La struttura della biosfera.

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Figura 1. Struttura delle biosfera senza Homo.

L’energia entra nella biosfera attraverso l’intefaccia costituita dagli organismi fotosintetici che catturano l’energia radiante del sole e la usano per sintetizzare glucosio che poi, insieme agli altri elementi chimici presenti nel suolo, è la base di tutta la biochimica alla base della vita.
I tessuti vegetali costituiti prevalentemente da cellulosa (il bio-polimero più diffuso sulla terra) sono la principale fonte di alimentazione per gli erbivori. L’energia chimica originariamente creata dalle piante scende così lungo la catena trofica fino ai decompositori che riciclano le deiezioni, gli scarti ed i tessuti degli organismi che li precedono nella catena alimentare, rimettendo in circolo gli elementi chimici che essi contengono.
Tutta l’energia che entra come radiazione solare (ad alta frequenza: visibile e ultra-violetto) esce dal pianeta come calore (radiazione infrarossa). E’ tale radiazione che, catturata e riemessa dai “gas serra”, è alla base del fenomeno dell’effetto serra. (Figura 1)

L’ingresso in scena del genere Homo.

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Figura 2. La comparsa del genere Homo.

La nostra famiglia di primati si distacca da quella delle scimmie antropomorfe intorno a 7 milioni di anni fa. Il genere Homo rappresenta un gruppo poco specializzato dal punto di vista del cibo (polifago). (Figura 2) In pratica mangia di tutto. Uno dei nostri antenati, Homo erectus, scopre o inventa, 1,4 Milioni di anni fa, il modo di controllare il fuoco e questo ha due conseguenze: 1) l’uomo (con cui indico l’intero genere Homo) si appropria di una enorme quantità di energia sotto forma di biomassa (legname) 2) l’uomo inizia a mangiare cibi cotti. Questo fatto riduce la necessità di avere apparati masticatori possenti per lacerare e
schiacciare alimenti crudi e, a parità di costi, sviluppare altre parti del cranio. Il cervello si sviluppa a scapito delle mandibole (o almeno questa è una delle tesi) ed inizia l’evoluzione culturale. Il linguaggio, la tradizione orale, la capacità di astrazione e previsione, la costruzione di strumenti.
Gli strumenti sono, almeno in questa fase primitiva, essenzialmente mezzi di concentrazione dell’energia. Se è evidentemente difficile, se non impossibile, uccidere un animale a mani nude, l’uso di una semplice punta di freccia in osso o in pietra permette di concentrare l’energia muscolare del cacciatore (o dell’artigiano) su una superficie di pochi millimetri quadri e così perforare o tagliare la pelle della preda.

La popolazione umana cresce lentamente.

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Figura 3.

Nel corso dei milioni di anni varie specie del genere Homo si sviluppano ed estinguono sul pianeta. L’ultimo arrivato Homo sapiens compare qualche centinaio di migliaia di anni fa (diciamo 200mila). La popolazione cresce lentamente. A partire da 10mila anni prima dell’era cristiana si stima che cresca con un ritmo dello 0,03% circa annuo. Cioè di circa 3 individui ogni 10mila ogni anno (differenza fra nati e morti). Qualcuno [cfr More. Nature, Population and what Women Want di Robert Engelman] immagina che questo successo ecologico di Homo sapiens sia dovuto alla comparsa del più antico mestiere del
mondo, cioè quello della levatrice. Le femmine iniziano a collaborare per aiutare le proprie compagne e parenti durante il travaglio e questa, a sua volta, è una conseguenza della socialità di questo straordinario ominide. La crescita resta comunque molto modesta per millenni. Estrapolando tale tasso di crescita al tempo presente si raggiungerebbe una popolazione di 100 milioni nell’anno 2000 dC. Nel diagramma di figura 3 la scala delle ordinate (asse verticale) è logaritmica, questo permette di apprezzare le variazioni di numerosi ordini di grandezza. Le curve di crescita che in scala lineare sono delle curve esponenziali che in scala logaritmica sono rappresentate da rette.

