Ho da poco terminato la lettura di Come funziona davvero il mondo. Energia, cibo, ambiente, materie prime: le risposte della scienza, scritto dall’accademico ceco-canadese Vaclav Smil, e lo consiglio vivamente a tutti. Non so se l’autore, come sostiene il New York Times, “potrebbe parlare con competenza di qualsiasi cosa”, ma trattasi sicuramente di persona molto ben informata sul funzionamento del sistema-mondo e sulla base fisico-energetica su cui si fonda, con buona pace di chi si lascia incantare da app, intelligenza artificiale e gadget elettronici di varia natura. Insomma, un bel toccasana contro i voli pindarici di Elon Musk, Harari e futurologi vari, ma anche di chi nutre un entusiasmo fin eccessivo verso le energie rinnovabili.
Pure il sottoscritto e Jacopo Simonetta, per la stesura de La Caduta del Leviatano, hanno attinto ai suoi studi per descrivere il ‘sistema muscolare e scheletrico’ della tecnosfera che caratterizza la società umana-Leviatano. In definitiva, ritengo Smil il miglior studioso in circolazione tra quelli che sono rimasti ancorati a un metodo di analisi tradizionale, precedente cioé all’avvento della dinamica dei sistemi, incentrato su di un empirismo tanto rigoroso quanto dogmatico. In quest’ottica, Come funziona davvero il mondo va letto cum grano salis (come qualsiasi opera, del resto), per non farsi fuorviare dalla sua ricchezza di dati e informazioni. Cerco di spiegarmi meglio.
Smil ama presentare il suo punto di vista come oggettivo e distaccato, incentrato esclusivamente sui fatti: “Non sono né un pessimista né un ottimista, sono solo uno scienziato che prova a spiegare come funziona davvero il mondo”, e non perde occasione per dileggiare sia i ‘catastrofisti apocalittici’ che i ‘tecno-entusiasti’. Può sembrare l’approccio adatto per le questioni scientifiche, tuttavia per esperienza ho imparato che chi ostenta tale atteggiamento ‘ragionevole’ e ‘agnostico’ spesso mostra più pregiudizi e bias di chi sbilancia in una direzione. Infatti, rigetterà aprioristicamente tutto ciò che secondo lui rimanda a ‘pessimismo’ e ‘ottimismo’, ossia concetti puramente soggettivi e opinabili.
Molti ‘catastrofisti’ si ricorderanno di come Smil, in passato, abbia denigrato I limiti dello sviluppo, a suo giudizio una delle tante simulazioni al computer avulse dalla realtà con cui sarebbe possibile dimostrare tutto e il contrario di tutto. Oggi, consapevole che lo scenario-base di quello studio epocale ha effettivamente descritto l’andamento storico con ottima approssimazione, omette qualsiasi riferimento in proposito senza che ciò abbia minimamente scalfito le sue opinioni consolidate: il ‘catastrofismo’ non può avere ragione per principio.
Anche riguardo al riscaldamento globale, benché ammetta a denti stretti la sostanziale correttezza dei principali modelli previsionali, mantiene ostinatamente un atteggiamento che chiamerei ‘realismo irrealistico’. In sostanza, dopo aver descritto accuratamente l’importanza di petrolio, carbone e gas naturale per il sostentamento della società umana, bolla come improponibili tutti i piani che prevedono una rapida decarbonizzazione per contenere al massimo l’aumento delle temperature, proponendo invece un abbandono graduale e diluito nel tempo delle fonti fossili.
