Il rapporto Draghi dovrebbe entrare di diritto nella letteratura horror. Non in quella divertente a base di zombi, fantasmi ed altre improbabili creature, bensì in quella che fa davvero paura perché descrive in modo asettico pericoli oggettivi, se non addirittura catastrofi oramai inevitabili. Eppure, sotto molteplici aspetti, scivola invece nel fantasy, con maghi ed eroi che sconfiggono il male e riportano la luce infischiandosene di tutte le leggi della fisica e dell’ecologia.
Come c’era da aspettarsi, finché parla di industria e finanza, l’analisi di Draghi mi pare ineccepibile. In estrema sintesi, il documento sostiene che gli europei hanno ormai perso l’autobus delle nuove tecnologie (IA, digitalizzazione, computer quantistici, ecc.) e che questo ci rende estremamente vulnerabili nei confronti di USA e Cina, sia sul piano industriale e commerciale, che su quello militare e geopolitico.
Entrambi questi colossi sono infatti visti come poteri concorrenti e potenzialmente ostili, interessati a sfruttare l’Europa a proprio vantaggio mediante l’antica strategia del “divide et impera”. Anche la minaccia militare, per quanto non immediata, non deve essere sottovalutata perché non possiamo più fare affidamento sull’ombrello americano. Dobbiamo quindi tornare ad essere noi stessi i garanti della nostra indipendenza e sovranità perché, in caso di guerra, nessuno ci aiuterebbe. Non sarà facile perché, anche in questo campo, si tratta di recuperare 30 anni in cui non solo abbiamo pressoché smantellato le nostre FFAA ed investito nella difesa molto meno di USA e Cina, ma abbiamo anche speso male, anzi malissimo, i nostri soldi.
Di poi, anche se non parla esplicitamente di picco delle risorse, il nostro tratta ampiamente di come il degrado quali-quantitativo delle risorse strategiche e la loro concentrazione in pochi paesi, quasi tutti attualmente o potenzialmente ostili, ci lasci in una situazione alquanto pericolosa. Situazione ulteriormente aggravata dal fatto che, in praticamente tutte le tecnologie d’avanguardia, sia la Cina che gli USA ci hanno superati, talvolta di molto. In altre parole, stiamo diventando noi quel “terzo mondo” che siamo abituati a guardare con condiscendenza, velata di razzismo.
Come siamo arrivati a tanto? Anche su questo Draghi è chiaro: abbiamo passato gli ultimi 30 anni a farci i dispetti fra di noi, assai più interessati alla competizione interna che a quella con le potenze rivali. Inoltre, siamo handicappati da una serie di fattori che vanno dall’estrema frammentazione dei piccoli mercati nazionali, all’eterogeneità e ridondanza di normative mai omogenee e talvolta contrastanti; dalla costante lotta politica interna (più insidiosa quando nascosta), alla radicata abitudine di dormire profondamente su allori sempre più avvizziti. Detto brutalmente, mentre noi eravamo rapiti nell’osservazione del nostro ombelico, robuste membra si allenavano ad est e ad ovest. Oramai, mette ben in chiaro Draghi, è cosa fatta e solo parzialmente, forse, recuperabile.
Come? Sempre in estrema sintesi, la ricetta per minimizzare i danni è quella di fare finalmente fronte comune alle difficoltà. Non dovrebbe essere difficile da capire, che il pesce grosso mangia il piccolo e che i piccoli vogliono cavarsela devono coalizzarsi, non è certo una novità. Se, infatti, singolarmente i paesi europei sono un mazzo di “niente” (Germania e Francia comprese), tutti insieme abbiamo ancora un peso economico e politico con cui perfino i due colossi dovrebbero fare i conti, per non parlare di tutti gli altri. Per esempio, l’Euro è tuttora la seconda moneta più forte al mondo e questo potremmo giocarcelo molto meglio di quanto stiamo facendo.
Se, ad esempio, le trattative commerciali per l’acquisto di risorse strategiche come energia, metalli rari, tecnologie avanzate ecc., venissero condotte unitariamente, sarebbe possibile spuntare condizioni assai migliori sia in materia di prezzo che di affidabilità della fornitura. Analogamente, uniti potremmo imporre noi le condizioni alle grandi holding globali, anziché subirne regolarmente il ricatto. Uno dei grandi vantaggi competitivi di USA e Cina è infatti la dimensione economica e politica che consente loro di spuntare economie di scala e condizioni contrattuali assai migliori delle nostre.
Per quanto poi riguarda in particolare l’energia, sotto la dicitura inesatta di “decarbonizzazione”, il nostro afferma che bisogna recuperare il tempo perduto installando come forsennati pannelli fotovoltaici e pale eoliche, oltre che di centrali nucleari, accollandoci i notevoli oneri per adeguare le reti di distribuzione al nuovo assetto.
Un altro punto su cui il rapporto insiste molto è snellire e uniformare le pratiche e gli adempimenti burocratici, specie per le aziende piccole e medie; essendo il peso delle scartoffie (diverse da paese a paese), una delle principali cause dell’emigrazione delle imprese negli USA e non solo. In particolare, si sofferma sull’esasperante lungaggine delle procedure autorizzative, che devono essere ripetute e diversificate per ogni piccolo paese.
Infine, molta enfasi viene posta sul fatto che occorre incoraggiare e sostenere in ogni modo possibile le imprese innovative per tentare di recuperare, nei limiti del possibile, il ritardo tecnologico nei confronti della concorrenza. Il rischio di trovarsi ad essere noi quelli “arretrati” già nel prossimo futuro è, secondo Draghi, quasi una certezza a meno di non intraprendere da subito (meglio da ieri) una politica decisa e generosa di mezzi.
Insomma, per dirla con le sue stesse parole: “Oggi per avere successo le politiche industriali richiedono strategie che abbraccino gli investimenti, la fiscalità, l’istruzione, l’accesso ai finanziamenti, la regolamentazione, gli scambi e la politica estera, tutte unite da un obiettivo strategico concordato”.
Condivisibile, eppure… mi pare che manchino parecchi pezzi importanti, mentre altri sono ambigui.
