
A parte il fatto che non sono un cittadino, non mi sembra di aver fatto nessuna tirata pro lupi.
Mi sono un po’ informato leggendo alcuni articoli. Tutto qui.
Figurati se vengo a polemizzare sulla Lessinia.
Mi pare di capire che attorno ai lupi girano l’allevamento, il turismo e l’ambientalismo. E quindi trovare una soluzione che vada bene per tutti non sarà facile.
Fuzzy, purtroppo sui lupi (e sugli orsi) la stampa non è onesta, perché viene imboccata più dalla lobby pro-lupo che dagli allevatori. Quindi dipende molto da cosa leggi. Inoltre la situazione sta cambiando, in peggio, rapidamente, per cui gente che era tranquilla fino a poco fa sta iniziando a preoccuparsi o già a non poterne più.
Io penso che tra le cose che hai elencato, il turismo sia la meno importante, dato che non protegge l’ambiente e non ci dà da mangiare. E, comunque, i lupi sono vantaggiosi per il turismo fino a un certo punto: quando perdono la paura dell’uomo e iniziano a minacciare i camminatori, saranno dannosi anche per questo. Già alcuni lupi hanno sbranato i cani di gente che passeggiava in montagna. Per quanto riguarda l’ambientalismo, come ti dicevo un conto sono i parchi, un conto la realtà fuori dove la presenza di erbivori domestici al pascolo ha creato degli ecosistemi vari e preziosi che rischiano di scomparire con l’abbandono della pastorizia.
Io non sono tra quelli che pensano che la montagna sia solo dell’uomo; inoltre mi rendo conto che un eccesso di mucche, o pecore o capre, o cavalli o cani domestici, può anche fare danni. Al tempo stesso, se non si fa qualcosa per arginare la presenza dei lupi (e in parte anche degli orsi) ne soffriranno non solo l’allevamento, ma anche turismo e ambiente.
Fuzzy: in effetti me la sono presa troppo. Quello dei lupi VS allevatori è un problema a cui sono particolarmente sensibile. Ho visto allevatori piangere per la disperazione di dover cambiare mestiere a causa dei lupi. Due in particolare. Ad uno i lupi gli hanno ucciso solo due vacche gravide. Le uniche per le quali ha ricevuto un indennizzo ridicolo (ovviamente non per il feto), ma il danno più importante è stata la dispersione della mandria con giornate di lavoro per il recupero. Molti delle vacche/manze recuperate erano ferite, sia direttamente dai lupi, sia dagli impatti con le pietre fin che fuggivano di notte. Alcune hanno abortito: anche qui senza indennizzo. E tutte sono rimaste terrorizzate e per giorni si rifiutavano di muoversi. Per l’allevatore il colpo più grosso è stata la perdita di fiducia nel futuro della sua attività. Ora fa l’autotrasportatore. L’altro amico, oltre al suo mestiere di allevatore di tacchini, aveva creato un parco naturalistico bellissimo nella sua proprietà posta sul limitare della Val Squaranto: trenta ettari di bosco con decine di splendidi cervi e daini che venivano a mangiargli in mano. Più altri recinti con mufloni, caprioli, volpi, istrici ed altri animali della fauna delle Alpi. Nonostante una recinzione altissima e robusta i lupi sono entrati più volte ed hanno massacrato tutto in varie riprese. L’ultima cerva l’hanno uccisa a 2 (due) metri dall’ingresso di casa. Probabilmente vi si era diretta per cercare protezione. quando tutta la famiglia è uscita di notte sono dovuti rientrare immediatamente per paura di essere attaccati dal branco. Voi cittadini (per quanto tu possa abitare distante dalla città) resti come mentalità inesorabilmente un cittadino.
Fare recinti in grandi aree naturali per allevarci dentro della fauna selvatica che vive spontaneamente fuori è, per vari motivi che se tu sei davvero esperto dovresti sapere, una delle cose più stupide e deleterie che si facciano oggi. Lamentarsi se il lupo uccide gli animali che allevi e mangi è un conto, recintare mezzo mondo solo perché sei ricco e vuoi giocare a Noè, creando mega-cesure artificiali, e poi lamentarti se il lupo entra a prendere quelle che sarebbero le sue prede è una roba da nobili del Medioevo.
Comunque, resta il fatto che il problema è molto più grave di quanto la gente capisca.