L’evoluzione della produzione di cibo.

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Figura 4. Strategie di sopravvivenza.

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Figura 5.

Il periodo plurimillenario di evoluzione culturale di Homo sapiens vede una varietà di strategie per procurarsi il cibo (Figura 4). Queste vengono in genere classificate come “caccia e raccolta” (che include anche la pesca), “pastorizia” e “agricoltura itinerante”. Ciascuna di queste tre strategie permette di alimentare società con densità di popolazione crescente.
La comparsa dell’agricoltura non porta inizialmente grandi variazioni nella crescita della popolazione tuttavia, al termine della sua lunga evoluzione, le tecniche agricole permetteranno la nascita di società stanziali, città più o meno estese e numerose, fino a veri e propri stati agricoli con densità di popolazione fino a oltre due ordini di grandezza superiore rispetto alla caccia e raccolta.
Alla comparsa ed estensione degli stati agricoli nei secoli intorno all’anno 0, si osserva un’impennata del tasso di crescita demografica che poi, con la crisi dell’antichità, ritorna al livello precedente (Figura 5). Intorno all’anno 1000 la ripresa è evidente (Figura 5).

Complessificazione preindustriale.

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Figura 6. Crescita della popolazione dopo l’anno 1000.

Il periodo medioevale è un periodo di continua evoluzione tecnologica. Questo periodo vede una consistente evoluzione tecnica dell’aratro, della bardatura del cavallo, della navigazione a vela, dei mulini ad acqua e a vento ecc. Le quattro fonti principali di energia: il lavoro di uomini e animali, l’energia fluidodinamica delle cadute d’acqua e delle correnti eoliche e della sempiterna biomassa, vengono utilizzate in modi sempre più intelligenti ed efficienti (figura 7). Fra l’anno 1000 e il 1700 dC, la crescita demografica si assesta su un nuovo esponenziale con tasso di crescita medio stimato di 0,12%. Un tasso che, estrapolato al tempo presente, porterebbe ad una popolazione di 800-900 milioni di individui nel 2000 (figura 6)

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Figura 7. Fonti di energia tradizionali nel periodo preindustriale.

Si arriva alla modernità.

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Figura 8.

Nel XVIII secolo accade qualcosa che fa saltare la crescita su un altro esponenziale. Qualcuno sostiene che sia il consolidamento degli stati nazionali che implica una maggiore diffusione delle misure sanitarie e dell’educazione che, a sua volta, tende a ridurre l’influenza di superstizioni nefaste nella gestione della sanità pubblica e delle epidemie. Fra il 1700 ed il 1870 la popolazione cresce ad un tasso medio annuo di 0,41% un ritmo che porterebbe la popolazione umana a 2,5 miliardi di individui nel 2000 e a 6 miliardi solo nel XXII secolo (figura 8). Ma nel XVIII secolo, soprattutto, avviene un’altra scoperta/invenzione prometeica: quella della macchina a vapore.

La macchina a vapore.

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Figura 9.

 

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Figura 10.

E’ l’invenzione che mette a disposizione dell’umanità l’immensa riserva di energia fotosintetica fossile, cioè di energia chimica, contenuta nei combustibili fossili. L’effetto è tanto intenso quanto rapido. Nel giro di pochi decenni la popolazione aumenta il ritmo di crescita dallo 0,41% visto precedentemente ad uno 0,82% e poi all’1,7% dando luogo alla famosa esplosione demografica.
La rivoluzione industriale e la diffusione del modo capitalistico di produzione si basano inizialmente sul carbone e sono impensabili senza di esso.  L’esistenza di un certo livello di industrializzazione basato sulle fonti primarie di energia citate precedentemente, non ha confronto quantitativo e qualitativo con quello che succede in Inghilterra nel XIX secolo. E quello che succede in Inghilterra succede, almeno in parte preponderante, perché sull’isola vi sono vasti giacimenti di carbone, mentre le foreste sono ormai scarse ed i corsi d’aqua saturati dalle attività.
SI può disquisire sull’origine culturale del capitalismo industriale e farlo risalire alla riforma protestante, al calvinismo e a tutto quello che volete, ma si parla di software; l’hardware sono le macchine (i motori) alimentate delle fonti fossili di energia e, all’inizio, il carbone.