Per cominciare, saltano subito all’occhio due grossi “buchi”. Il primo è che l’esperienza post-covid ha ampiamente dimostrato come iniettare miliardi in un’economia che, per qualche ragione, non può crescere, anziché benessere produce inflazione. Accanto alla strategia da seguire per inondare l’industria di denaro, si dovrebbe quindi spiegare come evitare un’ulteriore ondata inflattiva che avrebbe effetti devastanti su pensioni, risparmi e salari di quanti non potranno attingere direttamente alla nuova “mammella”. Il punto è che secondo Draghi gli ostacoli alla crescita sono solo quelli di cui parla lui (frammentazione, inefficienza, ecc.). Il dubbio che ne possano esistere altri, derivanti dal contesto fisico in cui operano banche ed industrie, non lo sfiora neppure.
Il secondo è che, dopo aver lodato il fatto che in Europa la sperequazione fra ricchi e poveri è fra le più basse del mondo (in particolare molto più bassa che in Cina ed USA), non si dice niente su come mantenere, anzi migliorare questa situazione nel contesto di rapida trasformazione del tessuto industriale ed economico proposto; anche in vista delle inevitabili tensioni sociali che tale trasformazione provocherebbe. Eppure questo è un campo in cui l’ex governatore della BCE dovrebbe invece saperla lunga.
Passando poi da ciò che si tace a ciò che si dice, “Decarbonizzazione” e “Transizione energetica” sono termini propagandistici che stonano in un documento che si vuole altamente professionale, ancorché scritto in termini divulgativi. Installare pannelli e pale, con tutto ciò che necessita loro per funzionare, significa infatti integrare, non sostituire le energie fossili che rimangono, comunque, indispensabili; fatto che Draghi stesso ammette apertamente. In altre parole, lo scopo dell’operazione proposta è quello di rendere l’Europa più resiliente agli shock sulle forniture estere, non quello di ridurre le emissioni. Lo scopo è corretto, mentre non lo è spacciare una cosa per un’altra.
Una vera transizione energetica, anche parziale, necessiterebbe infatti di ridurre i consumi finali parallelamente all’aumento dei GW rinnovabili e/o nucleari. Ma di questo il rapporto non fa menzione alcuna. Semmai, indirettamente, preconizza il contrario giacché ripete ossessivamente che lo scopo di tutto ciò è il rilancio della crescita economica. Cosa che, se avvenisse, comporterebbe un aumento dei consumi e degli impatti ambientali relativi; specialmente se trainata dai settori più cari al nostro (IA, wafer, semiconduttori, chip, ecc.). Tutte tecnologie che per essere prodotte e fatte funzionare hanno bisogno di quantità enormi e rapidamente crescenti di energia.
Parimenti, trovo indegno di un testo serio parlare di “economia circolare”: ennesimo ossimoro, specie se associato alla parola “crescita” come in questo caso. Avrebbe invece avuto senso, e molto, dedicare un paragrafo al fatto che, poverissima di materie prime, l’Europa dovrebbe fare ogni sforzo possibile per spingere all’estremo il riciclaggio. Spiegando però che si tratterebbe di un’impresa industrialmente ancora più ardua della diffusione di sorgenti energetiche intermittenti perché, per raggiungere livelli significativi, richiederebbe la completa revisione di tutte le filiere. Infatti, per rendere industrialmente recuperabili la maggior parte dei materiali usati sarebbe necessario che l’intera progettazione di oggetti e materiali avvenisse a priori in vista di un loro successivo disassemblaggio e recupero. Nientemeno!
Un altro punto dolens riguarda poi la farraginosità delle procedure di autorizzazione e controllo. Se, infatti, è vero che dovrebbero essere uniformi e valide per tutti i paesi UE, oltre che più rapide, è però altrettanto vero che dovrebbero essere anche molto più severe. Attualmente, infatti, le pratiche sono estenuanti, ma neanche prendono in considerazione la cosiddetta “opzione zero” (cioè dire semplicemente “No”). Alla fine, se chi propone il progetto conta qualcosa ad un qualche livello di potere, il permesso lo avrà. Al massimo, gli saranno imposte delle mitigazioni o delle compensazioni che, spessissimo, o non si faranno, o serviranno a fare ancora peggio. Come nel caso, comunissimo, in cui la “compensazione” per la realizzazione di una nuova strada è un’altra strada.
Al contrario, l’ex capo dell’Eurotower, afferma che: “Potrebbero essere utilizzati aggiornamenti mirati della legislazione ambientale rilevante dell’UE per fornire esenzioni limitate (in tempo e portata) alle direttive ambientali dell’Unione fino al raggiungimento della neutralità climatica. Questa normativa rivista dovrebbe nominare autorità nazionali di ultima istanza per garantire l’autorizzazione dei progetti nel caso in cui non ci sia risposta da parte delle autorità locali dopo un tempo predeterminato (ad esempio 45 giorni).”
Cioè raccomanda di curare l’influenza con correnti d’aria ed impacchi freddi. Con buona pace del nostro pezzo grosso, si dà infatti il caso che contravvenire alla già lacunosa normativa ambientale non farà altro che peggiorare la situazione climatica. Così come l’aumento dei consumi necessario per l’agognata crescita economica e per lo sviluppo di tecnologie d’avanguardia. Parlare di “raggiungere la neutralità climatica” in un simile contesto non è dunque che l’ennesima dimostrazione di quanto superficiale sia l’approccio a questi temi e di come la classe dirigente consideri la normativa ambientale un lusso che non possiamo più permetterci. Oltre che un ostacolo a quel sogno di crescita infinita che sa tanto di romanzo fantasy sulla carta e di horror quando calato nella realtà.
Ma la lacuna forse maggiore del rapporto è a proposito delle risorse strategiche più vitali, cui peraltro dedica ampio spazio. Vi si parla infatti diffusamente di metalli, idrocarburi e terre rare, ma non di acqua, suolo e biodiversità. Cioè delle tre conditio sine qua non per l’esistenza di una qualsivoglia civiltà, se non per la stessa sopravvivenza della nostra specie. Si potrà obbiettare che il rapporto è dedicato alla competizione industriale internazionale e che gli argomenti di cui sopra sono invece materia per un eventuale rapporto sull’agricoltura e l’ambiente. Solo che senza suoli fertili, biodiversità, foreste ed acqua dolce non poterebbe avvenire alcuna produzione industriale, men che meno tecnologicamente avanzata.
Limitandoci alla disponibilità di acqua, per fare un esempio, la realizzazione di un singolo chip richiede l’uso di 30-40 litri di acqua distillata non riutilizzabile ed il consumo complessivo della produzione cresce almeno del 10% l’anno in un pianeta che sta entrando nella fluttuazione climatica caldo-arida forse più dura e certamente più rapida della sua intera storia geologica.