Questa convinzione si scontra con due obiezioni di fondo. La prima è che Smil dà per scontato che un peggioramento delle condizioni climatiche oltre le soglie di guardia paventate dall’IPCC sia sostanzialmente tollerabile, cosa che sembra francamente improbabile. Uno studio di Science rileva come in diverse aree del pianeta vengano registrate sempre più frequentemente temperature di bulbo umido prossime ai 35°, limite oltre il quale è impossibile la vita umana; e quali effetti catastrofici provocherebbe il collasso della Corrente Atlantica Meridionale? (sul suo blog Ugo Bardi suggerisce alcune ipotesi poco rassicuranti)
In secondo luogo, siamo sicuri che le fonti fossili siano in grado di sostenerci ancora per tanto tempo? Non diversamente dall’atteggiamento mostrato verso I lmiti dello sviluppo, Smil persiste nel ritenere il Peak Oil un mito survivalista, rifiutandosi non solo di prendere in esame tutti gli studi seri in proposito, ma anche di considerare gli effetti della crisi politica internazionale che sta di fatto causando la fine della globalizzazione neoliberista così come l’abbiamo conosciuta negli ultimi quarant’anni (il libro, pubblicato nel 2022, è stato completato prima dell’esacerbarsi della guerra in Ucraina). Del resto, rifiutare la dinamica dei sistemi significa limitarsi a mere speculazioni matematiche sulle riserve provate sulle quali è lecito ogni scetticismo.
Ad esempio, riguardo alla possibile penuria di fosfati per ricavarne fertilizzanti agricoli, rassicura citando una stima della International Fertilizer Association secondo cui non ci sarebbero preoccupazioni riguardo alla sua disponibilità per svariati decenni; peccato però che in gran parte trattasi di filoni a bassa concentrazione o sottomarini, il cui sfruttamento è particolarmente oneroso in termini economici ed energetici. C’è una ragione per cui il Sahara Occidentale, dove si trovano i giacimenti di fosfati più convenienti del pianeta, subisce da decenni un vero e proprio martirio politico.
Insistere con gli idrocarburi implicherebbe di rafforzare la produzione dalle costose e impattanti fonti non convenzionali, per di più in un regime di bassi prezzi perché la domanda sarebbe in contrazione anche nella ‘transizione graduale’ propugnata da Smil: la crisi deflazionistica del comparto Oil&Gas, già rischiata negli ultimi anni prima delle recenti impennate delle quotazioni, a quel punto sarebbe assicurata e gli stati dovrebbero garantire sovvenzioni (oltre a quelle molto generose già esistenti) per evitarne il tracollo; gli stessi stati che, già ampiamente indebitati, dovrebbero finanziare la transizione e mitigare gli effetti peggiori del degrado ambientale. Purtroppo, i rendimenti decrescenti non abitano a casa Smil.
Al di là di queste considerazioni, Come funziona davvero il mondo è attanagliato da un problema più grande, ovvero ridurre la crisi ecologica a una questione di ordine tecnico, delineando un contesto generale dove disporremmo di tutti i mezzi necessari per riformare il business as usual e permettergli di affrontare le difficoltà attuali e dell’immediato futuro. Così facendo, Smil finisce per peccare della medesima ingenuità che caratterizza i giovani attivisti del clima da lui tanto derisi, cioé pensare che l’inazione pressoché totale si debba solamente a pigrizia morale e influenze lobbystiche.
Pertanto, alla faccia del tanto dichiarato ‘agnosticismo’, il libro rischia di trasformarsi in un’involontaria apologia della società attuale, per cui non mi stupiscono le recensioni entusiastiche di persone decisamente ‘di parte’ come Steven Pinker. Da grande empirista qual è, Smil ha tanto da dire sul funzionamento del Sistema ma ben poco sul Sistema in sé e per sé. Se lo facesse, forse gli sembrerebbe di smettere i panni dello scienziato per vestire quelli del militante; ma quando si ragiona sulle sorti dell’umanità, poche cose sono ‘militanti’ (nel senso di faziose) quanto le pretese di neutralità e oggettività.
Questo post è un tantino strano.
Per esempio prendiamo la domanda:
“siamo sicuri che le fonti fossili siano in grado di sostenerci ancora per tanto tempo?”
