Sesto articolo di una serie di dieci. I precedenti sono reperibili qui: primo, secondo, terzo, quarto, quinto, sesto, settimo.

Gli storici ci insegnano che tutte le civiltà sono fiorite, decadute ed infine scomparse.   Dunque niente di nuovo sotto il sole?   Invece si, perché la civiltà industriale, di cui il capitalismo è la massima espressione, ha creato condizioni uniche nella storia per almeno tre ragioni:

La prima è che la tecnosfera    (l’insieme delle strutture, degli ecosistemi e delle popolazioni animali o vegetali facenti integralmente parte dell’economia umana) è oramai altrettanto grande (forse più grande) di ciò che resta degli ecosistemi “naturali” da cui continuamente preleviamo bassa entropia ed in cui scarichiamo quella alta.  Un po’ come avere una vacca che pesa quanto il prato (terra e radici comprese).   A livello locale è successo molte volte nella storia ed è sempre finita male, ma questa è la prima volta che succede a livello globale.

La seconda ragione è che il sistema capitalista ha oramai coinvolto tutte le economie del mondo, legandole in un sistema altamente resiliente nel suo insieme, ma in cui le singole parti hanno margini di autonomia minimali e un’altissima dipendenza dal sistema complessivo.  Possiamo immaginare il mosaico di economie pre-globalizzazione come una popolazione di volpi, ognuna delle quali interagisce solo con alcune altre ed ognuna si arrangia sostanzialmente per se.   Il capitalismo globalizzato somiglia invece ad un formicaio che, complessivamente, può fare cose mirabolanti, ma i cui elementi non possono sopravvivere separati.  Di conseguenza, il declino del capitalismo coinvolgerebbe (o coinvolgerà?) l’intera umanità, anche se non tutta contemporaneamente.

La terza ragione è che tutte le valute odierne sono sostanzialmente basate sul debito.  Cioè il denaro stesso non è più una vera riserva di valore, bensì’ una scommessa sulla crescita futura.  Significa che se la crescita non è sufficiente, il sistema dovrà compensare attingendo alle sue riserve interne; cioè erodendo il capitale.  E’ esattamente quello che ha cominciato ad accadere, ma non per tutti e questa è una delle mine vaganti che più facilmente potrebbero scatenare il collasso del sistema.   Anzi, forse lo hanno già avviato.  Se ne riparlerà nell’ultimo post.

Capitalismo contro capitalisti.

Che succede se un sistema strutturato per crescere non riesce più ad assorbire risorse dall’esterno e scaricare rifiuti fuori dai suoi confini in misura sufficiente?   Peggio: che succede se un sistema votato alla crescita perenne cresce tanto da inglobare l’intero pianeta, cosicché non vi sia più un “esterno” da cui prendere ed in cui scaricare?
Semplice: questo sistema digerirà ed avvelenerà sé stesso, un po’ come un organismo malnutrito dapprima metabolizza le sue riserve adipose, poi i muscoli ed altri tessuti finché muore di inedia. E se ha anche problemi all’apparato escretore, contemporaneamente accumula tossine al suo interno.
Alla società capitalista globale stanno accadendo entrambe le cose contemporaneamente, a cominciare dalle economie cosiddette “mature”.
In altre parole, la concorrenza intorno ad una torta sempre più piccola e coriacea cresce, cosicché i costi per accaparrarsi una fetta aumentano più rapidamente dei ricavi e la risposta è stata aumentare il debito.

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Il problema è che se l’economia cresce più del debito, questo è effettivamente un motore di sviluppo.   Ma se vi sono dei limiti che ostacolano la crescita economica, il debito crescerà in proporzione di più, diventando necessariamente una macchina che pompa soldi dalle tasche di chi ne ha meno per metterli nelle tasche di chi ne ha di più.
Qui non si tratta solo del debito italiano, cinese o americano, ma di tutta l’immensa mole di debito accumulato da stati, amministrazioni, imprese e cittadini del mondo intero che può essere ripagato solo con altro debito, in una corsa al rialzo che mena dritto alla bancarotta.  Ma che prima di arrivarci prosciugherà le riserve di ricchezza accumulate nei “tessuti” delle società.  E, guarda caso, il principale “tessuto adiposo” del capitalismo globale siamo noi: i “piccolo borghesi” di sessantottina memoria.
Abbiamo visto che una consistente classe media è un incidente storico; possiamo ora aggiungere che stiamo tornando alla normalità.   Presumibilmente, la classe media non scomparirà, ma sarà drasticamente ridimensionata nel numero di persone, nella quantità di capitale e nel livello di reddito.  In occidente ed in molti paesi sud-americani è un processo già avviato, negli altri succederà.
Non che siamo poveri, non lo siamo, ma lo diventeremo perché il sistema deve necessariamente crescere e può farlo solo a spese di qualcuno.   Altri popoli ed altre specie sono tuttora le fonti principali di bassa entropia per il capitalismo globale, ma non basta più ed è già cominciata la cura dimagrante, anche se non per tutti.   Le classi dominanti sono infatti ben attrezzate per difendersi, tanto è vero che per loro la crescita continua, anzi accelera.  Parimenti, le classi medie di alcuni paesi effettivamente “emergenti” (Cina e pochi altri) sono oggi più brave a spolpare le ossa della biosfera, con altre classi sociali ed altri popoli per contorno.
All’estremo opposto, dai veri poveri si può estrarre lavoro a condizioni infami, come aveva previsto due secoli fa David Ricardo, ma non capitale perché non ne hanno.
Nel mezzo sta il “vitello grasso” della classe media occidentale.  Gente che individualmente non ha poi molto, ma che collettivamente possiede invece una grossa fetta del capitale mondiale e che si sta dimostrando del tutto incapace di difendersi.  Semmai sta dimostrando una certa tendenza al suicidio; ne riparleremo.