Solo per addestrare GPT-3 (quindi senza considerare la realizzazione dei supercomputer e server su cui gira) serviranno qualcosa come 5.000 mc di acqua perfetta, cui se ne dovrà aggiungere circa mezzo litro ogni 10-50 risposte (a seconda della loro complessità), per un aggeggio che dovrebbe sfornare decine di milioni di risposte al giorno. L’IA ha molta sete, oltre che molta fame.
Non per caso, già ora, la produzione di wafer, chip ecc. richiede quantitativi di acqua purissima tanto elevati e rapidamente crescenti che i colossi del settore (Taiwan e Cina) si stanno seriamente ponendo il problema di come continuare a mantenere queste industrie senza assetare la popolazione. Certo ha senso dire che bisogna riportare in Europa almeno una parte di queste produzioni così delicate ed importanti. Ma trovo inammissibile non spendere neppure una parola per dire che questo necessiterà, oltre ad investimenti plurimiliardari in impianti industriali, infrastrutture e scuole di specializzazione, anche una radicale revisione della gestione del territorio e delle risorse idriche per arginare l’inaridimento già in atto sulla maggior parte del continente.
Si tratta infatti di un impegno ben superiore allo sviluppo di tecnologie d’avanguardia e di reti elettriche più complesse e ridondanti. Occorre nientedimeno che manipolare il ciclo dell’acqua a tutte le scale, dal singolo appartamento all’intero continente, in maniera coerente e sinergica, adattando di conserva le politiche industriali, agricole, urbanistiche, ecc.
Si tratta quindi di ripensare tutto quello che è stato fatto negli ultimi 50 anni almeno e modificarlo, quando non demolirlo e rifarlo, ponendosi lo scopo esattamente opposto a quello finora perseguito.
Vale a dire che bisognerebbe allagare tutto l’allagabile, aumentare la copertura vegetale, decompattare i suoli agricoli, finanche demolire interi quartieri e molto altro ancora. Tutte operazioni che, solo per parlarne, si scontrerebbero non solo contro enormi difficoltà oggettive, ma anche contro lo zoccolo durissimo di politici, tecnici e opinione pubblica che la pensano in modo affatto contrario. E che, ben più della CO2, sono responsabili tanto dell’inaridimento cronico, quanto delle occasionali alluvioni. Insomma, l’acqua non è certo una “cosetta” che si possa dare per scontata se davvero si pensa di reindustrializzare il paese.
Che dire infine? Su molte cose Draghi dice il vero, ignorando però il fatto che il quadro delineato è solo un tassello di un mosaico assai più ampio e complesso. Ma finché non decideremo di analizzare le cose in maniera davvero sistemica e multidisciplinare, continueremo a sbattere contro la realtà, come le mosche contro il vetro.
Questa, almeno, è la mia impressione. Ma è possibile che un tizio qualsiasi, che attinge le sue informazioni da fonti pubbliche, possa trovare delle pecche nell’opera di un personaggio di rango mondiale, foderato di uno staff che può accedere alle migliori informazioni riservate? Mi pare inverosimile, ma forse sì, se il gruppo di lavoro è composto da specialisti di settore, economisti classici e robusti lobbisti. Tutta gente competente, ma che non sarà mai capace di capire che il Pianeta è vivibile perché è vivente. “Et tout le reste est littérature” (P. Verlaine).
Purtroppo, non credo che ci siano serie possibilità di un cambiamento tanto epocale di mentalità, semmai il contrario. Una guerra globale è dunque una possibilità che prende corpo, così come la possibilità di un futuro in cui saremo noi la periferia dell’Impero Giallo, come immaginato da Jacobs nel 1946. Ma consoliamoci, anche se non ci saranno il capitano Blake ed il prof. Mortimer con il loro Espadon a salvarci, provvederebbe il brutale scontro contro i limiti globali della crescita con cui anche l’aspirante imperatore Xi Jinping sta cominciando a dover fare i conti. L’età dei grandi imperi volge al termine.
Ci sono alcune cose da aggiungere.
La prima e banalmente falsa è:
“perché, in caso di guerra, nessuno ci aiuterebbe.”
Fino a quando sussiste il trattato NATO che si traduce nel fatto che gli USA mantengono decine di basi grandi e piccole in Europa, questo rischio non si pone per quanto riguarda una guerra difensiva.
Diverso il caso di una guerra offensiva, perché “in caso di guerra” è una espressione un tantino vaga. La faccenda si traduce nel fatto che di volta in volta si compone una compagine di “volenterosi” e conviene organizzarsi bene prima di cominciare le guerra.
Di seguito vorrei fare pulizia circa l’idea che l’Europa, premesso che esista una qualche organizzazione militare congiunta, possa competere con gli USA. Non è solo un fatto di bilancio destinato al complesso militare/industriale, che pure è un fattore rilevante, il punto è che le Forze Armate dei Paesi europei servono per lo più a creare “posti di lavoro” come tutti gli Enti pubblici, non sono pensate per fare davvero la guerra. Al massimo, possono mandare un contingente esiguo con compiti di polizia e/o di rappresentanza nei contesti “asimmetrici”, in cui si può pagare il capomafia locale per evitare guai. In altre parole, a parte i soldi per fabbricare migliaia di carri armati nuovi, il problema è che è inutile fabbricarli se poi la “politica” rappresenta il “popolo” di “pacifisti” che sono più della idea degli ultimi Romani, cioè mandare carri d’oro con sopra le proprie moglie e sorelle ai capi dei “barbari” piuttosto che armare delle legioni.
Seconda cosa, le tecnologie.
Bisogna considerare due aspetti, i brevetti e le produzioni.
Per i brevetti bisognerebbe sviluppare il sistema americano di commistione tra commesse statali, imprese private ed università. Nessuna di queste tre entità può sviluppare tecnologie per conto suo.
Per le produzioni, il problema non è aprire uno stabilimento in Europa, il problema è la “Globalizzazione” che fa in modo che un tondino di ferro fatto in Cina e portato in Europa via nave costi comunque molto meno di un tondino di ferro prodotto dall’ILVA. L’unico modo per incidere sulla differenza di prezzo sono le barriere doganali e il protezionismo. Per cui sappiamo in partenza che se l’Europa mettesse barriere doganali per l’importazione di elettronica dalla Cina, la Cina metterebbe barriere doganali per l’importazione di qualcosa dall’Europa, con ulteriore costo generale.