Se la esaminiamo con un minimo di sofismo dovremmo partire dal concetto di “essere sicuri che”. Non siamo “sicuri” di nulla, quindi ovviamente è una domanda retorica che contiene già la risposta. Però la stessa domanda si può leggere in entrambe le direzioni, proprio per la premessa che non siamo sicuri non si può sostenere nessuna tesi.
Veniamo al secondo passaggio, “sostenerci”. Sostenere chi? Anzi, sostenere chi e sostenere cosa. Intendiamo “sostenere” come la mera sopravvivenza oppure la intendiamo come miliardario a Montecarlo? Anche il concetto di sopravvivenza è ambiguo perché un conto è vivere, un altro è vivere coi denti cariati. Quindi al chi e al cosa aggiungiamo anche il come e quando.
Infine il concetto di “tanto tempo”. Tanto tempo quanto, cent’anni, mille anni, diecimila anni? Tutte le cose che ho attorno adesso non esistevano cent’anni fa. Facendo uno sforzo di immaginazione e postulando che io fossi una persona abbiente, magari potrei includere la corrente elettrica e il sapone o cose fantascientifiche come il grammofono. Però i miei familiari all’epoca scaldavano con legna o carbone, si lavavano nel mastello e avevano il cesso in cortile. Non erano nemmeno messi male, molti vivevano insieme alle bestie. Cent’anni fa gli avi prendevano i bastimenti per andare a colonizzare lande desolate o scavare le miniere. Piuttosto che morire di fame.
Mi sfugge il senso del discorso pro o contro il “catastrofismo”.
Nel senso che non capisco a fini pratici dove andiamo a parare. In concreto si tratta di imporre delle decisioni non tanto e non solo alla popolazione di un “Occidente” decadente ma in primis a quella dei “Paesi emergenti” le quali hanno le stesse priorità dei miei familiari col mastello e il cesso in cortile.
Qualsiasi siano queste decisioni, prima di entrare nel merito vorrei tanto che mi si spiegasse come si farebbe ad imporle. Il famoso Governo Mondiale? Secondo una certa vulgata circa il “nuovo equilibrio mondiale”, sarebbe “democratico” attribuire peso politico anche alle moltitudini che non vivono nel succitato “Occidente”. Quindi ci si potrebbe trovare nella condizione per cui il Governo Mondiale ipotetico ci imponga il ritorno al carbone invece che le pompe di calore alimentate dai pannelli fotovoltaici.
Su questo punto il libro di Smil è molto chiaro e fa capire che non è questione di speculazioni semantiche. L’attuale sistema alimentare è basato sulle fonti fossili, costituisce quella ‘capacità di carica fantasma’ che, quando sparisce, ti fa capire la vacuità di AI, app e gadget elettronici vari, che invece riteniamo tanto fondamentali per le nostre sorti. Già oggi tante crisi alimentari capitano per ‘semplici’ fenomeni inflattivi-deflattivi nel settore idrocarburi. L’industria energetica (e non solo) è fatta per produrre zero o tanto, non ‘abbastanza’.
Sono solo etichette per gettare stigma sull’interlocutore senza prendersi la briga di argomentare.
Non riesco a venire a capo del problema fondamentale che mi sembra essere quello che ho cercato di dire prima, cioè come mettere insieme la nostra “transizione” e le aspirazioni del resto del mondo ad un benessere che noi abbiamo archiviato da cinquant’anni.
Quando si dice “decrescita felice” non si considera che c’è tantissima gente per cui il nostro decrescere corrisponde ad una crescita impensabile.
I numeri sono quelli che sono, cioè la “transizione” riguarda, quanti, un miliardo di persone?
Ce ne sono altri cinque, sei miliardi che invece vogliono mangiare, bere, un tetto sulla testa e magari qualcuno dei nostri agi e vizi.
