di Jacopo Simonetta

Il collasso delle società complesse

Uno dei testi di riferimento per il “collassologi” di tutto il mondo è “Il collasso delle società complesse” (1988) di Joseph Tainter, storico americano.

Un libro che merita senz’altro di essere letto con attenzione.  In ultima analisi, Tainter sostiene che l’incremento nella complessità delle strutture sociali sia una risposta adattativa a situazioni di stress, come carenza di risorse, minacce esterne od altro, in quanto una maggiore complessità consente una maggiore efficienza ed efficacia nel controllo dei fattori vitali per la società stessa.  Ad esempio, la specializzazione del lavoro consente un migliore sfruttamento delle risorse e una più efficace difesa militare, ma richiede una più complessa e costosa sovrastruttura organizzativa per coordinare efficacemente i contadini con i minatori, i soldati e così via. Inoltre, la classe dirigente svolge si un ruolo socialmente utile di coordinamento, comando e controllo, ma per funzionare richiede legittimazione. Cosa che di solito comporta cerimonie, architetture monumentali, beni d’apparato, studi superiori ed altro, con un aggravio dei costi sostenuti dalle classi basali della piramide sociale.
Il buona sostanza, Tainter sostiene che aumentare la complessità comporta sia vantaggi che svantaggi, con i primi che prevalgono nettamente nelle fasi iniziali del processo di costruzione di una società complessa.  Man mano che si devono affrontare problemi più difficili si devono però elaborare livelli superiori di complessità con un processo che va fatalmente incontro alla implacabile legge dei “ritorni decrescenti”.   Vale a dire che, ad ogni ulteriore passo, i vantaggi aumentano sempre meno, a fronte di investimenti sempre maggiori, finché i costi prevalgono e ad ogni ulteriore incremento di complessità i benefici diminuiscono, anziché aumentare.
Una trappola che rende progressivamente più fragili le società, finché un evento qualsiasi non da loro la spinta finale.  E’ per questo che eventi calamitosi come guerre, epidemie o carestie, che in passato erano stati superati bravamente, possono diventare fatali per società fragilizzate da un livello di complessità oramai troppo oneroso.  Per questo, conclude lo storico, il collasso non deve essere visto come una tragedia in se, bensì come un’efficace strategia con cui una società ritrova un ragionevole equilibrio con le proprie risorse. Una strategia costosa perché si accompagna a violenza, fame e disgrazie varie, ma che ad un certo punto diventa comunque preferibile al continuare sulla strada di una sempre maggiore complessità.

A sostegno del suo ragionamento, Tainter passa in rassegna le spiegazioni date dai suoi predecessori al singolare fenomeno storico del collasso di società complesse, raggruppandole in varie categorie: esaurimento di risorse, nuove risorse, catastrofi, risposta insufficiente alle circostanze, competizione/scontro con altre società complesse, invasori esterni, cattiva amministrazione, disfunzionalità sociale, concatenazioni casuali di eventi, cause economiche, fattori mistici.
Nella sua analisi, trova elementi validi in ognuna di queste categorie di spiegazioni, tranne che nell’ultima su cui si dilunga solo per dirne tutto il male possibile, prendendosela in particolare con Spengler e Toymbee.  Curioso, perché, al contrario, proprio questo tipo di approccio è quello che maggiormente concorda con la sua idea.  Solo che non se ne è accorto

Mistica e termodinamica del collasso.

Tainter individua tre ragioni per cui, secondo lui, le spiegazioni “mistiche” non spiegano niente:

(a) Analogia con i processi biologici di accrescimento e invecchiamento: (b) dipendenza da giudizi soggettivi di valore; (c) Riferimento a fattori vaghi, non di rado fantastici.

