Gentile Prof.ssa Gandini,

qualche giorno fa su Facebook ho trovato condiviso il suo articolo ‘Clima e pensiero critico‘, pubblicato il 27 luglio scorso su comune-info. Stimandola per il servizio offerto durante la pandemia, quando contestava senza remore le politiche di contenimento del virus con riflessioni acute e ben argomentate, l’ho letto con molta attenzione. Questa volta, purtroppo, temo che il suo spirito anticonformista la stia portando pericolosamente fuoristrada.

Approfittando della policy creative commons di comune-info, ho commentato l’intero articolo esponendo quelle che a mio giudizio sono le maggiori criticità, nella speranza non di convertirla su di una improbabile via di Damasco dell’ortodossia climatica, bensì di farla riflettere su alcuni bias e pregiudizi compromettenti un intento di fondo che, di per sé, sarebbe invece nobile e condivisibile.

 

Clima e pensiero critico, Sara Gandini (grassetti nel testo originale)

In un sol giorno ho avuto l’auto distrutta da un albero e la casa di mia madre scoperchiata. Nessuno mette in dubbio che la situazione climatica sia grave, così come nessuno può mettere in discussione che la sarscov2 nel 2020 abbia messo in crisi gli ospedali. Il punto su cui ragionare però a mio parere non è tanto se la causa sia l’uomo, così come mi interessava meno capire l’origine del virus. La questione cruciale è come affrontare questi eventi e per farlo bisogna discutere senza dogmi, faide e moralismi.

 

Creare analogie tra il covid e il global warming è tipico di certa stampa e tante realtà del Web, benché i due fenomeni presentino poche affinità. La pandemia ha infatti colpito all’improvviso e preso alla sprovvista tutti quanti costringendo gli scienziati a navigare a vista appresso al virus, con il risultato che, tra pressing della stampa e desiderio di visibilità, quotidianamente venivano proposte le più disparate e contraddittorie tesi sull’evoluzione della pandemia e i modi migliori di arginarla. Tutto ciò non solo ha frastornato l’opinione pubblica ma l’ha pure fortemente disillusa riguardo alla competenza e alla serietà degli scienziati.

Il riscaldamento globale, invece, è sotto esame da almeno cinquant’anni e sta progredendo alla maniera prevista dai principali studi. Inoltre, se conoscere l’origine del Covid era ininfluente per contrastarlo, comprendere il contributo antropico al global warming è fondamentale, soprattutto se si vuole “affrontare l’evento” in modo equo ed efficace. Dobbiamo infatti quantificare almeno approssimativamente il ‘budget di carbonio’ rimasto all’umanità prima di causare cambiamenti probabilmente irreversibili e quasi sicuramente catastrofici, in modo da ottimizzare opportunamente il consumo dei combustibili fossili per la transizione energetica e per il contenimento della povertà (il famoso ‘diritto ad inquinare’ reclamato dai paesi in via di sviluppo, per intenderci).

Mutatis mutandis, sarebbe stato come se al tempo dei lockdown e dei greenpass lei avesse formulato le sue ipotesi alternative disinteressandosi del covid, delle sue modalità di contagio e degli effetti della malattia:  un comportamento chiaramente scellerato, non certo un segno di apertura mentale.

 

Mi piacerebbe ricominciare a discutere evitando di banalizzare il punto di vista di chi porta dubbi, perché problematizzare non vuol dire negare la crisi ma pretendere ragionamenti seri ed evitare le drammatizzazioni e il catastrofismo acchiappa click, che non aiutano a pensare.

 

Concordo con lei sulla necessita di discutere “senza dogmi, faide e moralismi”, ma la condizione necessaria per problematizzare qualsiasi  argomento è conoscerlo, in modo da avanzare perplessità pertinenti. I ‘dubbi’ riguardo al clima troppo spesso si fondano su illazioni totalmente gratuite (“gli scienziati sono incompetenti e/o dei venduti”), mosse da persone che sanno poco o nulla di climatologia e talvolta sfruttano il prestigio acquisito in altri campi, vedi i premi Nobel John Clauser e Carlo Rubbia. Nulla che richiami al dubbio metodico caro alla scienza e necessario per un sano dibattito democratico.