Infine, a me sembra che agli Europei piaccia rotolarsi nel fango della propria decadenza. Non immagino un futuro in cui si ri-crei l’idea della “diversità/superiorità” tra “noi” e “loro”. I ragazzi sono tutti condizionati alla idea di “cittadino del mondo” e a prendere ad esempio il generale “terzomondismo” che replica dalle nostre parti le “bellezze” dello “altrove”.
Per sapere, l’Oriente compra molto dall’Occidente o solo moda e poco altro?
Con un poco di pazienza su internet si trovano di sicuro le statistiche ufficiali. In sintesi, tutti comprano molto da tutti, ma quello che allarma Draghi (e me) sono due cose: la prima è che la bilancia è a nostro sfavore; per ora si rimedia grazie ad una moneta molto forte, ma quanto durerà? La Cina sta lavorando assiduamente per scalzare Euro e dollaro e l’Euro è molto più vulnerabile perché dietro di lui c’è una banca, ma non un governo. La seconda è che oramai siamo noi che importiamo tecnologia da loro e non viceversa come 20 anni or sono. E questo è pericolosissimo da tutti i punti di vista.
Non so se conoscete Star Trek. In sostanza è una metafora dell’egemonia USA, nelle varie versioni a partire dagli Anni Sessanta.
La Federazione, che sono i “nostri”, impone a tutti i capitani di astronave di applicare la famosa Prima Direttiva.
Significa che bisogna evitare in tutti i modi di “contaminare” con la propria presenza le civiltà che non conoscono la tecnologia per i viaggi spaziali a velocità ultra-luce.
La ragione non è solo filantropica sulla linea del “libero arbitrio” ma è anche utilitaristica perché una civiltà che si impossessi di tecnologia avanzata può fare il”reverse engeneering” e diventare una minaccia ed sarebbe da scemi coltivare possibili nemici.
Ecco, con la Cina i miliardari americani hanno fatto esattamente cosi, hanno cercato di guadagnare ancora più miliardi sfruttando la manodopera a basso costo cinese ma cosi facendo hanno messo i Cinesi in condizione di copiare e poi di sviluppare le proprie tecnologie alternative. Ai miliardari non importa perché sono apolidi e poi contano sul fatto che le conseguenze saranno a carico della collettività, cosi come le conseguenze di impiantare foreste di pale eoliche e distese di pannelli fotovoltaici che poi andranno smaltiti.
Non è pericoloso dipendere dalle tecnologie cinesi, basta seguire la logica dei “pacifisti” e calarsi i pantaloni mettendosi a novanta. Cosi evitiamo complicazioni e poi che sarà mai, si tratta si abituarsi e farselo piacere.
Vero c’è l’articolo 5, ma è anche vero che gli americani si stanno dimostrando sempre meno affidabili, questo almeno è quello che dice Draghi. Quanto al fatto che le FFAA europee non sono volutamente in grado di operare se non in supporto agli USA, è vero (è detto anche nell’articolo) ed è proprio questa situazione che, secondo Draghi, dovrebbe cambiare. Se dai un’occhiata ai bilanci complessivi EU, vedrai che in realtà non ci sarebbe nemmeno bisogno di spendere di più, basterebbe spendere meglio e, come dici tu, cambiare il nostro approccio. Attualmente, più che per assumere gente, i bilanci “militari” europei sono gestiti per finanziare ognuno la propria piccola industria in competizione con le altre industrie europee, non già per produrre armi e munizioni, bensì per elaborare tecnologie che saranno poi vendute privatamente, dopo essere state sviluppate a spese del contribuente.
Per quanto riguarda i brevetti, sei perfettamente in linea con quello che dice Mario e penso che abbiate ragione. Quanto, infine, alla “globalizzazione”, già prima del Covid erano evidenti le prime avvisaglie di deglobalizzazione, che poi, fra covid e invasione dell’Ucraina, sono andate accelerando. Certo non ci si può aspettare che un fenomeno così complesso e sviluppato per trent’anni cessi rapidamente. Per fortuna perché i contraccolpi sarebbero tremendi. Ma americani e cinesi stanno cercando di sganciarsi fra di loro e noi non dovremmo restare alla finestra perché le conseguenze ci riguardano molto da vicino. Questo dice Draghi e penso che abbia ragione.
Ma Draghi dice che dovremmo competere con loro; io invece penso che dovremmo semplicemente pensare a che società vogliamo e a come mantenerla, senza cercare di essere i più ricchi o i più forti, che poi alla fine porta solo guai.
La decrescita, insomma.
Gaia, quello che decresce muore.
Anche quello che cresce. Prima o poi si muore tutti. Io vorrei solo evitare di uccidere tutto il resto mentre vivo.
Sacrosanto
La logica conseguenza di quello che hai scritto è che ti devi suicidare il prima possibile. Ogni giorno che vivi è un crimine.
Vaben non e’ che le stronzate si elidono una con l’altra pero’, specie raddoppiando la posta ad ogni giro.
Wiston, per quanto mi riguarda non esagero affatto, a parte che è questione di logica, perché quelli che predicano il “teratoma umano”, cioè l’Uomo come “cancro del pianeta” necessariamente predicano la rimozione dell’Umano per via chirurgica ma non cominciano mai rimuovendo se stessi.
Il secondo passaggio è che questa faccenda dell’odio per se stessi è il fondamento della “Crisi dell’Occidente”. Per il mio vissuto, comincia negli Anni Settanta ma è probabile che l’idea sia di molto anteriore.
Siccome niente succede per caso, una volta che noti una cacca per terra davanti la porta, sei sicuro che c’è uno scemo che ci porta il cane.
Ecco, qui lo stesso, c’è qualcuno che paga degli “esperti” per definire la propaganda con un certo scopo e poi paga altri “esperti” per condizionare le masse.
Ci sono state epoche in cui gli Europei andavano in giro per il mondo e ogni volta che scendevano dalla nave si convincevano di essere la “razza superiore” e adesso siamo nell’epoca in cui Gaia non sopporta l’idea del “competere”, perché piuttosto del leone che rincorre la gazzella meglio San Francesco che porta la novella a tutte le creature.
Insisto, il suicidio di Gaia è il suicidio di tutti noi, che siamo condizionati ad odiarci.
Nel mentre però dobbiamo andare in vacanza in Cappadocia e comprare lo iPhone.
https://www.internazionale.it/foto/2017/03/22/industria-stati-uniti-ruggine
La cintura della ruggine
Tutta roba da riciclare, direi
Draghi….un sognatore. Un po’ tecno-utopista. Peraltro, non l’ho letto, se non
in forma riassuntiva, ma mi dicono che il suo discorso è stato piuttosto vago.