Gaia: ti sbagli. Quasi tutti gli animali presenti provenivano da soggetti feriti o da piccoli trovati abbandonati. La maggior parte consegnati da guardie venatori, dai forestali o guardie provinciali. Per decenni ho visto la figlia Federica impegnata ad allattare con il biberon un qualche cucciolo di volpe o un cerbiatto. Questo almeno in origine, perché poi i primi si sono riprodotti e moltiplicati. Ogni tanto ne liberava qualcuno, ma dato che l’area è fortemente antropizzata (a 450 metri di altezza e a pochi chilometri da Verona) finivano quasi tutti investiti dalle auto oppure impigliati nei fili dei vigneti che oramai coprono quasi tutta la Valpantena. A me non è mai capitato, ma sbattere contro un cervo da 200 kg non credo sia piacevole. Oppure dato che erano oramai imprintati, continuavano ad aggirarsi nei pressi della recinzione cercando di rientrare. Anche perché impauriti dai numerosi cani dei vicini.
L’amico Bruno ha tenuto gli animali per almeno 20 anni per solo diletto personale e poi, visto quanto costava mantenerli, ha creato un agriturismo.
Magari avrà avuto le migliori intenzioni, ma non cambio la mia idea. Bisognerebbe fare di tutto per rimettere gli animali selvatici subito in libertà appena possibile. Se proprio non è possibile (e mi sembra strano che sia sempre così, un animale ferito una volta guarito è di nuovo in grado di vivere libero), non gli andrebbe permesso di riprodursi.
Se poi l’area ha troppi animali selvatici per il livello di antropizzazione, le soluzioni giuste sarebbero 1 ridurre l’antropizzazione e i suoi impatti 2 abbattere e mangiare gli animali in eccesso
Non è che perché è spiacevole andare a sbattere contro un cervo che allora fai sparire tutti i cervi del mondo. Piuttosto crei attraversamenti protetti e obblighi la gente a non correre su certe strade.
Il Veneto ha troppa gente e troppa attività economica. Non è richiudendo gli ultimi animali liberi rimasti che fai il loro bene.
Gaia: da quanto scrivi è evidente che sei animata da buone intenzioni, ma ti mancano discrete dosi di razionalità, buon senso e certe conoscenze. Se rilasci in natura una cerva zoppa, trovata a 20-30 km di distanza, quando la rimetti in piedi (restando zoppa) non la puoi rilasciare in natura. O meglio, lo puoi fare, ma consapevole che soffrirà e morirà dopo pochi giorni investita o aggredita dai cani. Lo stesso per quei piccoli di capriolo che i cittadini scemi ed ignoranti, trovano in mezzo all’erba e credendoli abbandonati, li portano ai vigili o ad una guardia forestale. Se lo rimetti nello stesso posto, la madre lo rifiuterà perché sente l’odore degli uomini che hanno toccato il piccolo. Se lo allevi resterà imprintato dall’uomo e se lo liberi cercherà di avvicinarsi. Se è un maschio, quando sarà in calore diventa uno degli animali più pericolosi per l’uomo (in particolare i bambini): se non ricordo male è al secondo o terzo posto nella casistica delle lesioni, dopo i cani e cigni. L’amico Bruno ha sempre limitato il numero degli animali, abbattendo e mangiando i maschi. Ho spesso partecipato anche io a questi banchetti a base di selvaggina. Se poi chiedi che il mio amico di cambiare la demografia ( secondo te dovrebbe chiedere consigli a Putin, Hitler o a Pol Pot?) e la viabilità di un intero territorio, non mi resta che allargare le braccia sconsolato. Due ultime considerazioni: il maschio di cervo che ho citato è stato investito in pieno paese e a bassissima velocità. Praticamente è stato lui ad investire l’auto perché impaurito da altre auto che venivano in senso contrario. Proponi pubblicamente l’abbattimento ed il consumo di cervi e caprioli in eccesso: situazione frequentissima in molte zone italiane. Ti consiglio poi di emigrare per non subire le inevitabili conseguenze.
Quando si passa agli insulti personali, la conversazione finisce.
Su metano e ruminanti: https://academic.oup.com/tas/article/5/3/txab042/6159336?login=false
Ho perplessità anche su questo, ma per dire quanto è complessa la questione. Anch’io sono scettica sulla questione del metano delle vacche e co. e mi fa piacere che la scienza se ne stia accorgendo.
Co2 sottratta dall’atmosfera mediante la coltivazione di erba medica?
Che strano. Oddio, non mi sbilancio, ma non deve essere stoccata permanentemente nel terreno? Appena fai la successiva aratura ritorna tutto in atmosfera.
Mi sa che qui tra noi non ne veniamo a capo. Tra l’altro mi chiedo se sia uno studio sottoposto a revisione.
