Obiettivamente parlando, dopo Primavera Silenziosa di Rachel Carson (1962)  The population Bomb di Paul Ehrlich (1968) e I limiti della crescita dei coniugi Meadows e Jorgen Randers (1972), la cultura ambientalista non si è arricchita di altre opere che possano essere annoverate tra i grandi classici dell’ecologia, anche perché, da pensiero sostanzialmente ‘unitario’ che era ancora negli anni Settanta, si è gradualmente scisso in correnti riformiste e radicali, dallo sviluppo sostenibile di cui si fanno paladine anche le megacorporation più inquinanti del pianeta fino alla decrescita o addirittura all’anarcoprimitivismo. 

Oramai, il degrado ecologico preconizzato dallo scienza si è fatto manifesto, solo i sofisti e i cialtroni della peggior specie (categorie spesso coincidenti) possono continuare a negarlo. Rispetto agli anni Settanta, quando ancora si poteva evitare di andare a sbattere contro il muro (o era possibile se non altro contenere al massimo i danni), oggi invece lo scontro è inevitabile, e ci si divide tra chi spera in un ridimensionamento non troppo drastico del benessere attuale e chi, come il buon Ugo Bardi, paventa un radicale ‘tracollo di Seneca’. In questa nuova fase, i vecchi scienziati-Cassandre, più che replicare sdegnati agli increduli ‘ve l’avevamo detto!’, non possono fare.

John Michael Greer, noto nell’ambiente semplicemente come ‘l’arcidruido’ per via delle sue convinzioni neopagane (di cui, a titolo di cronaca, non fa proselitismo nel libro che andiamo ad esaminare), con La lunga discesa. Una guida per la fine dell’età industriale si è cimentato in un’opera ideale per quello che potremmo chiamare, per usare un’espressione alla moda, ecologismo 2.0. Infatti, dopo una lunga prolusione in stile ‘picchista’, nelle sezioni successive affronta il delicato tema del superamento della cultura antropocentrica, riflette sulle forme dell’azione politica ma suggerisce anche alcuni rimedi pratici per vivere al meglio nella società deindustrializzata dove l’abbondanza energetica è un caro ricordo (lo sapevate, ad esempio, che gli alternatori delle automobili possono essere riutilizzati virtuosamente per produrre elettricità?), analizzando le civiltà del passato alla ricerca di insegnamenti utili e ammonimenti per il futuro. Se vi sentite pigri e volete un opera che sia un ‘pacchetto completo’ comprendente tutte le principali questioni ecologiche e le strategie di adattamento, allora quest’opera fa sicuramente al caso vostro.

Infatti, in un’epoca in cui il ‘solito’ libro del Club di Roma appare oramai scontato e fuori tempo massimo mentre i tanti profeti del survivalismo post-apocalottico puzzano di fuffa post-fricchettona, Greer fonde il rigore dello scienziato con la profondità spirituale del mistico nell’approcciare il delicato tema del ‘collaso catabolico’ (rimando a un articolo dell’Arcidruido tradotto su Effetto Cassandra per i dettagli), ben sapendo che affrontarlo richiede una mutazione antropologica e non una semplice transizione tecnologica. Prima di lui, forse solo Donella Meadows è stata capace di unire insieme così bene razionalità e spiritualità.

Pensando poi all’attuale pandemia globale provocata dal Coronavirus, Greer suona per certi versi profetico, e non perché accampa improbabili ipotesi complottistiche su di una possibile guerra biologica. Per usare le sue parole, “anche il collasso è un’opzione.Il fatto che non sia l’opzione che preferiamo non fa nulla per renderla meno probabile”. Come stiamo constatando tuttora, se non ti proponi di attuare importanti cambiamenti sistemici, essi finiscono per verificarsi da sé. Il Covid-19, ad esempio, sta brandendo a pezzi la complessa quanto delicata architettura della globalizzazione neoliberista, ripristinando rigide frontiere, riesumando l’ingerenza dello stato nell’economia, abbattendo le emissioni inquinanti, proponendo a suo modo il tema della riconversione economica e agevolando lo smantellamento dell’industria delle fossili (la continua deflazione è foriera di fallimenti a catena nel settore degli idrocarburi). 

Insomma, l’alternativa non è tra Business As Usual e utopia ecologica, bensì tra un mondo dove si possano conciliare ancora istanze di libertà con le esigenze della biosfera e uno dove si finisce vittime degli eventi, dove lo ‘stato di eccezione’ ben descritto da Giorgio Agamben assurge a normale paradigma di governo e, si direbbe, la Natura cerca con le maniere spicce di rimediare ai tentennamenti degli umani. 

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