Del tipo, tra il dire e il fare…
https://youtu.be/HkXuIi3R1Og?feature=shared
Non vago….vacuo.
Competere, competere, competere… è estenuante. Secondo me, il nostro obiettivo dovrebbe essere una società equa, sostenibile nel vero senso della parola, e in pace con se stessa e con gli altri. Per questo non serve essere ricchissimi, serve però una capacità di difendersi, quello sì. Chi continua a lamentarsi della spesa militare non capisce che puoi avere la società più ambientalista del mondo ma se non la puoi difendere fai la fine degli indiani d’America. Ovviamente l’esercito dovrebbe avere un ruolo solo di difesa, e stare lontano dalla politica.
Non sono assolutamente d’accordo su questa necessità di integrazione europea, mi sembra anzi che si parta dal presupposto che sia desiderabile a prescindere, e poi si giustifica questo fatto con esempi ipotetici e inventati.
Può essere sicuramente una buona idea coordinarsi su alcune politiche, ma l’Europa ha raggiunto – nel bene e nel male – il massimo della sua potenza, i suoi vertici di conoscenza, influenza, capacità militare, in un periodo in cui era non solo divisa, ma costantemente in guerra con se stessa. Era dilaniata, anzi – eppure ha conquistato il mondo e soggiogato popoli in tutto il globo. Naturalmente non è per niente desiderabile tornare a un periodo del genere, né per noi né per gli altri, ma questo dogma dell’ “Unione o morte” non ha nessuna base nella storia. Essere divisi è rischioso, ma essere uniti in un’entità che non funziona è pure peggio. La UE è semplicemente un mostro burocratico succhia risorse, sempre ostaggio di questo o di quell’altro. Dire “serve più integrazione” quando l’integrazione attuale non ha dimostrato di ottenere i risultati sperati, mi sembra solo fanatismo.
E se invece dovessi fare la fine del Tibet?
https://en.m.wikipedia.org/wiki/Economy_of_Tibet
Lo so. Mi piace un po’ provocare. Ma altrimenti ci si adagia sugli stereotipi.
Insomma. Lasciamo pure che l’Europa sia invasa da Putin, sempre che gli interessi, basta che non ci si metta a lanciare dei missili a testata nucleare
Poi, col tempo, il russo sposa la calabrese, il bielorusso la francese. Le cose alla fine si sistemano in modo meno peggiore che scambiarsi missili ipersonici. Forse.
🙂
Bisognerebbe conoscere bene la Storia. Io no. Non so niente. Ho solo un libro.
Infatti, non sai e dici un sacco di stupidaggini.
Beh, sul Tibet mi sono preso la briga di leggere il link.
Prima, quando non erano “invasi” stavano molto peggio, direi.
Ma mica voglio enunciare una legge universale.
Ma se tu dici che l’Europa si deve armare come propone Draghi e nello stesso tempo deve decrescere, le due cose non stanno insieme.
Draghi propone di armare l’Europa per promuoverne la crescita.
O l’una o l’altra. Cara la mia insultatrice seriale.
Draghi si rivolge alle classi medio alte e alte d’Europa affinché finanzino con vantaggi garantiti, dei titoli del debito europeo che dovrebbero incentivare il settore degli armamenti.
Chi investe in Borsa troverà conveniente investire sulle aziende che producono armamenti.
Poi questo settore si porterebbe dietro una serie di ricadute tecnologiche e di crescita economica.
È una specie di economia di guerra.
Draghi pensa a un’Europa dei ricchi. I poveri verranno privati di tutte le forme di Stato sociale e di assistenza.
Interi settori industriali verranno penalizzati e forsedovranno trasferirsi all’estero.
Peggio che essere invasi da Putin.
È un piano che troverà l’opposizione dei singoli Stati europei, specialmente di quelli sovranisti.
Probabilmente non verrà mai applicato in maniera rigorosa. Per fortuna.
Ho riassunto un video che già avevo linkato precedentemente.
“E se invece dovessi fare la fine del Tibet?”
Secondo la classifica di Freedom House, e’ all’ultimo posto assoluto fra tutti i paesi del mondo in termini di liberta’ civili e liberta’ politiche.
Magari quello che ci servirebbe sarebbe un’unione funzionale? Ricordiamoci che la UE (non)funziona esattamente come vogliono i governi nazionali che ne controllano le istituzioni. Chi è dunque responsabile? L’esecutore o il mandante? Qui ci sarebbe da fare un discorso sulla sistematica demolizione dell’UE praticata dai governi Merkel (anche in gran parte controllori della UE). Ma sarebbe lungo. Riassumo dicendo che secondo me la signora Merkel è la principale responsabile dell’attuale disastro, guerra in Ucraina compresa.
Jacopo, dipende da cosa ci aspettiamo.
Storicamente le “identità nazionali” si forgiano nel sangue. Immaginare una Europa “Super-Stato” che nasca solo da legalismi, accordi, trattati e chiacchiere significa sapere in partenza che sarà una comunità solo formale. Con tutto che gli Europei comunque hanno il senso di appartenere ad una qualche “koinè” culturale che si è formata proprio per via del fatto che tutti hanno invaso tutti, tutti hanno scannato tutti e alla fine tutti hanno crediti e debiti con tutti. Però è quel tipo di memoria storica che le “elite” fanno di tutto per rimuovere per il malinteso senso di “progresso” che deve coincidere con l’idea massonica di perfezionare il Creato coi disegni degli “architetti”. In altre parole, oltre la debolezza di una entità creata su basi artificiali, c’è la precisa intenzione di usare l’idea di “Europa” per cancellare Popoli, Stati e Nazioni. Una cosa che non solo cambia la forza dell’Europa con la debolezza del nulla anzi della negazione di se stessi ma inevitabilmente incontra una reazione avversa.
Non capisco cosa c’entri la guerra in Ucraina che dipende solo dal fatto che la “Russia” è un cesso malcagato abitato da trogloditi sdentati che vedono la morte come una liberazione.
Infatti la costruzione europea è stato l’esperimento geopolitico più innovativo e generoso di sempre perché anziché basarsi sull’invasione e l’assimilazione (come si è sempre fatto per costruire stati grandi e potenti, USA compresi), si è tentato per tramite di trattati discussi e validati da parlamenti quasi abbastanza democraticamente eletti. Si è impantanato perché ad un certo punto le oligarchie nazionali si sono accorte che oltre di tanto non gli conveniva. E la base segue capi e capetti locali.