Bisogna aspettare che Giussani torni dalle sue sacrosante vacanze.
https://www.green.it/sequestro-del-carbonio-agricoltura/
Intendo questo.
Penso che la risposta giusta sia: dipende.
Spero che sia corretto quanto scrivo sotto.
Dunque, non puoi mettere tutto il carbonio nel suolo, perché una parte resta nelle piante e ritorna in circolo, o attraverso la respirazione, o venendo mangiata da erbivori (domestici o selvatici che siano) o decomponendosi, o bruciando durante gli incendi.
Una parte invece, se ho capito bene, viene assorbita dalle radici; quando le radici muoiono, rilasciano il carbonio nel terreno. Anche parte della materia organica che cade resta nel terreno se non viene disturbata. Ma non credo che il suolo possa accumulare carbonio all’infinito.
Riguardo all’aratura, puoi farne a meno se usi prati stabili o tecniche “no till”.
A questa cosa dell’erba medica, francamente, non ci credo. Poi se mi sbaglio, spero di essere corretto. Fatto sta che io vedo i campi dove si coltiva l’erba medica, altro che rigenerazione, ci passano con dei trattori mostruosi muniti di aratri tipo alabarde spaziali.
Se i vece ti interessa un sistema che è reputato di essere sostenibile e che includa anche gli allevamenti, compresi ahimé, quelli intensivi allora c’è questo
https://www.bike-biofuels.eu/wp-content/uploads/2020/12/Valli_et_al-2017-Biofuels_Bioproducts_and_Biorefining.compressed.pdf
Io però credo che siccome l’agricoltura è arrivata ad avere dei costi impossibili, anche l’energia dalle biomasse diventerà troop costosa, a un certo punto.
Poi dovunque ci sono dei rifiuti ci si infiltra il malaffare, e questo è da mettere in conto.
Non rileggo.
Fuzzy, guarda però che l’erba medica non è indispensabile e comunque è solo una piccola parte dell’alimentazione degli erbivori (altrimenti scoppiano). Ad ogni modo quasi tutto quello che mangi, anche (e soprattutto) se sei vegetariano, è prodotto con aratura, per cui l’impatto dell’aratura della medica ce l’hanno anche le altre coltivazioni. Non c’è differenza tra arare per la medica che mangia la mucca e arare per il grano che ti mangi tu.
Riguardo al biogas, coltivare cibo per fare energia non ha senso nel mondo attuale (in breve – il discorso sarebbe lungo). È più sensato farlo con gli scarti, ma quegli scarti comunque servirebbero come concime, e da quello che ho capito gli impianti a biogas non usano solo scarti. Sarebbe interessante un articolo su questo sito in proposito!
Non c’è differenza tra arare per la medica che mangia la mucca e arare per il grano che ti mangi tu.
Beh, si, solo che io non sono una mucca.
Comunque, non che queste cose personali abbiano molta importanza, attualmente mi capita ogni tanto di mangiare mezza ricottina, più che altro per la praticità di aprire la confezione e avere già pronto. Poi mi piacciono i formaggi in genere, ma alla mia veneranda età il colesterolo è sempre ai limiti, perciò ne mangio solo occasionalmente. Uova e carne niente, non mi interessano.
Tra l’altro non vorrei che si pensasse che sto facendo una crociata contro i carnivori. Assolutamente no. Per quanto mi riguarda la persone possono fare quello che vogliono. Le cose si regolano da sole tramite le dinamiche economiche. Ogni tanto mi sento attratto dal catastrofismo, ma in questo periodo penso che nonostante le attuali circostanze non lo lascino presagire, il peggio sia già passato. Insomma più ottimista che apocalittico.
Basta altrimenti non si finisce più.
Gaia: come e quando ti avrei offeso? Ho sono rimarcato che ti sei permessa di giudicare una persona ed una specifica situazione senza conoscerne i particolari ed i retroscena. Su erba medica, metano e Ciclo del Carbonio mi sembra che sia tu che Fuzzy abbiate le idee molto confuse. Un solo esempio: l’eccesso di erba medica (e cioè il foraggio più consumato al mondo da tutti gli erbivori) farebbe scoppiare le vacche? Solo se le fai pascolare in primavera su un erbaio giovane, dopo che sono state tutto l’inverno in stalla. Il microbiota del rumine verrebbe sconvolto con rapida ed eccessiva produzione di gas. Queste situazioni sono oramai solo un lontano ricordo del passato. Io stesso, che sono vecchio, ne ho solo letto o sentito parlare da quelli più vecchi di me. Il mio vicino allevatore, utilizza fieno di medica per almeno metà della razione e le sue vacche effettivamente scoppiano: ma di salute!