Ho da poco terminato la lettura di Come funziona davvero il mondo. Energia, cibo, ambiente, materie prime: le risposte della scienza, scritto dall’accademico ceco-canadese Vaclav Smil, e lo consiglio vivamente a tutti. Non so se l’autore, come sostiene il New York Times, “potrebbe parlare con competenza di qualsiasi cosa”, ma trattasi sicuramente di persona molto ben informata sul funzionamento del sistema-mondo e sulla base fisico-energetica su cui si fonda, con buona pace di chi si lascia incantare da app, intelligenza artificiale e gadget elettronici di varia natura. Insomma, un bel toccasana contro i voli pindarici di Elon Musk, Harari e futurologi vari, ma anche di chi nutre un entusiasmo fin eccessivo verso le energie rinnovabili.

Pure il sottoscritto e Jacopo Simonetta, per la stesura de La Caduta del Leviatano, hanno attinto ai suoi studi per descrivere il ‘sistema muscolare e scheletrico’ della tecnosfera che caratterizza la società umana-Leviatano. In definitiva, ritengo Smil il miglior studioso in circolazione tra quelli che sono rimasti ancorati a un metodo di analisi tradizionale, precedente cioé all’avvento della dinamica dei sistemi, incentrato su di un empirismo tanto rigoroso quanto dogmatico. In quest’ottica, Come funziona davvero il mondo va letto cum grano salis (come qualsiasi opera, del resto), per non farsi fuorviare dalla sua ricchezza di dati e informazioni. Cerco di spiegarmi meglio. 

Smil ama presentare il suo punto di vista come oggettivo e distaccato, incentrato esclusivamente sui fatti: Non sono né un pessimista né un ottimista, sono solo uno scienziato che prova a spiegare come funziona davvero il mondo”, e non perde occasione per dileggiare sia i ‘catastrofisti apocalittici’ che i ‘tecno-entusiasti’. Può sembrare l’approccio adatto per le questioni scientifiche, tuttavia per esperienza ho imparato che chi ostenta tale atteggiamento ‘ragionevole’ e ‘agnostico’ spesso mostra più pregiudizi e bias di chi sbilancia in una direzione. Infatti, rigetterà aprioristicamente tutto ciò che secondo lui rimanda a ‘pessimismo’ e ‘ottimismo’, ossia concetti puramente soggettivi e opinabili.

Molti ‘catastrofisti’ si ricorderanno di come Smil, in passato, abbia denigrato I limiti dello sviluppo, a suo giudizio una delle tante simulazioni al computer avulse dalla realtà con cui sarebbe possibile dimostrare tutto e il contrario di tutto. Oggi, consapevole che lo scenario-base di quello studio epocale ha effettivamente descritto l’andamento storico con ottima approssimazione, omette qualsiasi riferimento in proposito senza che ciò abbia minimamente scalfito le sue opinioni consolidate: il ‘catastrofismo’ non può avere ragione per principio.

Anche riguardo al riscaldamento globale, benché ammetta a denti stretti la sostanziale correttezza dei principali modelli previsionali, mantiene ostinatamente un atteggiamento che chiamerei ‘realismo irrealistico’. In sostanza, dopo aver descritto accuratamente l’importanza di petrolio, carbone e gas naturale per il sostentamento della società umana, bolla come improponibili tutti i piani che prevedono una rapida decarbonizzazione per contenere al massimo l’aumento delle temperature, proponendo invece un abbandono graduale e diluito nel tempo delle fonti fossili.

Questa convinzione si scontra con due obiezioni di fondo. La prima è che Smil dà per scontato che un peggioramento delle condizioni climatiche oltre le soglie di guardia paventate dall’IPCC sia sostanzialmente tollerabile, cosa che sembra francamente improbabile. Uno studio di Science rileva come in diverse aree del pianeta vengano registrate sempre più frequentemente temperature di bulbo umido prossime ai 35°, limite oltre il quale è impossibile la vita umana; e quali effetti catastrofici provocherebbe il collasso della Corrente Atlantica Meridionale? (sul suo blog Ugo Bardi suggerisce alcune ipotesi poco rassicuranti)

In secondo luogo, siamo sicuri che le fonti fossili siano in grado di sostenerci ancora per tanto tempo? Non diversamente dall’atteggiamento mostrato verso I lmiti dello sviluppo, Smil persiste nel ritenere il Peak Oil un mito survivalista, rifiutandosi non solo di prendere in esame tutti gli studi seri in proposito, ma anche di considerare gli effetti della crisi politica internazionale che sta di fatto causando la fine della globalizzazione neoliberista così come l’abbiamo conosciuta negli ultimi quarant’anni (il libro, pubblicato nel 2022, è stato completato prima dell’esacerbarsi della guerra in Ucraina). Del resto, rifiutare la dinamica dei sistemi significa limitarsi a mere speculazioni matematiche sulle riserve provate sulle quali è lecito ogni scetticismo.

Ad esempio, riguardo alla possibile penuria di fosfati per ricavarne fertilizzanti agricoli, rassicura citando una stima della International Fertilizer Association secondo cui non ci sarebbero preoccupazioni riguardo alla sua disponibilità per svariati decenni; peccato però che in gran parte trattasi di filoni a bassa concentrazione o sottomarini, il cui sfruttamento è particolarmente oneroso in termini economici ed energetici. C’è una ragione per cui il Sahara Occidentale, dove si trovano i giacimenti di fosfati più convenienti del pianeta, subisce da decenni un vero e proprio martirio politico.

Insistere con gli idrocarburi implicherebbe di rafforzare la produzione dalle costose e impattanti fonti non convenzionali, per di più in un regime di bassi prezzi perché la domanda sarebbe in contrazione anche nella ‘transizione graduale’ propugnata da Smil: la crisi deflazionistica del comparto Oil&Gas, già rischiata negli ultimi anni prima delle recenti impennate delle quotazioni, a quel punto sarebbe assicurata e gli stati dovrebbero garantire sovvenzioni (oltre a quelle molto generose già esistenti) per evitarne il tracollo; gli stessi stati che, già ampiamente indebitati, dovrebbero finanziare la transizione e mitigare gli effetti peggiori del degrado ambientale. Purtroppo, i rendimenti decrescenti non abitano a casa Smil.

Al di là di queste considerazioni, Come funziona davvero il mondo è attanagliato da un problema più grande, ovvero ridurre la crisi ecologica a una questione di ordine tecnico, delineando un contesto generale dove disporremmo di tutti i mezzi necessari per riformare il business as usual e permettergli di affrontare le difficoltà attuali e dell’immediato futuro. Così facendo, Smil finisce per peccare della medesima ingenuità che caratterizza i giovani attivisti del clima da lui tanto derisi, cioé pensare che l’inazione pressoché totale si debba solamente a pigrizia morale e influenze lobbystiche.

Pertanto, alla faccia del tanto dichiarato ‘agnosticismo’, il libro rischia di trasformarsi in un’involontaria apologia della società attuale, per cui non mi stupiscono le recensioni entusiastiche di persone decisamente ‘di parte’ come Steven Pinker. Da grande empirista qual è, Smil ha tanto da dire sul funzionamento del Sistema ma ben poco sul Sistema in sé e per sé. Se lo facesse, forse gli sembrerebbe di smettere i panni dello scienziato per vestire quelli del militante; ma quando si ragiona sulle sorti dell’umanità, poche cose sono ‘militanti’ (nel senso di faziose) quanto le pretese di neutralità e oggettività.

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