Riguardo la storia del “fossile”, siamo sempre li, quali sono le alternative nel quadro che ho detto? Io potrei usare uno scooter a batteria ma il mio equivalente pakistano vuole usare una motoretta a due tempi sul genere delle nostre Lambretta del dopoguerra. Non gli importa niente che inquini, ci metterebbe dentro qualsiasi cosa se servisse a farla andare. D’altra parte lo stesso pakistano fonde l’acciaio a mani nude e in ciabatte.
Mia nonna diceva che l’erba voglio non cresce neppure del giardino del re. La transizione è un processo di trasformazione che cerchi in qualche modo di guidare, in caso contrario lo subisci e basta. In diverse zone del pianeta (Africa subsahriana, paesi dell’ex blocco comunista Russia compresa) la speranza di vita media è calata rispetto alla fine del XX secolo. Segnali del genere sembrano avvenire anche in Europa Occidentale, bisogna capire se il fenomeno si assesta dopo il Covid.
Non vedo perché la “transizione” sia un fenomeno ineluttabile.
La industrializzazione europea è stata possibile perché c’erano le miniere di ferro e il carbone.
La “transizione” presuppone tanto la disponibilità di materia prima che meglio ancora la disponibilità di componenti fabbricati la dove il lavoro costa poco e l’inquinamento non importa.
In altre parole la “transizione” ci vede per forza di cose consumatori, importatori e prosegue lungo la linea della de-industrializzazione.
Epperò se ai Cinesi conviene venderci i loro aggeggi, dall’elettronica ai magneti, gli conviene anche produrre per il mercato interno e per tutti quei miliardi di persone che si affacciano adesso al consumo. Possono produrre molto più comodamente delle Cinquecento degli anni Novecentocinquanta che Cinqucento degli anni Duemilaerotti.
Anche solo vendere motorini due tempi come il Ciao a tutti gli adolescenti dell’Africa, se potessero comprarli.
Tornando a noi, come la pagherò io l’auto elettrica e tutto il resto?
Dicevi della aspettativa di vita, adesso se mi devo curare escludo a priori di passare per il SSN, vado direttamente dallo specialista a pagamento.
Torniamo quindi al come lo pagherò.
Non è tanto la aspettativa di vita quanto il fatto che certi elementi del “benessere” vengono meno, la popolazione invecchia, le case invecchiano, le piante invecchiano e non ci sono più risorse per fare niente.
Però “transizione”.
Che costa e tanto.
C’è qualcosa che non capisco.
I tuoi ragionamenti mi sembrano viziati dagli stessi problemi di Smil: se “non vogliamo” o “non possiamo” allora le cose proseguono come ora e amen. No. A 35°C di temperatura di bulbo umido si muore (un po’ prima se soffri di problemi respiratori), senza corrente del golfo non è più possibile l’attuale agricoltura in Europa, ecc. Su una cosa sono d’accordo: la ‘transizione’ nel vero senso del termine era possibile dandosi da fare 30-35 anni fa. Oggi sarebbe più corretto parlare di ‘resilienza’ nel senso autentico che avrebbe il termine e non quello alla moda.
“La prima è che Smil dà per scontato che un peggioramento delle condizioni climatiche oltre le soglie di guardia paventate dall’IPCC sia sostanzialmente tollerabile, cosa che sembra francamente improbabile” – probabilmente hai ragione, ma: e allora? Anche se la situazione finirà per essere intollerabile, non ci fermeremo prima. È evidente che non ne siamo in grado, e non lo dico per darmi aree da “pessimista”, io come te la mia piccola parte cerco di farla, ma per quanto peggiorino gli effetti del cambiamento climatico, non vedo nessuno sforzo serio di contenerlo.
