” I popolari devono scegliere tra un passato disastroso e un futuro di cambiamento, tra il passato di George Soros e il futuro di Elon Musk”, ha proclamato solennemente Matteo Salvini al recente summit dei ‘patrioti’ tenutosi a Madrid. Un’uscita che ho trovato decisamente infelice, lasciando presumere che in politica sia possibile oramai solo asservirsi a questo o quel miliardario, ma utile per riflettere sulle diversi correnti interne alla super élite che influenza la politica internazionale.

Soros rappresenta quell’ala che definirei ‘riformismo conservatore’, atteggiamento orientato prima di tutto a preservare il buon funzionamento del sistema da cui deriva l’egemonia, analizzandone le criticità e avendo cura di rendere socialmente accettabile la posizione di dominio. A tal fine, si è disposti anche a misure che possono intaccare l’interesse di breve termine e a concessioni che comportino la perdita di qualche privilegio. 

Soros, dopo le speculazioni finanziarie che lo hanno reso multimiliardario (celebri quelle con cui mise in ginocchio le banche centrali di Gran Bretagna e Italia nel 1992), invece di aumentare morbosamente il proprio già immenso patrimonio personale si è preoccupato della tenuta dell’apparato economico-finanziario globale, difendendolo prima di tutto da chi ne trae i maggiori guadagni e, accecato dal profitto immediato, si disinteressa dei rischi di implosione.

Ecco cosa dichiarava nell’aprile del 2001, pochi mesi prima del G8 di Genova e degli attentati alle Torri Gemelle:

Il sistema che abbiamo è iniquo perché e’ controllato dai paesi ricchi. E cosi’ i potenti della Terra lo gestiscono per raggiungere i loro scopi, non quelli dei paesi in via di sviluppo. Di conseguenza, la periferia soffre sempre di più.

 

Al forum di Davos del 2003 si è espresso in favore della Tobin Tax e insieme ad altri miliardari ha firmato un appello ai candidati alle elezioni presidenziali USA del 2020 per aumentare il regime di tassazione per i più ricchi perché “l’America ha una responsabilità morale, etica ed economica di tassare di più la ricchezza. Una tassa sul patrimonio potrebbe aiutare ad affrontare la crisi climatica, migliorare l’economia, migliorare i risultati in termini di salute, creare opportunità e rafforzare le nostre libertà democratiche”.

Anche l’impegno filantropico con le ONG collegate alla Open Society è da inquadrarsi in quest’ottica, in particolare per quanto concerne il soccorso in mare dei migranti. Tralasciando le idiozie sulla sostituzione etnica, Soros sembra favorire l’immigrazione in Europa non tanto per le ragioni normalmente addotte (contenere il costo del lavoro e illudere gli autoctoni sulla fattibilità della ‘società signorile di massa’), bensì per aprire una importante valvola di sfogo in aree del pianeta dove le tensioni sono altissime e pronte ad esplodere. Se i governi occidentali avessero dato più retta alle sue proposte di mitigare i vincoli neocoloniali al di là della gestione dei flussi migratori, forse oggi tante nazioni africane non troverebbero particolarmente attraenti le intese con Cina e Russia. 

In sintesi, il ‘riformismo conservatore’ (che oltre a Soros si può accostare a Bill Gates o Warren Buffet, tra gli altri) punta a creare una situazione dove le classi inferiori vivano una povertà decorosa senza nutrire troppa invidia sociale, il sistema politico garantisca un certo grado di partecipazione dissuadendo le masse da derive estremiste, le élite mostrino lungimiranza contenendo almeno gli effetti più gravi delle crisi ambientali ed economico-finanziarie. 

A tal fine, può essere utile attingere ad alcune idee anti-sistema (come socialismo ed ecologismo) annacquandone la radicalità e adattandole alla propria causa (vedi socialdemocrazia keynesiana e green economy/sviluppo sostenibile), quella di un ‘capitalismo dal volto umano’ che attenui malcontenti e problemi strutturali, rendendo più sopportabili le disuguaglianze ricchi-poveri e stati centrali-periferici dell’economia-mondo.

La posizione incarnata da Elon Musk (nonché dai magnati dell’high tech che si sono allineati a Trump), la colloco invece nella ‘rivoluzione conservatrice’, ossimoro spesso adottato per definire la natura di fascismo e nazismo ma applicabile oggigiorno anche per le cosiddette ‘democrature’ come la Russia di Putin o l’Ungheria di Orban. Di fatto, il conservatorismo vero e proprio si limita all’esaltazione dei valori ‘tradizionali’ contro le ideologie progressiste nel campo dei diritti civili (‘woke’, per usare un termine di moda) e ai richiami nazionalistici-identitari.

Per il resto si vuole conservare ben poco, se non le istanze fondamentali del capitalismo che andrebbero difese da tutto quanto ostacola il pieno dispiegamento delle forze di mercato, si tratti di legislazione sociale, ambientale o regole internazionali che castrerebbero le potenzialità nazionali; nei casi più estremi, vengono messi in discussione lo stato di diritto e le prerogative liberali e democratiche, quasi sempre con toni populistici di esaltazione della libertà contro le costrizioni esterne, dove la volontà popolare sarebbe incarnata da un capo carismatico con tendenze autocratiche.

Mentre il riformismo conservatore cerca di mantenere un atteggiamento ecumenico e cosmopolita, la rivoluzione conservatrice è chiaramente ‘di parte’, a favore di qualcuno e contro qualcun altro: altri stati, minoranze, entità parassitarie  classificate di volta come ‘burocrati’, ‘deep state’ o altro, poteri forti reali o immaginari. Invece di calmierare i problemi, si nega la loro esistenza oppure si interviene con il bisturi (sarebbe meglio dire con la motosega) incuranti dei risvolti drammatici che ne possono scaturire.

Insomma, per rispondere alla domanda di Salvini, dovremmo scegliere Soros o Musk? Diversamente da quanto pensa il leader della Lega, riformismo conservatore e rivoluzione conservatrice sono sostanzialmente due imposture complementari al fine di preservare lo status quo, la prima spacciandosi per soluzione filantropica e la seconda come svolta radicale. Tuttavia, differiscono profondamente negli effetti che provocano.

Da un punto di vista apocalottimista, con Soros è possibile fare buon viso a cattivo gioco cercando di sfruttare alcuni benefici derivanti dal suo approccio cerchiobottista ma consapevoli di perpetuare il business as usual, mentre con Musk si può ‘tifare collasso’ perché in ultima analisi la sua strategia porta all’implosione del sistema, che condotta in quel modo potrebbe però morire alla maniera di Sansone con tutti i filistei, con esiti catastrofici irrimediabili.

Alla fine, meglio non scegliere nessuno dei due limitandosi ad apprezzarne le rispettive peculiarità, a denunciare i loro intenti più o meno criminosi, intessendo al limite fugaci ed effimere alleanze di convenienza su determinati temi. Creare false dicotomie, come fanno Salvini e tanti altri, serve solo a portare acqua al mulino di entrambi alzando una cortina fumogena per coprire una realtà molto più complessa di quella descritta dalla propaganda d’accatto.

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