Fondamentale è capire l’ambiguità di tutte le cose.

C’è l’opportunità della tecnica, che è diventata il disastro ambientale, in grado, per la prima volta nella storia, di mettere a rischio la sopravvivenza dei tecnici stessi.

Poi è arrivato un disastro inatteso – il coronavirus – che ci ha offerto l’opportunità di rivedere tutto, perché ha azzerato per un momento il sistema globale che ci porta verso la catastrofe.

Arriva poi l’opportunità di uscire dalle nostre tane e ricominciare a vivere.

Guardiamo i piccoli segnali, a lungo andare molto significativi, su cosa ne sarà di questa opportunità.

La prima cosa che noto sono le mascherine, non riciclabili, abbandonate per terra, spesso in mezzo alle siepi.

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Poi vedo i bar che riaprono, ed è una strana scena.

Invece di farsi il caffè in casa, qualcuno fa la fila, mascherato e a debita distanza, per ritirare, ad uno ad uno, una tazzina usa e getta, calarsi la maschera, berla e poi buttarla, un po’ dove capita.

Ma cosa ne sarà dei bar?

Qui nel centro storico di Firenze, vige d’estate una zona a traffico limitato, che permette ai residenti un po’ di quiete la notte e la probabilità di trovare un posto per parcheggiare la propria auto.

E’ un quartiere che fu costruito per esseri umani e cavalli, a differenza dei dormitori circostanti, ideati come parcheggio con annesso posto letto. Qui, se si vuole stare all’aperto – e il coronavirus lo richiede – occorre invadere la strada: che finché lo fanno pochi residenti, è una buona cosa, ma c’è proprio un limite numerico alla sopportabilità.

Con il collasso del turismo, il centro è tornato miracolosamente vivibile, ed esiste addirittura la possibilità che calino gli affitti: potrebbe esserci quindi una felice convergenza tra deturistificazione, limite ai parcheggi e ritorno alla vita.

Le sedi di tutti i bar e ristorantini in eccesso, inventati solo per acchiappare i turisti, potrebbero benissimo rinascere come mille forme di botteghe.

I gestori potrebbero andare incontro ai propri clienti, trasferendo le loro licenze nelle periferie, dove ci sarebbe anche tanto posto all’aperto, magari trasformando qualche parcheggio in dehors, o semplicemente mettendoci tante sedie. E questo ridurrebbe il peso del traffico su tutta la città e aiuterebbe a ricreare comunità nei quartieri periferici.

Invece, i localari hanno chiesto e ottenuto dal Comune l’abolizione della ZTL notturna in centro, e stanno premendo per più parcheggi per gli estranei, e ancora più spazi all’aperto. Il tutto dovrebbe essere concesso, senza che i localari stessi debbano pagare le tasse.

Una volta che le leggi di mercato ci potrebbero salvare, si esige quindi un intervento di stato, per mantenere in vita una condizione artificiale e dannosa.

Il disastro tecnico è stato creato proprio dall’interazione di milioni di fattori come quello che abbiamo appena descritto, quasi invisibili e non esattamente intenzionali. E che contano a lungo termine molto più dei progetti altisonanti che le società credono di darsi.

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