L’uso dei combustibili fossili.

L’uso dei combustibili fossili cambia le regole del gioco in quasi tutte le attività umane. In primis in quelle che attengono alla produzione di cibo. In agricoltura, pesca e allevamento il passaggio dai metodi tradizionali a quelli industriali moltiplica a dismisura la capacità di prelievo dalla biosfera. Lo stesso vale per l’attività estrattiva di minerali utili per la tecnologia e dei materiali usati per la costruzione di infrastrutture (figura 11). La più importante conseguenza di questo salto epocale nella disponibilità di energia è, come visto, l’aumento della popolazione.

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Figura 11. Confronto fra le principali attività umane di sussistenza nel passaggio dal il periodo preindustriale a quello industriale.

Disponibilità di cibo.

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Figura 12.

Tornando alla produzione di cibo ed al confronto con le altre economie arcaiche, si vede che l’agricoltura industriale può supportare una densità di popolazione molto superiore. Ma lo fa consumando una risorsa genuinamente non rinnovabile – il petrolio – ed una lentamente rinnovabile – il suolo fertile. Questa è probabilmente la causa prima del successo demografico degli ultimi secoli (Figura 13).

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Figura 13. Crescita della popolazione dall’anno 1000 al 200 in scala logaritmica.

Riassunto.

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Figura 14. L’economia nell’ecosfera terrestre.

L’uomo, che abbiamo visto entrare e vivere nella biosfera piuttosto inosservato, diventa prima un primus inter pares grazie alla sua intelligenza (con la scoperta del fuoco prima e poi della domesticazione di piante e animali) e, nel giro di un millennio, un dominatore assoluto con la scoperta dell’uso dei combustibili fossili negli ultimi secoli.
La sua presenza non è solo rappresentata dalla massa della sua popolazione, ma dalla forma di metabolismo specifico che chiamiamo economia (figura 14). Questo metabolismo introduce un intenso flusso di materia ed energia dalla crosta terrestre all’economia, affiancato al flusso di materia ed energia dalla biosfera stessa; oltre a un altrettanto intenso flusso di rifiuti solidi,
liquidi e gassosi che vanno a saturare ogni comparto dell’ecosistema terrestre: suolo (pedosfera), idrosfera, atmosfera, e biosfera.

Biomasse.

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Figura 15. Biomassa di alcune categorie tassonomiche.

L’effetto si manifesta a vari livelli ma è particolarmente impressionante, a mio modo di vedere, nella semplificazione della biosfera cioè quella che chiamiamo sesta estinzione di massa. Già dal confronto fra la biomassa dell’uomo e dei suoi animali domestici con le biomasse di altre divisioni tassonomiche del regno animale si vede l’anomalia di alcune specie: Homo sapiens, bovini, ovini, suini e pollame che hanno una biomassa confrontabile con quella di intere divisioni contenenti milioni di specie.

Mammiferi terrestri

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Figura 16. Biomasse stimate di Homo sapiens e dei suoi animali domestici a confronto con la biomassa dei mammiferi terrestri.

Ma più impressionante ancora è il confronto delle biomasse dei mammiferi selvatici con quelle dell’uomo e degli animali domestici. Attualmente, al netto dell’errore di stima, si calcola che la biomassa dei mammiferi esistenti sulle terre emerse, che 100mila anni fa era interamente costituita da specie selvatiche, oggi sia costituita per oltre il 95% da Homo sapiens ed i suoi animali domestici (figura 16).