L’espressione “esperimento geopolitico” mette i brividi.
Perché “esperimento” significa che c’è qualcuno che gioca con le vite degli altri e lo fa non per “amore” quanto perché ritiene di avere a che fare con delle cavie, esseri sacrificabili e di nessuna importanza. La vita della cavia ha solo lo scopo di veicolare il “fine superiore”.
Tra l’altro è esattamente il contrario di “democrazia”, non tanto per l’aspetto del “demos” quanto per la premessa che può esistere “democrazia” solo se esiste autodeterminazione. Quando qualcuno fa “esperimenti geopolitici” parte dal presupposto che la popolazione è incapace di intendere e volere e quindi deve essere soggetta a tutela. La tutela svuota di senso la “democrazia”.
Infine, il concetto di “esperimento geopolitico” implica “oligarchie” però palesemente NON nazionali. Allora si finisce per glorificare la famosa Massoneria Apolide, che, bontà sua, ci toglie l’impiccio dei Popoli, delle Nazioni e degli Stati per condurci verso il Mondo Nuovo.
Se me la vendono in questi termini, l’Europa, ho già lo schioppo in mano, perché non mi va di fare la parte dello schiavo in una delle tante distopie della Fantascienza.
Aprirei una parentesi sui “trattati”.
La prima cosa da dire è che la nostra Costituzione esclude esplicitamente che i trattati siano suscettibili di abrogazione per via referendaria.
La seconda cosa da dire è che la Costituzione esclude il famoso “vincolo di mandato” per cui il Parlamentare è si “democraticamente eletto”, ignorando il discorso per cui si vota il simbolo e non la persona ma una volta eletto non risponde agli elettori, dovrebbe rispondere solo alla sua coscienza. Questa cosa si traduce nel fatto che si possono ratificare decreti o promulgare leggi semplicemente perché il Parlamentare è ricattato da questo o da quello con la minaccia dello scioglimento delle Camere e di nuove elezioni e gli elettori non possono farci niente.
Il difetto della “democrazia”, al netto di quanto detto sull’idea dello “esperimento”, sono i Gruppi di Interesse o Lobby che appunto traducono il tutto in una oligarchia dissimulata.
Possiamo fare qualcosa?
Boh, potremmo cominciare a non ingoiare tutto quello che ci buttano dall’alto. Per esempio l’idea precostituita e preconcetta che Popoli, Nazioni e Stati siano merda e che le entità “sovranazionali” per loro natura siano “buone” e “amorevoli”.
La guerra in Ucraina è responsabilità di Putin e basta.
Riguardo alla UE, io personalmente ritengo che l’Unione Europea non sia un continente unificabile. Siamo troppo diversi, e Bruxelles non può prendere decisioni per tutti. Comunque la si progetti e attui, è proprio l’idea in sé a non essere buona.
Preferirei coordinamento oppure alleanze ad hoc su alcuni temi, come la politica estera, mantenendo però le sovranità nazionali a loro volta decentrate sulle questioni decentrabili.
Forse intendevi nel senso dell’aver creato una dipendenza dal gas russo… in quel caso ti dò ragione!
In tal caso la colpa primigenia sarebbe dei verdi tedeschi 😉 **
L’uso del gas serve sia a diminuire le emissioni, sia a rendere possibile con le centrali a rapido avvio a turboventola la compensazione della irregolarita’ delle rinnovabili, nonche’ a sostituire l’orrido nucleare.
La Merkel da brava politica (non e’ un complimento e’ un giudizio di fatto) vista la popolarita’ di questa moda l’ha solo cavalcata per vincere le elezioni e restare al potere.
Attualmente comunque in Germania e’ gia’ in corso la deindustrializzazione, hanno il costo dell’energia maggiore al mondo, persino maggiore del nostro, e una delle regolamentazioni piu’ paralizzanti, moltissime aziende hanno gia’ iniziato la delocalizzazione, Volkwagen compresa, nel suo caso in Cina. Solo che i cinesi non comprano piu’ Volkswagen, hanno gia’ imparato a farsele da soli e meglio. Da cui la crisi che e’ molto piu’ profonda e sistemica di quel che trapela.
** lo e’ – ragazzi, rendetevi conto che abbiamo avuto greta thumberg a testimonial del continente…
La Germania produce(va) in comparti altamente energivori quali chimica siderurgia, auto, macchinari, vetro e carta che sono stati doppiamente colpiti dall’ammanco del gas russo e dalla contrazione dell’import asiatico per i confinamenti durante il periodo del Covid.
Se poi si vanno a vedere le voci di export dalla germania verso la cina e viceversa, si vede che le filiere di punta appartengono alla cina (computer, batterie, telefoni, motori elettrici e non.
L’Europa non potrebbe permettersi di collassare disordinatamente nell’attuale scenario geo-economico dove le dimensioni sistemiche contano più di prima.
Draghi vorrebbe compattare ma di fatto, alimenta i sovranisti e le tendenze centrifughe.
A meno che non pensi di instaurare un sistema di repressione su larga scala.
È il mio inconfessato timore, che ora confesso.
🥴
Fuzzy stai dicendo cose sbagliate e senza senso che con te e’ tempo perso cercare di chiarire.
Il vero motivo per cui andiamo alla deriva, noi e la germania, e’ solo questo.
Cose sbagliate e senza senso
Le ho praticamente ricopiate da .”Deglobalizzazione” di Fabrizio Maronta
Un recente libro.
Comunque sarebbe ina buona regola, una volta stroncato un commento altrui, almeno spiegare perché. Ma qui vedo che funziona sulla base della presunzione personale di sapere.
Pure per me è tempo perso stare qui a discutere
Anche perché sono le 3 del mattino.
Buonanotte
Winston
Per essere più preciso fino a metà commento ho ricopiato
Maronta. Poi segue Volpi e infine ho aggiunto il mio personale timore che l’Europa si stia avviando verso una soluzione non solo militarista, ma pure autoritaria
E aggiungo pure, così tu e la Baraccetti e il Grullo sparlante schiumate di bile, che se hai un esercito e un governo autoritario, prima o poi finirai per fare qualche guerra.
