Un assiduo commentatore dei blog a cui collaboro mi ha consigliato un articolo di Leigh Phillips intitolato ‘Le illusioni della decrescita’, recentemente pubblicato sulla versione italiana di Le Monde Diplomatique. Conoscendo le derive del giornalista britannico quando affronta tematiche di cui si sente ingiustamente esperto, ero abbastanza riluttante a dover spendere anche un solo euro per leggerlo, per fortuna ho trovato on line quello che dovrebbe essere l’originale inglese: gli estratti qui proposti sono opera di Google Traduttore (di certo uno dei maggiori doni del Progresso all’umanità), con qualche piccola revisione.
In realtà, ci sarebbero tanti buoni motivi per destinare all’oblio il testo senza degnarlo di un commento. Phillips, infatti, è solito parlare senza cognizione di questioni ecologiche (vedi il libro Austerity Ecology & the Collapse-porn Addicts – A defence of growth, progress, industry and stuff), anche qui colleziona uno strafalcione dopo l’altro, vedendo ‘decoupling assoluti’ inesistenti e sfornando ragionamenti capziosi a go go. Il fatto che oggigiorno, malgrado tanto blaterare di ‘transizione ecologica’, si possano pubblicare impunemente certe sciocchezze, la dice lunga sulla considerazione reale nei riguardi della sostenibilità ambientale.
Comunque, siccome la tesi di fondo trova molti sostenitori, eviterò di guardare il proverbiale dito concentrandomi sulla ‘luna’ del ragionamento, per evidenziarne la fallacia di fondo. Tuttavia, per non buttare via il bambino con l’acqua sporca (benché fetida da uccidere sul colpo il povero infante nel bagnetto), desidero soffermarmi su di un punto che condivido.
Phillips ha perfettamente ragione nel ritenere inconcepibile la transizione nel contesto del laissez faire:
il mercato è lasciato a se stesso, continuerà a esserci un incentivo a produrre qualsiasi merce fintanto che è redditizia, indipendentemente da ciò che sappiamo del danno che il bene o il servizio può infliggere. I combustibili fossili sono forse l’esempio contemporaneo non plus ultra di tale produzione irrazionale.
Sbaglia completamente, invece, nel pensare che per implementarla basti solo riformare il sistema attuale al netto di qualsiasi profonda trasformazione culturale, intendendo che sia sufficiente riproporre il vecchio modello socialdemocratico keynesiano in versione green new deal. Una tara concettuale che lo fa rimanere ancorato all’ossessione per la crescita e svilisce idee genuinamente socialiste che invece potrebbero rivelarsi fondamentali per affrontare il collasso sistemico senza cadere nella barbarie più assoluta.
Ma passiamo al nucleo centrale della sua tesi, che lo porta in rotta di collisione con la decrescita:
L’argomento della decrescita afferma che la crescita fa aumentare la domanda di energia, rendendo così più difficile e forse addirittura impossibile decarbonizzare l’economia. Ma una riduzione della produzione di materiale ridurrebbe la domanda di energia, rendendo così la transizione pulita più realizzabile. E per ridurre la produzione di materiale, dobbiamo ridurre l’attività economica aggregata.
Tuttavia, ciò che è precluso dalla nozione di decrescita è la possibilità di crescita socialista: un aumento illimitato – se attentamente pianificato – nella creazione di nuovo valore che non mina i servizi ecosistemici da cui dipende la prosperità umana.
Ovviamente, non viene spiegato come la crescita socialista possa ‘angelificarsi’ creando un decoupling assoluto tra produzione ed impatto sulla biosfera, altrimenti Phillips non sarebbe il personaggio mediaticamente di nicchia che é ma una delle personalità più conosciute e autorevoli del pianeta. Si limita ad alcuni esempi sparsi, sufficienti a suo giudizio per convalidare l’intera impalcatura concettuale, il più significativo dei quali è relativo alla proibizione dei clorofluorocarburi (CFC):
Ma forse la più grande vittoria ambientale finora è stata la guarigione dello strato di ozono. Negli anni ’80, l’esaurimento dell’ozono atmosferico, in particolare intorno ai poli, era la versione di quell’epoca della crisi ecologica esistenziale. Inoltre, non era meno minaccioso per l’umanità nel breve termine del cambiamento climatico attraverso un aumento del cancro della pelle e disturbi da immunodeficienza, nonché impatti negativi sulle reti alimentari acquatiche terrestri e superficiali e sui cicli biochimici e la riduzione dei raccolti agricoli. E la causa erano anche le emissioni antropogeniche: questa volta principalmente i clorofluorocarburi (CFC) che erano comunemente compresi, più o meno correttamente, come usati nei frigoriferi e negli spray aerosol.
Dal divieto del Protocollo di Montreal del 1987 sulle sostanze che riducono lo strato di ozono, compresi i CFC, tali emissioni sono diminuite del 98 percento (c’è stato tuttavia un aumento delle emissioni non dichiarate dall’inizio di questo decennio dall’Asia orientale , suggerendo che qualcuno nella regione sta barando). L’impoverimento dell’ozono è invertito negli anni 2000 e il pieno recupero è previsto entro il 2075…
Se avessimo abbracciato la decrescita rispetto all’esaurimento dell’ozono tentando di arrestare la crescita, diciamo, del numero di frigoriferi nel mondo – o addirittura ridurre il numero totale – invece di una regolamentazione per imporre il cambio di tecnologia, ci sarebbe stato un disastro. Dire “tanti frigoriferi e non di più” avrebbe solo arrestato la crescita delle emissioni, non le emissioni tout court. (Per lo stesso motivo oggi non basta mantenere costanti le emissioni di gas serra, ma eliminarle)…
Oggi ci sono più bombolette di lacca per capelli e più frigoriferi che mai. Quest’ultimo non ultimo nel mondo in via di sviluppo, dove la refrigerazione migliora la qualità della vita attraverso l’espansione della gamma di alimenti disponibili, riducendo la contaminazione degli alimenti e migliorando la nutrizione. Inoltre riduce gli sprechi alimentari e quindi le emissioni di gas serra.
C’è stato un disaccoppiamento assoluto della crescita nelle tecnologie che storicamente utilizzavano sostanze che riducono lo strato di ozono dalla crescita nell’impoverimento dell’ozono. La posizione di decrescita sostiene che il disaccoppiamento assoluto della crescita dall’impatto ambientale negativo è impossibile e che è possibile solo un disaccoppiamento relativo, o un ridotto utilizzo delle risorse per unità di produzione ma un aumento della produzione complessiva, ma la storia della riduzione dell’ozono mostra che questa convinzione è falsa. La crescita economica è stata assolutamente, non relativamente, disaccoppiata dall’esaurimento dell’ozono.
A parte i dubbi sulle meravigliose sorti progressive di un mondo straripante di bombolette di lacca, il problema più grave è che Phillips tratta la sostituzione dei CFC alla stregua di una magia. Con qualche semplice ricerca in Rete, avrebbe scoperto che sono stati rimpiazzati dagli idrofluorocarburi (HFC), innocui per la fascia di ozono, ma in compenso potenti gas serra con capacità di trattenere il calore fino a diecimila volte superiore all’anidride carbonica, con tempi molto lunghi di permanenza in atmosfera (qui per chi volesse approfondire).
Pertanto, bombolette e frigoriferi senza CFC tanto osannati quali simbolo di ‘progresso ecologico’ hanno contribuito ad esacerbare quel riscaldamento globale da lui tanto biasimato alle righe precedenti. Morale della favola: oggi da più parti si prospetta una messa al bando anche degli HFC. Esistono alternative che non contribuiscano a surriscaldare l’atmosfera? Sì, che però presentano altre criticità, ragion per cui si tendono a preferire ancora gli HFC. In ogni caso, non può esistere il ‘refrigerante perfetto’ che ti consenta una produzione indiscriminata di bombolette e frigoriferi senza effetti collaterali più o meno gravi (caro Leigh, una distribuzione più equa di frigoriferi tra chi ne ha troppi e chi troppo pochi non incarnerebbe meglio della iper-produzione lo spirito di quel socialismo di cui ti riempi tanto la bocca? Si può fare anche per la lacca, se ti pare tanto fondamentale)
In ogni caso, tralasciando l’ignoranza tecnica, stupisce che a Phillips sfugga il corto circuito logico di condannare il capitalismo neoliberista come responsabile unico della situazione attuale e contemporaneamente innalzare sul piedistallo un provvedimento (il protocollo di Montreal) varato nel 1987, cioé in piena era reaganiano-thatcheriana. Guarda caso, lo stesso periodo in cui sono avvenuti l’efficientamento nell’uso dei fertilizzanti in agricoltura, la riduzione delle emissioni di anidride solforosa e altri esempi proposti nell’articolo che dimostrerebbero la fallacia della decrescita. Forse è il caso di mettere da parte preconcetti e ideologismi per ragionare con più lucidità.
