Qualche settimana fa su Twitter l’Avvocato dell’Atomo, preoccupato per la ‘escalation’ delle azioni dimostrative di Ultima Generazione, si chiedeva quando e dove nascerà “la versione green della banda Baader-Meinhof”. In attesa dell’eventuale emergere di reali eco-terroristi, si vogliono già trattare come tali gli attuali dimostranti non-violenti: il ministero dell’Interno tramite la Procura di Pavia ha infatti dichiarato Simone (ventenne militante di Ultima Generazione) “soggetto socialmente pericoloso”, richiedendo per lui le misure di sorveglianza speciale disciplinate dal decreto legislativo n. 159 del 2011 (comunemente noto come “Codice antimafia”, qui per tutti i dettagli).

Per nulla intimoriti, il 2 gennaio altri tre membri dell’organizzazione (Laura, Davide e Alessandro i loro nomi) hanno imbrattato con della vernice lavabile la facciata di Palazzo Madama, ricevendo la durissima condanna del presidente del Senato Ignazio La Russa: “Nessun alibi, nessuna giustificazione per un atto che offende tutte le istituzioni e che solo grazie al sangue freddo dei carabinieri non è trasceso in violenza. Il Senato è stato vigliaccamente scelto perché a differenza di Palazzo Chigi, della Camera dei deputati e di altre istituzioni, non ha mai ritenuto fino ad ora di dover creare un area di sicurezza attorno all’edificio”.  La Russa, da ex militante di quel MSI di cui qualche giorno prima del fatto aveva glorificato la nascita, deve intendersene parecchio in fatto di “azioni vigliacche”.

Dichiarazioni di tenore analogo sono state rilasciate dal ministro dell’interno Piantedosi, Crosetto, Renzi e altri politici. Inutile perderci tempo in quanto provengono da persone che hanno sempre ostentato profondo disprezzo per la tematica ecologista, quindi le loro affermazioni se non altro sono coerenti con la loro storia personale e politica. Preferisco concentrarmi invece sulla puntata del 3 gennaio de Il cavallo e la torre, trasmissione di RAI 3 condotta dal liberal ed ex direttore de L’Espresso Marco Damilano, intitolata ‘Dito’ e incentrata sulla contestazione di Palazzo Madama. Un capolavoro di fariseismo e cerchiobottismo di cui non si può tacere.

La puntata inizia con il conduttore che, apparentemente, solidarizza con i contestatori e la loro causa, evidenziando le reazioni spropositate di La Russa e soci. Parte poi un breve intermezzo dedicato ad Ultima Generazione, dove alla fine compaiono Davide e Alessandro appena rilasciati che davanti alla telecamere ribadiscono laconicamente le ragioni del loro gesto; con il senno di quanto succederà poi, viene da pensare che lo scopo principale del servizio fosse sottolineare la giovanissima età degli attivisti. Al rientro in studio, arriva il momento dell’analisi sociologica affidata a Luigi Manconi, che nei gesti  dei ragazzi intravede “angoscia e disperazione” per la totale inerzia della politica verso la crisi climatica.

Da qui in avanti, la trasmissione si trasforma in una sorta di rivincita dei boomer. I militanti di Ultima Generazione vengono infatti raffigurati alla stregua di ragazzotti coscienziosi e ben intenzionati, ma terribilmente ingenui, ignari delle conseguenze delle loro azioni se non proprio pericolosi. Riguardo all’imbrattamento del Senato, Damilano sostiene che “in altri tempi si sarebbe parlato di antiparlamentarismo, qualcosa che non appartiene al dibattito democratico”. Manconi condivide, specificando che occorre molto tempo per diventare “astuti come serpenti e candidi come le colombe, cioè capaci di esprimere la propria radicalità e allo stesso tempo di intrattenere rapporti con le istituzioni”.