Quanto al clickbaiting, gli scienziati fautori delle tesi ‘alternative’ fanno molta più notizia degli ‘ortodossi’. E cosa dire di chi parla apertamente di “liste di proscrizioni per il clima” (La Verità) o di complotti creati ad arte per controllare meglio la popolazione mondiale? Queste cose “aiutano a pensare” o servono solo a creare un clima di odio?

 

Il punto a mio parere è che, come durante la pandemia, si preferisce colpevolizzare i cittadini senza andare alla radice degli eventi che stanno capitando. Se qualcuno si ammala oramai viene quasi dato per scontato che la colpa sia del suo modo di vivere e non della società in cui vive e delle decisioni politiche che per esempio hanno portato la sanità allo sfascio.

Io penso che, come durante la covid-19, sia necessario allargare il quadro e andare alle ragioni economiche prima di tutto e agli interessi in gioco, altrimenti passeremo da una emergenza all’altra, come stiamo facendo da anni oramai. E sappiamo bene che la politica emergenziale è decisamente funzionale a reggere l’insensatezza del regime capitalista che alimenta diseguaglianze sociali mentre noi ci scontriamo sui social…

Come epidemiologa da sempre lavoro sulla prevenzione primaria e so l’importanza di uno stile di vita sano, così come l’importanza di vivere in un ambiente sano, ma sappiamo pure quanto il green deal possa diventare l’ennesimo business, l’ennesima occasione di dar fiato ad una economia in crisi facendo gli interessi di pochi e creando di fatto povertà. La gestione della pandemia ha portato a questo e ora è sotto gli occhi di tutti.

Ma davvero la crisi climatica viene affrontata in maniera emergenziale? Io vedo solo qualche titolone sui giornali e dibattiti di infimo livello nei talk show (rigorosamente all’insegna del ‘contraddittorio scientifico’) a commento dei fenomeni meteoreologici estremi o delle rituali conferenze internazionali, dopodiché il tema ritorna presto nel dimenticatoio.

Siccome da tempo non compro quotidiani e mi tengo alla larga dal giornalismo televisivo, temendo di essere vittima di bias personali ho cercato qualche analisi obiettiva sul modo in cui l’informazione tratta il riscaldamento globale. Ho trovato uno studio commissionato da Greenpeace all’Osservatorio di Pavia relativo all’informazione e ai cambiamenti climatici descrivente un quadro molto diverso: il global warming è un argomento di nicchia e quasi sempre circoscritto agli eventi estremi, per giunta oltre il 20% delle notizie diffuse dai più importanti quotidiani e telegiornali nazionali fa da megafono ad argomentazioni contro la transizione energetica e le azioni per mitigare il riscaldamento globale, anche perché le industrie inquinanti figurano tra i maggiori inserzionisti.

Inoltre, secondo lo studio, solo il 14,5% degli articoli dei giornali campionati indica almeno una causa per il global warming, e gli stili di vita sono citati appena nello 0,8% dei casi. Nulla che lasci intravedere quella colpevolizzazione dei cittadini da lei tanto paventata.

Per il resto, i progetti di Green New Deal, tanto negli USA che in Europa, procedono a rilento; senza arrivare agli eccessi del nostro ignavo ministro per l’ambiente Pichetto Fratin, anche nel resto del mondo la politica si limita a proclami a cui seguono poche iniziative concrete. Follow the money? Il Fondo Monetario Internazionale ci informa che, tra sussidi diretti e indiretti, l’industria dei combustibili fossili nel 2022 ha ricevuto circa 7.000 miliardi di dollari, un valore pari al 7% del PIL globale.

A casa nostra la musica non cambia: i sette rigassificatori e i cinque gasdotti previsti nel piano energetico varato dal governo Meloni raccontano di una società che, al di là delle operazioni di facciata, si ostina a perpetuare il vecchio paradigma con qualche tinteggiata di verde qua e là. Emblematico il caso dell’ENI, molto impegnata nel promuovere un marketing all’insegna del green (con palesi buffonate come esaltare il giacimento di petrolio a ’emissioni zero’ di Baleine, Costa d’Avorio) per poi dedicare un misero 20% di investimenti alle energie rinnovabili (qui per tutti i dettagli).

