In questi giorni, in attesa dell’eventuale scoppio della terza guerra mondiale, mi sono letto con interesse il post ‘Il mondo frenetico dei social media’ pubblicato sul blog Utopia Rossa da Laris Massari. Laris è il figlio ventenne di Roberto Massari, titolare della Massari Editore nonché, a mio giudizio, una delle persone intellettualmente più oneste nel panorama della sinistra radicale, cosa che l’ha reso sempre inviso a quelli che lui chiama i ‘forchettoni rossi‘. Nel merito dell’articolo, mi piace ricorrere a un vecchio tormentone della Gialappa’s band dovuto a uno strafalcione di un calciatore in un’intervista televisiva, ossia “sono completamente d’accordo a metà”.
Ritengo inappuntabile (finanche un po’ scontata, in certi punti) l’analisi di Laris riguardo alla superficialità dell’informazione veicolata dai social media, le manipolazioni operate dalle piattaforme on line, la relazione perversa che si sviluppa tra influencer e follower e i rischi insiti nell’integrazione con la AI. Tuttavia, mi pare incorrere talvolta in generalizzazioni e giudizi troppo drastici; riporto qui le sue osservazioni più discutibili con i miei commenti.
Il bello è che i follower, a meno che non siano prede completamente alienate del meccanismo, sanno benissimo come esso funziona, ma, anziché indignarsi, aspirano a diventare essi stessi degli influencer (che possono essere a loro volta follower di qualcun altro). Questo è un esempio della famigerata «democrazia» del Web, giacché a ogni singolo utente è potenzialmente concesso di diventare influente, quindi famoso e ricco, senza possedere grandi qualità umane di alcun tipo.
Laris si riferisce a chi ricerca la celebrità semplicemente ostentando la sua vita quotidiana tramite video, post e instant stories, tuttavia relegare gli influencer a questa categoria è una forzatura impropria: i chiacchieratissimi Ferragnez (Fedez e Chiara Ferragni) hanno trasformato la loro esistenza in un gigantesco spettacolo socialmediatico, ma ci sono arrivati partendo da carriere che richiedono talenti. Gianmarco Tocco in arte Blur, il maggiore streamer italiano su Twitch, ha fatto la gavetta in Rete registrando video su Youtube dalla cameretta di casa, come un ragazzo qualunque, per poi scalare l’olimpo dei social.
Ci sono poi persone che, pur con un seguito decisamente inferiore, hanno raggiunto una discreta notorietà (sufficiente se non altro per portare a casa il pane) diffondendo contenuti di maggiore spessore, come il divulgatore scientifico Giacomo Moro Mauretto/Entropy For Life o l’esperto di filosofia Riccardo Dalferro/RicDuFer; senza dimenticare chi, come Claudio Messora con Byoblu, partendo dai social è riuscito a crearsi un canale televisivo sul digitale terrestre.
Insomma, possiamo discutere sulle reali capacità di tanti influencer e sulla loro effettiva utilità sociale (si vivrebbe benissimo senza dissing e gossip, gameplay conditi di bestemmie, fake news e teorie strampalate spacciate per verità inconfutabili), tuttavia sminuirli indistintamente a incapaci senza qualità è ingeneroso e riduttivo (altrimenti proviamoci noi e vediamo se riusciamo tanto facilmente a diventare webstar). Bisogna altresì riconoscere come il Web e i social media in particolare, per quanto non realmente ‘democratici’, siano infinitamente più pluralisti dei mass media, nel bene e nel male.
Ovviamente tra una scemenza e l’altra ci scappa qualche video serio che perde qualsiasi credibilità in mezzo al mucchio. Si sente in giro parlare di «trend di TikTok» che tutti ripetono – a voce o con gesti e balletti – come fossero le battute di Fantozzi, per poi dimenticarsene in breve, appena sopraggiungono nuovi trend. Basti pensare al personaggio di Khaby Lame [n. 2000] (un vero e proprio trendsetter), senegalese naturalizzato italiano, il quale, reagendo a video ridicoli di altri utenti, con altrettanta ridicolezza ha raggiunto al momento [febbraio 2024] 160 milioni di follower su TikTok e 80 milioni su Ig: cifre da capogiro. È divenuto il TikToker più seguìto al mondo, che abbiamo visto sfilare sul red carpet degli Oscar e stringere la mano a star di Hollywood. Primato italiano…
Indiscutibilmente, a Khaby Lame manca ancora molto per eguagliare Jerry Lewis. Tuttavia, anziché far notare l’ovvio, la mia prima reazione sarebbe ideare un modo per arricchire di contenuti quel tipo di comicità terra-terra ma accattivante (per la cronaca: ci ho anche provato, ma sono totalmente negato). La satira è sempre stata un ottima ancella della critica politica, perché non pensare a un intrattenimento virtuoso che, anche senza fare gli stessi numeri dei trendsetter, possa in qualche modo fare breccia tra i giovani utenti del social cinese e non solo?