Non diversamente da La Russa, anche Manconi è uno che la sa lunga. Al pari di tanti altri ex compagni di Lotta Continua e della sinistra extraparlamentare, ha interpretato alla sua maniera l’appello alla “lunga marcia nelle istituzioni” del leader studentesco Rudi Dutschke, abbandonando ogni proposito rivoluzionario e integrandosi perfettamente non solo nel parlamentarismo ma, come testimonia la sua metamorfosi dall’estrema sinistra passando per i Verdi fino al PD, pure nel moderatismo politico (pur stimandolo poco devo concedere che, tra quelli della sua risma, non è stato neanche dei più indegni, c’è chi è riuscito a fare molto peggio).

Dopo Manconi interviene Agnese Casadei, portavoce di Friday For Future Italia, che ricorda alcuni successi ottenuti grazie all’attivismo climatico, come aver inserito nella Costituzione il dovere della tutela ambientale. A quel punto Damilano la incalza: “Il pilastro della costituzione italiana è la democrazia rappresentativa, è il parlamento, siete sicuri che macchiare il Senato sia l’unica forma per rompere l’indifferenza?”. La colomba si è fatta serpente il cui veleno sono illazioni striscianti. La politica tradisce quello che è diventato un principio costituzionale, ma il potenziale pericolo per la democrazia è chi sottolinea tale mancanza.

Rivolgendo la domanda a un membro di FFF, movimento che si astiene da azioni tanto eclatanti, probabilmente il conduttore sperava di ricevere una dissociazione dal gesto, che però non arriva. Casadei rimarca anzi la necessità di strategie differenti che agiscano sinergicamente tra loro, ma Damilano non è convinto. Equipara la vernice su Palazzo Madama all’orinatoio lanciato da un seguace di D’Annunzio contro Montecitorio in seguito alla mancata annessione di Fiume dopo la Grande Guerra, alle monetine scagliate contro il portone della Camera durante Tangentopoli nonché al cappio esibito nel 1993 da un deputato leghista durante la discussione in aula del decreto Conso che depenalizzava il finanziamento illecito ai partiti.

Non gli riporta invece alla memoria chi, come Lotta Continua del suo ospite Manconi, propugnava la violenza politica e salutava con gioia atti terroristici quali l’omicidio del commissario Calabresi. Forse perché i ‘ragazzi’ di quell’epoca si sono redenti comprendendo la lezione che ora si vuole impartire anche agli attivisti per il clima, ossia mettere da parte i bollenti spiriti e integrarsi nel sistema?

Certo, ammette Damilano, la vera sozzura sono i politici che sfruttano la loro carica per scopi personali, tuttavia “Non ci sono scorciatoie”, qualsiasi desiderio di rinnovamento deve “cambiare i rapporti di forza”, passando per la conquista del consenso elettorale e dei relativi scranni parlamentari. Insomma, con toni da ‘colomba’ ribadisce in sostanza quel mantra insopportabile di tanti politicanti secondo cui sarebbe lecito esprimere dissenso ed opposizione solo candidandosi e facendosi eleggere nelle sedi istituzionali.

In fondo non dovremmo stupirci più di tanto neppure del comportamento abietto dei progressisti d’accatto, capaci di blaterare di postdemocrazia e crisi della rappresentanza in conferenze, libri e riviste per poi uscirsene con penosi discorsi reazionari contro l’azione diretta. Sorprende e rattrista profondamente, invece, che Ultima Generazione risulti invisa anche a molti ecologisti, con un astio che spesso travalica la legittima divergenza di vedute, come testimoniato dalle rimostranze di cui sono tipicamente oggetto:

  • l’impiego dello schwa (‘Ə’) nella loro comunicazione, che permette facili sillogismi del tipo: “usano lo schwa quindi sono dei superficiali e/o dei deboli plagiati dai poteri forti”. Io personalmente non mi riconosco in questo strumento di inclusività, ma sono talvolta tentato di aderirvi funzionando da perfetta cartina al tornasole per riconoscere polemisti insulsi e/o gente incapace di accettare l’esistenza dell’altro da sé;
  • la presunta cattiva pubblicità che arrecherebbero alla causa ambientalista. Accusa quasi sempre mossa da entità che, attive da più anni e spesso con maggiori mezzi a disposizione, hanno ottenuto successi infimi in termini di visibilità;
  • il ricorso a pratiche, come i blocchi stradali, che si limiterebbero a danneggiare la “classe lavoratrice”, tipica argomentazione di chi si vuole atteggiare a marxista distinguendosi dagli ”ambientalisti ingenui”. Senza rendersi conto di ripetere a pappagallo la classica obiezione rivolta al principale strumento di lotta dei lavoratori, lo sciopero.
  • Rovinano il patrimonio artistico! Ovvio, colpa della vernice lavabile lanciata su vetri a protezione dei dipinti e pareti dei palazzi, mica dello smog che intacca i marmi o delle acque marine innalzate dallo scioglimento dei poli minacciando Venezia e altre città costiere…

Al di là delle accuse strumentali, il vero problema delle strategie di Ultima Generazione è l’impossibilità di ignorarle, ti costringono a esprimerti e conseguentemente ad esporti. Ciò deriva dalla straordinaria coincidenza tra mezzi e fini e dalla totale assenza di machiavellismi di sorta (Damilano e Manconi docent): lanciano il sasso (vernice) e non ritraggono la mano, anzi la espongono platealmente in pubblico. Facendo il verso a De André, gli attivisti di Ultima Generazione danno il “cattivo esempio” per cui puoi contestarli nel merito solo fornendone uno migliore (ma concreto), altrimenti taci o ti limiti ai “buoni consigli come Gesù nel Tempio”, tattica quest’ultima di gran lunga più gettonata.

Tuttavia, come porsi su di un piedistallo quando la tua controparte è disposta a subire violenze ostentando la resistenza passiva e accettando serenamente le conseguenze giudiziarie della sue azioni? Da questo punto di vista, i ragazzi di Ultima Generazione risultano estremamente fastidiosi per i tanti grilli parlanti che animano la variegata galassia ecologista. Ecco perché, tendenzialmente, subiscono una critica distruttiva anche dai loro supposti alleati: una contestazione seriamente propositiva dovrebbe, quantomeno, mostrare analoghi livelli di coraggio e abnegazione. Liquidandoli come figli di papà irresponsabili che giocano a fare i rivoluzionari, si possono invece stroncare senza particolari scrupoli e tornare in pace con la propria coscienza.

In realtà, il vulnus creato da Laura, Davide e Alessandro prendendo di mira il ‘Tempio’ della politica viene in soccorso di tutte le istanze realmente ecologiste, dalle più moderate alle più radicali. Questi ragazzi ci hanno ricordato che la difesa della biosfera è condizione fondamentale per il benessere della nazione, ossia il dovere fondamentale della classe dirigente a prescindere dalle colorazioni politiche. Con buona pace di Damilano e ‘parlamentaristi’ vari, il contenimento della catastrofe climatica non deve attendere alcuna affermazione elettorale di uno schieramento ‘verde’ per essere perseguito, idea folle quanto lo sarebbe pretendere il successo di una coalizione di medici come condizione necessaria per occuparsi della salute dei cittadini o di un partito di magistrati per combattere le mafie. Sono oneri inderogabili a cui nessuna forza politica può sottrarsi, in modo precipuo ovviamente chi riveste incarichi di governo.

Imbrattando Palazzo Madama i tre ragazzi hanno voluto dare una scossa ricordando ai politici la loro funzione costituzionale, con un atto senza intenzioni secessioniste rispetto all’ordine costituito ma che rappresenta il tentativo estremo e lucido (non la “disperazione” narrata da tanti opinionisti) prima che il collasso ambientale degeneri al punto da rendere inevitabili contestazioni violente e derive eco-fasciste del potere. Per queste ragioni, il gesto del 2 gennaio non ha nulla da spartire con le manifestazioni di scherno e incitamento all’odio ricordate a sproposito da Damilano.

