Ecofascista” è l’insulto abituale che viene rivolto a chi osa nominare la sovrappopolazione.
Qui non tornerò sugli aspetti prettamente demografici della questione cui sono già dedicati vari post (per esempio qui, qui, e qui).  Vorrei invece parlare di questo singolare tabù culturale, caratteristico (anche se non esclusivo) della civiltà industriale.

Per cominciare.

Per capire di cosa stiamo parlando, consideriamo che oggi noi siamo quasi 8 miliardi con un tasso di crescita di 80 milioni l’anno, circa 220.000 al giorno, oltre 9000 all’ora, 75 al secondo.  Ciò significa una massa umana stimata in circa 400 milioni di tonnellate.  La densità media mondiale della popolazione umana è di  55 persone per Kmq (Antartide esclusa), il che significa un quadrato di poco più di cento passi per lato a testa.  In Italia siamo circa 200 per Kmq, il che vuol dire mezzo ettaro a persona, ma se consideriamo solamente la superficie agricola il quadrato diventa di soli 40 passi per lato (circa 2000 mq).

Il numero di persone è però solo uno dei fattori in gioco perché per vivere utilizziamo bestiame, campi, strutture industriali, edifici e molto altro ancora.  Complessivamente, la “antroposfera” (cioè noi con annessi e connessi) pesa circa 40.000 miliardi di tonnellate, ossia qualcosa come 4.000 tonnellate di cemento, metallo, plastica, piante, animali domestici eccetera per ognuno di noi. Mediamente e molto indicativamente.
Dal 1800 la popolazione è aumentata di 8 volte, ma i consumi totali di 140 volte e se hanno cominciato a calare in alcuni paesi, come il nostro, continuano a crescere a livello globale.

Il terzo fattore determinate, correlato con gli altri due, è la tecnologia i cui effetti sono complessi, ma che nell’insieme consente di sfruttare meglio le risorse residue, non di crearne di nuove.  In definitiva, la tecnologia aumenta quindi e non riduce sia i consumi che il degrado del pianeta.  Un fatto empiricamente già osservato da molti autori (a partire da Jevons già nel 1865) e scientificamente dimostrato da Glansdorff e Prigogine nel 1971.

Il risultato è che i biomi, cioè i grandi sistemi ecologici in cui si articolava la Biosfera e che mantenevano sul pianeta condizioni climatiche ed ambientali compatibili con la vita (compresa la nostra), non esistono più ed oggi si parla di Antromi.
Dei 21 antromi identificati, soltanto 3 sono considerati “wildlands” e cioè   deserti, tundra, e resti di foreste tropicali primarie per un totale di poco più del 20% delle terre emerse (Antartide esclusa).  Ma anche questi territori sono soggetti a gravi e gravissimi fenomeni di degrado come incendi, scioglimento del permafrost, ecc.
Tutto il resto, circa l’80% delle terre emerse,  sono occupate da ecosistemi totalmente artificiali, come città e campagne, o pesantemente modificati, come la quasi totalità delle foreste e delle praterie superstiti.   In mare va pure peggio.
Ciò significa che ecosistemi propriamente “naturali” non esistono praticamente più e che il poco che resta della vita selvatica sopravvive negli interstizi del nostro “formicaio globale”.   In effetti è miracoloso che esista ancora tanta vita sulla Terra.

La “transizione demografica”

Il padre della “Transizione Demografica” fu Adolphe Landry, un politico francese della sinistra radicale, più volte deputato e ministro.   Decisamente favorevole a politiche nataliste e strenuo detrattore dell’opera di Malthus, in realtà Lanrdry ne sposò appieno i presupposti, giungendo però alla conclusione che non bisognasse ridurre la natalità poiché una popolazione numerosa e dinamica costituisce la principale ricchezza di una nazione.    Bisognava invece aumentare e diffondere il benessere economico, così da provocare una graduale stabilizzazione della popolazione, ma su livelli molto superiori a quelli di partenza.   In altre parole, rispetto a Malthus, invertì la causa con l’effetto.
Nata ai primi del ‘900 e poi rielaborata da numerosi autori, in estrema sintesi, questa teoria sostiene infatti che esista una condizione “tradizionale” il cui miseria, malattie e guerre determinano un’elevata mortalità, compensata da un’elevata natalità, cosicché la popolazione si mantiene sostanzialmente stabile.  Il progresso e l’industrializzazione aumentano il benessere e riducono la mortalità, cosicché la popolazione aumenta mentre, in un secondo tempo, la natalità diminuisce fino a riportare un sostanziale equilibrio, ma a livelli demografici molto più alti.  Fattori come la disponibilità di risorse, la resilienza degli ecosistemi, l’inquinamento, ecc. non hanno alcuna rilevanza sostanziale.
Sulla base delle conoscenze scientifiche e storiche disponibili fino agli anni ’70 la teoria sembrava spiegare bene quello che era accaduto in Europa e negli USA negli ultimi due secoli, così da diventare un punto di riferimento per tutti i modelli demografici.

