Qualche settimana fa, Corrado Augias ha recensito per Repubblica il libro Illuminismo adesso. In difesa della ragione, della scienza, dell’umanesimo e del progresso scritto dallo scienziato canadese Steven Pinker, edito in Italia da Mondadori (gran parte dei contenuti sono accessibili su books.google). L’opera, dati statistici alla mano, intende dimostrare che, contrariamente al pessimismo generale regnante, salute, prosperità, sicurezza, pace e felicità stanno rapidamente crescendo, sia in Occidente che nel resto del mondo. A giudizio dell’autore, il merito sarebbe da ascrivere ai valori illuministici di ragione, scienza, umanesimo e progresso, che sarebbero minacciati da pericolose tendenze irrazionali tra cui fondamentalismo religioso, politicamente corretto e postmodernismo, i quali riescherebbero di vanificare quanto di buono costruito negli ultimi secoli.
Di per sé il testo non è nulla di originale, nel senso che Pinker non è certo il primo ad aver difeso appassionatamente il Progresso vilipeso (ha però il merito di essere un pochino più intellingente della media degli apologeti); talvolta si rileggono anzi espedienti dialettici abbondantemente abusati. Aumento di insicurezza e violenza? Ma se viviamo in una delle epoche più pacifiche della storia! La percezione distorta è alimentata dai mass media che prediligono la diffusione di notizie incitanti alla paura, quanto clamore si attribuisce infatti a un incidente aereo mentre si tace delle centinaia e centinaia di voli che ogni giorno giungono perfettamente a destinazione? Quando mai la speranza di vita e gli altri indicatori di benessere hanno prosperato quanto oggi? Anche le disuguaglianze globali, su cui è di moda puntare il dito, si stanno ricucendo e comunque le disparità sono salutari per la buona salute della società. Tanti benefici non sono forse ascrivibili a scienza e tecnica, di cui l’Illuminismo si erse a paladino?
Pinker, da buon progressista ‘ottimista e razionale’, deve ovviamente minimizzare la portata della questione ecologica per non rovinare la festa; anche in questo caso, non ci troviamo di fronte a una trattazione particolarmente originale. Evitando qualsiasi riferimento all’ecologia come scienza, il movimento ambientalista viene facilmente svilito quale fenomeno ‘anti-illiministico’, ‘romantico’ e ‘misantropico’. Attenzione: egli, a differenza di Patrick Moore e polemisti simili, non nega l’esistenza del riscaldamento globale antropico dell’atmosfera e altre magagne; ma sarà il progresso tecnico-scientifico (ecomodernismo, lo chiama, di fatto una rivisitazione ultraliberista del consueto sviluppo sostenibile), come in passato, a togliere le castagne dal fuoco.
La narrazione di Pinker, come quella di qualsiasi bravo sofista, presenta un suo fascino anche perché, per quanto capziosa, risulta molto sincera, fatto che seduce ulteriormente il lettore. Se, da una parte, lo scienziato canadese nel libro si lamenta del bias negativo che tende a farci vedere la realtà dalla prospettiva del bicchiere mezzo vuoto, dall’altra lui sa far leva su tutti quegli aspetti emozionali tali per cui, per quanto sfiduciati (o forse proprio per questo) vorremo essere pervasi da una ventata di ottimismo. Paradossalmente (ma non troppo), le tesi del cantore dell’Illuminismo si smontano attraverso un’analisi razionale volta a dimostrare quanto Pinker si lasci andare a dogmatismo e fideismo, da lui tanto aberrati. Esaminiamo alcuni aspetti salienti
Complesso del tacchino induttivista di Russell: “Fin dal primo giorno questo tacchino osservò che, nell’allevamento in cui era stato portato, gli veniva dato il cibo alle 9 del mattino. E da buon induttivista non fu precipitoso nel trarre conclusioni dalle sue osservazioni e ne eseguì altre in una vasta gamma di circostanze: di mercoledì e di giovedì, nei giorni caldi e nei giorni freddi, sia che piovesse sia che splendesse il sole. Così arricchiva ogni giorno il suo elenco di una proposizione osservativa in condizioni più disparate. Finché la sua coscienza induttivista non fu soddisfatta ed elaborò un’inferenza induttiva come questa: ‘Mi danno il cibo alle 9 del mattino’. Questa concezione si rivelò incontestabilmente falsa alla vigilia di Natale, quando, invece di venir nutrito, fu sgozzato”. (Bertrand Russell) I progressisti sono fulgidi esempi di tacchini induttivisti: osservano determinati trend in crescita positiva o negativa nel corso del tempo dando per scontato che essi siano destinati in perpetuo a salire o scendere la china, a patto ovviamente di non incappare in ‘ideologie oscurantiste e irrazionali’;
Feticcio di scienza e tecnologia: il tacchino induttivista-progressista si sente lucido e razionale nei suoi ragionamenti in quanto basati sull’astrazione di ‘scienza’ e ‘tecnologia’, che sembrano agire alla maniera dello Spirito Santo per il benessere umano, ignorando completamente la base materiale su cui esse si basano. Qui su Apocalottimismo è stata più a volte spiegata la ragione su cui, in ultima analisi, si fonda l’attuale benessere di una parte consistente di umanità: il consumo massiccio di combustibili fossili. Ignori esso (unitamente a tutte le disgrazie che comporta) e il mondo diventa la versione laica del paradiso terrestre;