Karl Marx, per quanto nemico mortale del capitalismo, ne riconosceva la capacità di promuovere l’innovazione tecnologica, ragion per cui riteneva necessario tenerlo in vita finché non fosse riuscito a realizzare il ‘massimo sviluppo delle forze produttive’, e solo allora scatenare la rivoluzione proletaria. Sul capitalismo come fase necessaria della liberazione umana si può discutere, la sua vena innovatrice invece non solo è innegabile, ma bisogna ammettere che si è mantenuta elevata sia nei momenti di vacche grasse sia in quelli meno propizi (anzi, forse è stata maggiore proprio nella sventura).
Infatti, messo alle strette dopo la prima grave crisi petrolifera (1973), il capitalismo ha dato grande prova di adattamento, a differenza del socialismo reale che, ingessato nel suo burocratismo, ha mostrato scarsissima resilienza ed è gradualmente imploso su se stesso. Dovendo fare i conti con la fine della ‘natura a buon mercato’ sotto forma di energia e risorse a basso costo e tormentato da problematiche ecologiche alcune delle quali non più differibili, il capitalismo ha reagito sviluppando tecniche sempre più sofisticate per estrarre crescita da margini sempre più risicati: la narrazione di Phillips (involontariamente apologetica del Capitale) lo dimostra ampiamente.
Se il degrado ambientale è peggiorato a fronte di una tecnologia meno impattante per unità di prodotto, ciò si deve al fatto che, sull’altare della crescita economica (e demografica), quasi tutti i miglioramenti di efficienza sono andati a infrangersi sugli scogli del paradosso di Jevons, destino in cui inesorabilmente incapperebbe qualsiasi crescita continua, fosse anche ‘socialista’, ‘verde’ o sotto qualsiasi altra etichetta. Anzi, mi spingo ad affermare che, se proprio si vuole perseguire ostinatamente il dogma della crescita per la crescita, quella di tipo capitalista potrebbe rappresentare paradossalmente l’opzione meno dannosa, dal momento che in un’economia di mercato la necessità di conseguire profitti (e quindi di comprimere i costi) ti costringe volente o nolente a intervenire sull’efficienza produttiva, per non finire in bancarotta. Privi di questo feedback, i paesi comunisti hanno miseramente pagato dazio.
Il fatto che oggi il capitalismo non riesca a sbarazzarsi dei combustibili fossili come accaduto con i CFC non testimonia tanto della sua debolezza, quanto della necessità di consumare petrolio, carbone e gas per raschiare il barile del PIL. Phillips lascia intendere che la fase neoliberista abbia intaccato mortalmente la virtù inventiva del Capitale, cosa su cui posso parzialmente concordare, ma gli accolla anche fallimenti di cui non ha responsabilità.
Ad esempio, esalta il programma nucleare francese, definito
un “grand projet d’état” centralizzato del settore pubblico eseguito negli ultimi giorni del consenso keynesiano del dopoguerra alla fine degli anni ’70 e all’inizio degli anni ’80 prima dell’imposizione della liberalizzazione del settore energetico europeo
la quale avrebbe compromesso le ricerche per creare uno standard di reattori di nuova generazione in grado di trasformare le proprie scorie in nuovo combustibile. Evidentemente, non sa che i progetti dei reattori autofertilizzanti risalgono agli anni Cinquanta (così come quelli della fusione nucleare, varati sia in Occidente che in URSS), dopodiché si sono arenati e/o si trovano ancora in uno stadio prototipico a causa delle innumerevoli (e con ogni probabilità insormontabili) difficoltà tecniche. Il fallimento dell’avveniristica centrale atomica autofertilizzante di Super-Phénix è figlio del celebrato “grand projet d’état”, non della negligenza neoliberista.
Insomma, Phillips si aggiunge alla folta schiera di chi, convinto che “abbandonare la crescita significa dichiarare la fine del progresso”, scambia lucciole per lanterne e farnetica soluzioni peggiori dei mali che vorrebbe risolvere. Involontariamente, avalla le posizioni di coloro che, volendo difendere la stratificazione sociale con tutte le sue sperequazioni, insistono con la crescita allo scopo di alleviare l’ingiustizia e renderla più tollerabile. Veramente ironico per qualcuno che si dichiara orgogliosamente socialista, ma di un socialismo che, rifacendoci a Marx, verrebbe da chiamare ‘pseudo-utopistico’; di sicuro molto poco ‘scientifico’, dal momento che respinge per partito preso mezzo secolo di acquisizioni di studiosi dell’ecologia e della sostenibilità.
Ovviamente, io da sostenitore della decrescita potrei sembrare prevenuto, se non addirittura troppo limitato o ‘malthusiano’ per i gusti di Phillips. In quel caso, lo invito quantomeno a considerare l’ammonimento che due marxisti lucidi e immuni da ideologismi come Theodor Adorno e Max Horkheimer scrivono in Dialettica dell’illuminismo: “la maledizione del progresso incessante è l’incessante regressione”.
” a fronte di una tecnologia meno impattante per unità di prodotto” – ma siamo sicuri di questo, o è solo una cosa che viene detta e ripetuta, ma non dimostrata? Quali sarebbero le prove di questa sistematica “efficienza” industriale??
Sicuramente si trovano alcuni esempi. Ma vedendo che l’industria è di fatto molto pesantemente sovvenzionata da tutti i governi (sconti sulle tasse e sull’energia, contributi a fondo perduto, prestiti agevolati, vessazione dell’artigianato per renderlo artificialmente meno competitivo, e soprattutto, quando un’industria sbaracca, bonifica con soldi pubblici), inizio a chiedermi se la tanto decantata efficienza non sia in realtà solo l’aver trovato qualcosa da sfruttare *prima* che qualcuno si renda conto del danno, e senza contabilizzare mai il danno.
Altra cosa: questo vecchio saggio dell’Arcidruido mi ha aperto gli occhi. L’efficienza è il contrario della resilienza. Questo è un concetto fondamentale.
http://archdruidmirror.blogspot.com/2017/06/salvaging-resilience.html
(Come con lo spreco alimentare: tanto è sbagliato, ma se paradossalmente mangiassimo tutto fino all’ultima briciola, non saremmo più in grado di sfamare neanche una sola bocca in più o sopravvivere alla perdita di un solo campo)
La natura è in realtà estremamente inefficiente, da un certo punto di vista, ma la sua abbondanza si basa su questo perché anche i suoi scarti diventano fonte di altra vita. Un albero fa un’infinità di semi, la maggior parte dei quali non germoglierà; moltissimi dei germogli moriranno. L’efficienza dell’abbondanza naturale non è il produrre tanto con poco, ma il lasciare che ogni elemento abbia un ruolo nella vita nel suo complesso.
Mah, continuo a pensare che l’unica via di uscita sia un cambio di paradigma: usiamo concetti sbagliati e così siamo nelle mani degli avversari ideologici che vorremmo combattere.
E Igor, non offenderti 🙂 !
I decouplig assoluti input/output, dove si assiste a una correlazione inversa tra i due, sono rarissimi. Molto più spesso succede quello che è avvenuto con CFC e HFC, ossia che a una esternalità ambientale se ne sostituisca un’altra. Oppure succede come con le lampadine, quelle a incadescenza consumano molto di più ma sono fatte di materiali abbastanza diffusi, led e simili impiegano invece elementi molto rari.
Decoupling relativi invece ce ne sono stati un buon numero perché fino all’inizio degli anni Settanta la sensibilità al risparmio era nulla a causa dei bassi costi di energia e materie prime, quindi c’erano grandi margini per migliorare, poi hanno raggiunto un plateau a partire dagli anni Novanta-Duemila. Nei miei articoli sull’agricoltura ci sono vari esempi in questo campo.
Ovviamente, chi esalta queste cose come progressi eccezionali decontestualizza completamente l’entità del problema ecologico. Se io un superobeso che pesa più di 300 kg, se perdo anche 20 kg in un anno non è nulla di speciale. Idem succede nel campo della sostenibilità.
L’idea che efficienza e resilienza siano antitetiche, se corretta, è fondamentale e andrebbe esplicitata.
Abbiamo già tutte le tecnologie che ci servono senza dover credere ai miracoli hi- tech. Però bisogna cambiare lo stile di vita. E questa non è una faccenda da poco. La gente non cambia le proprie abitudini se non vi è costretta.
“La gente non cambia le proprie abitudini se non vi è costretta.”