Fin qui niente di strano.  Il punto è però che negli ultimi 50 anni le migliori conoscenze soprattutto storiche ed antropologiche hanno ampiamente dimostrato che non è mai esistito uno stato “tradizionale” simile a quello ipotizzato dalla teoria.  Al contrario, le popolazioni hanno adottato strategie riproduttive molto diverse a seconda dei luoghi e delle epoche.  In moltissimi casi, anche nell’Europa cristiana, sono state praticate forme più o meno efficaci di controllo demografico, sia limitando la natalità (con varie combinazioni di modalità infertili di fare sesso, profilattici, allattamento prolungato, astinenza, aborto, infanticidio ed abbandono), sia aumentando la mortalità dei vecchi (abbandono ed uccisione).
Quelle che non lo hanno fatto si sono guadagnate un posto nei libri di storia perché hanno scatenato invasioni, oppure si sono estinte schiacciate dal loro stesso numero.   Semmai fu proprio la particolarissima combinazione di fattori storici ed ambientali che permise l’affermarsi del Capitalismo a creare le condizioni culturali, sociali ed economiche che hanno portato a due secoli di crescita senza precedenti della natalità e della popolazione in Europa ed in USA.
Allargando lo sguardo al resto del mondo, è stato ampiamente documentato che, quasi sempre, fu proprio la colonizzazione europea a provocare prima un calo demografico, talvolta notevole e, successivamente, l’incremento forsennato che in alcuni casi dura ancora oggi.

In sintesi, la “transizione demografica” nacque come proposta politica, crebbe come ipotesi scientifica per diventare infine una “pia leggenda” nel senso etimologico del termine.

E dunque?

Dunque perché ancora oggi, non solo sui libri di scuola, ma anche nelle elaborazioni dell’ONU e degli altri organismi politici si continua ad usare questo modello?   Detto molto brutalmente, perché fa comodo a tutti.
Fa comodo ai capitalisti perché è un eccellente viatico per sostenere che il capitalismo ha fatto del gran bene e che bisogna spingere al massimo la crescita economica, “conditio sine qua non” per la definitiva soluzione dei problemi umani.
Fa comodo ai governi perché li esime da prendere difficili e spesso impopolari provvedimenti.
Fa comodo alla “destra” ossessionata dalla denatalità e dalla possibile estinzione dell’ipotetica “razza bianca”.  Ma anche ai nazionalisti di ogni paese ed etnia, perché nega che l’elevata natalità a loro cara sia prodromo di un disastro.
Piace al clero delle religioni dominanti, tutte più o meno misogine e più o meno ossessionate dalla sessualità, considerata come intrinsecamente peccaminosa.  Il fine riproduttivo viene quindi indicato, talvolta apertamente e talaltra in modo sottinteso, come la giustificazione del rapporto sessuale.  Il fatto che il peso ed il rischio conseguenti ricadano interamente o quasi sulle donne non sembra essere un problema, semmai il contrario.
Piace ai sostenitori di ideologie di sinistra, come il citato Landry, perché sostiene l’idea che il progresso sia un fenomeno naturale ed irreversibile, oltre che esimere il proletariato da qualunque responsabilità per eventuali contrattempi.
Piace ai razzisti occidentali perché li fa sentire all’avanguardia del progresso e piace ai razzisti delle altre etnie perché promette loro la rivincita.
Piace anche al variegato mondo ambientalista perché consente di trascurare il più difficile e mortifero degli elementi in gioco, pensando che tanto si risolverà da solo mentre ci occupiamo di energie rinnovabili e riciclaggio.
Piace ai fautori dell’immigrazione di massa perché consente loro di pensare che possano non esserci limiti al numero di persone che vivono su di un dato territorio, ma anche a chi si oppone perché consente loro di dire che la causa della sovrappopolazione è il 10% in arrivo, anziché il 90% che già c’è.
Piace perfino alle femministe, malgrado siano proprio le donne a portare il pesante fardello che la mancanza di politiche antinataliste dei governi scarica sulle loro spalle.  Ed anche ai terzomondisti, malgrado che, fra le conseguenze della colonizzazione, l’elevata crescita demografica sia quella che più di ogni altra ha oramai condannato molti popoli a secoli di miseria, disordini sociali, guerre, ecc.
Si, perché sovrappopolazione significa degrado ambientale ed inquinamento, disoccupazione, miseria e sfruttamento, competizione e conflitto.  Non è mai il solo fattore in gioco, ovviamente, ma guarda caso è sempre stato una delle forzanti principali delle più gravi crisi che hanno scandito la storia umana.  Ma è la prima volta che si presenta, sia pure in forme diverse, in tutto il pianeta contemporaneamente.
Non è quindi un’invenzione di qualche stravagante o di una setta di misantropi patologici, bensì una realtà oggettiva ed averla voluta ignorare è, in assoluto, il più formidabile ostacolo sulla strada di un’ipotetica transizione verso una società “sostenibile” in senso proprio e non solo propagandistico.
Però fa comodo a chi ha il potere e piace a chi non lo ha ed è molto difficile che i fatti inducano le persone a cambiare idea quando contrastano con i loro sentimenti ed i loro interessi personali.

Come andrà a finire?  Questo è uno dei pochi pronostici sicuri: non sappiamo come e quando, ma l’umanità rientrerà nei limiti della capacità di carico del Pianeta.  Certamente.
Peccato che ogni giorno che passa, ogni bocca ed ogni kWh in più contribuiscano a ridurre questa capacità, sicché più si aspetta e peggio sarà. Perché laddove la natalità ed i consumi non scenderanno abbastanza in fretta salirà la mortalità a salire.
In un mondo in cui non esistono spazi disponibili alla colonizzazione, neppure migrare è una soluzione perché non fa che spostare l’acme della crisi da un luogo ad un altro.

ecostruzzismo
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Dirlo non è ecofascismo, negarlo è invece ecostruzzismo.

 

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