Riflettendo su quanto detto, ci si deve porre una prima domanda: come può tutto ciò essere di qualche giovamento per la specie umana? E, seconda domanda, mentre molti adulti si rincretiniscono, cosa avviene nelle menti dei giovani che nascono o arrivano a disastro inoltrato? Questo perché le nuove generazioni, prive dei necessari e adeguati strumenti teorici, sono le prime a essere inghiottite dal vortice informatico. Saranno quindi (e già lo sono) più facilmente manipolabili e influenzabili da parte delle linee di pensiero imposte dal social di turno.
Questo discorso potrebbe valere per il Web in generale, non solo per i social; tuttavia, almeno per quanto sperimento quotidianamente in Rete, ho l’impressione che siano le generazioni pre-Internet a rivelarsi più deboli e svantaggiate. In particolare, resto sorpreso dall’elevato numero di miei coetanei (quindi in una fascia di età compresa tra i quaranta e i cinquant’anni), quasi tutti di cultura medio-alta, che cascano nelle peggiori fake news, comportandosi da perfetti ‘io-non-me-la-bevo’, termine coniato dal padre di Laris per indicare chi si ritiene detentore di chissà quale spirito critico facendosi invece abbindolare dalla peggior propaganda, difendendola per giunta a spada tratta contro ogni evidenza.
Riflettendo su quanto detto, ci si deve porre una prima domanda: come può tutto ciò essere di qualche giovamento per la specie umana?
Qui bisogna evitare tanto le generalizzazioni indebite quanto le banalità del tipo “la tecnologia non è buona o cattiva, dipende da come viene usata”, facendo rivoltare nella tomba per l’ennesima volta il povero McLuhan. Per fare un esempio tra tanti, la collaborazione tra me e Jacopo Simonetta, poi evoluta in questo blog e nella stesura de La caduta del Leviatano, non sarebbe mai avvenuta senza i contatti su Facebook; lo stesso dicasi della mia esperienza con DFSN, successivamente foriera di altre forme di impegno ‘in real life’. L’obiezione facile è che, da bravi boomer quali siamo io, Jacopo e tutte le persone coinvolte abbiamo utilizzato i social media addestrati però da forme di apprendimento pre-digitali. Osservazione senza dubbio fondata, tuttavia aspetterei prima di gettare anatemi indiscriminati: forse basta evitare certe ‘evoluzioni’ tecniche delle piattaforme on line (vedi l’integrazione esasperata con la AI), finché non si trasformano in perfetti strumenti distopici possono ancora rivelarsi costruttive.
La mia conclusione provvisoria – come lo è il livello raggiunto dalla tecnologia informatica – è che la ricerca di risposte sembrerebbe portare solo a prospettive tra le più catastrofiche. Resta il fatto però che, benché io abbia fatto esperienza del mondo social in una fase più «acerba» della mia vita, sono poi riuscito a tirarmene via (del tutto o quasi), con occhio assai critico o forse con qualche effetto collaterale indesiderato. Ma proprio perché ne sono stato vittima, faccio ora di tutto per mettere me e altri al riparo. Non so quanti stiano facendo lo stesso, ma si tratterà certo di minoranze che, libere dal mondo frenetico dei social, sentono necessario l’impegno per la salvaguardia del nostro mondo reale.
Invito Laris a stare in guardia da eventuali derive snobistiche, del resto sempre in agguato quando si vuole prendere le distanze dalle mode e dalle pratiche di massa. Sicuramente i social media rincretiniscono milioni e milioni di persone, ma non fruirne non rende di per sé persone migliori. Soprattutto non vorrei che, nel tentativo assolutamente lodevole di far coincidere mezzi e fini (caratteristica peculiare della condotta politica di suo padre), finisse per assumere un atteggiamento troppo rigido, tale da tarparsi le ali da solo.
Uno dei miei slogan preferiti del movimento no global era ‘dont’hate the media, be the media!’. Ciò richiede ovviamente di non rigettare a prescindere gli ‘strumenti del Sistema’ ma di impiegarli secondo criteri diversi da quelli per cui sono stati creati, facendo sostanzialmente buon viso a cattivo gioco. Le giovani minoranze libere dal mondo frenetico dei social che immagina Laris, attraverso riflessioni de visu e ben meditate, potrebbero ideare strategie molto interessanti al riguardo.
PS: il post di Laris Massari da me commentato fa da appendice al libro Masse ribelli e protagonismo digitale, di Roberto Massari e pubblicato da Massari Editore.
Non so, non capisco il succo del discorso.
A me sembra semplice.
Internet serve a collegare gli aggeggi e tramite gli aggeggi, collegare le persone.
In origine era impegnativo quindi si collegavano facoltà universitarie.
Poi è diventato meno impegnativo e si collegavano degli entusiasti con una certa predisposizione tecnica.