(sotto hai chiarito cosa intendi, ma se negata l’importanza esclusiva dei vincoli fisici, il ragionamento vale lo stesso)
Guarda che pero’ con questo stai anche dicendo che le abitudini consumistiche che la gente ha adesso, le ha perche’ e’ costretta. Ed e’ vero, quasi il 90 per cento del PIL italiano e’ intermediato, cioe’ costretto, dalla legislazione dello Stato, in forma diretta (tasse e spesa pubblica) o indiretta (induzioni legislative alla spesa privata), vedere gli studi di Ricolfi, che chiunque abbia vissuto in modo economicamente attivo in questo paese negli ultimi decenni sa, perche’ lo ha tristemente sperimentato sulla propria pelle.
Bel risultato, dopo quasi mezzo secolo di legislazione ossessivamente e nominalmente rivolta all’austerita’, all’ambiente e alla sicurezza…
Ma allora perche’ invece di invocare sempre nuove restrizioni di stampo sado-maso, che evidentemente producono l’effetto contrario e lo sappiamo benissimo che l’eco-green e’ diventato un colossale affare consumistico-rottamatorio per Stati e grandi privati e potentissime lobby professionali, non ci limitiamo a costringere un po’ meno la gente a consumare ad esempio non cambiandogli quotidianamente l’assetto legislativo – tassatorio che a sua volta costringe a riadattare le proprie vite, ogni volta con enormi costi materiali e spirituali? Buttare via l’automobile ancora buona ogni tot anni perche’ va rottamata per legge, e acquistarne un’altra che ogni volta costa il doppio di prima, e’ ambientalista? Con l’edilizia si sta facendo lo stesso. Spendere per una pista ciclabile di piu’ al km di quanto e’ costata a suo tempo l’autostrada del sole e’ ambientalista? Praticamente il periodico potlatch che una volta spettava alle guerre (buttare giu’ tutto per poi ricostruirlo “meglio”), ora e’ intestato all’ambientalismo.
Secondo me l’ybris ambientalista, con le sue manie dirigistico-autoritarie, non puo’ in nessun modo contrastare l’ybris consumista, e’ solo un’incarnazione diversa dello stesso atteggiamento arrogante, un’ennesima metafora della guerra (guerra al cambiamento climatico, guerra all’inquinamento, guerra al virus, guerra a questo, guerra a quello, guerra al cazzo).
Non si cambia stile di vita se non si cambia atteggiamento mentale.
L’atteggiamento autoritario ci mette due secondi ad adattarsi alle proprie convenienze del momento, lo vediamo ad ogni pie’ sospinto nella stessa storia dell’ambientalismo, che si e’ trasformato nel business consumistico del secolo.
Neoambientalismo, potremmo chiamarlo.
Ho segnalato l’articolo su Le Monde, non tanto perché lo condividevo (non avevo mai sentito parlare prima dell’autore e anche a me non sembra sia un genio), ma perché colpito dal fatto che l’autore usi lo stesso esempio sui gas refrigeranti per frigoriferi che ho usato anche io durante le presentazioni del mio libro. A posteriori l’HFC si è rivelato anche lui dannoso, per cui questa sarebbe una conferma che dovremmo abolire i frigoriferi? Noi progressisti, convinti che i frigoriferi siano invece utili ed insostituibili, a differenza di altri beni spesso superflui (anzi, nei PVS ce ne vorrebbero molti di più per conservare meglio il cibo) e non ce ne siano in eccesso nemmeno da noi, preferiamo cercare di trovare alternative e cioè dei gas refrigeranti migliori. Andiamo cioè avanti, coscienti che tornando indietro mancherebbero le risorse finanziarie e tecnologiche per queste ricerche migliorative. Restando ai nostri giorni: se fossimo tornati indietro o restati fermi ( decresciuti), ci sarebbero state sufficienti risorse economiche e tecnologiche per arrivare così in fretta ai vaccini? L’errore gravissimo (dei politici) è semmai non aver organizzato a priori delle leggi per rendere patrimonio comune i risultati di queste ricerche (ovviamente con i dovuti benefici anche finanziari a chi ha faticato per questo) e non aver predisposto per tempo dei laboratori in grado di ampliare la produzione una volta identificato il metodo. E qui arrivo al punto cruciale e cioè quello che più distingue i progressisti dai decrescitari e che è anche uno degli errori che inficiano alla base il famigerato modello del Rapporto Meadows: ritenere che il consumo di risorse debba per forza crescere esponenzialmente, mentre la scienza/tecnologia evolva solo aritmeticamente. Anche un bambino delle elementari capirebbe che con questo presupposto applicato a priori, qualunque modello informatico indicherebbe che prima o poi si va a sbattere. L’unico vero e più importante problema dell’economia mondiale è la distribuzione dello sviluppo, non la sua riduzione: non quanto si produce, ma come e per chi. Che poi lo sviluppo, a un certo stadio della sua evoluzione, debba essere misurato sulle qualità più che sulle quantità, è altro discorso. La teoria della decrescita, oltre che inficiata da presupposti sbagliati, resta solo una nuova immagine della peggiore conservazione di chi ha già tutto, secondo il noto adagio: “ chi ha avuto, ha avuto, … chi ha dato, ha dato, …scurdámmoce ‘o ppassato, … Se volontariamente nessuno (o pochissimi: io tra questi) rinuncia ad una parte di quello che ha (comodità, sicurezza, ecc), l’unico metodo per imporre la decrescita è la costrizione e qui si rivela appunto il suo aspetto autoritario/reazionario. Almeno Latouche, più intelligente dei suoi epigoni, aveva ammesso che la decrescita è più che altro “uno slogan provocatorio”.
Come con la permacultura, critichi una cosa senza conoscerla né averla capita. Certo che le teorie legate all’idea della decrescita si pongono il problema storico e della redistribuzione, altro che “chi ha avuto ha avuto”.
«Fin dal primo giorno questo tacchino osservò che, nell’allevamento in cui era stato portato, gli veniva dato il cibo alle 9 del mattino. E da buon induttivista non fu precipitoso nel trarre conclusioni dalle sue osservazioni e ne eseguì altre in una vasta gamma di circostanze: di mercoledì e di giovedì, nei giorni caldi e nei giorni freddi, sia che piovesse sia che splendesse il sole. Così arricchiva ogni giorno il suo elenco di una proposizione osservativa in condizioni più disparate. Finché la sua coscienza induttivista non fu soddisfatta ed elaborò un’inferenza induttiva come questa: “Mi danno sempre il cibo alle 9 del mattino”. Questa concezione si rivelò incontestabilmente falsa alla vigilia di Natale, quando, invece di venir nutrito, fu sgozzato.[1]»
(Bertrand Russell, 1912[2])
“l’unico metodo per imporre la decrescita è la costrizione e qui si rivela appunto il suo aspetto autoritario/reazionario”
Nel paese che conosco bene, l’italia, attualmente e da decenni ad essere imposta per legge con sempre piu’ grandi sprechi di risorse e’ la crescita travestita da (de)crescita “green”, attraverso legislazioni, incentivazioni, sanzioni, spese pubbliche e conseguenti tassazioni di stampo francamente ed esplicitamente pavloviano quindi perfettamente associabili a logiche costrittivo-autoritarie.
Il vero scopo non dichiarato e’:
1)- aumentare il PIL contabile cosi’ da espandere sempre di piu’ la megamacchina amministrativa dello Stato Nazionale sulla cui redistribuzione forzata essa si basa e si autogiustifica, attraverso la collaudata tecnica keynesiana dello “scavare e riempire buche”), e
2)- dar lavoro ai milioni di inutili professionisti/intellettuali sfornati a getto continuo dalle nostre scuole di indottrinamento e altrimenti inoccupabili, che costituiscono la catena di trasmissione del Potere, e propagandano, progettano, dirigono, sanzionano, mentre il lavoro inutile “sporco”, quello manuale, ormai lo fanno quasi solo esclusivamente immigrati extra o intracomunitari ad essi funzionali.
Sinceramente, trascorsi gli anni e visti gli avvenimenti da lontano nel loro complesso, ho sempre piu’ l’impressione che l’ambientalismo delle origini si sia trasformato _prima_ in movimento che serviva principalmente a riciclare i politici di estrema sinistra nel periodo del riflusso individualistico degli anni ’80 del secolo scorso (infatti conserva perfettamente dall’epoca gli slogan antiliberali, tramandati nelle generazioni fino a ridursi a vacua forma), e _poi_, oggi, in pura espressione di marketing propagandistico e slogan pubblicitario, confezionato da abili professionisti ferrati in induzione delle masse e disposti a vendersi per qualsiasi causa, purche’ adeguatamente ricompensati (ho fortissima questa impressione ad esempio quando visito il sito italiano di extinction rebellion).