E le occasioni non mancano
È solo un mio timore, nient’altro
Detto questo, l’inserimento di Greta in un simile contesto, mi fa sinceramente ridere. Tu almeno mi fai ridere. Sei il migliore
https://www.remocontro.it/2024/09/29/le-domande-sparite-e-la-diserzione-organizzata/
“Scenderemo in piazza ancora? Certo. Lotteremo, certo. Continueremo a sognare un mondo migliore? Sì. E siccome lo sanno, inaspriscono le pene. Alzano i manganelli al cielo, sono pronti a sparare e a reprimere ogni protesta che metta in discussione il sacro potere del sistema militare e finanziario.”
(Antonio Cipriani).
E con questa citazione spero di aver finito.
In effetti ho già detto tutto e mi sono pure ripetuto più volte.
Di solito esito un po’ a finire, ma poi finisco veramente.
Spero sia la volta buona.
Gaia, non capisco il senso della tua frase sulla “responsabilità di Putin”.
A seguito della Seconda Guerra Mondiale gli Italiani hanno perso circa 1% della popolazione e i Tedeschi circa il 10%.
Ovvero, per sottomettere i Tedeschi è stato necessario ammazzarne DIECI VOLTE di più di quanto sia stato necessario con gli Italiani.
Il che ci dice che ci sono (o c’erano) delle differenze fondamentali tra Italiani e Tedeschi, nel modo in cui vedono se stessi e il mondo.
Lo stesso vale per i “Russi”, che poi i Russi sono la minoranza egemone su una costellazione di decine di etnie differenti. Non è la “responsabilità di Putin” il problema ma come ho detto, il fatto che sono disposti a morire perché non danno valore alla vita, la proria e quella altrui.
E’ difficile venire a patti o gestire gente che non da valore alla vita.
Il “Mondo Multipolare” di cui tanto si ciancia altro non è che l’affermazione delle fogne del mondo dove la vita non ha valore, anzi, è una agonia e di conseguenza morire è una liberazione. Sentivo giusto ieri il Ministro degli Esteri della “Russia” decantare l’Iran, la Nord Corea e tutti i casi analoghi, affratellati al “Mondo Russo”.
La “aggressione” di cui si lamenta Putin non è militare, quello è il l’unico linguaggio che può parlare lui, non avendo altro da dire. La aggressione è culturale e la risposta delle fogne è la chiusura in se stesse. Non vogliono che sia messo in discussione il concetto fondamentale che vivere è una agonia e che la morte (in nome di Dio, in nome dell’Imperatore-Dio) sia la via d’uscita.
Non ho le competenze per studiare il fenomeno che produce gente che idolatra la morte.
No, non dipende da Putin.
Via lui, ce ne sarebbe un altro.
Suggerisco la lettura di “Altre menti” di Peter Godfrey-Smith, Adelphi.
Per uscire dalla ristrettezze concettuali con le quali affrontiamo i cambiamenti
avvenuti soprattutto con l’inizio dellera atomica ed informatica.
Noi siamo qui da non più di due o trecentomilanni, ma potremmo essere ridotti, anzi ridurci all’insignificanza in meno di due o tre secoli.
E così rendere tragicamente realizzata la comica battuta del grande Goucho Marx:
Sono (quindi siamo) partito da niente sono arrivato a niente, ma tutto da solo.
Ricordati che devi morire. (cit).
Mi rileggo e correggo:
Per uscire dalla ristrettezze concettuali con le quali affrontiamo i cambiamenti avvenuti soprattutto con l’inizio dell’era atomica ed informatica.
Noi siamo qui da non più di due o trecentomila anni, ma potremmo essere ridotti, anzi ridurci all’insignificanza in meno di due o tre secoli.
E così rendere tragicamente realizzata la comica battuta del grande Groucho Marx:
“Sono (quindi siamo partiti, aggiungo io) partito da niente, sono arrivato a niente, ma tutto da solo”.
Interessante
“SINOSSI
Benché mammiferi e uccelli siano unanimemente considerati le creature più intelligenti, si va imponendo una diversa, sorprendente, evidenza: da un ramo dell’albero della vita assai distante dal nostro è nata una forma di intelligenza superiore, i cefalopodi – ossia calamari, seppie e soprattutto polpi. In cattività, i polpi sono in grado di distinguere l’uno dall’altro i loro guardiani, di compiere scorrerie notturne nelle vasche vicine per procurarsi del cibo, di spegnere le luci lanciando getti d’acqua sulle lampadine, di mettere in atto ardite evasioni. Com’è possibile che una creatura tanto dotata abbia seguito una linea evolutiva così radicalmente lontana dalla nostra? Il fatto è – ci rivela Peter Godfrey-Smith, indiscussa autorità in materia e appassionato osservatore sul campo – che i cefalopodi sono un’isola di complessità mentale nel mare degli invertebrati, un esperimento indipendente nell’evoluzione di grandi cervelli e comportamenti complessi. È probabile, insomma, che il contatto con i polpi sia quanto di più vicino all’incontro con un alieno intelligente ci possa mai capitare. Ma Godfrey-Smith tocca in questo libro un altro punto capitale: nel momento in cui siamo costretti ad attribuire un’attività mentale e una qualche forma di coscienza ad animali ben distanti da noi nell’albero della vita, dobbiamo anche ammettere di non avere certezze su che cosa sia la nostra coscienza di umani. E forse questa via è una delle migliori per arrivare a capirlo.”
Potresti illustrarci con tue parole perche’ cio’ potrebbe aiutarci ad affrontare i cambiamenti dell’era atomica e informatica?
Confesso che prima di leggere la sinossi di cui sopra sul sito dell’adelphi pensavo, e quasi stavo per dirti, che e’ roba vecchia e stantia, dagli anni ’40 il movimento pugwash, einstein eccetera mettono in guardia circa la pericolosita’ del cervello di rettile che permane in noi nonostante la potenza degli strumenti in nostro possesso, ma per risolvere il problema propongono piu’ o meno esplicitamente una soluzione che potrebbe anche aggravare il problema strada facendo: il solito governo mondiale che man mano che la storia si dipana mostra i suoi limiti e soprattutto le profonde ostilita’ che suscita, visto che sappiamo per esperienza che qualsiasi burocrazia per sua natura si espande oltrepassando ogni limite ad essa imposto (in questo caso poi imposto da chi se gia’ essa e’ “il governo mondiale”? – non e’ difficile immaginare l’esito).