Ad un certo punto la faccenda si è allargata abbastanza da dare l’idea di un potenziale mercato e quindi degli psicopatici tipo Jobs hanno pensato “come faccio a fare soldi con Internet?”
La risposta è:
La maggior parte del “pubblico” è composta di scemi.
Quindi bisogna dargli servizi/prodotti pensati per gli scemi, cioè con nessuna barriera di ingresso, basta registrarsi, eventualmente mettere li due soldi e “uno vale uno”. Di più, nessuna barriera di ingresso significa che non è richiesta nessuna competenza e quindi è tutto non solo semplice ma anche pre-determinato. Con questi servizi/prodotti puoi fare solo le cose che servono/interessano un pubblico di scemi, niente di più, niente di meno. Alla pecora non pesa stare nel gregge, allo scemo non pesa stare dentro il “social”.
Incontriamo quindi un tabù della “sinistra”, cioè non si può dire che esistono gli scemi. Perché dal tempo del “buon selvaggio”, tanto peggio, tanto meglio, lo scemo è un po’ come l’Ultimo del Vangelo, deve ereditare la Terra. Lo scemo è la regola, la norma. Deve essere buono e giusto.
I servizi/prodotti per scemi sono “democratici” quindi devono essere buoni e giusti.
Convergenza della “sinistra” con Fedez, non solo perché lui impersona lo “artista di strada”, una contraddizione in termini, ma perché non ci può essere niente di sbagliato in tutto il contesto “democratico” mirato alla platea degli scemi. Anche se poi ovviamente chi si occupa di tirare le fila non può che disprezzare la gente che si fa succhiare la vita in cambio del nulla. Quindi ulteriore convergenza, le “elite” della “sinistra” alla fine disprezzano la “base” degli scemi ma per mestiere devono fingere filantropia in ogni frase e gesto.
Il fine giustifica i mezzi, no?
Le grandi aziende dell’informatica sono sempre state le ultime a capire le potenzialità di Internet. Microsoft arrivò talmente tardi al momento dell’esplosione del Web che, nel loro tipico stile, hanno cercato di tamponare questo deficit con i soldi, acquistando in fretta e furia da un’azienda un browser che poi diventerà il famigerato Explorer. Tutti i principali social (compresi Youtube e Twitch) sono stati opera di piccole aziende, prima di essere stati acquistati da colossi. Google se ne uscì con quella porcata orribile di google+…
Youtune e Twitch (specialmente quest’ultima) sono piene di tutte le zozzerie che vuoi, anche senza dire la parola con la f o con la n.
“Le grandi aziende dell’informatica sono sempre state le ultime a capire le potenzialità di Internet”
Le innovazioni spesso avvengono proprio per scalzare i “grandi”, detentori dei monopoli pubblici e/o privati.
Quindi le grandi aziende o le grandi istituzioni politiche non e’ solo che non capiscono l’innovazione, bensi’ la vedono, giustamente, come ostile.
Poi, qualora l’innovazione abbia successo, possono tentare di inglobarla, ma non e’ detto che l’operazione riesca.
Microsoft nacque dal tentativo di IBM, assoluto monopolista dell’epoca con oltre il 90 per cento del mercato dei computer, di entrare nel mercato nascente del personal computer, nel quale non credeva.
Mussolini, tentarono di inglobarlo e normalizzarlo facendolo capo del governo.
Papa Francesco, da bravo gesuita casuistico, sta tentando qualcosa di simile.
Si nota anche dai pochi esempi suddetti che il problema e’ ricorsivo: i nuovi attori emergenti si costituiscono presto in un nuovo monopolio in sostituzione del vecchio, con tutti i contraccolpi di “pensiero unico” e “tutte le uova in un solo paniere” connessi.
Per restare nella cronaca, e’ gia’ successo col “green”, con l’Europa di Bruxelles, col politicamente corretto.
Successe col fascismo, col comunismo, con la rivoluzione cristiana.
L’unico antidoto credo stia nella vecchia ironia, nell’antico scetticismo, che purtroppo nell’era della democrazia di massa in cui vige il principio della dittatura della maggioranza alla quale si puo’ solo tentare di sostituirsi, temo sia, piu’ che difficile, inutile da praticare.
Dittatura della maggioranza?
Sorrido.
Ora è l’epoca per cui i quindici esseri umani che hanno sei dita per mano impongono che si fabbrichino gli esaguanti e che istituiscono, nelle scuole corsi di autodeterminazione per il diritto all’impuanto chirurgico del 6o dito, ti fanno ‘na capa così nei mezzi, nelle cose sociali, su quanto sia bello, superiore, inklusivo, open, avere sei dita per estremità.
Ci sono anche quelli a cui piace la pizza coi peperoni e nutella che pretendono che vengano riconosciuti loro dei ruoli di vertice alla RAI o ala commissione pirco marlo a Bruxelles perché sei brutto fasista rasista nasista se alzi la mano e chiedi cosa centri la pizza con peperoni e nutella colla competenze necessarie.