Che lanciata l’esca poi arrivino torme di volonterosi esaltati che non solo si lanciano all’attacco gratis e senza che gli sia ordinato, ma che diventa impossibile fermare o deviare, in qualche rarissimo ed encomiabile caso suscita la costernazione di chi l’esca ha contribuito a suo tempo a lanciare.
Cosa c’entra la “crescita verde” con la decrescita?? Perché accusare un’ideologia confondendola con il suo opposto?
Winston
Se ti riferisci alla frase ‘la gente non cambia le proprie abitudini se non vi è costretta’ ti dirò che l’ho presa pari pari da un vecchio libro di Rifkin: Entropia. Quindi costretta da ragioni legate alla scarsità di risorse.
“Quindi costretta da ragioni legate alla scarsità di risorse.”
Grazie della precisazione, ma direi che non e’ vero, l’uomo e’ un animale ossessivamente sociale quanto la formica, unico fra gli animali superiori, e in lui il condizionamento degli usi e dei costumi o, in misura minore, della legge impositiva, e’ pesantissimo. E’ per questo che esiste la scienza del marketing (non e’ una novita’, una volta la si chiamava arte retorica).
Rifkin non mi piace, culturalmente e professionalmente, fra l’altro e’ l’equivalente del nostro commercialista: gente che ragiona in termini pavloviani di incentivo/disincentivo economicistico, atteggiamento che ormai permea sia tutto l’apparato ideologico contemporaneo che la volonta’ legislativa in tutte le tendenze politiche. Zero virgole, esternalita’: tutta roba di cui fra un po’ tutti faranno finta di non aver mai sentito parlare. In cambio di cosa pero’ non lo so.
Vedi sopra se c’e’ qualcosa che possa sembrare sensato, scritto prima di questo, che forse chiarisce in forma piu’ estesa cosa intendo.
Nessuno vuole abolire i frigoriferi o roba simili, semplicemente la ricerca della crescita continua vanifica qualsiasi miglioramento di efficienza e provoca greenwashing, è un re Mida al contrario. Ed è normale che sia così, perché parliamo di tecnologia umana e non di magie.
Se alle prime avvisaglie sul fatto che si stava superando l’overshoot planetario si fosse puntato a uno stato stazionario di popolazione e consumi con ogni probabilità non ci sarebbe stata nessuna pandemia da Coronavirus.
Guardi, come vede ho seguito il suo consiglio di lettura, per cui la invito a seguire il mio: qui trova il testo integrale della prima edizione di Limits to growth: http://www.donellameadows.org/wp-content/userfiles/Limits-to-Growth-digital-scan-version.pdf
Se lo legga così almeno smetterà di ripetere megaballe come quella che ho riportato sopra. Se non altro esprimerà critiche di merito e non sui sentito dire.
Verso l’ecofascismo ci porterà la gente che tratta i problemi ecologici come mere questioni estetiche, che ricerca ambizioni incompatibili con le leggi naturali e/o che straparla di sostenibilità senza saperne quasi nulla. Grazie a questa gente i problemi si incancreniranno a un livello tale che il rischio autoritario sarà elevato.
SI rilegga l’accezione in cui intendeva questa frase, perché non ha capito niente di quello che voleva dire.
nello studio da Trainer, Malik e Lenzen, (2019).
La produzione industriale / commerciale / globalizzata di uova comprende un sacco di acciaio, carburanti, trasporti internazionali, macchinari, camion, trattori, navi, prodotti chimici, prestiti bancari, assicurazioni, salari scandalosi dei CEO, produzione di mangimi per l’agroalimentare, magazzini, imballaggi, pubblicità, stanze fresche, supermercati illuminazione, uffici e computer, esperti con dottorato di ricerca e polli stipati in cattive condizioni in grandi capannoni. La produzione di mangimi per l’agroalimentare estrae dal suolo sostanze nutritive che non possono essere restituite. I concimi diventano un problema di rifiuti perché contaminati da sostanze chimiche e comunque sono lontani dai terreni lontani da cui provengono. I fertilizzanti artificiali devono essere trasportati su camion nei campi che producono mangime per polli, danneggiando il suolo e i corsi d’acqua. I prodotti chimici sono necessari per controllare le malattie nei capannoni stipati ecc.
Al contrario, la produzione di uova in cortile, in cooperativa e in una piccola fattoria locale consente di eliminare quasi tutti questi costi. Gli scarti di cucina e giardino possono essere somministrati ai polli e il letame può andare nei giardini e negli stagni acquaponici. I polli ripuliscono e coltivano le aiuole, mangiano le lumache, riducono il bisogno di pesticidi, si riproducono, trovano parte del loro mangime allevando liberamente, forniscono carne e sono una fonte di diversità e divertimento negli insediamenti. I polli del cortile sono felici. Poiché le persone e altre funzioni sono vicine, i “rifiuti” possono essere passati direttamente agli utenti. Non c’è bisogno di vasti eserciti di costosi professionisti in giacca e cravatta che gestiscono computer.
Piccolo esempio di decrescita agreste.
Fuzzy, il fatto è che le politiche pubbliche disincentivano fortemente la seconda modalità. Se produci pollo su scala industriale, ricevi contributi economici di vario tipo e non devi risarcire la società per danni quali inquinamento e puzza. La legge ti permette di tenere gli animali in condizioni atroci e innaturali (e di alimentarli con mangimi prodotti deforestando l’Amazzonia e altri luoghi e importati legalmente, ma questo ormai lo fa, spesso senza saperlo, anche chi tiene galline in cortile).
Se hai polli in cortile, puoi vendere uova solo fino a un certo limite, molto basso, e niente carne. Se vuoi vendere uova sopra questo limite e carne, devi dotarti di costosissime strutture, certificati, fare corsi, carte, controlli… a questo punto, per pagare tutto ciò, sei costretto a trasformarti in un allevamento su larga scala, e non potrai più dar da mangiare alle galline i tuoi scarti e così via.
E questo vale per tutti i tipi di produzione artigianale, di cibo e non.
Per questo invito l’autore del post, e sto cercando di farlo io stessa, a capire se veramente la produzione industriale sia “efficiente”, o se semplicemente non lo sembri in virtù di politiche pubbliche destinate a favorirla.
http://thesimplerway.info/THEALTSOCLong.htm
Cosa potrebbe cambiare producendo localmente. (Contiene l’esempio delle galline, su cui Francesco avrà immagino molto da ridire).
Utopia? Molto probabile.
Serve più che altro per avere un’idea dell’inefficienza e dello spreco che caratterizzano il sistema industriale globalizzato. Di cui guarda caso si enfatizza l’efficienza.
Ma non è detto, magari un giorno sapere come fare per far fronte ad una progressiva scarsità di risorse potrebbe rivelarsi utile.
In fondo si discute sempre in termini generici. Almeno in questo caso abbiamo già le istruzioni per l’uso.
“la produzione industriale sia “efficiente”, o se semplicemente non lo sembri”
Con la densita’ demografica italiana e terrestre che e’ inutile ricordare nei numeri perche’ qui dentro tutti la conoscete, sapete benissimo che non c’e’ scelta.
Se gli uomini vivono gia’ loro stessi in un allevamento super-intensivo di esseri umani esteso a tutta la terra, come potete anche solo lontanamente pensare che possa essere diversamente per le loro fonti alimentari.
E come potete pensare che l’essere umano possa farsi problemi di fare al mondo cio’ che fa in ogni momento a se stesso.
Fuzzy, come dicevo, se tu trovi un sistema migliore ma le leggi ti impediscono di attuarlo, bisogna cambiare le leggi. Ho galline quindi per me è un esempio concreto che già pratico, ma che non è economicamente competitivo per via di problemi normativi, non pratici o di mancanza di conoscenza.
Firmato Winston, credo tu abbia frainteso il senso del mio commento. Se dovesse risultare che la modalità di produzione industriale è inefficiente, la situazione che tu descrivi non è dettata dalla necessità ma da un enorme fraintendimento con cui a breve saremo costretti a fare i conti.
Gaia
Non intendevo il guadagno da un uovo. Era per mettere in risalto tutto quello che si interpone tra l’uovo e la tavola.
Sì, ma tante persone non possono autoprodursi il cibo, e si trovano costrette a comprare cibo industriale perché la legge rende difficilissimo ad altri accedere al mercato. Una volta il sistema di produzione locale, piccolo e contadino era la norma, per cui i molti che non avevano polli (per esempio) avevano comunque la possibilità di comprarsi cibo prodotto in modo abbastanza sostenibile. In questo senso, sono abbastanza d’accordo con quanto dice Firmato Winston.
Igor: quel testo l’ho già letto parecchi anni prima di lei.
