Proseguiamo nell’analisi delle presunte alternative “verdi” con cui si promette di salvare insieme il pianeta e la crescita economica.
Questa volta si parla dell’utilizzo dell’olio di frittura come biocarburante, che essendo tecnicamente un “rifiuto”, permette di sfuggire alla contabilità del carbonio.
L’articolo, di Lorenzo Misuraca, è tratto dal sito Il Salvagente, sempre fonte di informazioni interessanti.
L’enorme quantità di olio da cucina importato dall’Ue per biofuel rischia di essere un boomerang ambientale
L’Europa importa molto olio da cucina usato (Uco) per utilizzarlo come biofuel, soprattutto in campo agricolo. Ma una nuova ricerca mette in discussione l’impatto ambientale dell’aumento delle importazioni di questo liquido di scarto. A dirlo è un report della campagna Transport & Environment, riportato dalla Bbc. L’olio di frittura e altri oli sono considerati rifiuti, quindi quando vengono utilizzati per produrre biodiesel si risparmiano le emissioni di carbonio sostituendo l’olio fossile. L’Ue promuove l’olio da cucina usato in base alla sua legge sui combustibili verdi, che sta facendo aumentare la domanda per il prodotto “di scarto”. E sebbene l’Europa possa aumentare la quantità di Uco che può essere acquistato localmente, ciò è limitato sia dalla capacità delle autorità locali di raccoglierlo sia dalla quantità di olio da cucina usato che gli europei e le industrie dell’UE possono produrre. La domanda in tutta Europa è tale che le importazioni ora rappresentano più della metà dell’Uco trasformato in carburante. Secondo lo studio condotto per conto CE Delft per conto di T&E, la domanda di Uco potrebbe raddoppiare nel 2030. Per i ricercatori, non c’è modo di dimostrare che queste importazioni siano sostenibili.
E qui ancora la gente lo butta nei tombini…
(Non io, perché ho trovato diversi possibili riutilizzi domestici dell’olio di frittura, per quel che vale)
funziona ottimamente come “accelerante” per migliorare la combustione nelle stufe a legna