Energia fossile.

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Figura 16. Consumi di energia primaria per fonte (BP 2018)

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Figura 17.

Questa esplosione umana ha un cognome “Energia” ed un nome “Fossile”. Attualmente l’energia fossile rappresenta l’85% dell’energia primaria che consumiamo nel mondo. Data la relativamente bassa efficienza con cui si converte l’energia fossile in energia utile, sarebbe in principio possibile (ad esempio usando solo fonti elettriche alternative) soddisfare lo stesso fabbisogno energetico con un consumo totale inferiore.
In ogni caso attualmente il quadro è quello rappresentato nella figura 16. Come dicevo le fossili rappresentano oggi l’85% dell’energia primaria che alimenta il nostro metabolismo sociale ed economico. Ma si tratta di risorse finite, cioè non rinnovabili. Il modello che descrive meglio la dinamica di esaurimento delle risorse non rinnovabili è quello che prevede una fase di crescita, una di stasi e un successivo declino, cioè il modello del Picco di Hubbert. La parola “Picco” evoca la visione della cima di una montagna. La cima di una montagna si scala salendo e poi si torna a valle scendendo.

Il Picco di Hubbert e i suoi simili.

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Figura 18

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Figura 19. I diversi tipi di picco.

Nel caso dell’energia fossile, e in particolare del petrolio, l’umanità ha scalato la produzione in poco più di un secolo e adesso, secondo quanto pensano molti osservatori indipendenti (indipendenti dalle compagnie petrolifere e dai governi dei paesi produttori), non siamo lontani dalla vetta. Cioè da quel picco che ha il difetto di essere un fenomeno controintuitivo perché avviene proprio quando la produzione è massima, quando c’è una consolidata tradizione di crescita della produzione nei decenni precedenti, e quando ancora si scoprono importanti giacimenti.
Il problema è che le scoperte del presente non riescono a compensare il declino dei giacimenti scoperti nel passato. Quando la produzione inizia il declino, mentre il sistema economico si attende una continua crescita, si apre una fase di penuria. La penuria non si traduce necessariamente in un periodo inflazionistico [si veda i numerosi post di Gail Tverberg sul blog www.ourfiniteworld.com], a causa di un problema di capacità del mercato di sostenere lunghi periodi di alti prezzi di una risorsa essenziale come l’energia.
Indipendentemente dalla forma che il picco assume, il declino è inevitabile e l’idea che sia, almeno per il petrolio, imminente è supportata da numerose osservazioni, la prima delle quali è l’avvenuto picco del petrolio convenzionale nel primo decennio di questo secolo, come ammesso anche dall’IEA.

Il Picco di Hubbert nel mondo

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Figura 20. Il picco produttivo in alcuni campi petroliferi.

Di fatto il picco non è che il modello di un fenomeno osservato migliaia di volte nel mondo nei campi petroliferi dei paesi produttori e ormai in oltre sessanta paesi produttori. Praticamente al momento solo la federazione russa, alcuni paesi dell’OPEC, Canada e Stati Uniti sono ancora in crescita. Questi ultimi grazie al famoso shale oil che potrebbe rivelarsi un’altra bolla dell’economia finanziaria.

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Figura 21. Produzione petrolifera del Regno Unito e della Norvegia.

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Figura 22. Paesi produttori che hanno superato il picco prima del 2005.

Le aree geografiche petrolifere, a volte identificate da interi paesi, sono essenzialmente costituite da zone produttive più o meno localizzate che chiamiamo “campi petroliferi”. In figura 20 abbiamo riportato alcuni esempi di picco in campi petroliferi di diversi paesi. In figura 21 sono rappresentate le curve di produzione petrolifera del Mare del Nord relative al Regno Unito ed alla Norvegia.
Da queste curve, un doppio picco per il Regno Unito e un classico picco di Hubbert per la Norvegia, si apprezza un importante causa del picco: il fatto che i campi petroliferi più grandi si scoprono prima e generalmente entrano in produzione prima di quelli più piccoli. La scoperta e l’entrata in produzione di campi petroliferi più piccoli, ad un certo punto, non riesce più a compensare il declino di quelli grandi ed il sistema entra in declino. In figura 22 è riportata la produzione dei paesi che hanno superato il picco prima del 2005.