Gaia: allevo galline ruspanti e conigli fin da quando ero bambino e da veterinario mi sono occupato soprattutto di avi-cunicoltura in grandi allevamenti intensivi, per cui penso di avere qualche esperienza per confrontare anche dal punto di vista della sostenibilità le due tipologie di allevamento. Per non creare confusione, restiamo in ambito nazionale. Innanzitutto, troppo spesso, come ci ricorda Winston, che bisogna dare da mangiare a 60 milioni di persone e non tutte, come giustamente fai presente anche tu, hanno abbastanza tempo e soldi per andare dal contadino ogni settimana ad acquistare le uova fresche o il coniglio spellato. E che ancora meno possono auto-prodursele.
Se valutiamo l’impatto ambientale di ogni singolo uovo, stravincono quelle prodotte in maniera intensiva: meno energia per produrre il pulcino; meno energia per allevare la pollastra; meno cibo consumato (più o meno la metà) per ogni uovo prodotto; meno energia per la distribuzione; recupero integrale della pollina; meno suolo consumato per le strutture; meno manodopera, ecc. Solo un incompetente come Fuzzy può scrivere il contrario. Per esempio, ho calcolato che le mie due piccole incubatrici per galline (55 e 105 uova) consumano 23 e 18 volte più energia elettrica per pulcino nato rispetto ai grandi incubatoi da 100-200-300.000 pulcini la settimana. Le mie galline ruspanti (appartenenti a 11 diverse razze di varie taglie), ho calcolato che consumano ognuna circa 170-210 g di mangime al giorno (più un tot non quantificabile di resti di cucina di tre famiglie), contro i 125-140 g delle galline allevate con sistema intensivo. Il motivo è il maggiore movimento e l’energia spesa per scaldarsi in inverno e raffreddarsi d’estate. Inoltre le mie galline ruspanti producono almeno un 20% in meno di uova per gli stessi motivi. E’ però nella distribuzione che crolla la sostenibilità. A parte le uova che mia moglie, sorelle e cognate consegnano personalmente ad amiche e colleghe, le altre uova sono vendute a persone che compiono anche vari km per venirsele a prendere a casa mia. Se le acquistassero al supermercato, assieme ad altri prodotti, non ci sarebbe questo spreco di combustibili fossili. Un altro capitolo importante riguarda la maggiore mortalità e morbilità dell’allevamento ruspante, che obbliga ad un maggiore consumo di farmaci per capo allevato. E’ invece una balla colossale che nell’allevamento intensivo polli e galline siano imbottiti di farmaci con conseguenti residui nelle uova e carni. Gli allevatori, oltre a non voler sprecare soldi per acquistare costosissimi farmaci, non vogliono rischiare la galera in caso di controlli. E l’Italia è il paese al mondo che fa più controlli.
La pollina degli allevamenti intensivi viene tutta raccolta e tutta trasformata in ottimo fertilizzante, a sua volta utilizzato solo per colture, a differenza delle deiezioni di quelle ruspanti che venendo disperse in giro sono poco utili. Non menziono la qualità del cibo perché è un dato difficilmente quantificabile (la differenza sostanziale sono il maggior contenuto in acidi grassi a catena corta, come gli Omega3, che le galline ruspanti assumono grazie al fatto che consumano erba fresca e qualche insetto), almeno nelle uova. Nei conigli, che io allevo prevalentemente con fieno, la differenza, invece si nota, eccome. La carne di coniglio, che è la più eco-compatibile, dopo quella di struzzo (sono entrambe specie erbivore efficientissime nel convertire foraggi in ottimo cibo), è però poco consumata.
Da questi dati si evidenzia ancora una volta di come voi decrescitari viviate in un mondo di illusioni e di pregiudizi, che alla prova dei fatti si rivelano essere esattamente il contrario delle aspettative.
Allora le possibilità sono che o si confonde o se lo ricorda malissimo dopo tanto tempo, o non ci ha capito nulla oppure mente sapendo di mentire. In quel libro vengono fatte previsioni sui progressi scientifici-tecnologici da fantascienza, altro che ‘sviluppo lineare’!
Prendo tre esempi tra i tanti: scenario pag 137 del pdf, figura 37. Si immagino uno sviluppo esponenziale dell’energia nucleare che praticamente emancipa da qualsiasi vincolo sullo sfruttamento delle risorse e permette un riciclo quasi del 100% della materia. Pag 137 del pdf, figura 39: stesso scenario aggiungendo dal 1975 la riduzione dell’inquinamento annuo industriale in campo agricolo e industriale del 25% rispetto ai valori del 1970. Pag.138 del pdf, figura 40: stesso scenario con raddoppio delle rese agricole.
Non serve leggere tutta l’opera, faccia San Tommaso come piace a lei e verifichi se racconto balle o meno. Siccome esiste la libertà di opinione ma non quella di riportare falsità, forse le conviene farlo e rettificare certe dichiarazioni che altrimenti rischiano seriamente di compromettere la sua onestà intellettuale, perché non siamo più nel campo delle opinioni, carta canta.
Altro che fatti, qui siamo alla verità in quanto ipse dixit. Ho già replicato a queste cose nell’altro post, senza che le mie obiezioni fossero prese in considerazione; non ho intenzione di ricominciare.
Mah, non so se qualcuno di quelli che scrivono di galline abbia veramente letto quello che ho scritto e i link che ho aggiunto.
La gallina con le uova le metti in un sistema di autoconsumo locale.
Se si continua a ragionare in termini capitalistici allora l’allevamento intensivo di galline e di umani è inevitabile, con tanto di accaniti sostenitori come il Francesco.
Ma la gallina era soltanto un esempio. Anche il tacchino lo era. (Spero che non ci sia bisogno di spiegarlo, altrimenti vuol tutto quello che si è scritto qui non è servito a niente ).
Visto che pochi conoscono veramente gli allevamenti e per questo sbagliano a trarne le giuste conclusioni, provate a calcolare la sostenibilità della produzione di pane prodotto in un forno professionale e del pane prodotto in casa. Ovviamente senza considerare la qualità del pane e l’indubbio piacere dell’autoproduzione e includendo invece i costi energetici sia della produzione, che quello dei materiali per costruire i due forni, moltiplicati per il pane prodotto.
“meno energia per la distribuzione”
Veramente si trattava dei polli che razzolano nel cortile e vengono nutriti con gli scarti della cucina e quello che trovano per terra da beccare.
E non si faceva nessun accenno alla vendita.
Ne allevi di meno e ne mangi di meno, ma questo è un un altro discorso.
E quanta tecnologia ci vuole per un paio di polli?
Se li fai nascere da chioccia, direi zero, salvo sega e martello per costruire un pollaio. Per fortuna tenere galline in cortile sta diventando di moda, così la gente è meno dipendente dalla grande distribuzione per una cosa così semplice da produrre come un uovo.
Il pane prodotto in casa? Quello con la macchina per fare il pane? Non è tecnologia anche quella? Senza contare tutto ciò che comporta la produzione di elettricità.
Ma nessuno dice che da quando c’è il mercato globalizzato si è persa l’abitudine di conservare scorte di grano, sicché si fa affidamento esclusivamente a quello che viene trasferito da un paese all’altro. Metti che per una ragione o per l’altra si interrompono i trasporti e ti ritrovi con intere regioni senza grano.
Ho letto l’articolo, risuona in eco quanto questa conferenza di ieri:
https://www.youtube.com/watch?v=-mbIuAwAoaQ
1-Se c’è UN SETTORE CHE SICURAMENTE NON POTRÀ MAI ritornare sui livelli precovid,é il settore del Turismo.
Perchè se l’Europa (ed i paesi del I°mondo) vanno verso una politica VERDE (non seguiti dal II°mondo) è evidente che la gente dovrà viaggiare di meno: meno aerei, meno navi, meno treni, meno circolazione di persone per abbattere le emissioni CO2. Ergo il settore turistico non potrà mai giovarsi di politiche verdi ,dato che il turismo vive del BAU.
Perchè lo ha detto Ugur Sahin il Covid19 continuerà a girare per i prossimi 10 anni, nelle forme di millantamila varianti, per le quali occorrerà RIMODULARE I VACCINI E RICOMINCIARE DA CAPO UNA NUOVA VACCINAZIONE. Quindi, é evidente che per ragioni sanitarie il settore Turistico non potrà uscire mai, dalla situazione di crisi in cui é, dato che é un’attività che crea assembramento.
https://m.businesstoday.in/lite/story/covid-19-will-be-around-for-next-10-years-says-biontech-ceo-ugur-sahin/1/425854.html
2-L’IMMIGRAZIONE, il PD vuole IUS SOLI e dare il voto ai sedicenni, perchè gli italiani non votano più a sinistra: il corpo elettorale non ha gradito le 3 ondate del forno crematorio covid ambulante, bollinate dall’azione della magistratura di Bergamo sul governo Conte2 e PD+M5S+LEU
15/3/2021 Money.it: PD, il programma di Enrico Letta IUS SOLI e voto ai sedicenni
https://www.money.it/PD-programma-Enrico-Letta-voto-sedicenni-ius-soli
E’ tardi per sminare la BOMBA DEMOGRAFICA AFRICANA, ma una tardiva e poco efficace politica di controllo delle nascite in Africa, sarebbe comunque preferibile a non far niente.