“C’è una ragione per cui il Sahara Occidentale, dove si trovano i giacimenti di fosfati più convenienti del pianeta, subisce da decenni un vero e proprio martirio politico.” Sarebbe bello, se vi va, se ne parlaste, dato che non lo fa quasi nessuno…
Su Le scienze di recente ho letto un articolo sui famosi noduli in fondo all’Oceano da cui dovremmo estrarre i minerali per la transizione energetica. L’articolo prevedeva solo due, e sottolineo, solo ed esclusivamente due, ipotesi: o si estraggono i noduli, devastando ecosistemi che nemmeno conosciuamo, o si trovano i minerali da un’altra parte sulla terraferma, con tutti i danni che già sappiamo (la terza alternativa, più o meno esplicitata, era continuare con i combustibili fossili). Che miliardi di auto elettriche non siano una prospettiva né fattibile né realizzabile, o che gran parte degli usi di questa energia che i noduli ci aiuterebbero a trasmettere e immagazzinare siano inutili o dannosi, non veniva nemmeno preso in considerazione. Neanche così, en passant, per prenderlo in giro: è un pensiero non ammesso nemmeno per negarlo.
Volevo farlo, anche sul conflitto in Darfur, il problema è la scarsità di fonti affidabili. Quelle poche che ci sono hanno una connotazione, diciamo, molto militante e faziosa in favore di una delle parti in causa.
Hai visto anche in francese, spagnolo e inglese?
Sul Darfur c’è qualcuno che difende le milizie che massacrano gli africani neri??
Mi esprimo con riserva, altrimenti ci avrei scritto un pezzo se avessi qualche certezza in più. Mi pare che il Sudan stia vivendo sulla sua pelle gli effetti di questa sorta di nuova guerra fredda: da una parte i Janjaweed ampiamente sostenuti attivamente da Cina, Russia e Iran, dall’altra miliziani sostenuti da paesi africani filo-occidentali il cui supporto diventa sempre più tenue. Vedendo anche la situazione del colpo di stato in Niger e l’interesse sempre maggiore della Russia per la Libia (in Africa la Wagner opera ancora come prima della morte di Prigozhin), credo che situazioni come questa in Africa si moltiplicheranno.
In italiano una buona fonte mi pare Africa-Rivista, lo si capisce da articoli come questi https://www.africarivista.it/ex-ribelli-centrafricani-arruolati-nel-gruppo-wagner-e-spediti-in-mali/230650/
Igor, in Sudan c’era un movimento forte pro-democrazia, che metteva insieme varie etnie, e aveva anche ottenuto risultati significativi prima di questa nuova lotta di potere tra fazioni armate, che è scoppiata sulle loro teste e non li riguardava, almeno all’inizio.
Nel vedere la dimensione geopolitica, non facciamo l’errore di ricondurre tutto a quello e di dimenticarci delle vere aspirazioni dei popoli di cui parliamo.
Gaia, c’è un punto che si omette di proposito.
La prima cosa da fare quando vuoi ridurre le conseguenze di una certa procedura sarebbe farne di meno.
Se io mangio la cioccolata e mi fa venire il cagotto, mangerò meno cioccolata.
Quindi, mettiamo che le automobili col motore endotermico siano inquinanti, per inquinare meno bisogna fare meno automobili e usare meno le automobili.
E’ una bestemmia.
Si afferma in tutti i modi che l’automobile è indispensabile, non si vive senza.
Si devono fabbricare ed usare quante più automobili possibili.
Ergo, il fatto di cambiarle dal motore endotermico a quello elettrico è un ripiego, anzi, significa rinnovare l’intero parco esistente e quindi aumentare produzione e vendite di automobili. Che poi le auto a batteria abbiano degli altri inconvenienti e che spostino il problema del consumo e dell’inquinamento da un’altra parte, è irrilevante perché tanto la premessa è che bisogna fabbricare, vendere ed usare quante più auto possibile.
Diamo per scontato che i Governi incentivino la vendita delle automobili a prescindere invece di anche solo immaginare che facciano del loro meglio non dico per disincentivare la vendita di automobili ma per smentire il dogma di fede che ho detto all’inizio e cioè che non si vive senza automobile.