Capitale e resilienza.

La scelta dei governi è abbastanza chiara, anche se probabilmente non cosciente, almeno in molti casi: sacrificare i pesci piccoli per mantenere in vita il sistema complessivo.  Una strategia efficace nel breve termine, ma che fragilizza il sistema, rallentando il declino a livello macroeconomico, ma aumentando il rischio di un crollo repentino e violento di alcune parti del sistema economico globale, con conseguenze imprevedibili sul resto.
Uno degli insegnamenti che ci vengono dalla dinamica dei sistemi è infatti che la resilienza dipende in primo luogo dalla disponibilità di riserve.  Una foresta abbattuta ricrescerà se il suolo non verrà distrutto dalle macchine operatrici e dall’erosione. La cupola del Duomo di Firenze dominerà la città finché le crepe non ne avranno esaurito le riserve statiche. Un animale può camminare senza mangiare finché i suoi tessuti contengono abbastanza zuccheri.  Ogni primavera nuove foglie germogliano attingendo alle riserve accumulate nei tronchi e nelle radici durante l’estate precedente.
Gli esempi potrebbero essere infiniti.  Trattando di società sottoposte a stress economico, una delle riserve principali è rappresentata appunto dal capitale.   Per tornare al sig. Rossi con il suo appartamento affittato al peruviano, se l’inquilino è onesto e non ci sono incidenti, Rossi potrà affrontare un periodo di disoccupazione o un taglio alla sua pensione con assai maggiore serenità rispetto al suo amico Bianchi che non ha nulla.
E’ esattamente quello che sta succedendo in tutti i paesi maggiormente colpiti dalla crisi: la gente sta attingendo alle proprie riserve (risparmi e proprietà) per ammortizzare i colpi.  Per fare un solo esempio, l’esplosione del B&B è esattamente la risposta dei micro capitalisti del mondo all’aumento delle tasse e dei costi sugli immobili.
Certo, questo danneggia altre categorie, come gli inquilini di lungo periodo e gli albergatori, ma in compenso consente ad altre categorie (commessi in magazzini di bricolage, artigiani, agenti immobiliari, ecc.) di continuare a lavorare fornendo beni e servizi ai “signori Rossi” .
In un ottica di sistema, l’accumulo diffuso di capitale conferisce una notevole resilienza alla società e dovrebbe quindi essere favorito in vista dei tempi duri che si profilano.  Al contrario, la concentrazione del capitale fragilizza il sistema, a meno che i grandi capitalisti non usino la loro ricchezza per sostenere il resto della società.  Ma non mi pare sia quello che sta accadendo.

Conclusioni 8

Man mano che diventa più difficile sfruttare una biosfera sempre più esigua e malridotta, vincendo la concorrenza di altri capitalisti sempre più agguerriti ed efficienti, diventa giocoforza attingere a riserve interne.
In pratica, il sistema cannibalizza sé stesso.  Imprese che tirano avanti grazie al fallimento di altre, paesi emergenti a danno di paesi sommergenti, anziani che sfruttano i giovani, eccetera.   Nel mondo occidentale, il processo consiste principalmente nel ri-proletarizzare gran parte della classe media e scaricare le conseguenze più gravi (clima, debito, inquinamento, desertificazione, ecc.) sui propri discendenti.
Sarebbe possibile una strategia diversa, basata sulla diffusione anziché sulla concentrazione del capitale e del reddito?   Ne riparleremo negli ultimi due post.

 

 

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