“In un’altra parte del mondo, per un’azienda così ci sarebbe la fila degli investitori pronti a infondere capitali dalle dimensioni inimmaginabili. In Italia invece abbiamo ancora bisogno della diffusa generosità dei piccoli donatori”. Così Claudio Messora ha commentato la decisione di trasformare Byoblu in una società per azioni (ma non di quotarla di Borsa, come erroneamente riportato da Repubblica e altre testate), ostentando con orgoglio il fatturato della propria azienda, passato dai 422.000 euro del 2020 ai quasi 3,5 milioni del 2023.
In realtà, non sono proprio tutte rose e fiori e la ritrosia nel trovare investitori non dipende solo dalle idiosincrasie italiote come insinua Messora. I bilanci testimoniano infatti pesanti passivi di bilancio: nel 2024, solo in due mesi l’azienda è riuscita a chiudere in attivo.
Fonte: documenti trasparenza finanziaria Byoblu
Analizzando nel dettaglio le uscite, sembra impossibile tagliarle considerevolmente senza un ridimensionamento per quanto riguarda dipendenti, collaborazioni e capacità editoriale in generale. Provvedimenti più soft come trasferirsi dalla sede milanese di Via Deruta cercando locali più economici nella provincia, ad esempio, non inciderebbero più di tanto sulle spese.
Personalmente, non sono certo un fan di Byoblu. Ritengo Messora una persona scaltra e per alcuni versi persino ammirevole per l’abnegazione e l’impegno profusi, tuttavia non apprezzo minimamente il suo giornalismo incentrato sulla strategia che chiamo ‘mainstream alternativo‘, ossia parlare ‘a rovescio’ rispetto ai grandi organi di informazione per solleticare i bassi istinti della gente e blandire la sua (legittima) sfiducia contro Repubblica, Tg1 e soci. Così facendo, Byoblu contribuisce a sdoganare le peggiori bufale, a elevare ciarlatani a grandi intellettuali, a presentare delinquenti della peggior risma in benefattori dell’umanità.
Qui però mi interessa una riflessione più generale, che prescinda dalla qualità dei contenuti di questa testata ‘controversa’. Ne La fabbrica del consenso, Noam Chomsky ed Edward Hermann denunciano l’inevitabile parzialità e faziosità di organi di informazione la cui proprietà è saldamente nelle mani delle grandi corporation e dove l’apporto degli inserzionisti è sempre più determinante. Scritto nel 1988, racconta di un’informazione omologata e asservita ai poteri forti dell’economia e (quindi) della politica.
A partire dagli anni Novanta, la diffusione capillare ed esponenziale del Web ha rappresentato l’occasione di riscatto dell’informazione ‘alternativa’, finalmente in possesso di un medium che, potenzialmente, le garantiva una visibilità pari a quella del mainstream. Byoblu è stata tra coloro che hanno cercato di trasformare la controinformazione, un’attività dal carattere tendenzialmente dilettantesco o poco più, in un’occasione di guadagno sfruttando le opportunità di monetizzazione concesse da realtà del Sistema quali Youtube e Google Adsense: facendo buon viso a cattivo gioco, insomma.
Ciò ha funzionato bene finché le grandi piattaforme di social media non hanno iniziato a verificare i contenuti pubblicati dagli utenti per espungere o demonetizzare gran parte di quelli ‘politicamente scorretti’ (in certi casi, ‘indecenti’ sarebbe una definizione migliore). Quindi Messora, tra censure reali ed altre montate ad arte per atteggiarsi a vittima gridando al bavaglio, ha giocato un nuovo asso dalla manica: lasciare il Web per tornare in televisione, possibilità divenuta molto più a buon mercato rispetto al passato con l’avvento del digitale terrestre, ma comunque sempre dispendiosa. Finora, come è riuscita Byoblu a barcamenarsi economicamente?