Insomma, soggetti come Ultima Generazione rappresentano l’argine estremo per la tenuta democratica del paese, diversamente dai loro grigi  e pedanti contestatori: da una parte chi occupa le istituzioni insozzandole a colpi di demagogia e lobbismo (macchie che purtroppo non scompaiono con un po’ di di acqua e sapone), dall’altra i benaltristi per i quali qualsiasi azione dimostrativa è sempre vana, limitata o addirittura “funzionale al potere”. A costoro voglio dedicare un estratto di Corpi viventi. Pensare e agire contro le catastrofi di Miguel Benasayag, filosofo e psicanalista argentino non certo tacciabile di essere un parolaio, data la sua esperienza nella milizia guevarista che negli anni Settanta gli è costata quattro anni di carcere e torture inflitti sotto il regime della giunta militare di Videla.

Nella sezione finale dell’opera, Benasayag rivendica l’importanza di quella che definisce “azione ristretta” e “non funzionale” contro le logiche del potere e dei suoi pifferai; io lo intendo anche come monito verso chi disprezza i contestatori attuali, essendo rimasto prigioniero di concezioni novecentesche:

Comprendere il carattere non finalistico dell’agire ci sembra tanto più urgente proprio perché il potere usa oggi l’argomento della transitività per reprimere le nuove figure emergenti dell’impegno. Si contrappone in tal senso alle cooperative, agli zadisti,  ai movimenti giovanili per il clima, ai quartieri autogestiti, in breve alle miriadi di esperienze di sviluppo dei possibili, esigendo che rinuncino alla loro radicalità. In realtà quest’ultima risiede proprio nella non-transitività del loro agire. Infatti l’obiettivo non è mai un un risultato da raggiungere in rapporto al quale si potrebbero valutare quelle azioni in termini di performance ed efficacia…

Esplorando i possibili del vivente, della cultura e del nuovi modi di articolazione tra l’umano e gli ecosistemi, quelle lotte rivendicano qualcosa che il potere non può concedere, semplicemente perché non lo possiede. Interamente catturato dalla macroeconomia neoliberista, la sola realtà che è ancora in grado di gestire è quella della distruzione. Mentre, al contrario dei movimenti rivoluzionari del XX secolo, la nuova radicalità si dispiega nel qui e ora della situazione; e lungi dal desiderare il potere, essa desidera la potenza che il potere reprime. E’ in tal senso che occorre comprendere la nozione di “azione ristretta”.

Quest’ultima non rimanda a un principio di limitazione delle lotte nel tempo e nello spazio. Per ristretto si intende il fatto di riconoscere immediatamente che il potere è in modo permanente l’altro rispetto alla potenza di agire che resta per il potere sempre ciò che deve essere gestito e represso. Accettare il carattere ristretto delle lotte presuppone anche di abbandonare ogni visione inglobante che pretenda di totalizzare le situazioni concrete in una sintesi capace di far emergere la società nuova. Non pensare più dal punto di vista della globalità  non è una rinuncia a cambiare il corso delle cose. E’ al contrario la possibilità di un pensiero e di un agire strutturati attraverso asimmetrie multiple intrecciate in cui il bene e il male si giocano nei termini del meglio e del peggio in situazione.

Se il razionalismo è sempre un’arma del potere, l’azione ristretta può rispondergli contrapponendogli una razionalità più complessa capace di incorporare le dimensioni mai interamente dispiegabili proprie del vivente e della cultura. Si tratta di contrapporsi alla trascendenza della rivelazione caratteristica della transitività messianica per incentrarsi intorno all’asse della manifestazione fenomenologica che fonda in situazione ogni impegno senza bisogno di una promessa di un bene superiore. Promessa, futuro e utopia sono figure che non esistono se non nello spessore della situazione presente.

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