Per quanto riguarda i punti “b” e “c”, ritengo che Tainter abbia ragione.  Parlare di civiltà “superiori” o “inferiori” non aiuta molto a capire; così come non aiuta parlare del perduto “vigore virile” o dello “energia vitale” di un popolo.
Viceversa, l’analogia con i processi biologici, per quanto vaga, è sostanzialmente corretta e, anzi, costituisce la chiave che può saldare l’idea di Tainter sui ritorni decrescenti della complessità con la termodinamica.  Dunque con il cuore di quelle “scienze dure” tanto care allo storico americano.
Organismi e società hanno infatti qualcosa di molto importante in comune: entrambi sono “strutture dissipative”. Vale a dire che, dissipando energia, accumulano informazione e riserve al loro interno, scaricando entropia all’esterno.  Dunque l’analogia intuita fin dai tempi di Platone e di Polibio è molto più di una semplice metafora. Semmai l’errore commesso dagli storici “mistici” (sensu Tainter), ma anche da Tainter stesso, è quello di riferire tale analogia ad un individuo umano.   Non solo, infatti, una società è necessariamente molto più complessa di un singolo individuo, ma ha anche un piano di organizzazione molto diverso.  Noi, come tutti gli altri cordati, siamo infatti strutturati in maniera totalmente centralizzata, con un grado di interdipendenza delle parti altissimo.  Un braccio separato dal corpo non è niente e un corpo senza un braccio è irreparabilmente menomato.
Le società sono molto meno integrate e centralizzate.  Se proprio vogliamo trovare un’analogia con degli organismi, dobbiamo cercare piuttosto fra quelli semi-coloniali , come gli alberi o alcuni insetti sociali, ma anche qui con una montagna di “distinguo” perché nessun’organismo vivente ha un livello di complessità neppure lontanamente comparabile con società umane del tipo di quelle studiate da Tainter.
Tuttavia, vale la pena di osservare che la dinamica dei ritorni decrescenti della complessità ha una radice precisa nella dinamica delle strutture dissipative il cui accrescimento si basa, per l’appunto, su di una retroazione positiva fra complessità e flusso di energia. Un fatto cui invero Tainter fa cenno, ma solo di sfuggita, mentre è il punto nodale di tutta la sua costruzione.  E’ infatti la dissipazione di energia che consente ai sistemi di accumulare e mantenere informazione mentre, contemporaneamente, una maggiore complessità consente di estrarre e dissipare maggior quantità di energia dall’ambiente circostante.   Oppure di usarla con maggiore efficienza che, all’atto pratico, ha risultati analoghi.
Tuttavia il gioco non può funzionare all’infinito per l’effetto sinergico di tre ordini di fattori:

1 – L’estrazione di energia (ed altre risorse) impoverisce le fonti delle medesime, cosicché è necessario un sempre maggiore investimento energetico anche solo per mantenere i flussi (primo ordine di ritorni decrescenti).

2 – La manutenzione dell’ informazione accumulata in tutte le sue forme (compresa la popolazione umana) richiede energia e risorse che crescono con la quantità di informazione.  Ma anche con l’età dell’informazione stessa (ad es. la manutenzione degli edifici e delle infrastrutture industriali).  Secondo ordine di ritorni decrescenti, che l’obsolescenza programmata non può che aggravare.

3 – L’espulsione di entropia nell’ambiente circostante il sistema o, peggio, all’interno dello stesso (per esempio mediante l’inquinamento) deteriorano la Biosfera di cui la società fa parte. Ciò rende progressivamente più costosi sia l’estrazione di risorse, sia la manutenzione dell’informazione accumulata.  Terzo ordine di ritorni decrescenti.

Alla fine, un sistema deve quindi, necessariamente, decrescere.  Può farlo lentamente e gradualmente, oppure può trovare il modo per resistere alle forze di cui sopra.  In tal modo può continuare a crescere ancora, ma ciò lo allontana sempre di più da una situazione di relativo equilibrio cui dovrà comunque tornare in modo tanto più traumatico, quanto più dilazionato. In fondo, una “catastrofe” non è che un brusco ritorno alla normalità.  Ed è da evidenziare come questo meccanismo emerga in tutta evidenza dallo studio dei Limiti dello Sviluppo.  Anzi, ne costituisca a mio avviso il risultato più importante.

  • Facebook
  • Twitter
  • Google+
  • Buffer
  • Evernote
  • Gmail
  • Delicious
  • LinkedIn
  • Blogger
  • Tumblr

Limiti dello Sviluppo: scenario base.

  • Facebook
  • Twitter
  • Google+
  • Buffer
  • Evernote
  • Gmail
  • Delicious
  • LinkedIn
  • Blogger
  • Tumblr

Limiti delle sviluppo: scenario con risorse raddoppiate.

 

 

 

 

 

 

In fondo, Platone, Polibio, Vico, Spengler e tanti altri avevano avuto l’intuizione giusta: le società umane sono necessariamente mortali come qualunque altro sistema vivente.  Ed a maggior ragione va riconosciuto loro il merito, visto che abbiamo dovuto aspettare la fisica del tardo XX secolo per cominciare a capire come mai questo avviene.

Share This