Come si evince dai documenti di trasparenza finanziaria, la principale fonte di introiti del business dell’informazione, la pubblicità, ammonta solo al 13% delle entrate e gli abbonamenti sono di poco superiori, intorno al 18%. La parte più consistente (60%) deriva da libere donazioni. Così come Chomsky ed Hermann hanno tratto le loro conclusioni sul carattere di un’informazione supportata dagli inserzionisti e dai magnati del capitalismo, possiamo noi esprimere qualche osservazione argomentata su di un giornalismo fondato sulla donazione, cioé un atto profondamento diverso da una transazione di tipo commerciale?
Il sociologo francese Marcel Mauss ha parlato di triplice obbligo del dono, basato su donare, ricevere e restituire. Nel caso di un giornalista che campi principalmente grazie alla bontà d’animo di chi lo segue, in che cosa può consistere esattamente la fase della ‘restituzione’? Byoblu non si rivolge a un pubblico ‘generalista’, ma individua un target ben preciso di spettatori dal punto di vista ideologico. Quale migliore ‘riconoscenza’, quindi, che offrirgli contenuti che lo rafforzino ulteriormente nei suoi convincimenti, a prescindere dalla reale qualità informativa? Ecco una forma di condizionamento dell’informazione molto differente da quella descritta da Chomsky ed Hermann, ma non meno insidiosa.
Pur non confidando particolarmente in Messora, è possibile che la trasformazione di Byoblu in una società per azioni, oltre a garantire maggiore stabilità economica, sia l’occasione per emanciparsi dalla dipendenza dal pubblico e di offrire così un’informazione che, non dovendo vivere di elemosine (o molto meno rispetto a prima), sia più interessata alla ricerca della verità che a blandire la pancia della gente. Rimane un’unica certezza: con la controinformazione, quella vera e non che si atteggia a tale, di guadagni te ne puoi aspettare veramente pochi.
Oppure finirà anche lui per far contenti gli azionisti, non vedo alternative.
Il modello de Il Fatto Quotidiano mi sembra interessante, potresti provare a guardare anche i loro conti. Purtroppo asserviti ideologicamente (ma non economicamente, credo) ai 5 stelle, ma a parte quello abbastanza indipendenti e coraggiosi.
Per completezza di informazione, Messora ha già detto che ci saranno dei limiti al possesso delle quote per impedire l’affermarsi di posizioni dominanti nella proprietà
Fatto Quotidiano asservito ideologicamente ai 5 stelle? Questo è un vero e proprio vaneggiamento in quanto è difficile spiegare come un movimento possa asservire “ideologicamente” un quotidiano. Se avessi scritto che le idee e le posizioni dei giornalisti del Fatto sono vicini alle idee e alle posizioni dei 5 stelle sarebbe stato già più comprensibile, mentre la logica dell’asservimento dovresti lasciarla alla maggioranza delle testate in mano ad editori impuri, che asservono la testata, o le testate, ai propri interessi e a quelli dei gruppi di potere ai quali sono collegati.
Può darsi che lo facciano solo per intima convinzione e non per qualche tipo di interesse. Non ho le prove che sia altrimenti. È però innegabile che difendono sempre le posizioni dei Cinque Stelle, in maniera a mio giudizio alle volte davvero imbarazzante, e questo ai miei occhi toglie loro molta credibilità.
Tanti discorsi e chiacchiere per non affrontare il discorso principale : LINFORMAZIONE È DIREZIONATA DAGLI SPONSOR e non può esistere informazione libera.
Tutto gira intorno alla pubblicità: l’informazione, i social, lo sport e addirittura la.scuola e l’arte.
Anche questo commento è per fare pubblicità
A cosa?