Il Picco delle balene.

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Figura 23.

Il Picco di Hubbert o di Seneca, o di chi pare a voi, non descrive solo la dinamica di esaurimento delle risorse minerali che sono certamente non rinnovabili, ma anche quella di ogni risorsa che viene consumata ad un tasso superiore a quello con cui viene ricostituita.
L’esempio tipico è quello del picco dell’olio di balena (figura 23),  avvenuto nel secolo XIX ed usato allora principalmente per illuminazione, che portò quasi all’estinzione del capodoglio che fu salvato solo dalla scoperta dei pozzi petroliferi che permisero di sostituire il kerosene all’olio di balena come olio illuminante.

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Cosa vuol dire “rinnovabile”?

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Figura 24. Tempi di rigenerazione di alcune risorse essenziali.

Il concetto di risorsa rinnovabile è dunque relativo.  Nella figura 24 sono riportati I tempi di rinnovamento delle diverse risorse (quasi tutte) da cui l’uomo dipende. Come si vede, anche in questo caso abbiamo una scala logaritmica in ascisse. Verso la destra si aumenta il grado di non rinnovabilità della risorsa. La durata della vita di un uomo fornisce un metro di paragone.
Possiamo confrontare i tempi di rigenerazione delle diverse risorse critiche per l’umanità con i tempi tipici della storia (dai secoli ai millenni) [cfr Tempi storici e tempi biologici di Enzo Tiezzi], quelli delle istituzioni giuridico costituzionali e del capitale industriale (dalle decine di anni al secolo), quelli della democrazia (dai mesi ai pochi anni) e dell’economia finanziaria (dai pochi secondi ai sei mesi). Per ciascuno di questi ambiti temporali vi sono risorse che sono non rinnovabili (figura 25).

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Figura 25. Confronti fra tempi storici e tempi di rigenerazione delle risorse.

Decrescita o rientro dolce.

Dato il quadro che ho delineato la mia conclusione è che prima della metà di questo secolo l’umanità inizierà un processo di rientro nell’alveo della sostenibilità. Non è dato sapere se lo farà in modo più o meno organizzato, attraverso una decrescita o un rientro dolce programmato e governato, oppure attraverso un processo caotico di collasso, o con una via di mezzo (come più probabile).
Certamente i due fattori che costituiscono l’impronta ecologica, cioè Popolazione e Consumi, dovranno rientrare. Il primo tende a farlo lentamente, il secondo può essere più rapido, ma se non si fa nulla sul primo fattore il secondo interverrà in modo catastrofico e renderà rapido anche il primo.
Sarebbe quindi saggio riprendere le politiche di “controllo delle nascite” indicate con l’espressione politicamente corretta di “salute sessuale e riproduttiva”, affiancandole a molte altre politiche che, in genere, vengono indicate come: “dare potere alle donne”, intendendo, in primis, dare alle donne il potere di controllare il proprio destino, inclusa la fertilità. Oggi si sa che nel mondo ci sono ogni anno circa 70 milioni di gravidanze indesiderate. Già far convergere la maternità effettiva su quella desiderata, mettendo a disposizione delle donne i sistemi anticoncezionali moderni, sarebbe un buon passo nella direzione della sostenibilità.
Purtroppo l’argomento demografico resta uno dei grandi tabù della nostra cultura, per cui si sente spesso parlare chi vuole far decrescere i consumi senza toccare il numero di consumatori.

Nota. Ringrazio Claudio Della Volpe per aver corretto un errore concettuale che avevo commesso parlando dell’equilibrio radiativo della Terra.

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