 

Sapevamo che dopo la pandemia e dopo la guerra l’emergenza sarebbe stata quella per il clima. Questo vuol dire che non ci sia un cambiamento climatico in atto? No. Ma che le emergenze siano una grande occasione di business ce l’ha insegnato parecchio tempo fa la Klein con il suo Shock economy.

Ho seri dubbi che Naomi Klein, l’autrice de Il mondo in fiamme. Contro il capitalismo per salvare il clima, asseconderebbe le sue tesi, almeno nel modo in cui le esprime in questo articolo (basta consultare un estratto del libro per rendersene conto).

 

Quindi chiedo di smetterla con le curve che dimostrerebbero questo o quello. Da epidemiologa/biostatistica amo le curve e i grafici ma so anche quanto possano essere fuorvianti. Vorrei meno grafici e verità assolute e più ragionamenti in uno scambio aperto su come ripensare la nostra economia e la politica. Perché non è accettabile che di nuovo si faccia ricadere sul singolo cittadino la responsabilità di quello che sta accadendo, come durante la pandemia. È necessario confliggere ma stando in ascolto. Mi dispiace per chi la pensa diversamente ma parole come “negazionista” non sono accettabili per via del rimando simbolicamente violento che hanno. Così come chiedo di evitare attacchi personali e polemiche sterili.

Durante la pandemia abbiamo assistito a uno spettacolo degradante dove politici, giornalisti ed esperti a favore di telecamera lanciavano anatemi contro chi avanzava preoccupazioni del tutto giustificate sulle ricadute di lockdown e provvedimenti draconiani sulla salute psicofisica, sulle discriminazioni legali conseguenti alla mancata vaccinazione, sulle fortune economiche che l’industria farmaceutica stava traendo da una sciagura globale. Ora lei, in maniera del tutto irrealistica, sta traslando pari pari quello scenario nel contesto del dibattito sul clima, rappresentando un quadro in cui cittadini vessati da drastiche misure in nome dell’ambiente esprimerebbero perplessità legittime e ben argomentate avversate da una sorta di Sacra Inquisizione del Clima.

Semmai è vero l’esatto contrario: certo non mancano i blastatori in stile Burioni, ma per lo più la violenza verbale proviene da orde di arroganti io-non-me-la-bevo (come li chiamerebbe Roberto Massari) che ripetono a pappagallo il ciarpame di La Verità, Il Giornale, Il Foglio e del peggio del Web con una dialettica intrisa di accuse, contumelie nonché di fiera e ostentata ignoranza, atteggiamenti che nulla hanno da spartire con il pensiero critico. Evitiamo pure di chiamare ‘negazionista’ chi spara sentenze rifiutando di informarsi, ma la sostanza non cambia.

Concordo sul fatto che un pubblico del genere non si farà mai convincere da grafici o studi, ma del resto sarebbe inefficace qualsiasi tipo di argomentazione. Per usare le sue parole, costoro confliggono senza prestare il minimo ascolto all’interlocutore, considerato nella migliore delle ipotesi una persona plagiata dalla televisione e nella peggiore un mistificatore asservito a potenti lobby o intenzionato a ordire piani diabolici. Vedi il generale Vannacci, che nel suo famigerato bestseller considera la preoccupazione per l’ambiente una scusa per riportare in auge il comunismo.

Una calunnia patetica quanto rivelatrice della paura che l’ecologismo possa rivelarsi un pensiero ostile al sistema in grado di ripensare per davvero economia e società. Infatti, l’avversione profonda per la scienza del clima e la denuncia del degrado ecologico in generale testimoniano un profondo attaccamento allo status quo ostile a qualsiasi cambiamento concreto. Non a caso l’anti-ecologismo è cavalcato da una certa destra ribellista nella forma ma profondamente conservatrice nella sostanza.

 

Cerchiamo di andare alle questioni politiche in gioco, perché farlo non vuol certo dire essere complottisti ma semplicemente esseri pensanti. Non è accettabile che a distanza di tre anni ritorni la stessa violenza della pandemia, con gli argomenti tabù e i giornali che denigrano chi vuole discutere.