Ma soprattutto, al di là di oil peak, peggioramento delle condizioni climiatiche, transizione graduale e via dicendo, siamo sicuri di arrivare a vedere un domani, vista la costante escalation militare tra Russia e NATO? Io dubito (appartengo alla schiera dei catastrofisti), ma spero vivamente di sbagliarmi…
Guarda, ho una mia teoria non dimostrabile ma che mi pare diventare sempre più sensata… Si è sempre detto che la guerra nucleare USA-URSS non sia mai scoppiata a causa della deterrenza nucleare, ma io ho un’altra interpretazione. Entrambe le superpotenze sapevano che nel loro mondo c’erano spazi di crescita per entrambi, per cui non valeva la pena trasformare il mondo in un’enorme discarica radioattiva.
Oggi la situazione è molto diversa e, ovviamente, non ho mai pensato di possedere informazioni che non conoscano nelle alte sfere. Il famigerato Piano per un nuovo secolo americnao dei neoconservatori, ad esempio, dice espressamente che il mondo non può sostenere due USA (ossia i cinesi che arrivano allo stesso livello economico degli americani). A differenza della guerra fredda, oggi nel mondo sovrappopolato e in overshoot è tutto un gioco a somma zero. Credo che il desiderio di guerra che vedo oramai nascere ovunque (pensa alle recenti manovre cinesi che simulavano un blocco navale contro Taiwan: davvero la Cina può pensare che l’occupazione dell’isola avvenga senza pesanti conseguenze internazionali? E Putin poteva pensare la stessa cosa quando ha invaso l’Ucraina?).
A me sembra invece che, visti tutti i divieti a usare le armi occidentali per colpire obiettivi in Russia, il rifiuto di mandare soldati (se non come addestratori), ci sia una gran paura di uno scontro diretto con la Russia. Altrimenti ci saremmo già arrivati; il pretesto c’è da un pezzo.
Ricordiamoci che solo fino a pochi decenni fa un paese con una situazione del genere nel proprio vicinato avrebbe mandato le proprie truppe in Ucraina e festa finita. Per me è stupefacente che nessuno lo abbia ancora fatto.
(Meglio così, ma per dire che io tutta questa gran escalation da parte della NATO qui proprio non la vedo, semmai il contrario)
Quello che pensa la Cina è più difficile da capire. Sicuramente vogliono Taiwan, sicuramente il popolo la reclama (il nazionalismo in Cina, a quanto sento anche da esperti e capisco dalla cultura che stanno producendo, è a livelli quasi isterici); che poi vogliano rischiare che vada come alla Russia in Ucraina è da vedere. Probabilmente stanno valutando anche loro, o, più probabilmente, aspettando il momento giusto, tipo che l’America si dissangui fornendo armi a destra e a manca, fino a non averne più.
Comunque la si pensi su questi temi, il libro mi sembra degno di attenzione e dunque questa recensione appare sicuramente utile. Può risultare particolarmente interessante sapere se ed eventualmente in quali termini il volume tratta il problema (solitamente censurato) dell’impatto ecologico ed economico-sociale dell’esplosione demografica umana globalmente in atto ormai da oltre due secoli.
The International Energy Agency forecasts that the world will reach peak oil in 2029. Oil companies accuse it of playing climate politics.