Non condivido quasi niente di questo articolo che lascia trasparire una forma di ostilità preventiva nei confronti della testata televisiva diretta da Claudio Messora. Io, ad esempio, sono un abbonato a Byoblu (6 euro al mese) ed ho sottoscritto volentieri l’abbonamento perché ho verificato che i contenuti dell’informazione fornita da Byoblu sono differenti da quelli offerti delle tv mainstream (per inciso, non posseggo un televisore, vedo episodicamente le tv in streaming sul PC, come credo che facciano molti altri). Sono differenti nel senso che sono proprio altri, cioè apprendo grazie a Byoblu cose di cui altrimenti non saprei. Pur essendo abbonato sono al tempo stesso fortemente critico nei confronti di Byoblu e il motivo è espresso benissimo da un termine usato da Giussani in questo articolo: “mainstream alternativo”. Byoblu scimmiotta nella forma le principali reti televisive nazionali e poiché secondo me non si può aspirare ad un’informazione diversa vestendola con lo stesso vestito della TV mainstream, sono fortemente critico rispetto al messaggio di fondo che viene veicolato da Byoblu. Insomma per me, e non solo per me, forma e contenuto sono un tutt’uno. L’esempio più eclatante di questa perniciosa forma che odora di vecchio lontano un miglio è nella pubblicità di Byoblu. È una pubblicità da imbonitori ed allora viene il sospetto che se uno ricorre ad un linguaggio da imbonitori nella pubblicità potrebbe fare lo stesso anche nei contenuti dell’informazione. Fortunatamente al momento i contenuti dell’informazione di Byoblu riescono ancora a sorprendermi piacevolmente e non perché li percepisco ideologicamente vicini al mio credo, come qualche malpensante potrebbe credere, ma perché mi fanno conoscere fatti dei quali senza Byoblu non sarei venuto a conoscenza. Quanto alla fragilità del business della controinformazione già solo pensare che si possa fare della onesta controinformazione in ottica di business è una sciocchezza.
La persona che tu accusi di ‘ostilità preventiva’ verso Messora è la stessa che lo ha difeso pubblicamente ogniqualvolta i suoi canali hanno subito oscuramento. Il fatto che io non sia d’accordo con alcune sue idee o con il suo modo di fare giornalismo non hai mai significato che per me dovesse sparire: semplicemente ho replicato nel merito esprimendo il mio dissenso. Fondamentalmente per me il suo non è giornalismo o fare informazione, perché non è giornalismo limitarsi a fare da “speaking corner” o “a presentare il lato oscuro della luna, poi decidete il pubblico cosa credere o no” (sto usando espressioni utilizzate da Messora stesso per descrivere l’attività di Byoblu). Non è fare giornalismo presentare un libro sul piano Kalergi facendo parlare a ruota libera l’autore ‘per far decidere il pubblico’, non è fare giornalismo opporre alla propaganda occidentale sull’Ucraina quella russa, non è fare giornalismo esporre come verità rivelate bufale sul riscaldamento globale che si confuterebbero all’istante con un minimo di conoscenza dell’argomento. Il giornalismo vero non significa una impossibile imparzialità ma onestà intellettuale e, soprattutto, analisi delle fonti. Tutto questo in Byoblu non l’ho mai visto.
Perché devono fare l’anti-Tg1 e l’anti-Repubblica. Finché sono intrappolati in questa spirale non saranno mai realmente utili.
Dal mio punto di vista, se facesse un’opera diversa dal dare al pubblico quello che vuole sentirsi dire, io ci passerei ampiamente sopra. Esattamente come non ho mai condannato il suo fare buon viso a cattivo gioco quando stava su Youtube e ogni tanto, secondo me, cercava appositamente il ban attraverso alcune regole assurde della piattaforma. Esiste anche un’etica nel fare clickbaiting e sensazionalismo, se ci sono dei contenuto genuini dietro alla facciata promozionale, ovviamente.
Ribadisco quanto scritto nel pezzo: mi auguro che, dipendendo molto meno dalle donazioni, Messora possa lavorare in maniera deontologicamente più equilibrata, in considerazione anche della tanta gente che pende dalle sue labbra.