Puntare sull’accoglienza in Europa, passerà il messaggio che tutti i problemi presenti e futuri degli Africani, saranno risolti migrando in Europa: questo incendierà il Nord Africa, ancora prima di quanto inesorabilmente detoneranno le GP2 nel 2050.
Poichè il covid continuerà a girare nel mondo, tenendo le porte e finestre aperte dell’accoglienza, si causeranno continue epidemie da contagi di ritorno, con varianti immuni ai virus noti, dato che il covid circola in tutto il mondo, ed in Africa ed in Asia e Sud America, purtroppo circola più di altrove, e quindi muta in modo smodato più di altrove. Non a caso, le varianti immuni (già oggi note) ai vaccini prodotti, sono la VARIANTE SUDAFRICANA, VARIANTE BRASILIANA.
3-La questione del Debito Pubblico italiano.
E’ dal 1980s con l’era Craxi, che gli italiani hanno vissuto come se non ci fosse un domani.
Nel 2020 gli italiani hanno iniziato a scoprire la gioia del martirio, perchè é esattamente questo che i politici italiani e Chiesa Cattolica hanno pianificato ed implementato per il popolo italiano.
Dal 2020 il popolo italiano ha imparato che nel mondo succedono cose.
La cosa che ancora gli italiani non avevano voluto capire dal 1980 ad oggi, é che nel mondo continueranno a succedere cose: eventi avulsi, dai voleri e desideri del mondo fantasy legalese, creato dagli avvocati e dal parlamento italiano con oltre 160MILA leggi!
http://uomoqualunque.net/2018/05/litalia-e-le-sue-leggi-ma-quante-sono/
4-TRANSIZIONE ECOLOGICA: é sinonimo nel I°mondo di un contingentamento stretto dell’Energia pro-capite, occorre abbattere tutti i consumi energivori voluttuari e risparmiare energia e capovolgere il paradigma della mobilità in senso pieno (dato che le emissioni di gas serra per la produzione di cibo non si possono comprimere, con una popolazione mondiale in espansione).
Non é detto che il I°mondo accetti di farlo, dato che il II°,III°mondo alzeranno le loro emissioni di gas serra!.
Ad esempio per il I°mondo: L’industria automobilistica, meccanica di precisione, la cantieristica navale per transatlantici turistisi, l’aeronautica civile, le gigantesche opere pubbliche in strade ed autostrade e svincoli, sono tutti settori morti ed inutili, dato che vivono del BAU. La gente nel I°mondo dovrà muoversi di meno e nelle città andare a piedi, in bici oppure su mezzo pubblico e sulle tratte intermedie prendere i treni oppure le auto, rimanendo al massimo in regione.
Ad esempio per il I°mondo: Internet in mobilità con gli smartphone, obbiettivamente é un energivoro consumo voluttuario, di cui i paesi del primo mondo potrebbero fare a meno, risparmiando tantissima energia e senza subire gravi perdite di benessere, dato che per milioni di anni l’uomo è vissuto benissimo senza cellulari e smartphone tra le palle!.
Ad esempio per il I°mondo: Anche i consumi televisivi e cartacei li potremmo abolire.
Rimuovere i consumi radiotelevisivi ci si risparmierebbero i consumi elettrici delle televisioni, radio e satellite, quanto di tutti i ripetitori, per sostituirli con la banda larga, dato che il multimedia via internet é un succedaneo perfetto della televisione, ma fonde telefono e canale di upload con la partecipazione, cosa che la televisione/radio e telefoni fissi non danno. I giornali cartacei ed a cascata le edicole, consumano e spacciano carta, ancorchè in parte riciclata e seminano piombo e consumano energia in quantità smodata in modo quotidiano, settimanale, mensile: tutti mezzi inutili ed obsoleti dato che la gente non legge, e si può sostituire lo stesso servizio con un sito web.
ecc…
Se poi, s’é deciso che è radical-chic tingere di vernice verde i SUV, gli aerei, le autostrade, superstrade, le grandi navi, gli smartphone ed i loro ripetitori, e tutto il ciclo di prodotto consumistico dei beni, non cambiando niente del BAU…
LOL
Un tentativo inefficace, ha la stessa risultante di nessun tentativo: entrambe conducono alle guerre del cambiamento climatico.
LOL
Non so voi, ma io trovo la cosa molto divertente! 😀
Igor: non intervengo rimbeccando ancora una volta sul mio giudizio negativo riguardante il Rapporto Meadows. Ammetto di essere negativamente influenzato dai ripetuti fallimenti dei passati ed attuali modelli predittivi ( e dire che hanno a disposizione dati e computer ben più potenti di quelli di 50 anni fa), come ad esempio quelli recenti sulla pandemia. A parte qualche previsione a breve termine, la mia impressione è non abbiano predetto correttamente un bel niente.
Da contadino, più che sulla teoria, per i giudizi mi baso sulla pratica.
Tornando all’argomento galline, sarebbe questo un esempio di decrescita? Tenersi due o tre galline in cortile e vivere, pardon, decrescere felici? E gli altri 99% che abitano in appartamenti o non hanno cortile e giardino, che fanno? Per non parlare poi dei propositi di autarchia ed eremitaggio obbligato di Marco? Se è questo il livello degli epigoni della decrescita, non ho niente di cui preoccuparmi.
I suoi giudizi negativi non l’autorizzano a riportare falsità come quelle che ha scritto ai commenti precedenti. Posso solo sperare che, al di là dei suoi gusti, dopo averle riportato prova provata del suo errore non ripeterà certe falsità sul mancato sviluppo di tecnologia e scienza in Limiti dello sviluppo. Poi, per quanto mi riguarda, personalmente può anche schifare il teorema di Pitagoria, se vuole
Se lei di modelli predittivi ha la stessa conoscenza che ha dimostrato delle variabili considerante in I limiti dello sviluppo (già il fatto che lo chiami sempre ‘rapporto Meadows’ è abbastanza indicativo) ho l’impressione che non sia una fonte granché attendibile. Comunque lo scenario base de I limiti dello sviluppo si è complessivamente dimostrato fedele alla realtà ( https://www.sciencedirect.com/science/article/abs/pii/S0959378008000435 ), e lo stesso si può dire dei principali modelli climatici ( https://www.climalteranti.it/2017/12/10/con-quale-precisione-i-modelli-climatici-hanno-previsto-il-riscaldamento-globale/ ) Del resto sfottere è sempre molto facile, ma la questione non è tanto avere computer più o meno potenti (ovviamente aiuta) ma saper correlare le diverse variabili in gioco. Con i fenomeni complessi, soprattutto all’inizio si possono prendere cantonate, si tratta di saper modificare i modelli ai riscontri della realtà.
Comunque, se siamo tanto interessati alla voce ‘previsioni sbagliate’, potremmo andarci a rivedere quelle relative all’insorgere di resistenze nelle colture transgeniche elaborate a fine anni Novanta-inizio Duemila, penso verrebbe fuori qualcosa di interessante…
Complimenti per la frase fatta, ma non funziona così. Lei può accusarmi di tutte le mancanze di conoscenze di base in fatto di agricoltura, ma io non vado in giro a dire di essere un ‘agricoltore eretico’, lei invece si è costruito la fama di ‘ambientalista eretico’ dando a intendere che di questioni di sostenibilità ci capisce eccome. Per non parlare della faccia tosta di accusare me di ‘offendere gli agricoltori’ solo perché riporto asetticamente dei dati quando lei invece denigra il lavoro di altri pur non conoscendolo affatto.
Se io sbaglio a definirlo Rapporto Meadows (chi l’ha scritto?), coloro che hanno tradotto il termine growth con sviluppo, sarebbero stati invece dei geni?
E poi prima di farmi le pulci, legga meglio quanto scrivo: ho forse menzionato previsioni sbagliate sul clima o invece sulla pandemia?