‘Conta dei fagioli’ solo quando fa comodo: polemizzando con Naomi Klein, Pinker si vanta di essere una persona che ‘fa la conta dei fagioli’, ossia che argomenta numeri alla mano e non in modo fumoso (si lascia andare ad esempio a una polemica con la giornalista riguardo al settore dei gioielli, da lei tirato in ballo per la sua futulità e a giudizio dello scienziato dagli impatti decisamente marginali); tale forma mentis cessa stranamente ogniqualvolta si tratta di affrontare i problemi ecologici. Ovviamente, da buon ‘ambientalista pragmatico’, non manca di mostrarci grafici in stile curva di Kuznets dimostranti il decoupling produttività/inquinamento nei paesi avanzati, che confuterebbe la necessità di qualsiasi decrescita demografica e dei consumi; peccato però che un occhio davvero rigoroso (illuminista?) dovrebbe semmai comportarsi in maniera esattamente opposta, prima apprendendo l’entità del degrado ecologico e verificando successivamente la capacità dello sviluppo tecnico di ottemperare adeguatamente, senza promuovere aprioristicamente alcun miglioramento di efficienza. Basta proporre un paio di esempi – tasso di abbattimento delle emissioni di anidride carbonica per evitare le peggiori catastrofi climatiche ed entità dell’overshoot planetario – per comprendere quanto il decoupling tecnologico da solo non possa ovviare a tali criticità:
A chi fosse interessato ad approfondire ulteriormente la decostruzione del libro consiglio un ottimo articolo di Jeremy Lent (purtroppo disponibile solo in lingua inglese).
L’Illuminismo ha rappresentato un momento di rottura storico, per la sua rivalutazione della ragione contro il pensiero dogmatico e la feroce critica opposta a tradizione, religione e assolutismo per diritto divino: ha davvero significato, culturalmente parlando, l’uscita da uno stato di minorità e con le sue iniziative ha giovato, se non a tutto il genere umano, almeno a una parte consistente.
Tuttavia, come sottolineato da Adorno e Horkeimer in Dialettica dell’Illuminismo, senza un’analisi autocritica il movimento di fatto ha finito con l’imporre al mondo una razionalità scientifica neutralizzante quella stessa libertà che rivendicava per il soggetto; il desiderio di dominare il mondo naturale ha fatto sì che anche la vita umana diventasse oggetto di dominio e manipolazione, e la ragione tecnocratica ha finito per avere la meglio sulla ricerca della libertà.
Pinker cerca nel libro di presentare fenomeni quali marxismo, fondamentalismo religioso e populismo/nazionalismo come nemesi figlie dell’irrazionalismo oscurantista, del tutto estranei allo spirito dei Lumi, senza accorgersi invece che essi sono per lo più reazioni al fallimento delle promesse di Progresso e dello Sviluppo, dagli albori dell’industrializzazione a oggi. L’opera che dovrebbe ergersi a capolavoro del progressismo del XXI secolo trasuda visioni reazionarie nel senso più autentico del termine, in quanto consiste fondamentalmente in una difesa accorata del business as usual: pertanto, non mi stupisce affatto che Bill Gates abbia definito Illuminismo adesso il suo libro preferito di tutti i tempi e che Pinker abbia presenziato trionfante al forum economico di Davos; strano destino per una cultura che nel 700 segnò la riscossa del Terzo Stato contro l’Ancien Régime, quello di essere diventato caposaldo della super élite attuale. Insomma, va tutto bene Madama la marchesa e gli eventuali problemi saranno risolti, con buona pace di Einstein, dalla stessa forma mentis che li ha generati.
In qualità di ecologisti radicali dobbiamo allora proclamarci anti-illuministi, vista la situazione? Non proprio. Scrive Serge Latouche in Breve trattato sulla decrescita serena:
…la critica della modernità non implica il suo rifiuto puro e semplice, ma piuttosto il suo superamento. E’ esattamente in nome del progetto di emancipazione dei Lumi e della costruzione di una società autonoma che noi possiamo denunciare il fallimento della modernità, di fronte all’eterenomia oggi imperante della dittatura dei mercati finanziari.
Tra l’antropocentrismo cieco e dogmatico della modernità occidentale e la sacralizzazione animista della natura, c’è spazio sicuramente per un ecoantropocentrismo.
Le parole del pensatore francese sembrano riecheggiare il concetto di modernità riflessiva di Ulrich Beck, indicante la situazione in cui, dopo la fase ‘adolescenziale’ di condanna del privilegio di monarchia assoluta e Chiesa, la modernità oramai matura riflette criticamente sulle conseguenze del progresso tecnico e scientifico, evidenziandone gli effetti collaterali su società e biosfera (l’imperativo da dominare la natura diventa dominare il dominio sulla natura), abbandonando quindi la superficialità del tacchino induttivista; un atteggiamento che rivedo in Von Weizsaecker e Wijlman in Come on! – libro scritto per onorare i 50 anni del Club di Roma – dove si invoca un rinnovato spirito della ragione che però sappia arginare le derive assunte da razionalismo e individualismo, palesemente in contraddizione con la prosperità umana. Forse sbaglierò, ma in questi esempi sento rivivere, aggiornato ai tempi che cambiano, il vero spirito dell’Illuminismo Settecentesco, piuttosto che nella strenua difesa della società neoliberale.
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