Financial Times, AUGUST 6, 2024
https://urldefense.com/v3/__https:/email.news-alerts.ft.com/c/eJxUkT2OGzEMhU-j6WhoKOqvUGFgYcB1NgeQRMo7iD3jzMjr-PaBnd0iDRs-gPy-V3OX07I-Ul3mLnMfOGmpnuwgafSI0VpEO8glT-cjJx_ZjbowBN0iEDeBUCyBRaQYYrXemX_h98dVEufp_Bg-UsNimxPJVIpgxUJZArFz5AsGV4YpoUbSQbuRSKPdNW3yqF2ppmgenVakZ7lvkM-y9m3X-q4ul-GcPnq_bsrsFR4UHu73-9dK4eGLSOHBIeNYfAZtUQNpXyHrhmA8ksFCYsQoc2DZfvXlqsxbX2-i0G1yusjcj6zMm6-h6VgixOJGoFYKRDIaIuqQo6AxNSg0l0fryuznpU9tqrlPy6zM_uUBXl6U2X-rvq4L32pPs_zpw5ryzKvkHU-fU8-KdJ63fOZFZllPU37xrvL7Jls_cqoyWp2pQqvNAhUfIbMOUH3IzJEjjuE7LvxDZn6fLv9V2tfngfr88MhpzCwYqgcSGoEKEsQoAsaGUtxzGjfcNll_3iZOOVjvW45QQ65ABhsEFy1EHRv52kQqD58J_wYAAP__DLS5rw__;!!JZsaRFfwqOYHaA!3I3GermUxMKnONCO0ymYo2aFUjwyUqn_-uz_fWog7u-WylkbVp-gOHNGdT3hVn5tQ4q11B6pkgyI95OI8qA2tl8LI0Y$
Il picco dovrebbe esserci già stato:
https://energyskeptic.com/2024/failing-oil-and-gas-companies-a-sign-of-peak-oil/
Si, ma il picco non dice tutto.
I prezzi sono fatti dagli speculatori.
Solo per accennare a un aspetto della questione, il volume degli scambi reali di gas rappresentano solo il 10% del totale degli scambi operati ad Amsterdam che sono per il 90% scommesse finanziarie.
Il Financial Times fa parte del gioco.
“il volume degli scambi reali di gas rappresentano solo il 10% del totale degli scambi operati ad Amsterdam ”
Gli scambi di Amsterdam, reali o fittizi, sono una percentuale irrisoria del totale degli scambi di oil & gas, e trattandosi di un mercato speculativo spot che tratta quantita’ marginali contrattate all’ultimo momento, il prezzo li’ pattuito vola facilmente alle stelle.
Il problema e’ che l’europa per decisione politica ha deciso di prendere come prezzo di riferimento del gas per i cittadini europei proprio quello, sicuramente apposta per rendere meno sconvenienti e quindi meno abbisognose di incentivi pubblici le rinnovabili.
In italia in tal modo abbiamo sborsato circa 100 miliardi in piu’ per l’energia fra gas ed elettricita’, che sono finiti in extraprofitti per le compagnie.
En passant, in italia abbiamo pure messo in atto un meccanismo di prezzatura dell’elettricita’ che ci ha fatto pagare TUTTA l’elettricita come se fosse generata TUTTA col gas al prezzo moltiplicato dal mercato di Amsterdam, sempre per favorire le rinnovabili (in Italia tutta l’elettricita’ viene per regola scambiata al prezzo di quella prodotta col fossile piu’ caro del momento).
E’ da tale sovrapprezzo politico che dipende la gran parte di quella tassa nascosta che e’ l’inflazione, che in europa e’ dovuta soprattutto ai sovrapprezzi energetici.
Per i governi tale tassa nascosta e’ stata una manna: senza, il nostro debito pubblico sarebbe schizzato oltre il 160 per cento, e anche quello di francia e germania sarebbe aumentato di molto, quindi e’ anche per questo che non hanno fatto nulla per correggere il meccanismo assurdo durante l’emergenza gas, l’inflazione gli faceva comodo.
Ma ora, che strano, sono tutti senza soldi lo stesso: non c’e nulla di meglio dell’emergenzialismo continuo per rafforzare il potere, ed e’ per questo che sono estremamente critico verso l’agitare spauracchi e catastrofi in continuazione.
Ma ora, che strano, sono tutti senza soldi lo stesso
Solo per dirne una, in totale, in Italia i primi 4-5 gruppi big tech, hanno fatturato, nel 2019, 3,3 miliardi di euro e hanno pagato tasse e imposte per meno di 70 milioni.
https://youtu.be/-vtPi0WupeE?feature=shared
Speculazioni varie.