Sulla specifica conoscenza degli argomenti trattati, è lei che ha dimostrato ampiamente di non capirci niente di agricoltura ed ogni volta deve arrampicarsi sugli specchi o cercare affannosamente qualche ciliegia. Cosa c’azzeccano poi i modelli predittivi/previsioni sbagliate con le resistenze? A parte il fatto che queste si sono verificate per “eccesso di successo” e cioè, gli agricoltori vedendo il risultati eccezionali nei primi anni, hanno trascurato di seguire le istruzioni (scritte sulle confezioni) sulle buone pratiche agricole per prevenirle, le faccio notare che tutti gli esseri viventi sottoposti a pressione selettiva evolvono, si adattano e ne risultano delle resistenze. Questo l’ho già scritto almeno un paio di volte, ma lei se lo dimentica o fa finta, tanto per darmi torto. Gli altri che leggono però se ne ricordano!
Visto che insiste sulla questione biotecnologie, perché quando queste sono usate per gli attuali vaccini sono bene accette, mentre quando sono usate in agricoltura, “stranamente” diventano diaboliche, anche quando servono a ridurre gli input (energetici e non)? Solo perché ne beneficia direttamente la minoranza degli agricoltori? E poi sarei io ad avere dei pregiudizi?
In ogni caso la ringrazio: è interessante e divertente avere uno che ogni volta fa l’esegesi di quanto hai scritto.
Oltre Denis e Donella Meadows è stata scritto da Jorgen Randers e William Behrens III. (segua il mio consiglio: rilegga il libro da capo, perché quando non se ne conoscono né il titolo vero né gli autori forse qualche problemino oggettivo c’è…)
Guardi, lei è campione del mondo di sviamento delle questioni, ma alla fine della fiera mi risponda esplicitamente: dopo che le ho dimostrato che evidentemente ‘si ricordava male’ e che in Limiti dello sviluppo le previsioni immaginano sviluppi tecno-scientifici da fantascienza, andrà avanti a ripetere che le solite solfe sulla scienza non prevista bla bla bla ecc ecc?
No, gente troppo attaccata al feticcio della crescita. Infatti LU::CE editore l’ha ristampato giustamente come ‘I limiti della crescita’. Però in italiano è più conosciuto con il nome che gli diede Mondadori e quindi è meglio evitare qui pro quo.
Adesso sarebbe il mio turno di tuonare “ma pensa che gli agricoltori siano dei cretini?!” 😀 😀 😀
Sono in paziente attesa di confutazioni, lei a parte a sviare dagli argomenti dei post o tirare fuori aneddoti su quello che avete visto lei e suo figlio non ha fatto altro. Anzi, il secondo articolo della serie sugli OGM lo ha addirittura definito ‘ottimo’! Se veramente ho scelto delle ‘ciliege’, allora vuol dire che esiste una tonnellata di letteratura scientifica che smentisce quella che ho utilizzato sui dati relativi agli impieghi di fertilizzanti e pesticidi sulle colture OGM USA. Ne riporti giusto qualcosina tra le miriardi che proverebbero il mio cherry picking.
Adesso è lei che fa esegesi, chiunque legge senza prevenzioni quanto scrivo sa che non è vero niente.
Provi ad andare su Internet e troverà centinaia, migliaia di citazioni del Rapporto Meadows o Rapporto del Club di roma. E poi anche lei il 19 Marzo mi invita a leggere il Donellameadows … ecc. Evidentemente ha la memoria corta!
Se poi chi l’ha ristampato si è accorto dell’equivoco (voluto) tra crescita e sviluppo, ci sarà pure una ragione. E sarei io a svicolare?! E’ proprio su questo equivoco che più di 40 anni fa ho cominciato ad avere dei dubbi. Tutto il rapporto è incentrato sull’assunto della crescita (e non dello sviluppo che ha connotazioni più qualitative che quantitative): della popolazione, della produzione, dell’inquinamento, ecc. A parte il fatto del bias americanocentrico e cioè prendere come modello economico-industriale solo quello americano degli anni ’60 (un paese giovane, appena uscito da una serie di guerre, con territorio e risorse immense ed in piena espansione demografica-economica-industriale) quello che più sorprende sono le correlazioni tra crescita economica e popolazione e crescita economica e industriale. Ad esempio, l’assunto che il tasso di fertilità , da elevato nei poveri si abbassi ai primi segni di ricchezza e poi ricrescere ancora è stato ampiamente smentito. In tutto il Primo Mondo, il tasso di fertilità si è ridotto da anni molto al di sotto di quel 2-2,1 necessario alla stabilizzazione della popolazione. Fra qualche anno in questi paesi (al netto dell’immigrazione) la popolazione diminuirà al ritmo dell’1% all’anno. E anche nelle zone inurbate dei PVS, si sta assestando su questi valori ed anche meno. Poi si assume come scontato che si continui a produrre e consumare sempre più materie prime ( tra l’altro, nel frattempo le riserve, invece di diminuire sono aumentate) senza tenere conto della smaterializzazione delle produzioni. E del fatto che le infrastrutture una volta costruite servono per parecchi anni. Così come le case. Tempo fa durante una cena con parecchi amici abbiamo fatto il conto di quante case-appartamenti erediteranno i nostri figli: più di 2 a testa. Non gliene faccio una colpa a Donella e a World3 (negli anni ’70 l’informatica era allo stato embrionale), ma all’epoca le prime 10 società per capitalizzazione e fatturato producevano beni tangibili. Ora le prime 10 producono servizi immateriali. Come non erano previste (anche qui non ne faccio certo una colpa) situazioni come l’attuale pandemia, che risistemerà parecchia graduatorie riguardanti le future priorità di sviluppo. Potrei continuare a lungo, ma credo che basti per capire che il tentativo è stato ammirevole, ma non ha certo previsto bene. E’ comunque servito a mettere in guardia, anche se non tutti hanno ben capito da che cosa.
Con quest’altro commento ha dimostrato di sapere poco o nulla sul libro. Posso solo consigliarle ancora di leggerlo per non dire certe castronerie, altrimenti creda quello che pare ma la disinformazione la vada a fare su altri spazi Web, non suoi miei.
Limits to growth prevede un collasso tra il 1970 ed il 2070.
100 anni sono fuori scala temporale per tutte le discipline dell’Economia.
La più sfrenata disciplina economica orientata al futuro è l’Economia Aziendale, che con la Pianificazione Strategica (Scenario Planning + OODA Loop) non varca mai +50 anni nel futuro.
La Fantascienzas’occupa del futuro a +100, +1000, +10000 anni nel futuro, ma è fantascienza ossia speculazioni astratte e sopratutto le Time Capsule sono testimonianze dal passato per il futuro e non viceversa.
100 anni d’intervallo é come si dice “tanta roba!”
Questa è il secondo motivo perchè Limits to growth è rimasto indigesto al I°mondo.
Il primo motivo perchè rimase indigesto, è che fu pubblicato durante la guerra fredda: chi non stava con l’Economia di Mercato era uno che sosteneva l’Economia Collettivista (e viceversa). Il fatto che sia il Patto di Varsavia quanto la NATO bruciassero entrambi i carburanti fossili, non ha mai interessato nessuno.
Con il collasso dell’URSS nel 1989 e la fine della guerra fredda, s’è continuato a ritenere assiomaticamente (o religiosamente, che poi é lo stesso) che esistesse una crescita infinita in un pianeta di dimensioni finite.
Con l’avvento dell’IPCC il paper Limits to growth è tornato prepotentemente alla ribalta.
Gli Economisti (Keynesiani o Monetaristi) ne sono atterriti, si trincerano dietro “assunzioni” (di fede) e pensiero magico nella tecnologia & tecnica.
I Finanziari (miopi) non vanno oltre i 365gg perché la finanza è diventata il gioco del cerino.
Gli Aziendalisti (quelli che conoscono la Pianificazione Strategica) sono preoccupati, perchè nei primi decenni di XXI°secolo, i segnali di Early Warning ce ne sono a tonnellate, e validano la stima di Limits to growth, per un collasso intorno al 2050.
Anche i militari sono preoccupati, perchè é gente pragmatica: se vuoi la pace, prepara la guerra!.
I politici invece, sono disturbati da Limits to growth e dai segnali di Early Warning, perchè distruggono la propaganda politica.
I Mass Media sono disturbati dai segnali di Early Warning perchè distruggono lo story telling della culoemozione (scusate il francesismo)
Se ha la fortuna di vivere in campagna, IMHO le consiglio di prepararsi:
1-veda bene dove abita, potrebbe finire sott’acqua per la risalita di +0.9 MT del livello del mare oppure tutte le sue produzioni agricole potrebbero sparire, a causa dell’inifiltrazioni dell’acqua salmastra
2-cambi le sue produzioni agricole: scelga prodotti che resistono al salmastro e che necessitino di poca acqua dolce
3-scavi buche e ponga contenitori per raccogliere e conservare l’acqua piovana dolce ed installi serre e coltivazioni con micro-irrigazione (tecniche di produzione israeliane o coltivazioni senza terra)
4-installi pannelli solari e piccole pale eoliche, per avere un minimo d’autonomia elettrica.