Esiste poi una teoria che considerando l’evidenza dei fatti va in senso contrario, secondo la quale le nazioni si accorpano nei momenti di guerra, mentre in quelli pacifici si frammentano (Alesina, Spolaore – la dimensione delle nazioni). Corollario e’ che per tenere coeso il governo mondiale sarebbe comunque necessario uno stato di ostilita’ ed emergenza continua verso un qualcosa di avverso e nemico, reale o immaginario… la crisi ambientale come si sta facendo adesso in occidente? – le attuali enormi nazioni di decine o centinaia di milioni di individui vengono sistematicamente tenute assieme con stratagemmi, piu’ o meno consapevoli, di questo genere, altrimenti esploderebbero)
A quanto pare c’e’ sempre un rovescio della medaglia.
Articolo sicuramente meritevole di attenzione, che intanto ha il merito di NON schierarsi ottusamente e pregiudizialmente contro un Rapporto prodotto da un banchiere ed economista di fama internazionale ma generalmente detestato in ambito nazional-sovranista (estreme destre) e utopico-terzomondista (estreme sinistre) in quanto ritenuto esponente di spicco delle diaboliche e misteriose “elites” plutocratico-massoniche globaliste.
E cmq la netta sensazione è che qs Rapporto con i suoi (direi numerosi) pregi e i suoi limiti finirà per restare “lettera morta” e qui in Europa tranne improbabili, faticosi e profondi cambiamenti di mentalità diffusa si continuerà appunto a contemplare il proprio ombelico e/o a rimpiangere il famoso “boom economico” del secondo Dopoguerra dimenticandosi completamente (o facendo finta di dimenticare) che in qs ultimi decenni le “condizioni al contorno” (geopolitiche, economiche, sociali, ambientali, tecnologiche) sono in larga parte differenti.
Non l’ho letto, ma ho sentito commenti di persone molto informate, che peraltro lo apprezzano: mi par di capire che tutto fa il rapporto fuorche’ chiedersi se avendo l’europa cominciato ad arrancare e arretrare proprio in corrispondenza della sua unione monetaria e burocratica (salvo che nelle regioni ex-comuniste ma solo perche’ partivano da una situazione di governo persino peggiore), sia cosi’ saggio pensare di affidare ad un’ulteriore espansione della sua burocrazia inetta, ideologica e mortifera, di cui Draghi fa parte integrante fin dall’inizio, la soluzione del problema.
800 miliardi di debito e investimento comune all’anno gestiti da chi? Per fare cosa?
Draghi da bravo banchiere pensa che bastino i soldi, meglio se a debito cosi’ la gente si deve dare da fare come matta per ripagare almeno gli interessi.
Il keynesismo ha smesso di funzionare, da solo, da un bel pezzo. Ammesso che abbia mai funzionato, da solo, cosa sulla quale ci sono legittimi dubbi.
L’arrancare e arretrare pesantemente si intende nei confronti non solo della Cina e dell’Asia in genere ma anche degli Usa, l’elenco dei settori in cui il continente e’ morto o moribondo e’ impietoso, non si sa da che parte cominciare, ci sono praticamente tutti.
Siamo i piu’ forti del mondo solo nella burocrazia e nella regolamentazione, e in tutto cio’ che ci marcia attorno (comprese le chiacchiere che facciamo qui dentro, temo).
Wiston, parlavamo di “politiche cheinesiane”?
Il succo del discorso sarebbe che lo Stato dovrebbe “investire”. Il concetto dello “investimento” sarebbe che io spendo X e dopo un certo tempo, a seguito di certi processi, mi ritorna Y con Y>X. Un esempio recente è il tristemente famoso “superbonus” con cui lo Stato ha finanziato il polistirolo appiccicato su case che prima o poi dovremo demolire. Ora, appare evidente che gli stessi soldi, dovendoli spendere il “edilizia”, si sarebbero potuti “investire” negli edifici pubblici e nelle infrastrutture invece che nelle case dei privati oppure si sarebbero potuti “investire” nella costruzione di nuove “case popolari” (semplifichiamo per capirci). Quindi, chi, quando, dove e perché decide che sia meglio “investire” in un modo invece che l’altro?
Perché buttare soldi dalla finestra non è proprio uguale a “investire”.
Qui stiamo usando un esempio relativamente banale ma le cose si complicano quando dovessimo esaminare la spesa per il “welfare” o la spesa militare. In entrambi i casi da qualche parte c’è un punto che sta tra “troppo” e “troppo poco” ma dipende tanto dalle aspettative che dai risultati.
Per esempio, dicevo in un altro commento, che senso ha costruire mille carri armati nuovi quando non si vogliono usare? Viceversa, se costruisco mille carri armati è ragionevole aspettarsi che io li voglia usare. Quindi un eventuale “Esercito Europeo” sarà formato da Polizia e Croce Rossa per le “missioni di pace” o avrà bombardieri per radere al suolo città nemiche? A prescindere dal costo, perché come dicevo, già ora spendiamo quasi tutto in stipendi.
Conosci il “paradosso della prevenzione”? Più e meglio si spende per prevenire una data minaccia, meno probabilmente quella si materializzerà, facendo sembrare che abbiamo buttato via i soldi, mentre è il contrario. Le FFAA ne sono un eccellente esempio. Per non andare a cercare lontano, da quasi cento anni nessuno ha pensato di invadere la Russia, la Cina o gli USA, mentre la Russia ha invaso l’Ucraina che nel 2014 era un paese smilitarizzato e all’inizio del 2022 poco meno. Da poi del 1966 ad oggi, nessuno ha pensato di invadere Israele (la guerra del 73 era tesa a recuperare i territori persi prima da Siria ed Egitto). Mentre in 70 anni il Libano è stato invaso non so più quante volte dall’OLP, dalla Siria, da Israele e, in modo indiretto, dall’Iran.
Certo questo non basta a garantire la sicurezza, né ad evitare azioni ostili di altro genere, ma è per ricordare che “pacifismo” e “disarmismo” non sono sinonimi e che il secondo è spesso prodromo di guerra. Un adeguato deterrente militare può essere tanto un fattore di pace che di guerra, dipende da un’insieme di altri fattori.
Una delle lezioni più importanti che ho imparato dagli eventi degli ultimi anni, dal Myanmar al Libano, è l’importanza delle armi contraeree. Posso fare la differenza tra la libertà e la schiavitù.
Consiglio allora di leggerlo. Nell’articolo c’è il link alla traduzione ufficiale in Italiano. Se non funzione, rieccolo: https://www.eunews.it/2024/09/09/il-rapporto-draghi-in-italiano/