Con tutti i loro limiti, le “questioni politiche in gioco” le stanno trattando movimenti come Fridays For Future, Extinction Rebellion e Ultima Generazione quando parlano di ‘giustizia climatica’, proprio perché consapevoli delle derive strumentali legate alla gestione della crisi ecologica e al business della green economy. Letizia Molinari, attivista di Fridays for Future ed Ecologia Politica,  su Jacobin ha parlato giustamente di “politicizzare la eco-ansia in eco-rabbia”, in quanto la catastrofe climatica è anche “una crisi strutturale del nostro modello economico, sociale, produttivo e riproduttivo, di accumulazione e ripartizione delle ricchezze e di governance globale”.

Notare come questi soggetti prima si siano informati adeguatamente sulla scienza del clima e solo dopo abbiano sviluppato un ragionamento politico adeguato. Atteggiamento opposto all’inventarsi la scienza a proprio uso e consumo e costruire dietrologie per alimentare una narrazione demagogica che faccia leva su paura, frustrazione e pregiudizio.  

 

C’è assoluto bisogno di ripensare la politica e le sue pratiche, partendo dalla pratica del conflitto. Questa modalità di scontro mostra da una parte il senso di impotenza, a cui non dobbiamo rassegnarci, ma dall’altra è indice anche di un certo nervosismo nei media mainstream: la gente dà sempre meno credito alla narrazione unica ed è stanca di politici che non sono in grado di fare cambiamenti significativi perché le decisioni si prendono altrove. Da qui bisogna ripartire.

La sua pagina Facebook vanta più di 13.000 follower, tutti meritati visto l’impegno profuso nei giorni bui della pandemia. Alla luce della vasta considerazione di cui gode, mi scusi ma non può permettersi questa chiosa finale dove mischia sloganismo (“narrazione unica”) e suggestioni ambigue, tipica pratica da bloggerini per racimolare visualizzazioni facili. L’utente medio del Web, infatti, dalle sue parole capisce che il riscaldamento globale è un problema alimentato ad arte dai mass media sotto la pressione dei poteri forti globali allo scopo di sottrarre sovranità agli stati: il negazionismo viene così elevato a resistenza contro l’oppressione. Spero (e credo) che non intendesse tutto ciò, ma le posso assicurare che a gran parte del pubblico sarà giunto questo messaggio (l’ho constatato personalmente).

A scanso di equivoci: il timore di fondo che permea tutto il suo articolo, per quanto mal argomentato, non è certo frutto della paranoia e anzi lo condivido in toto. Il capitalismo è un sistema sociale che scarica sulle classi subalterne i maggiori oneri di qualsiasi problema, si tratti di recessioni economiche, guerre, pandemie, catastrofi naturali, ecc. e naturalmente lo farà anche con la crisi climatica; pertanto, sarebbe alquanto miope limitarsi all’aspetto prettamente scientifico ignorandone le ricadute politiche. Ma una riflessione seria non può basarsi sul cui prodest? e ricostruzioni decisamente forzate della realtà.

Sulla scorta di Naomi Klein, che entrambi apprezziamo, mi permetto di proporle tre importanti correttivi alla sua strategia dialettica:

  • innanzitutto abbandonare paragoni fuorvianti con il covid, buoni per eccitare gli animi ma non per inquadrare adeguatamente il problema;
  • smetterla di trattare il riscaldamento globale come una questione di mera doxa. Non possiamo buttare nel cesso cinquant’anni di climatologia (vista anche la sua notevole capacità predittiva), occorre informarsi e, una volta realmente consapevoli, è lecito esprimere eventualmente critiche motivate al lavoro degli scienziati e all’attività di organismi come l’IPCC;
  • solo allora, avendo chiara la portata del problema e gli obiettivi da raggiungere, si può avanzare una proposta politica adeguata smarcandosi dalle ricette del capitalismo (il quale, per altro, può solo sforzarsi di contenere il danno e nulla più, essendo un processo intrinsecamente antiecologico).

In questo modo, sono sicuro che la Sara Gandini tanto apprezzata ai tempi della pandemia saprà nuovamente arricchire un dibattito pubblico stereotipato e rivelarsi un prezioso punto di riferimento per tante persone.

Immagine in evidenza. Sara Gandini

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