5-prenda il porto d’armi sportivo: pistole e fucili semi-automatici e faccia imparare la disciplina delle armi da fuoco a tutta la sua famiglia per conoscere l’autodifesa.
Nei prossimi decenni, le cose saranno toste! lo stato di diritto (con i suoi diritti soggettivi ed oggettivi, ed autorità che li garantiscono,) sono destinati a dissolversi e sparire, e quello che emergerà non sarà un mondo con pace e prosperità per il genere umano.
Limits to growth è uno studio sulla correlazione reciproca tra le variabili produzione industriale, produzione agricola, popolazione umana e inquinamento. E’ diventato suo malgrado una previsione perché la realtà di fatto ha seguito il cosiddetto scenario-base, basato sul fatto che il mondo avrebbe seguito un approccio business as usual senza particolari ridefizioni degli obiettivi economici sociali. Sono stati previsti scenari alternativi completamente diversi dall’andamento storico reale, con sviluppi tecnoscientifici molto maggiori di quelli realizzati, con pianificazione familiare ecc e ci sono anche scenari di non collasso.
Su quel libro pullula la disinformazione più totale, in Rete e fuori, e non ho voglia che questo blog diventi l’ennesimo spazio per certe ciarlatanate. E siccome non ho né tempo né voglia di fare la maestrina con la penna rossa per correre dietro alle scemenze di turno sull’argomento, vi avviso che comincio a prendere in considerazione anche di bannare se la cosa dovesse verificarsi.
@ Igor Giussani
1-Sostenevo le tue risposte, quanto Limits to Growth, che nella versione originale è IMHO nella tesi finale un paper ancora valido, perchè l’intervallo di tempo non è stato superato e perchè Eventi Sentinella di un collasso intorno al 2050 o cmq prima del 2070 ci sono tutti, nel contesto del XXI°secolo.
2-Quello che manca in Limits to Growth, sono le catene Markoviane, che descrivano il futuro. La P(x) di un evento è raramente calcolabile, ma gli “end state” possono essere approssimati, focalizzandone gli aspetti più impattanti, delle mutabili al contesto. Ragionare deterministicamente sul futuro é errato, il futuro non é calcolabile: ci sono troppe cose che sappiamo di non sapere, quanto tutto quello che non sappiamo sul futuro. Io lo sapevo concettualmente da sempre 🙂 l’ho approfondito poscia da YouTube
https://www.youtube.com/watch?v=jaObSbahjBk
3-A me piace pensare a Limits to Growth, come ad un radar a lungo raggio a bassa frequenza: un tool che identifica l’esistenza di una generica minaccia, in avvicinamento e che ne definisce più o meno la direzione. Servono poscia altri strumenti (radar d’inseguimento ad alta frequenza), per tracciarne rotta e velocità con maggiore dettaglio: la disciplina economica (di diretta derivazione militare) della Pianificazione Strategica é IMHO probabilmente un buon radar d’inseguimento, nonostante resti l’incalcolabilità.
Marco, il problema non è utilizzare strumentalmente argomenti (come sembra pensare qualcuno) per fare della partigianeria, bensì fare chiarezza laddove regnano ignoranza e disinformazione. Dire che Limits to growth ‘predice il collasso’, lascia intendere che gli autori fossero già partiti con questo preconcetto, allo stesso modo dell’idea che abbiano preso a modello universale l’economia statunitense ecc. Il collasso sono il risultato delle elaborazioni di World3.
Quanto all’affidabilità del modello, ci si può già esprimere prima di qualsiasi collasso, dal momento che non si tratta di profezie alla Nostradamus ma di calcoli sull’evoluzione nel tempo delle variabili considerate (e qui riporto nuovamente lo studio di Turner sulla notevole comunanza tra scenario base e andamento reale https://www.sciencedirect.com/science/article/abs/pii/S0959378008000435 )
Perché Limits to growth NON SI PROPONE come predizione del futuro, LO E’ DIVENTATO SUO MALGRADO perché l’umanità ha imboccato una strada simile a quello di uno degli scenari considerati (scenario-base). I ricercatori hanno anche puntualizzato che l’andamento negli scenari delle variabili una volta raggiunto nel post-collasso non è indicativo, perché volente o nolente la società umana dovrebbe modificare le sue priorità e quindi la sua condotta.
A me piacerebbe pensare che Limits to Growth abbia fatto il suo tempo, nel senso che sarebbe bello che l’insegnamento di fondo (senza stabilizzazione dei consumi, della popolazione e le opportune conversioni tecnologiche si va incontro al collasso) fosse diventato patrimonio comune. E invece siamo qui con presunti esperti che sparano sciocchezze sull’opera e non le rinnegano neanche quando gli indichi le pagine del libro che palesano i loro errori.
@ Igor Giussani
Nel commento ho saltato tutto di Limits to growth, per andare alla ciccia 😉 che Francesco ignorava nelle sue critiche, in quanto la tesi é scomoda, terribile, e quindi è meglio dimenticarla ed ignorarla. La previsione di Limits to growth è in progress, chi ci sarà al 1/1/2071 potrà archiviare il paper, dandone un giudizio pieno. Di certo, nel XXI°secolo i segnali sentinella di un collasso ci sono tutti, per cui non c’è ragione di ritenere che la tesi finale sia errata, dato che è molto probabile che i meccanismi semplicistici permettano di compensare parte degli errori e perchè 100 anni è un enorme lasso di tempo.
Detto questo, sono tantissimi i difetti di Limits to Growth:
.Il mondo è composto da Stati Nazionali, non v’è traccia di tali entità nel modello e neppure di loro aggregati
.Limits to Growth non propone nessuna strategia per gli Stati Nazionali, ha una granularità troppo alta
.Non v’é traccia del PESTEL: ma l’Economia nel lungo periodo vive di PESTEL
.n-mila strategie sul da farsi estratte da n-mila varianti di W3 con parametri diversi, non è fare strategia: fare strategia è ispezionare il lungo periodo e sintetizzarne una linea d’azione (ancorchè composta con numerose azioni complesse e coordinate) perchè ad un collasso ci si oppone, non lo si accetta mai dato che i generali sono pagati per vincere le guerre, i primi ministri per non far collassare uno Stato, gli amministratori per non far fallire una società.
.I meccanismi logici interni di W3 sono sbagliati: le traiettorie economiche non collimano con le logiche IS-LM
.Il modello sarebbe orientato al futuro… ma non produce catene markoviane, propone traiettorie deterministiche (e questo non é proprio accettabile)
.L’Economia non è una scienza certa come la Fisica, ma è purtroppo una scienza sociale, che non di rado é simbiotica con la guerra, che é la continuazione della politica con altri mezzi.
.una previsione con 100 anni d’intervallo, è fuori scala per l’Economia che non supera i 30-50 anni.
.Il futuro non é noto e non é scritto ed é INCALCOLABILE: del futuro sono tantissime le cose che sappiamo di non poter sapere, oltre a tutto quello del futuro che non sappiamo. Per lo stesso motivo, i modelli Econometrici oltre 4 trimestri quando approcciano al futuro sono sempre immersi in ideologie, assiomi ed assunzioni, finendo per essere libere opinioni. A differenza di W3 che anche se ha una granularità troppo grezza e meccanismi errati, è superiore alle ideologie Econometriche di lungo periodo, perché semplificando, parte degli errori si compensano e quindi riesce a scovare in una forcella di tempo enorme, rischi generici intrecciati (che poi però vanno approfonditi con altre metodologie)
Mah, World3 in un certo senso non è altro che buon senso formalizzato. Se non credo a cose particolarmente assurde sul piano della fisica (cioé se non sei economista o affine) è abbastanza ovvio che non si possono creare risorse dal nulla (al massimo si sfruttano meglio) o che in una situazione di grave overshoot intervenire solo su di una delle variabili e non su tutte non può che procrastinare l’inevitabile.
Parlarne così, come una specie di profezia apocalittica, però è il modo migliore per alimentare certa mitologia negativa. Non capisco poi perché proprio il 2071.
Appesantire un modello previsionale di parametri e variabili può aumentarne la precisione ma lo rende molto più a rischio di errore. Per gli scopri che si proponeva, ha funzionato appieno. Semmai, altri studiosi avrebbero dovuto approfondire e svilupparne le intuizioni.
Abbiamo molti dubbi su come sarà il futuro, ma anche alcune certezze su come NON sarà. E sarebbero informazioni molto preziose.